Tutti possono imparare dai propri errori, dicono i saggi; ma dovrebbero aggiungere che si può imparare anche dagli errori degli altri. Certo, ci sono errori ed errori: dagli irrimediabilmente stupidi, dai pazzi, dai mentitori prezzolati ben poco possiamo apprendere. Ma capita talvolta che intelligenze di livello discreto si pongano con una certa sincerità al servizio di cause false (in genere per opzioni ideologiche e/o bisogni psicologici irrinunciabili), e che producano quindi una massa di argomenti in ultima analisi fallaci, ma non platealmente tali, che può risultare produttivo – oltre che piuttosto divertente – analizzare e confutare.
Prendiamo per esempio Berlicche, forse il più noto dei blog integralisti italiani: non c’è quasi post dei suoi che non sia sbagliato e fallace; ma si tratta in genere di errori intricati e non del tutto banali, dai quali – come abbiamo avuto modo di vedere in passato – c’è spesso qualcosa di interessante da apprendere.
Vorrei prendere oggi in esame uno dei suoi ultimi post («Una piccola richiesta», 13 maggio 2010, su cui si è già esercitato proficuamente Malvino). Berlicche non ama molto essere oggetto di un’attenzione critica, ma siccome il post contiene una piccola sfida agli «amici laicisti», possiamo procedere senza troppi timori di apparire scortesi. Si parla della Sindone, che Berlicche ha devotamente visitato in occasione dell’ostensione in corso:
se [la Sindone] fosse stata realizzata da qualche ignoto protoscienziato del milletrè allora quello che vorrei veramente è il brevetto.
Già, perchè sai che figata? Una procedura per imprimere un’immagine su un telo. Che non usa pigmenti. Con una nitidezza di particolari impressionante. E con informazioni tridimensionali! Ci pensate alla applicazioni di questa tecnica? Sai le T-shirt, le lenzuola? Se è stata fatta settecento anni fa probabilmente è stata anche usata una tecnologia primitiva, facilmente riproducibile con gli immensi mezzi odierni. Sì, so che parecchi ci hanno tentato, ma i risultati sono molto lontani dall’originale. Chissà quante prove, quanti esperimenti deve avere fatto quel lontano scienziato per ottenere un simile risultato. Davvero strano che solo la Sindone sia rimasta.
Qui la densità degli errori è inusuale anche per gli standard di Berlicche; sono sicuro che i lettori di
Bioetica ne avranno scorto all’istante più d’uno. Ma andiamo per ordine.
Per prima cosa, l’autore sembra ignorare che le caratteristiche inusuali dell’immagine da lui messe in evidenza – «una procedura per imprimere un’immagine su un telo che non usa pigmenti», «con una nitidezza di particolari impressionante», «con informazioni tridimensionali» – sono state in realtà emulate nella riproduzione della Sindone recentemente eseguita da
Luigi Garlaschelli. Questi ha strofinato il telo steso su un bassorilievo con ocra (la tecnica usata è simile al ricalco), che in seguito è stata rimossa, lasciando però un’immagine che risulta dall’ossidazione superficiale delle fibre di lino del telo poste a contatto con il colorante, e che appare quindi impressa senza apparente uso di pigmenti (anche se poi di fatto alcuni sostengono che sulla Sindone le tracce di ocra sono ancora presenti). I particolari appaiono non meno nitidi che nella Sindone, e l’immagine contiene anche informazioni tridimensionali.
Per la verità, qualcuno ha messo in questione la tridimensionalità dell’immagine di Garlaschelli. Scrive Thibault Heimburger («
Comments About the Recent Experiment of Professor Luigi Garlaschelli» [PDF], novembre 2009, p. 3):
It is not a true 3D: it is almost only made of “flat plateau” (contact) and “valleys” (no contact) with abrupt “vertical cliffs” between them. To the contrary, the Shroud has true 3D properties, i.e. fine variations of the “altitude”.
Ai miei occhi – inesperti, lo ammetto – non c’è praticamente differenza fra la prima
immagine 3D ricavata col computer dalla Sindone e
quella ottenuta da Garlaschelli. Lo stesso Heimburger sembra preferire come termine di paragone un’immagine 3D della Sindone più recente, ottenuta con un affinamento della tecnica digitale di elaborazione, e in effetti un po’ più impressionante; ma questo vuol dire che il risultato dipende in misura determinante dal software usato (nonché dai settaggi impiegati e dalla qualità dell’immagine di partenza, come nota Garlaschelli in un articolo per
MicroMega, n. 4, 2010, p. 45), e che quindi è bene essere molto prudenti nel fare paragoni. In ogni caso non vedo assolutamente nella riproduzione tutti gli «scoscendimenti verticali» di cui parla Heimburger (possibile che si riferisca a una diversa immagine?): mi sembra che l’informazione 3D sia presente qui come nella Sindone.
Si può obiettare che esistono comunque altre differenze, in particolare nella qualità delle sfumature dell’immagine, come nota sempre Heimburger e ammette lo stesso Garlaschelli; ma al di là dei dettagli tecnici il problema è di fondo. Come nota un commentatore al post di Berlicche, i sostenitori dell’autenticità ricorrono al classico
argumentum ad ignorantiam: poiché un’ipotesi – di per sé ben corroborata da prove – presenta aspetti non del tutto chiari, allora deve essere considerata vera l’ipotesi opposta. C’è qualche aspetto delle immagini scattate dagli astronauti sulla Luna che non sappiamo bene spiegare su due piedi;
quindi le missioni Apollo sono state una montatura. C’è qualche particolare oscuro nel crollo delle Torri Gemelle;
quindi gli aerei che le hanno colpite erano giganteschi ologrammi e le Torri sono state minate dalla Cia. C’è qualche dettaglio nella formazione dell’immagine sindonica per opera di un falsario del ’300 che non siamo ancora in grado di riprodurre;
quindi il telo è stato impresso dalla misteriosa energia della resurrezione 2000 anni fa.
Qui interviene anche un’altra fallacia (per la quale purtroppo non esiste un espressivo nome latino). Scrive Berlicche: «Se è stata fatta settecento anni fa probabilmente è stata anche usata una tecnologia primitiva, facilmente riproducibile con gli immensi mezzi odierni». Possiamo forse definire questo come
razzismo cronologico (non si offenda Berlicche: prima o poi ci cadiamo tutti, più o meno): la credenza che gli antichi fossero meno intelligenti di noi, perché in possesso di tecniche meno avanzate; se quindi c’è nel mondo pre-moderno qualcosa che non capiamo, vuol dire che probabilmente gli antichi non ne sono stati gli autori. Un caso esemplare è quello delle piramidi di Giza; siccome ancor oggi non siamo sicuri del modo in cui siano state erette (ci sono problemi a raffigurarsi la disposizione delle rampe per il trasporto dei blocchi), alcuni hanno rifiutato l’idea che i «primitivi» Egizi, con la loro tecnica inferiore, le avessero edificate, preferendo attribuirle agli alieni o a scomparse, avanzatissime civiltà terrestri (Atlantide), gli uni e le altre, per molti versi, più somiglianti a noi di quei barbari sempliciotti.
Ma in realtà quei popoli e quelle persone erano intelligenti quanto noi, ed erano capaci di elaborare tecniche e procedure complesse e sorprendenti che eludono le nostre ricerche. In ogni caso, può essere difficile individuare anche una tecnica semplice, tra le innumerevoli tecniche possibili: la procedura del ricalco è stranota, è semplice benché ingegnosa, spiega la maggior parte delle caratteristiche della Sindone (e forse tutte), eppure solo nel 1983 è stato ipotizzato per la prima volta che il falsario l’avesse usata.
Come si vede, il paragone con le pseudoscienze ritorna di continuo. In effetti, la sindonologia deve essere considerata ormai anch’essa una pseudoscienza, almeno da quando, nel 1988, l’esame al radiocarbonio ha definitivamente confutato ogni ipotesi di autenticità, oltretutto fornendo una datazione compatibile con le prime testimonianze storiche, le
stesse che parlavano di
pannus artificialiter depictus. La reazione dei sindonologi, infatti, è stata quella tipica degli pseudoscienziati: per spiegare i risultati del C-14 si sono affannati a fabbricare ipotesi
ad hoc, tutte tese a sospingere verso l’inconfutabilità la tesi dell’autenticità. Ecco allora che il carbonio 14 in eccesso è dovuto a un
misterioso bombardamento neutronico connesso alla resurrezione; il campione tagliato dalla Sindone proveniva in realtà da un rammendo posteriore
invisibile; gli scienziati (di tre centri diversi) che hanno eseguito il test facevano parte di un vasto
complotto teso a distruggere la Chiesa; e così via. Lo schema è identico: i miracoli non sono per definizione empiricamente verificabili, i rammendi invisibili non si possono individuare, i complotti sono talmente ramificati da cancellare ogni loro traccia. (A questo, purtroppo, si aggiunge spesso anche una
informazione truffaldina o più banalmente ignorante, che l’incessante ripetizione – «l’esame al radiocarbonio è stato ormai confutato!» – riesce a inculcare nelle menti dei più semplici.)
Una fede ormai lontana dall’ingenuo culto delle reliquie paga il suo omaggio alla cultura dominante, quella scientifica; ma l’omaggio è solo verbale, perché la «scienza» sindonologica è solo una scimmiottatura dei veri procedimenti scientifici: ne prende in prestito il tintinnio delle provette mentre ne rigetta il metodo.
C’è un’altra fallacia, nel post di Berlicche, che è particolarmente sottile e interessante: «Chissà quante prove, quanti esperimenti deve avere fatto quel lontano scienziato per ottenere un simile risultato. Davvero strano che solo la Sindone sia rimasta». Lasciamo da parte l’argomento capzioso sulla Sindone sola sopravvissuta (perché mai l’ignoto artigiano avrebbe dovuto conservare le prove fallite?), e concentriamoci sul nucleo del ragionamento. Ci aiuta il fatto che il già citato Thibault Heimburger lo ripeta a sua volta più articolatamente, e senza il sarcasmo berlicchiano:
What is the probability for a medieval forger, who obviously could not have in mind these properties, to produce by chance an image having these properties? Probably about 0%.
Tradotto:
Quali sono le probabilità che un falsario medievale, che ovviamente non poteva avere in mente queste proprietà [la tridimensionalità etc.], abbia prodotto per caso un’immagine dotata di esse? Probabilmente circa lo 0%.
Dov’è l’errore? Ricorriamo a un paragone: immaginiamo di lanciare un dado, e di registrare via via i risultati, fino a ottenere una stringa lunga, diciamo, 10 cifre: 1,3,3,4,2,1,6,1,6,3. Quali sono le probabilità di ottenere una simile sequenza di cifre? Esattamente 1/6
10, cioè meno di una su 60 milioni. A questo punto Berlicche e Heimburger, se fossero coerenti, dovrebbero proclamare che c’è qualcosa di strano in questa serie di lanci: la probabilità di ottenerla è così bassa che qualche fattore causale deve essere stato all’opera!
Naturalmente nessuno dei due sarebbe così sciocco da sostenere una cosa del genere: l’esperimento sarebbe sospetto solo se avessimo, per esempio, detto in anticipo che stavamo per ottenere proprio
quella serie e non un’altra. Nella realtà, tutte le sequenze di dieci lanci di dado sono egualmente improbabili, ma dobbiamo comunque ottenerne una (a meno che il dado non si rompa o la polizia non faccia irruzione nella bisca in cui ci troviamo).
L’esempio non è perfettamente congruente con il caso della Sindone, ma aiuta a capire dov’è l’errore. L’artigiano che ha falsificato la Sindone non sapeva ovviamente nulla di tridimensionalità, immagini negative o ossidazione del lino; tutto quello che si prefiggeva era di produrre un falso plausibile. Il resto sono effetti
accidentali della tecnica usata; se ne avesse impiegata un’altra avremmo notato oggi una diversa costellazione di effetti, non più probabili o improbabili di quelli che la Sindone presenta efettivamente. Da dove nasce allora l’errore di Berlicche & Co.? Probabilmente dalla retorica miracolistica che circonda il telo, le cui caratteristiche sono sempre descritte come eccezionali e misteriose. Ma queste caratteristiche non sono eccezionali; sono solo
inusuali, perché inusuale è la tecnica con cui la Sindone è stata fabbricata, in un universo artistico composto di dipinti e sculture e non di immagini ricalcate su bassorilievi.
Molto altro ci sarebbe da scrivere sulla Sindone e i sindonologi: sull’incredibile frode dei pollini «palestinesi» trovati sul telo da un signore che qualche anno prima aveva firmato una perizia grazie alla quale un innocente era rimasto in galera per 12 anni, e che qualche anno dopo avrebbe autenticato i falsi diari di Hitler; sullo stile della tessitura, il cui unico analogo noto si trova in un telo del XIV secolo; e così via. La fonte più aggiornata e autorevole su tutto ciò è il già citato numero di
MicroMega; una valida alternativa, almeno per chi conosce l’inglese, è l’articolo di Steven D. Schafersman, «
Unraveling the Shroud of Turin» (
Approfondimento Sindone 2, 1998). Ottimo anche il
sito curato da Gian Marco Rinaldi.
Purtroppo a quanto pare Berlicche non profitterà di queste risorse, visto che
parla di «tizi pagati per ingannare i deboli di mente su
MicroMega». Noi abbiamo imparato qualcosa da lui, lui non vuole imparare assolutamente nulla da noi.