Prima di “confrontarci” dobbiamo ricordare qual è il panorama normativo delineato dalla Costituzione e dalle leggi già esistenti. I cardini sono costituiti dalla nostra autonomia e dalla possibilità di rifiutare qualsiasi trattamento sanitario. Il paternalismo medico (“ti obbligo per il tuo bene”) è stato sostituito – seppure non ancora del tutto e non ancora perfettamente – dall’autodeterminazione (“ti dico qual è il tuo quadro clinico e i possibili scenari, tu decidi cosa fare”). E non potrebbe essere altrimenti: chi altri dovrebbe decidere della mia esistenza?
mercoledì 19 marzo 2014
Fine vita e testamento biologico, la situazione oggi in Italia
Prima di “confrontarci” dobbiamo ricordare qual è il panorama normativo delineato dalla Costituzione e dalle leggi già esistenti. I cardini sono costituiti dalla nostra autonomia e dalla possibilità di rifiutare qualsiasi trattamento sanitario. Il paternalismo medico (“ti obbligo per il tuo bene”) è stato sostituito – seppure non ancora del tutto e non ancora perfettamente – dall’autodeterminazione (“ti dico qual è il tuo quadro clinico e i possibili scenari, tu decidi cosa fare”). E non potrebbe essere altrimenti: chi altri dovrebbe decidere della mia esistenza?
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martedì 30 ottobre 2012
A Boston si vota sul suicidio assistito
Il Massachusetts Death With Dignity Act consentirebbe ai residenti di scegliere di morire in caso di malattia terminale - o meglio di scegliere come morire nel caso in cui l’aspettativa di sopravvivenza sia inferiore ai sei mesi, le condizioni di vita siano diventate insopportabili o il dolore sia intrattabile.
Il Corriere della Sera, La Lettura #50, 28 ottobre 2012.
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venerdì 21 ottobre 2011
C’è chi dice no
Provate a domandarvi: “chi sono gli obiettori di coscienza?”. In molti mi hanno risposto: “i medici che non vogliono eseguire aborti per ragioni di coscienza”. La risposta è parziale e approssimativa.
C’è di mezzo anche una questione anagrafica: oggi, al contrario di qualche tempo fa, di obiezione di coscienza si parla soprattutto in campo sanitario. Inoltre l’interruzione di gravidanza è uno dei temi più controversi dal punto di vista morale.
La risposta però è soprattutto l’effetto di un profondo cambiamento semantico avvenuto in questi anni.
Questo cambiamento è stato consacrato quando il diritto alla obiezione di coscienza è entrato come diritto positivo nelle leggi italiane: prima con il servizio civile alternativo alla leva, poi con la legge 194 sulla interruzione volontaria di gravidanza e la legge 40 sulle tecniche riproduttive.
Fino ad allora chi sceglieva l’obiezione di coscienza si opponeva a una legge, a un divieto o a una imposizione. Era un reo. Poi sono stati tracciati dei confini legali. Una specie di riserva in cui gli obiettori potevano essere addomesticati. L’obiezione di coscienza è entrata nel sistema normativo e l’obiettore, seppure a certe condizioni, è stato autorizzato dalla legge.
Qual è il significato originario della obiezione di coscienza? L’obiezione di coscienza è un esempio illuminante dei rapporti tra le scelte individuali e le leggi dello Stato; tra l’ambito normativo e lo spazio della nostra morale. La libertà di scelta altrui non è minacciata dalla decisione dell’obiettore genuino, se non in un senso debole per cui ogni nostra azione riguarda anche gli altri. Il conflitto non è tra un singolo e l’altro, ma tra un singolo e l’obbligo di rispettare un divieto o un ordine la cui violazione non lede il diritto di qualcuno. Non è un diritto positivo, ma un modo per “sottrarsi” – in via eccezionale – a una qualche norma. Anteporre un dovere morale a una legge comporta però un prezzo da pagare, spesso molto alto. L’obiezione di coscienza, inoltre, è una azione pacifica e individuale.
Il profilo dell’obiettore ha subìto negli ultimi anni un vero e proprio stravolgimento e oggi l’obiezione di coscienza è spesso usata, senza troppi complimenti, come un ariete per contrapporsi a diritti individuali sanciti dalla legge. È frequente che lo scontro sia tra un singolo e l’altro: “i medici che non vogliono fare aborti per ragioni di coscienza” entrano direttamente e personalmente in conflitto con le donne che richiedono quel servizio previsto dalla legge 194.
La manipolazione del suo significato è compiuta: l’obiezione di coscienza è spesso brandita come arma contro l’esercizio delle singole volontà. È un destino buffo per uno strumento dal sapore liberale e libertario, più affine all’individualismo e alla disobbedienza civile che all’autoritarismo e al moralismo legale.
Da Antigone alle donne che oggi chiedono di abortire, passando per il Dr House e per i medici che non vogliono prescrivere la contraccezione d’emergenza, l’odierna obiezione di coscienza merita una riflessione attenta. Non possiamo più eludere alcune domande: come può funzionare un servizio fiaccato dal 75% di defezioni (questa è la percentuale nazionale degli obiettori di coscienza rispetto alla interruzione di gravidanza)? È giusto scegliere una professione e poi chiedere un esonero? Perché dovrebbe valere solo per i medici, e non per gli avvocati, i giudici o le forze dell’ordine?
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venerdì 22 luglio 2011
Tutelare l’obiezione di coscienza o un servizio sanitario equo?
A 1437 studenti di medicina – frequentanti la St George’s University di Londra, la Cardiff University, il King’s College di Londra e la Leeds University - è stato inviato un questionario per rilevare il loro parere sulla obiezione di coscienza: pensate che ai dottori dovrebbe essere permesso di fare obiezione rispetto a procedure che considerano moralmente ripugnanti? Il Journal of Medical Ethics ha pubblicato il risultato dell’indagine, e il quadro che ne emerge è molto interessante.
Hanno risposto in 733 (51%) e circa la metà ha risposto affermativamente. Tra gli studenti di medicina musulmani è maggiormente diffusa l’idea che un medico abbia il diritto di rifiutare di eseguire un aborto, di prescrivere contraccettivi o di curare un paziente ubriaco o drogato. Il questionario infatti prevedeva anche alcune domande sulle credenze religiose, il sesso, la specializzazione intrapresa e l’etnia. Un terzo ha dichiarato di non avere fede, poco più del 17% di essere protestante. Atei e cattolici hanno risposto in percentuali simili (circa il 12%).
A essere d’accordo con la liceità dell’obiezione è stato il 45% del campione; il 14% ha manifestato incertezza e il 40% ha risposto negativamente. Tre su quattro studenti musulmani hanno risposto di sì, circa la metà tra gli studenti ebrei, protestanti e quelli con altre credenze religiose. Tra chi ha risposto affermativamente si passa dal 34% appartenenti alla fede induista al 46% per quella cattolica. Tra gli studenti che avevano scelto il corso di studi di 5 anni la percentuale arriva al 21%; molto più bassa quella degli studenti che frequentano un corso di 4 anni (3%).
L’interruzione di gravidanza è l’argomento più controverso - in Italia lo si capisce anche dalla difficoltà nel garantire il servizio, difficoltà che è a volte prossima alla impossibilità. Non è difficile rendersi conto che in un ospedale in cui un solo medico non è obiettore di coscienza il servizio è gravemente compromesso e sospeso nel caso in cui il non obiettore vada in ferie, in malattia o in pensione. Le relazioni annuali del ministero della salute disegnano una curva pericolosamente in salita in questi ultimi anni, fino ad arrivare alla media nazionale che sfiora il 75% di ginecologi obiettori di coscienza, con punte di oltre l’80 in alcune regioni (Relazione sull’interruzione volontaria di gravidanza, 2006-2007, in particolare si veda la Tabella 28).
Galileo, 22 luglio 2011.
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giovedì 21 luglio 2011
Le gemelle siamesi e la decisione impossibile
PRENDERE TEMPO - Il prendere tempo, però, non risolverà questo vero e proprio rompicapo medico e morale, perché ci si potrebbe trovare a breve a dover eseguire un complicatissimo intervento chirurgico per separarle, nel tentativo di far vivere una delle due. Se già questo scenario si presenta come impossibile, diventa ancora più esplosivo se si aggiunge il dettaglio che si dovrà scegliere quale delle due vivrà - o almeno quale delle due si proverà a far vivere.
È ovvio che le considerazioni cliniche saranno rilevanti: collocazione degli organi, forza, peso e così via. Insomma la valutazione di chi ha la maggiore probabilità di sopravvivere è cruciale. Tuttavia è innegabile che vi sia una forte componente emotiva e morale in un intervento del genere. Come si fa a decidere di far morire una delle gemelle?
IGNAZIO MARINO NON INTERVERREBBE - Il commento di Ignazio Marino appare di primo acchito condivisibile e razionale. Marino dichiara: “Personalmente credo che non me la sentirei ad intervenire chirurgicamente, già sapendo che una bambina sarebbe sacrificata”.
Invece rischia di essere una scelta irrazionale e moralmente dubbia. L’elemento che sembra scomparire dallo scenario in cui ci domandiamo cosa fare e perché è il rischio del non intervento: se le facessimo morire entrambe? Se decidendo di non intervenire le condannassimo a morire senza nemmeno provare a salvarne una?
È molto diffusa l’idea che non agire sia moralmente privo di conseguenze o comunque moralmente meno coinvolgente dell’agire. Ma è una idea ingenua e sbagliata.
La differenza è essenzialmente emotiva e psicologica - se non agisco, se non mi sporco le mani, mi sentirò meno responsabile.
Ma se il mio non agire implica delle conseguenze peggiori del mio agire?
Ovviamente - in questo caso - non possiamo nemmeno essere certi che l’intervento farà vivere almeno una delle due bambine. Questa incertezza rende la decisione ancora più difficile.
INTERVENIRE O NO? - Ogni decisione è schiacciata dal rischio che le cose andranno diversamente da come previsto. In ogni modo, per valutare la scelta di Marino dovremmo analizzarla nel seguente scenario: 1. Intervengo rischiando di causare un danno di una certa rilevanza (la morte di una gemella); 2. Non intervengo rischiando di causare un danno più grave di quello ipotizzato nel primo caso (la morte di entrambe le gemelle).
In una prospettiva del genere non sembra giustificabile nascondersi dietro alla sacralità di ogni vita, né giustificare il non intervento con il rifiuto di causare direttamente la morte di un essere umano. O almeno bisognerebbe giustificare l’essere corresponsabile di causare indirettamente la morte di entrambe.
La domanda potrebbe anche porsi sul piano giuridico. Secondo l’articolo 40 del codice penale “non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. È il cosiddetto reato commissivo mediante omissione e la difficile questione potrebbe essere senz’altro sollevata nel dubbio che la morte delle gemelle fosse causata da un mancato intervento chirurgico. La risposta sul piano giuridico sarebbe forse ancora più complicata rispetto a quella morale.
DECISIONI IMPOSSIBILI MA NECESSARIE - È facile capire l’impatto emotivo per un medico che si trova a dover eseguire un simile intervento, ed è facile capire che sarebbe bello se potessero vivere entrambe e in buona salute. Possiamo fermarci alle vane speranze?
Spesso siamo costretti a prendere delle decisioni che non vorremmo mai prendere. Non intervenire non sempre è la scelta moralmente preferibile, almeno non a priori e soprattutto se circondata dalla erronea credenza che se incrociamo le braccia non siamo moralmente responsabili di quanto accadrà.
Giornalettismo, 20 luglio 2011.
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giovedì 26 marzo 2009
Se arriva un marziano come gli spieghiamo questo ddl Calabrò?
Se un marziano, arrivato da poco in Italia, venisse informato dei nostri principi costituzionali e del consenso informato, non riuscirebbe a capire il dibattito sul testamento biologico. Se si può chiamare dibattito un coacervo di voci che non si ascoltano l’un l’altra e che spesso sono contraddittorie e insensate.
Il nostro povero marziano non capirebbe per quale ragione uno strumento giuridicamente tanto semplice abbia sollevato tali reazioni smodate. Bisognerebbe spiegargli che il paternalismo seduce ancora molti animi; che le libertà individuali non sono considerate come diritti inviolabili; e che la libertà viene spesso malintesa e calpestata.
Questa spiegazione, tuttavia, non basterebbe a chiarire al malcapitato straniero alcuni aspetti del disegno di legge Calabrò.
Anche se ci mettessimo tutto il nostro impegno esplicativo dei costumi indigeni, egli non riuscirebbe a capacitarsi del perché noi umani (o meglio, noi italiani) non possiamo includere nel testamento biologico il nostro volere riguardo alla nutrizione e idratazione artificiali. Egli ci tormenterebbe con varie domande.
“Siete liberi di decidere se alimentarvi o no?”. Certo, dovremmo rispondere, il diritto a non mangiare o allo sciopero della fame sono garantiti.
“E allora forse non potreste rifiutare la nutrizione e idratazione artificiali?”. No, possiamo rifiutare se siamo coscienti.
“Magari non sono trattamenti invasivi…”. Spesso lo sono, perché richiedono un intervento chirurgico e anche il sondino nasogastrico è una operazione abbastanza cruenta. E comunque sono sempre invasivi se l’individuo non vuole essere nutrito e idratato!
“Allora magari si segue una procedura internazionale?”. No, le leggi e i trattati degli altri Paesi lasciano la libertà di decidere.
No, non capirebbe. E nemmeno noi. Come non capiamo come sia possibile che in Senato ieri 164 abbiano votato no all’emendamento che voleva rimediare a questo scempio; solo 105 a favore e 9 si sono astenuti. 173 dei nostri rappresentanti non ci considerano in grado di decidere, ma ci ritengono inetti e irresponsabili. Dei mentecatti cui dire come vivere e come morire. Non ci vuole un marziano per capirlo.
(DNews, 26 marzo 2009)
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giovedì 29 gennaio 2009
Testamento biologico, la truffa è servita
C’è un nuovo colpo di scena nella saga (o dovremmo dire soap opera vista l’interminabile durata?) del dibattito parlamentare sul testamento biologico, altrimenti definito direttive anticipate (DAT) o living will. Verrebbe da commentare: chiamatelo pure come vi pare a condizione che siano garantite le scelte delle persone - ragione per cui sarebbe importante una legge al riguardo, e non perché si sente la mancanza di una legge inutile o dannosa. Garantire il rispetto delle decisioni di ciascuno di noi quando non siamo più nelle condizioni di esprimere le nostre preferenze, questo dovrebbe regolamentare una buona legge.
COME DOVREBBE ESSERE - Pur rischiando di essere noiosi lo ripetiamo: il testamento biologico dovrebbe assicurarci la possibilità di esprimere oggi le nostre volontà per un tempo in cui non è più possibile farlo, perché abbiamo subito un incidente o perché l’aggravamento di una malattia ce lo impedisce. Dovrebbe, in altre parole, protrarre nel tempo un diritto che ci è già garantito e che è ben espresso nel consenso informato. Quando acconsentiamo ad un intervento già “estendiamo” le nostre volontà per il tempo della anestesia e del tempo che passeremo in stato di incoscienza (si pensi ad interventi che richiedono molte ore di anestesia generale e molte ore, se non giorni, di sedazione tale da impedire una manifestazione attuale del nostro volere). Scegliere se e come curarci, decidere come vivere a patto che la nostra decisione ricada su di noi è un diritto fondamentale. Il patto di non recare danno a terzi è rispettato se decido, ad esempio, di non nutrirmi, di non sottopormi alla chemioterapia o di non essere trachestomizzata. Il cuore della normativa sul testamento biologico dovrebbe essere la garanzia dell’autodeterminazione del singolo, sostenuta da articoli spesso citati, raramente presi sul serio. Basti pensare all’articolo 13 e 32 della Costituzione Italiana.
E INVECE, CIPPERIMERLO - Veniamo al colpo di scena: in commissione Igiene e Sanità viene presentata la proposta di legge del senatore Raffaele Calabrò recante norme su “disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato, e di dichiarazioni anticipate di trattamento”. Questo disegno di legge rispetta le condizioni necessarie per garantire la nostra libera scelta? Sorvoliamo i passi non controversi e quelli più “sottili”, per arrivare a quelli più esplicitamente lesivi della nostra autodeterminazione, pur mantenuta come panorama di riferimento da tutti. Perché è troppo impopolare affermare che le persone dovrebbero essere espropriate della libertà di decidere riguardo alla propria esistenza.
(Continua su Giornalettismo).
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giovedì 23 ottobre 2008
Marco Bregni non è il mio medico (piuttosto datemi un manuale Merck che è meglio)
Ci sono infinite varianti di abuso in nome del nostro bene. Ed è anche forse il tempo di segnarsi i medici ai quali non affidarsi mai e poi mai. Scrive Marco Bregni (Ospedale San Giuseppe, Milano; Presidente Medicina&Persona):Espressione di questa cultura in cui l’uomo diventa arbitro della propria e altrui vita è il testamento biologico, o le direttive anticipate di trattamento, che vengono attualmente discusse soprattutto in relazione al caso di Eluana Englaro.
Solo della propria, a dir la verità. E non è dato sapere se Bregni ha davvero frainteso o fa finta di non capire. Suona strana questa obiezione detta proprio da chi gioca a fare il giudice supremo delle esistenze altrui. Finché è il santo padre a decidere sulla pelle degli altri va bene, ma se è un povero cristiano che vuole soltanto decidere della propria esistenza no??
E prosegue:Pur non citandolo espressamente, il Santo Padre rigetta la logica del testamento biologico, e sostiene la responsabilità personale del medico il cui compito è proporre trattamenti che mirino al vero bene del paziente, nella consapevolezza che la sua professionalità lo mette in grado di valutare la situazione meglio che il paziente stesso.
Verrebbe da dire: è un problema suo, è libero di rigettarlo e noi dovremmo essere liberi di fare diversamente. Ma no, il santo padre possiede la Verità e vuole donarcela. Grazie, molto gentile da parte vostra.
Però va riconosciuto a Bregni di avere il fegato di dire ciò che in molti nascondono a parole: il medico, e solo il medico, sa qual è il vero bene del paziente. Finalmente qualcuno lo ha detto!
Sono piuttosto allarmata. Meglio preparare la lista, altro che testamento biologico. Si potrà ricusare un medico, che dite? O devo chiedere il permesso al santo padre?
Postato da Chiara Lalli alle 13:57 3 commenti
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