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martedì 14 giugno 2011

China’s Fantastic New Plan To Pay Organ Donors

No one seriously thinks the council will opt for unfettered sales, but the bottom line of any serious consideration is inescapably this: The only way to save lives and starve underground markets abroad is to provide more transplants at home. And the only way to do that is to break radically—and ethically—with a status quo that forbids an informed donor to be rewarded for saving the life of a stranger.
Yuan a Kidney?, Slate, june 13 2011.

giovedì 25 marzo 2010

Danni collaterali da commercio di organi?

La possibilità di vendere e comprare organi umani per i trapianti implicherebbe solo vantaggi per tutti? È quanto sostiene Julian Savulescu (ma non è il primo) sul proprio blog («The Great Egg Raffle: Why Everyone’s a Winner If We Price Life and Body Parts», Julian Savulescu’s Blog, 16 marzo 2010). A Savulescu risponde Simon Rippon su Practical EthicsI don’t care too much for money, money can’t buy me lung», 18 marzo), evidenziando due possibili effetti negativi su terzi non coinvolti nella transazione:

If a widespread market for body parts were to develop, donors (or, more accurately, sellers) would presumably be able to earn significant amounts of cash for them, and somebody would need to pay the prices that they would command. Although the state could be the sole buyer of body parts and distribute them according to need, most of those who argue for a free market in organs envisage that those buyers willing and able to pay the highest prices would have the best access. And contra Savulescu’s optimistic claim that each free market transaction would “remove a potential egg [or organ] recipient from the altruistic pool ... and there will be more eggs [or organs] to go around to those who can’t afford to buy them”, there is strong reason to believe that the development of a market would tend to undermine the voluntary exchange system that presently exists. Richard Titmuss showed in his seminal book The Gift Relationship that paying blood donors can significantly decrease supply overall. As giving blood becomes commodified, he argued, the existing system of voluntary donations becomes crowded-out, and altruistic motivations cease to have their very important positive influence. Even if it were not the case that the introduction of a market for body parts would similarly reduce the overall supply, it seems highly likely that it would reduce the supply of voluntarily donated body parts. The net effect of the change would then be the accompaniment of any expansion in the overall supply of body parts with a significant reallocation of them from those most in need to those in relatively little need but with a high ability to pay. A useful analogy here is to our existing system of funding for pharmaceutical research: private drug companies spend a great deal of money on research, and arguably it is more money than any alternative system of funding could provide – but the research that is privately funded is heavily tilted toward providing lifestyle drugs for rich westerners rather than cheap drugs with potentially much greater public health benefits for the third world. With the introduction of a free market system in body parts, some of the worst off members of society - those in the highest medical need and also lacking in financial resources – would surely be harmed. […]

There is also at least one important way, I think, in which the development of a market in body parts might harm society at large […]. This is because the development of a market in body parts would change the norms of the relationship of all of us to our body parts, and to each other. And I believe it is plausible to think that we would lose something of significant value about our current relationships with that change. To see why, consider that as things stand, organs do not have a monetary value for their owners. Faced with, for example, a rent demand and inadequate cash to pay for it, a couple of the choices you can make are to sell some of your possessions, or to find (additional) employment and sell some of your labour. One choice that you do not currently have, and therefore do not have to consider, is whether to sell a kidney or a piece of one of your lungs to raise the funds (nor, indeed, the organs of a dying relative, if you happen to have one around). It might first be thought that it can never be a good thing for you to have fewer rather than more options. But I believe that this attitude is mistaken on a number of grounds. For one, consider that others hold you accountable for not making the choices that are necessary in order to fulfil your obligations. As things stand, even if you had no possessions to sell and could not find a job, nobody could criticize you for failing to sell an organ to meet your rent. If a free market in body parts were permitted and became widespread, they would become economic resources like any other, in the context of the market. Selling your organs would become something that is simply expected of you when the financial need arises. A new “option” can thus easily be transformed into an obligation, and it can drastically change the attitudes that it is appropriate for others to adopt towards you in a particular context.
Il primo effetto – la riallocazione di organi da coloro che più ne hanno bisogno a coloro in grado di pagare il prezzo più alto, man mano che i donatori altruistici si trasformano inevitabilmente in venditori – era già stato individuato in passato; è chiaro comunque che il problema non riguarda i sistemi sanitari pubblici europei, in cui eventualmente lo Stato potrebbe agire da compratore unico, ridistribuendo gli organi acquistati secondo criteri di stretta necessità medica, come avviene oggi.
Più originale il secondo effetto negativo individuato – la creazione di obblighi, alimentati dalle aspettative mutate della società, in capo a coloro che non avrebbero altrimenti mai scelto di vendere i propri organi. Un argomento interessante, indubbiamente, che si presta a lunghe e proficue discussioni.

giovedì 11 settembre 2008

Leggenda metropolitana

Almeno un caso c’è stato, e non è solo una leggenda metropolitana! Ovviamente è stato poco divulgato perché altrimenti di che complotto staremmo parlando?
La storia è questa: un piccolo gruppo di turisti sbruffoni e viziati provenienti dal bel mondo ha un incidente. Il loro autobus rattoppato che dovrebbe portarli in giro per il Brasile li molla per strada.
Dopo la prima reazione di sconforto e di accuse reciproche sulla scelta del mezzo, i ragazzi scoprono una spiaggia paradisiaca e si consolano bevendo e (s)ballando(si) per tutta la notte.
Il risveglio è brutale: derubati, drogati, soli. Si ritrovano preda di uno psicovendicatore che toglie loro gli organi per donarli agli indigeni poveri e sfruttati. Per chi vuole saperne di più.
(Che Ida Magli abbia scambiato Sky Cinema per il canale del National Geographic??).

domenica 18 novembre 2007

Assistenza sanitaria gratis per chi dona un rene

Questa è la proposta che il Consiglio della Salute olandese sta valutando (Assistenza sanitaria gratis per chi decide di donare un rene, Il Corriere della Sera, 18 novembre 2007).
Il problema cui si vuole rimediare è sempre lo stesso: la carenza di organi disponibili. In Olanda muoiono circa 200 persone ogni anno in attesa di un rene disponibile.
Si può aspettare anche fino a 4 anni, e per molti è troppo tardi quando un organo si rende disponibile.
Inoltre, il mercato degli organi sembra esisstere già, ma in nero.
Le polemiche e i problemi morali sottostanti sono quelli della compravendita di organi: non basta usare il verbo donare, infatti, per cambiare concettualmente una vera e propria commercializzazione degli organi. Questo non implica necessariamente che sia una pratica immorale. Le reazioni più comuni le conosciamo, e sono generalmente di accesa condanna.

domenica 21 ottobre 2007

Ovociti in vendita

Sull’inserto D di Repubblica di questa settimana c’è un pezzo sulla vendita degli ovociti, Mamme al Bazar di Gina Pavone (pp. 89-93).
Chissà perché, ma finisco quasi sempre a interpretare la parte del cattivo...

venerdì 1 giugno 2007

Grote Donor Show: un rene al vincitore

Non ne avrei scritto, ma poi varie circostanze mi hanno fatto cambiare idea.
Non mi dilungo sul plot di “De Grote Donor Show” della BNN perché se n’è parlato abbastanza. Dal primo articolo quasi esclusivamente descrittivo (Olanda, un rene al vincitore del reality, Il Corriere della Sera, 27 maggio 2007) si è passati rapidamente alla perplessità fino all’invettiva: il Codacons, l’Aiart e il Movimento genitori invitano le emittenti televisive a non rendersi complici di tanta inciviltà. Francesco D’Agostino parla di un fatto di “gravità inaudita”, che “dimostra il fallimento di ogni etica individualistica, poiché si arriva a ridurre le scelte morali delle persone al mero rispetto delle preferenze personali”. Luisa Capitanio Santolini, responsabile Udc per le Famiglie, commenta: “siamo alla follia, al punto di non ritorno” e ritiene “agghiacciante che anche solo si parli della possibilità di un arrivo in Italia del reality show” (Un rene in palio per un reality, Radio Web Italia, 31 maggio 2007).
E poi Il Foglio di ieri (Spezzeremo le reni all’umanità), ove quanto avevo detto sulla possibilità di vendita di ovociti viene tirato in ballo frettolosamente e lievemente a sproposito (qui sotto c’è il mio intervento originario).
È facile e verosimile inferire che lo scandalo non sia suscitato dal reality show (ormai bisognerebbe fare un concorso a premi per elencare su cosa non siano stati fatti dei reality, come leggenda vuole che abbia fatto Harrods per scoprire cosa non fosse in vendita nei chilometri quadrati di esposizione). Ebbene, non sul reality in quanto reality (scandalo e sdegno che invece io dirotterei proprio qui, principalmente per motivi estetici, di noia e di squallore). Ma sull’oggetto del premio: un rene in palio. Verrebbe da chiedere: e allora? Rispolverando il criterio del danno come limite di legittimità per quanto deve essere proibito (e che può illuminare anche gli ostacoli di ordine morale) la domanda è: chi subisce un danno in questa riffa di pessimo gusto (pessimo gusto estetico, ripeto)? Lisa ha esercitato la sua libera scelta; la gravità della sua malattia non aumenterebbe e forse potrebbe anche ottenere un po’ di felicità nell’aiutare qualcun altro donando il proprio rene. I tre concorrenti conoscono le regole del gioco: per due di loro ci sarà una condizione finale uguale a quella di partenza (escludendo le speranze deluse, che non sono propriamente un danno); per uno ci sarà un beneficio e la speranza di una vita migliore. Infine potrebbe essere una occasione per riflettere su un problema la cui soluzione non può essere affidata alla provvidenza né al fare finta di niente: le lunghe attese per un organo, per la speranza di sopravvivere. In questo contesto si situa la possibilità di considerare la commercializzazione come una alternativa.
Perché tanta acredine? Perché urlare all’indecenza e all’abominio?

Aggiunta
Da un pezzo su Noi Press di ieri, Olanda, il reality con un rene in palio: le reazioni in Italia. Santolini (Udc): ‘La famiglia va difesa’ (ma che diavolo c’entra la famiglia?) il parere di Francesco D’Agostino contiene anche una riflessione sul principio del danno che io ho citato:

nessuno è danneggiato da questo spettacolo, non chi decide di donare l’organo o chi concorre per ottenerlo o il pubblico, e sembra che tutto sia lecito, ma questo – ha sottolineato D’Agostino – è un esempio di povertà morale; se dovessimo infatti valutare lo show chiedendoci chi è danneggiato, potremmo paradossalmente concludere che nessuno lo è, ma bisogna andare oltre.
Oltre dove? E quale criterio dovremmo usare?

Aggiunta 2
Gran bello scherzetto!

Ovociti in vendita a 250 sterline cadauno

Ogni volta che la commercializzazione degli organi umani si pone come una possibile alternativa alla donazione si scatena una reazione animata e abbastanza compatta: un mercato di organi umani sarebbe un grave errore e moralmente ripugnante.
La decisione dell’Human Fertilisation and Embryology Authority (Gran Bretagna) del 21 febbraio scorso di permettere la vendita di ovociti a scopo di ricerca ha riproposto le obiezioni consuete che investono il mercato di organi: la discriminazione (saranno i più poveri a vendere e non certo i benestanti) e l’indisponibilità del proprio corpo (come posso vendere pezzi di qualcosa che non mi appartiene?).
Si parla di rimborso spese (“Women will not be paid for donating their eggs. Researchers will have to follow the same system as donation for treatment; donors can only claim back the expenses that they have actually incurred”) e come condizione si stabilisce l’intenzione altruistica (ma come verificarla?); tuttavia per definire senza ipocrisia questa forma di “donazione pagata” sarebbe forse più onesto parlare di vendita di ovociti.
Discriminazione, società castale, “cannibalizzazione” tecnologica, mercificazione del corpo, nuovo schiavismo e così via, sono modi diversi per esprimere la propria contrarietà rispetto alla possibilità di vendere gli ovociti, e sono tutti corollari dell’immoralità della strumentalizzazione del proprio corpo.
Ma sono ragioni valide per sostenere la condanna morale della vendita degli ovociti?
L’appartenenza del proprio corpo non è una questione che possiamo liquidare aggrappandoci alla presunta immoralità del disporne (commercialmente): in una prospettiva non religiosa la premessa che il corpo che abbiamo ci è stato donato e non possiamo disporne deve essere ridiscussa. E non è semplice, pur accogliendo come premessa l’espropriazione, determinare a chi appartenga il nostro corpo: allo Stato? Il veto morale sulla possibilità di disporre del proprio corpo, poi, è già stato intaccato dalla ‘vendita’ del sangue: che differenza morale c’è nel vendere ovociti?
Quanto alla immoralità di utilizzare gli esseri umani (e parti di essi) come strumenti per uno scopo (la ricerca, in questo caso) è utile riflettere sul fatto che è esattamente quello che facciamo quando chiamiamo l’idraulico o usiamo la parola ‘impiegato’, che denota brutalmente una relazione di reificazione e strumentalizzazione. Proprio come ricorda Richard Lewontin, non vale forse anche per concetti quali ‘braccia da lavoro’, ‘capitale umano’ o per l’immenso numero di bambini che nascono per realizzare ambizioni frustrate dei genitori, per ereditare un impero o per soddisfare biechi desideri di immortalità?
Inoltre è opportuno distinguere le conseguenze non necessarie (sebbene condannabili) di una determinata azione: la discriminazione è una conseguenze possibile del mercato degli organi. Può la commercializzazione ereditare automaticamente la condanna per qualcosa che provoca (non necessariamente, seppure frequentemente)?
Se è la condizione di indigenza a compromettere la libertà della scelta (di vendere un ovocita o un altro organo), la soluzione non risiede però nel vietare o nel limitare quella libertà, bensì nel rimuovere la causa della compromissione della libertà di scelta.
Si può anche decidere che è impossibile combattere la discriminazione e non è opportuno aggiungere una ennesima occasione di ingiustizia sociale. Ma sarebbe doveroso rispondere alla seguente domanda: per quale ragione le persone economicamente svantaggiate starebbero meglio se la possibilità di vendere i propri organi fosse loro negata? E ancora: se fosse una persona benestante a scegliere di vendere un ovocita o un rene, quali obiezioni rimarrebbero?
Il paternalismo non sarebbe una soluzione consigliabile per uno Stato che voglia ancora definirsi liberale e non autoritario.

(Su Agenda Coscioni di aprile con il titolo Ovociti in vendità: sfruttamento o libertà?)