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venerdì 10 ottobre 2014

Brittany Maynard e il diritto di morire con dignità



“Io non voglio morire. Ma sto morendo. E voglio farlo alle mie condizioni. Non direi a nessun altro che dovrebbe scegliere di morire con dignità. La mia domanda è: chi ha il diritto di dirmi che non merito di fare una scelta del genere? Che merito di soffrire per settimane o mesi dolori tremendi, sia fisici sia mentali? Perché qualcun altro dovrebbe avere il diritto di prendere una decisione del genere per me?” (Brittany Maynard, My right to death with dignity at 29, Brittany Maynard, 9 ottobre 2014, CNN).

A gennaio 2014, dopo anni di insopportabili mal di testa, Brittany Maynard scopre di avere un tumore al cervello. Ha 29 anni.
Il glioblastoma è il più aggressivo e mortale dei tumori cerebrali, la prognosi è di 6 mesi di vita. Come ricorda il video, in cui Maynard racconta la sua storia e spiega la decisione di morire alle sue condizioni, sono pochissimi i pazienti che sopravvivono oltre i 3 anni nonostante i trattamenti.
“La mia famiglia ha sperato in un miracolo”, racconta.
“Magari la risonanza è sbagliata? Magari hanno sbagliato qualcosa?”, ricorda la madre di Maynard.
La realtà è indifferente però alle speranze e al rifiuto di una diagnosi tanto impietosa.

Maynard decide allora di andare in Oregon, dove dal 1997 è in vigore il Death with Dignity Act.
Le sue condizioni rientrano in quelle previste dalla legge. Il solo fatto di poter decidere quando interrompere la propria vita diventata insopportabile e senza prospettiva di miglioramento è rassicurante (“I could request and receive a prescription from a physician for medication that I could self-ingest to end my dying process if it becomes unbearable”) – è un dato comune in chi è malato in modo irreversibile e la cui prognosi indica sofferenze difficilmente trattabili.
Non è solo il dolore, è anche voler mantenere il proprio confine di dignità, forse anche recuperare – in modo insoddisfacente e parziale – il controllo sulla propria vita.
È un sollievo – dice Maynard – pensare di non dover morire nel modo in cui mi hanno detto che mi farebbe morire il tumore.
Aveva considerato di morire in un hospice, ma anche con le cure palliative avrebbe potuto soffrire, sviluppando una resistenza alla morfina e ritrovandosi a vivere cambiamenti motori, cognitivi, di personalità, nel linguaggio – insomma, un profondo e doloroso stravolgimento di un’esistenza comunque prossima alla fine.
La giovane età e il fatto che il suo corpo sia sano costituisce un ulteriore rischio: “Potrei sopravvivere a lungo anche se il tumore sta mangiando il mio cervello. Soffrire con molta probabilità per settimane in un hospice, forse per mesi. E la mia famiglia dovrebbe assistere a tutto questo. Non voglio questo scenario da incubo per loro”.

Wired, 9 ottobre 2014.

martedì 30 ottobre 2012

A Boston si vota sul suicidio assistito


Il prossimo 6 novembre i cittadini del Massachusetts voteranno sul suicidio assistito. Se la maggior parte di loro sceglierà per la legalizzazione sarà il terzo Stato degli Usa, dopo l’Oregon e Washington, a permettere ai medici di prescrivere un farmaco letale.
Il Massachusetts Death With Dignity Act consentirebbe ai residenti di scegliere di morire in caso di malattia terminale - o meglio di scegliere come morire nel caso in cui l’aspettativa di sopravvivenza sia inferiore ai sei mesi, le condizioni di vita siano diventate insopportabili o il dolore sia intrattabile.

Il Corriere della Sera, La Lettura #50, 28 ottobre 2012.