L’Espresso pubblica sul numero in edicola una bella inchiesta di Assunta Sarlo e Caterina Visco, dal titolo eloquente: «Sarà sempre più difficile abortire» (5 agosto 2010, pp. 68-70). Ma non ci sono solo ombre:
Schedare le donne che chiedono di interrompere la gravidanza e farle passare attraverso numerosi colloqui. Con il preciso e dichiarato intento di dissuaderle più di quanto non faccia già oggi l’obiezione di coscienza nei presidi pubblici che nel Lazio tocca la cifra record dell’85,6 per cento. È quanto potrebbe accadere se dovesse essere approvata la proposta di legge regionale di riforma dei consultori presentata dall’assessore Olimpia Tarzia, già presidente del Movimento per la Vita. Mentre è una certezza, dall’altra parte dell’Italia, il diktat del governatore Vendola che, con la delibera regionale 735, prevede che nei consultori possano essere assunti soltanto medici non obiettori. Due scelte opposte, specchio delle due Italie: una dove tentare di interrompere una gravidanza è un percorso a ostacoli messi in fila per devastare l’anima delle donne costrette a questa drammatica scelta, e un’altra dove, pur nella difficolta di far funzionare il servizio sanitario nazionale, si rispetta la legge e si cerca di rispettare il doloroso diritto che essa garantisce.Interessante – e desolante – la scheda sulle donne costrette ad andare ad abortire all’estero:
La legge regionale voluta dalla giunta di Renata Polverini impone alle donne un percorso obbligato: in prima istanza intende far «riflettere la donna e la coppia sul valore primario della vita, della maternità, e della tutela del figlio concepito», poi propone un possibile (ma non certo) sostegno economico da parte della regione per i primi cinque anni di vita del bambino o suggerisce di metterlo al mondo per poi darlo in adozione e affidamento. Se, passate queste forche caudine, la donna decide comunque di interrompere la gravidanza, l’intero iter viene “verbalizzato”. Non solo. La proposta prevede anche il libero accesso ai consultori delle associazioni di volontariato in difesa della vita e la parificazione (anche sul piano dei finanziamenti) tra consultori privati non a scopo di lucro e quelli pubblici.
È ricominciato come negli anni Sessanta. Prima della 194 in molte andavano a interrompere una gravidanza in un paese straniero perché in Italia era reato. Oggi ci vanno perché nel nostro Paese la legge non è applicata con regolarità e con il rispetto della dignità e dei diritti della paziente.Da leggere tutto.
Vanno in Spagna, Inghilterra, Olanda, Francia. Ma anche in Svizzera: gli ultimi dati diffusi dal Canton Ticino dicono che un aborto su tre è effettuato su una paziente italiana. In Inghilterra nel 2009 ne sono arrivate quasi 200, secondo i dati forniti dal Department of Health. In Spagna molte di più perché molti sono i vantaggi: quasi in tutte le cliniche c’è qualcuno che parla italiano e si può abortire a un prezzo relativamenle contenuto (dai 300-400 euro per aborto con anestesia locale ai 400-500 e più in anestesia totale). Pagano anche le cittadine spagnole (se il concepimento non è frutto di un reato di qualche tipo), ma sono previste riduzioni di costi per le donne disoccupate e le meno abbienti e ci sono cliniche che coprono fino al 100 per cento dei costi di intervento. Ma perché si parte se l’aborto non è più reato? «Succede spesso che le donne denuncino gravi ritardi o addirittura veri e propri maltrattamenti psicologici a cui vengono sottoposte negli ospedali italiani per mancanza o poca professionalità del personale obiettore», rispondono all’associazione Women on Web, organizzazione non governativa senza scopi dl lucro che sostiene le donne che devono abortire.