Eugenia Roccella ha scritto oggi una lettera al Corriere della Sera:
Pannella forse è in pericolo di vita. C’è chi lo prega di smettere lo sciopero della sete, chi accusa i politici di indifferenza, chi invoca alimentazione e idratazione forzate.Ma davvero preoccuparsi per la sorte di Pannella significa automaticamente mettere il favor vitae davanti al principio di autodeterminazione? Vediamo. Pannella sta dicendo: se non viene concessa l’amnistia, allora preferisco morire (qui e nel seguito do per ammesso, per amore di discussione, che Pannella sia sincero; qualcuno non è d’accordo, ma non entro nel merito). Questo vuol dire che Pannella vuole assolutamente morire? Ovviamente no: sembra chiaro che Pannella preferisca vivere piuttosto che morire; ma – per così dire – preferisce ancora di più che ci sia l’amnistia. Supponiamo che questa venga concessa e che, di conseguenza, Pannella continui a vivere: avremmo con ciò attentato alla sua autodeterminazione? Tutto il contrario: avremmo esaudito completamente le sue preferenze – di vedere svuotate le carceri e di continuare a vivere. Ma perché dovremmo sentirci coinvolti? Perché dovremmo preoccuparci «per Marco»? Ci sentiamo coinvolti perché Pannella stesso ci coinvolge: concedete l’amnistia, fate pressione per far concedere l’amnistia, ci dice, o io mi ammazzo (e qui viene da chiedersi quanto il leader radicale stia rispettando la nostra, di autodeterminazione, costringendoci con quello che sembra proprio un ricatto a fare qualcosa che altrimenti non vorremmo fare). Ci preoccupiamo non perché consideriamo la vita un valore assoluto, ma perché la morte di Pannella sembra evitabile, perché lui stesso non vuole – ripetiamolo – assolutamente morire; perché Pannella tiene alla sua vita, anche se non sopra a tutto il resto. In altre parole, ci preoccupiamo perché rispettiamo la sua libertà.
Tutti vogliamo che Marco viva, e non per la causa che difende (su cui posso essere d’accordo, ma non è essenziale), non perché lui è un protagonista della nostra storia (se fosse uno sconosciuto non cambierebbe nulla) ma soltanto perché è un uomo, e ogni esistenza umana è unica.
La sua battaglia, però, rivela una contraddizione profonda, un estremo paradosso. I radicali sono i portabandiera dell’assoluta autodeterminazione, fino a decidere della propria morte. Ma se così fosse, perché mai dovremmo preoccuparci per Marco? Pannella è libero, perfettamente consapevole dei rischi che corre; perché dovremmo sentirci coinvolti? Si dirà che il suo non è un desiderio di morte, ma un metodo di lotta. Ma se non ci fosse una cultura condivisa della vita a cui appellarsi, se un uomo che si lascia morire non fosse considerato uno scandalo che sollecita un sentimento collettivo di pietà e insieme di ribellione, Pannella potrebbe spegnersi nell’indifferenza generale. Insomma, se il favor vitae diventa secondario rispetto all’autodeterminazione individuale, ne segue che Pannella fa della sua vita quello che vuole, e il fatto di metterla a repentaglio riguarda solo lui.
Eluana Englaro è morta disidratata perché lo ha stabilito un tribunale. In quel caso ha prevalso il criterio dell’autodeterminazione, benché utilizzato in modo ambiguo, visto che Eluana non era più in grado di esprimere la sua volontà, e non aveva mai lasciato nulla di scritto. Anche Stefano Cucchi è morto di fame e di sete, ma per lui, invece, si è sollevato un unanime coro di giuste proteste. Eppure pare che Stefano rifiutasse acqua e cibo, e i medici accusati di averlo lasciato privo di assistenza si difendono proprio con questo argomento.
Forse dobbiamo ammettere che se distruggiamo il principio del favor vitae mettiamo in crisi il laico sentimento di fratellanza umana su cui si fonda una comunità solidale. Saremo magari più autodeterminati, ma indifferenti l’uno al destino dell’altro.
La controprova si ottiene facilmente: supponiamo che l’amnistia non venga concessa, e che Pannella coerentemente decida di lasciarsi morire di fame e di sete. A questo punto si può davvero pensare che chi è a favore dell’autodeterminazione chiederebbe di procedere con l’alimentazione e l’idratazione forzate? Questa sì che sarebbe una contraddizione; ma è facile pronosticare che a insistere per una simile violenza sarebbero solo la Roccella e quanti la pensano come lei.
Non conosco abbastanza il caso di Stefano Cucchi per dirne qualcosa di certo, ma mi sembra chiaro che anche qui il rifiuto di mangiare e bere fosse condizionato: fatemi uscire di qui, fatemi parlare con il mio avvocato, trattatemi umanamente, altrimenti non voglio più né mangiare né bere, possiamo immaginare che abbia detto. Non certo di lasciarlo morire e basta.
Naturalmente, ogni richiesta di essere lasciati morire è in un certo senso condizionata: preferisco morire se non mi potrò mai più risvegliare dallo stato vegetativo, se non posso recuperare l’uso delle gambe, se non posso essere mai più autonomo. Ma queste sono condizioni impossibili da soddisfare; concedere un’amnistia (giusta o sbagliata che sia), invece, rientra nel campo delle possibilità, e ancor più offrire un po’ di conforto a un ragazzo spaventato – e in questo caso ci troviamo anche nel campo del dovere. Il rispetto della vita e il rispetto dell’autodeterminazione qui coincidono, sono la stessa identica cosa.
2 commenti:
"Anche Stefano Cucchi è morto di fame e di sete, ma per lui, invece, si è sollevato un unanime coro di giuste proteste." Veramente Cucchi era morto è basta, e solo dopo ci sono state le proteste, ma non perché è morto di fame e di sete, ma perché, come pare più evidente, per i maltrattamenti ottenuti. E' veramente difficile presumere la buona fede davanti a mistificazioni del genere.
Ma io non riesco proprio a capire che cosa c'entra Pannella con la povera Englaro. La differenza è tutta qui ed è enorme:
la Englaro NON VOLEVA VIVERE la popria esitenza prigioniera del suo corp. Pannella NON VUOLE MORIRE ma solo sensibilizzare, attrverso il sacrificio di se stesso, l'opinione pubblica sulle condizioni tragiche delle carceri italiane. Pìù semplice di così...
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