che ci si attacca persino alla sciocchezza di essere nati.”
Cesare Pavese, Tra donne sole
Però a me non sembrava che era il caso di prendere per il culo.
Per il culo, ci potevano prendere a tutti e quattro:
si può prendere per il culo chiunque è infelice,
basta che si è abbastanza crudeli.
Nick Hornby, Non buttiamoci giù
Allora ci furono entusiasti sostenitori e feroci oppositori. Nel giro di qualche giorno tutti se ne sono dimenticati, fino alla Marcia per la Vita del maggio seguente. Ho deciso di andarci, ho cercato su Google maps e ho telefonato per gli orari: via Laurentina al chilometro 13,500, dalle 7.30 alle 17.00.
È l’inizio di novembre, il fine settimana dei morti e dei santi e penso che non ci possa essere periodo migliore per andare in un cimitero. Telefono alla mia amica fotografa Francesca Leonardi, con cui da tempo sto lavorando sull’aborto, e prendiamo accordi per il giorno seguente, sabato 3 novembre.
Bisogna percorrere la via Laurentina, passare accanto a palazzoni alti e orribili, alcuni color verde militare e probabilmente partoriti dalla mente di un geometra frettoloso, oltrepassare il raccordo. Poi si cominciano a vedere i cartelli pubblicitari di marmi e lapidi e si intuisce che siamo nei dintorni. Ci sono molte rotonde e almeno un paio di volte rischio di girare prima del dovuto e di prendere la Pontina. Siamo quasi a Trigoria. Ci sono 3 o 4 cartelli con l’indicazione “cimitero Laurentino” e poi uno spiazzo con alcuni banchetti che vendono fiori.
Alcune persone aspettano il loro turno, carte colorate e retine, forbici e colori addossati gli uni agli altri. Me li lascio sulla destra e oltrepasso il cancello aperto. Oltre la soglia comincia una salita e non vedo che qualche cipresso e in lontananza la sagoma dei palazzoni che ora sembrano tutti grigi. C’è una cappella sulla sinistra, a destra la camera mortuaria e alcune costruzioni non finite, alcuni loculi vuoti e le scale per salire fino a quelli messi in alto. C’è una donna in bilico che manda baci al marmo freddo, il movimento veloce del braccio dalle sue labbra alla lapide, sta arrampicata su quella scala con le ruote e il terreno è in lieve pendenza.
Prato e croci bianche.
Dopo qualche decina di metri vedo la statua di un angelo – quella che ho visto nel video girato il giorno dell’inaugurazione. Poco più in là c’è una roccia con la scritta in stampatello IL GIARDINO DEGLI ANGELI e un’altra statua di un altro angelo, uguale alla prima. Al collo hanno qualche rosario. È un’area (ricordo di avere letto) di 600 metri quadrati, delimitata da una siepe e quasi vuota. Le piccole lapidi rettangolari bianche sono 12, su una non c’è scritto nulla, sulle altre ci sono alcuni nomi, le date, qualche riga di iscrizione. Sul lato opposto e separato dalla strada c’è un rettangolo di prato con le lapidi di bambini. Accanto ai nomi e alle date ci sono pupazzi, macchinette, fiori di plastica, collanine, bracciali, girandole e campanellini. Nel silenzio quasi assoluto si sentono più o meno intensamente a seconda del vento. Alcuni pupazzi e scacciaguai – che altro può succedere a un morto? – sono legati agli alberi esili che ondeggiano tra le lapidi e la strada.
Si ferma una macchina e scendono un uomo e una donna. Si avvicinano a una delle piccole lapidi bianche. Stanno lì per alcuni minuti. Io mi tengo a distanza di sicurezza perché il dolore mi imbarazza e perché sul dolore non ho nulla da dire. Mi domando se curare una piccola lapide possa lenirlo. Non lenirebbe il mio, ma per qualcuno magari funziona.
Guardando queste lapidi mi distraggo a pensare alle vite interrotte, a sinistra della strada, o mai cominciate, a destra. Queste tombe invase da giochi e colori sembrano inopportune, intollerabili. Magari perché penso che un morto sia morto e basta. Se invece credi che stia da qualche parte puoi anche credere che abbia bisogno dei suoi giocattoli, come facevano gli Egizi con i propri morti. Li metti in una bara con gli oggetti più cari e più utili per il viaggio. In questo caso però stanno fuori, e potrebbe essere anche più difficile per il morto accorgersene. Oppure è un rituale benefico e i pupazzi servono a chi è vivo. In entrambi i casi sono invidiosa: per me non sarebbe di alcuna consolazione. I cadaveri sono cadaveri, nulla di più. Quando l’uomo e la donna se ne vanno la piccola lapide è coperta di fiori, una girandola colorata, qualche pianta grassa, una luce incastrata dentro a una statuetta a forma di rana, alcuni cuoricini di pietra, una statuetta di un santo (forse padre Pio) e un angelo bianco che porta una rosa bianca come un tedoforo. Il marmo e le scritte sottostanti sono quasi scomparsi. Oltre alla sepoltura si può anche fare il funerale, come in The little death [stagione2, episodio 9]. La protagonista di The Big C è Cathy, dopo avere ricevuto una diagnosi di melanoma, un cancro aggressivo e terminale (C sta per Cancer). Cathy ha un fratello un po’ sciroccato, Sean, che ha una fidanzata, Rebecca. Rebecca rimane incinta, ma ha un aborto spontaneo alla diciottesima settimana. La reazione di Rebecca è inizialmente di ostentata indifferenza e di negazione. E di ostinata volontà di organizzare una celebrazione. “Ognuno elabora il lutto in modo diverso. Quando ho abortito, ho piantato un albero.” “Non voglio stare in lutto. Voglio celebrare la vita che ho portato dentro di me per 18 settimane. Questo feto merita di essere festeggiato.” E per celebrare il feto Rebecca vuole organizzare un funerale grandioso. Cathy prova a suggerirle che forse sta sublimando il suo dolore con il sushi e gli addobbi. Rebecca non ne vuole sapere, insiste nei suoi propositi e suggerisce all’amica di preoccuparsi del fratello che ha reagito molto male all’aborto. Fin dall’inizio il funerale per baby Cathy è una occasione in più per Cathy per pensare alla propria morte e, addirittura, per assistere al proprio funerale: nel necrologio c’è scritto infatti “per la morte di Cathy Tolke”. Il feto abortito e Cathy sono omonimi, e molte delle persone che arrivano sono convinte che sia morta Cathy senior. Paul, il marito di Cathy, avanza qualche protesta per il malinteso creato da Rebecca.
Rebecca intanto è impassibile e concentrata nell’organizzare e poi nel presenziare a questo “little festival of denial”, al contrario di Sean. “Voglio dire, guardati, Rebecca. Ti ho visto più agitata quando qualcuno ti ha rubato il parcheggio.”
Il giorno del funerale sono in molti ad essere sorpresi e contenti che Cathy non sia morta e dopo una serie di malintesi, condoglianze per una morte mai avvenuta e fotografie di come sarebbe potuta diventare la piccola Cathy se fosse nata, c’è la resa dei conti tra “big Cathy” e Rebecca, infastidita per l’attenzione che le persone manifestano alla non-morta e per la disattenzione verso baby Cathy.
In questa vicenda accade anche qualcosa che è abbastanza comune: dopo un aborto – volontario o spontaneo – i due si lasciano, come se avessero condiviso un segreto vergognoso che impedisce loro di guardarsi ancora in faccia. O un dolore troppo profondo. Lo spazio tra il dolore per un aborto spontaneo e la morte di un figlio può assottigliarsi fino a scomparire nella percezione soggettiva. Come ho già detto, il dolore è incontrovertibile, ma si offre a indagini e a riflessioni.
Gli angeli
Il cimitero di Roma non è l’unico spazio dedicato ai “bambini non nati”. Dal punto di vista giuridico il riferimento è il Decreto del presidente della Repubblica del 1990 n. 285, “Approvazione del regolamento di polizia mortuaria” secondo cui è possibile seppellire “prodotti abortivi” di età presunta tra le 20 e le 28 settimane. A richiesta anche quelli di età inferiore.
Il giardino degli angeli non è dunque una novità giuridica e la possibilità di seppellire i “prodotti abortivi” c’era già. Le inaugurazioni degli spazi dedicati non hanno dunque introdotto una possibilità prima inesistente, ma l’hanno sottolineata e forse usata politicamente. E hanno introdotto con prepotenza l’espressione “bambini non nati”, perché prodotti abortivi era irrispettoso.
Quando è stata la volta di Firenze gli animi erano già infiammati dalle pressioni dei movimenti conservatori e dalle alte percentuali di obiettori di coscienza negli ospedali. La discussione che ne è seguita si è trasformata – tanto per cambiare – in uno scontro feroce tra i sostenitori della necessità dei “cimiteri degli angeli” e i contrari, spesso in quanto si violerebbe la 194 e si offenderebbero le donne. Dimenticano che alcune donne scelgono di seppellire i propri bambini non nati e non si capisce come la possibilità di farlo le offenderebbe. Spesso si parla in nome di qualcuno cui non si è mai rivolto la parola.
Finché la sepoltura è volontaria non sembra avere molto senso impedire o urlare a sproposito. Diverso il caso della Lombardia: “Per la sepoltura del feto ci pensa lei o preferisce che lo faccia l’azienda sanitaria? Metta una croce e una firma qui”. Il regolamento regionale voluto da Roberto Formigoni obbliga a porre quella domanda, e in caso di declino, investe la struttura ospedaliera dell’obbligo di sepoltura per la dignità del feto. Rimane il dubbio se sia possibile compiere una scelta diversa dalla sepoltura, perché esistono anche religioni che prevedono altri rituali o la volontà di trattare il bambino non nato come un rifiuto ospedaliero. Lo slittamento dalla scelta all’obbligo e dal desiderio della donna all’ontologia dell’embrione fa la differenza.
È innegabile che chi appoggia i funerali o decide di farne una causa politica sta compiendo una precisa scelta simbolica, sta ammiccando a una precisa fazione. Ma non è con un divieto che si risponde a un eventuale abuso di una scelta individuale trasformata in battaglia politica.
Ci sono poi altre differenze profonde, determinate non solo dall’età gestazionale ma dalle modalità di morte dell’embrione o del feto. Un aborto spontaneo è diverso da uno volontario, e più si è in prossimità del parto più il senso di perdita può essere inconsolabile e l’aborto vissuto come una morte di una persona cara (anche se non ancora nata e anche se il termine persona è qui usato in senso colloquiale). E poi il dolore per la perdita di x non ci dice nulla sullo statuto ontologico di x. Si seppelliscono anche cani e gatti o altri animali amati e non è che si pretenda che questo li trasformi in persone. E per alcuni il dolore per la perdita o la distruzione di un oggetto può essere tanto intenso da essere paragonabile a un lutto – per la morte di una persona cara.
Secondo alcuni la sepoltura può aiutare a gestire il vissuto di un lutto: per un figlio desiderato e il cui futuro è negato da un evento imprevisto o da una decisione sofferta come nel caso di una patologia fetale. Per alcuni può essere una consolazione e non c’è ragione per cui si dovrebbe impedire o limitare una consolazione. Il panorama è molto diverso se pensiamo a una interruzione volontaria nel primo trimestre. Ma è diverso soprattutto a seconda delle persone.
In parte è questa ambiguità ad avere sollevato le polemiche sui regolamenti regionali o comunali: se seppellisci x, allora x è una persona e allora non far nascere x (abortire) è immorale e dovrebbe essere illegale. Ci sono molte fallacie dietro alle conclusioni che hanno spinto molti a credere che criticare il cimitero dei feti volesse dire difendere l’accesso legale e sicuro all’interruzione di gravidanza e viceversa. È ovvio che poi ci siano le intenzioni e i piani simbolici, ma questi sono terreni molto più sfumati. E soprattutto è l’intento di equiparare le esperienze e i vissuti che tende la trappola: tutte le donne vivono l’aborto come un lutto. Sarebbe necessario distinguere per ogni donna, o almeno distinguere gli aborti volontari e precoci da quelli tardivi e involontari.
Il cimitero di Firenze prevede una area dedicata ai feti, “ai prodotti abortivi e i prodotti del concepimento”. Anche chi si inalbera a condannare, scegliendo argomenti e parole inappropriati, fa più danni che se avesse taciuto. Vittoria Franco, senatrice Pd, avrebbe definito il regolamento fiorentino: “Una provocazione verso il dramma dell’aborto e del rapporto delle singole donne con la maternità” (il corsivo è mio). Claudia Livi: “Mi dissocio da un atto che mi offende profondamente come donna”. Più a fuoco Tea Albini, consigliera e parlamentare Pd, ma ancora sedotta dagli universali: “‘Molto ideologico e poco pratico [...] Anche perché già oggi la legge consente la sepoltura di feti e aborti e non c’era nessuna necessità di presentarlo. Si rischia una spaccatura forte all’interno del gruppo consiliare e nella sinistra. Ne valeva la pena? Io sono per la politica come arte della mediazione. Il sindaco, invece, cerca lo scontro. Spesso mediatico’”. Liberetutte di Firenze, un’associazione che nello statuto ha tra gli obiettivi la difesa della libertà e l’autodeterminazione delle donne, ha chiesto a tutte le consigliere comunali un incontro. “‘Vogliamo discutere quello che per noi è un attacco alla 194 – spiega la portavoce [di Liberetutte] Luisa Petrucci –. Il regolamento vuole trasformare feto ed embrione in una persona e non è questo lo spirito della legge. L’articolo del regolamento approvato ci pare una macabra trovata che lede la sfera privata delle donne e la loro dignità’.” Non riesco a non pensare che sarebbe più importante garantire le scelte di ogni persona che impantanarsi in discussioni in cui ognuno ha già deciso e non ha alcuna intenzione di concedere nulla: se una donna vuole seppellire o fare il funerale all’embrione o al feto deve avere la libertà di farlo. Se una donna vuole abortire anche. Il funerale e il seppellimento non hanno nulla a che fare con lo statuto dell’embrione e del feto, ma con i desideri delle persone.
*Capitolo 8 di A. La verità, vi prego, sull’aborto, 2012, Fandango.
1 commento:
ma che roba!
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