Secondo l’articolo 595 del Codice Penale “chiunque [...] comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032. [...] Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516”. Il 18 febbraio 2007 esce su “Libero” Il giudice ordina l’aborto. La legge più forte della vita a firma Dreyfus. Il 26 settembre 2012 la Cassazione conferma la condanna della Corte d’Appello per Alessandro Sallusti, allora direttore di “Libero”: 14 mesi di reclusione senza condizionale.
Si scatena un putiferio: dalla campagna e #hashtag “Siamotuttisallusti” alle innumerevoli dichiarazioni scandalizzate e prese di distanza dalla condanna. In pochi partono dall’articolo incriminato, in pochi si fermano a riflettere sul reato di diffamazione e a raccontare cosa è successo tra il 2007 e il 2012, soprattutto i tentativi di risolvere la questione, a cominciare dalla richiesta di una rettifica. L’articolo inizia così: “Una adolescente di Torino è stata costretta [falso] dai genitori a sottomettersi al potere di un ginecologo che, non sappiamo se con una pillola o con qualche attrezzo, le ha estirpato il figlio e l’ha buttato via. Lei proprio non voleva [falso]. Si divincolava [fonti?]. [...] I genitori hanno [...] deciso che il bene della figlia fosse: aborto. [Se fossimo in una puntata di “Law & Order” qualcuno griderebbe “obiezione vostro onore!”]. [...] Un magistrato allora ha ascoltato le parti in causa e ha applicato il diritto - il diritto! - decretando: aborto coattivo [falso]. Ora la piccola madre (si resta madri anche se il figlio è morto) è ricoverata pazza in un ospedale [falso]. Aveva gridato invano: “Se uccidete mio figlio, mi uccido anch’io” [Dreyfus era nel reparto di interruzione di gravidanza? Fonti?]. Qui ora esagero. Ma prima domani di pentirmi, lo scrivo: se ci fosse la pena di morte, e se mai fosse applicabile in una circostanza, questo sarebbe il caso. Per i genitori, il ginecologo e il giudice [ecco, questa è finalmente una opinione].” Nella confusione s’è rischiato di usare l’esagerazione della pena (meglio sarebbe prendersela con il Codice Penale che con chi lo ha applicato) per giustificare la scelta di Dreyfus e l’ok del direttore responsabile a quell’elenco di bugie. Perché qui la questione non è essere contrari all’aborto (opinione) ma avere raccontato il falso, avere descritto la ragazzina come vittima di crudeli carnefici e i genitori in combutta con il giudice per costringerla ad abortire, anzi per stapparle il figlio dai visceri. Sulla diffamazione si potrebbe discutere a lungo: vogliamo considerarlo reato senza vittima, siamo pronti a prenderci tutte le conseguenze? Siamo sicuri che non ci sia una vittima e come potremmo difenderci se qualcuno scrive su un giornale che siamo dei serial killer? Che pensare dell’incitazione all’odio razziale o dell’omofobia? In Italia il primo è reato come crimine d’odio, sulla seconda siamo terribilmente evasivi. Si potrebbe - e dovrebbe - discutere sul tipo di pena e sull’inopportunità del punire l’intemperanza del linguaggio, anche se le critiche si basano su fatti veri. Il carcere non può che apparire spropositato e insensato - ma anche giocare a fare i martiri dopo avere rifiutato qualsiasi rimedio lo è. Prima di decidere cosa pensare è consigliabile leggere almeno Sallusti secondo me di Federica Sgaggio, 23 settembre 2012 e Libertà di diffamazione di Michael Braun, 27 settembre 2012, Internazionale. Così siamo pronti per l’ultima puntata, cioè il cosiddetto SalvaSallusti. È lo stesso Sallusti a commentare il 13 novembre sul suo profilo “Mi sento meno solo. Con la legge approvata dal Senato a San Vittore finiremo in tanti”.
Lamette, Il Mucchio Selvaggio di dicembre.
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