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venerdì 16 gennaio 2009

Non me lo dire

Commentando la vicenda delle scritte sugli autobus di Genova, Malvino rileva oggi («Il “laico” Giacalone», 16 gennaio 2009) un’evidente disparità nel modo di considerare la questione:

Tanto baccano per un messaggio che viene diffuso nel rispetto delle normative che regolano l’attività pubblicitaria, con totale addebito dei costi da parte di chi vuol diffonderlo, per giunta senza alcuna dichiarazione di intento proselitario; e neanche una protesta verso chi diffonde il messaggio opposto, occupando spazi enormi, spesso gratis e sempre col dichiarato fine di reclutare nuovi adepti alla fede: mi pare di cogliere una evidente sproporzione, non so voi.
Si dice che negare l’esistenza di Dio sia insultante per chi ci crede, ma non è chiaro perché la regola non possa valere in senso contrario.
Malvino si chiede poi quale sia la causa di questa «patente discriminazione»:
il non credente sarebbe strutturalmente più forte a difendersi dal messaggio del credente, che strutturalmente lo sarebbe assai meno.
A dispetto di ogni presunta forza della fede, cosa rende il credente più vulnerabile alla “spiritosaggine”? La permalosità. Che, a ben vedere, altro non è che la misera proiezione terrena della divina pretesa ad essere la sola e vera Verità (“Non avrai altro Dio fuorché me”, nel Vecchio Testamento; “Chi non è con me, è contro di me”, nel Nuovo).
Il credente, dunque, meriterebbe questo tipo di rispetto (non gli si può dire in faccia che il suo Dio non esista); il non credente può farne a meno (gli si può dire in faccia che Dio c’è, insistendo, insistendo e insistendo a che si converta).
Ciò che un credente assume come un assurdo indimostrabile meriterebbe più rispetto della posizione atea o agnostica, e perché? Perché nessuna pretesa divina resta soddisfatta fino a quando non sia stata universalmente dichiarata legittima, e universalmente assecondata.
Questa è un’ottima spiegazione, ed è probabile che in effetti la pretesa di proporsi come una verità universale sia in parte alla base di questa curiosa disparità di giudizio.
Ma c’è, sospetto, dell’altro. Nell’affanno di certe reazioni, nella moltiplicazione disordinata delle «risposte» (sono già ben tre i post di fila dedicati al fatto, per esempio, da parte del solitamente più contenuto Berlicche), nell’autentica angoscia che sembra aver colto alcuni, mi pare di intravvedere una reazione di autentica paura.
Timore della laicizzazione avanzante persino in Italia, di cui le scritte possono essere un sintomo? Anche, ma non solo. Lo dirò con le parole di un grande scrittore, Abraham B. Yehoshua (Ebreo, israeliano, sionista: concetti da precisare, trad. di Alessandro Guetta, Roma, Edizioni e/o, 1996, p. 76):
non esiste l’uomo religioso ma solo livelli determinati, più o meno intensi, di laicità […] i religiosi nel segreto del loro cuore non credono, ma fingono di essere credenti per paura di esprimere esplicitamente ciò che sanno bene: che Dio non esiste.
Lo sappiamo tutti, nel profondo del cuore, che Dio – almeno, il Dio onnipotente e benevolo dei monoteismi – non c’è; ma alcuni non amano sentirselo ricordare.