2006:
“Raccolgo il suo messaggio di tragica sofferenza con sincera
comprensione e solidarietà. Esso può rappresentare un’occasione di non
frettolosa riflessione su situazioni e temi, di particolare complessità sul
piano etico, che richiedono un confronto sensibile e approfondito, qualunque
possa essere in definitiva la conclusione approvata dai più”.
2014: “Ritengo
che il Parlamento non dovrebbe ignorare il problema delle scelte di fine vita
ed eludere ‘un sereno e approfondito confronto di idee’ su questa materia.
Richiamerò
su tale esigenza, anche attraverso la diffusione di questa mia lettera, l’attenzione
del Parlamento”.
A scrivere è sempre Giorgio Napolitano. Nel 2006 rispondendo alla
lettera di Piergiorgio Welby, ieri alla richiesta
dell’Associazione Luca Coscioni. In questi 8 anni il confronto non è stato
sereno, né approfondito (sensibile è uno strano aggettivo per un confronto, ma
prendendolo alla larga possiamo dire che no, non è stato nemmeno sensibile,
soprattutto alla razionalità del confronto stesso).
Prima di “confrontarci” dobbiamo ricordare qual è il panorama normativo delineato dalla Costituzione e dalle leggi già esistenti. I cardini sono costituiti dalla nostra autonomia e dalla possibilità di rifiutare qualsiasi trattamento sanitario. Il paternalismo medico (“ti obbligo per il tuo bene”) è stato sostituito – seppure non ancora del tutto e non ancora perfettamente – dall’autodeterminazione (“ti dico qual è il tuo quadro clinico e i possibili scenari, tu decidi cosa fare”). E non potrebbe essere altrimenti: chi altri dovrebbe decidere della mia esistenza?
Il nostro consenso è necessario e nessun medico può decidere al
posto nostro. Ci sono alcune eccezioni, giustificabili nel caso di assenza o significativa
riduzione della capacità di intendere e di volere oppure di pericolosità verso
gli altri. Sono i casi previsti dal trattamento sanitario obbligatorio (TSO):
non essere in grado di decidere o essere affetti da una malattia infettiva. Anche
i casi di urgenza costituiscono un’eccezione: se arrivo incosciente al pronto
soccorso, i medici mi soccorrono.
Eliminate le situazioni eccezionali, se sono cosciente e non
costituisco un pericolo per gli altri, posso decidere se e come curarmi senza
che vi sia la possibilità di impedirmelo.
Per illustrare il punto spesso si fa l’esempio del Testimone di
Geova che ha più di 18 anni e che rifiuta le trasfusioni: molti di noi possono
considerare questo rifiuto come dissennato ma il nostro parere – per fortuna –
non è sufficiente per imporre a un adulto qualcosa che secondo noi è giusto (che
poi non esiste, sarà al più giusto per noi). È una pessima abitudine
trasformare il legittimo “io farei così” in “tutti devono fare così”.
Ci sono molti altri esempi: come quello della donna che non
ha voluto farsi amputare pur sapendo che sarebbe morta. Lo stesso Welby non ha
chiesto altro che interrompere un macchinario che lo teneva in vita. Un
macchinario al cui uso liberamente aveva acconsentito e al quale, altrettanto
liberamente, avrebbe dovuto poter rinunciare. Così come possiamo decidere di
cominciare una chemioterapia e decidere di smettere – anche se non facendola moriremo
con un’altissima probabilità.
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