Visualizzazione post con etichetta Sicurezza alimentare. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Sicurezza alimentare. Mostra tutti i post

martedì 16 dicembre 2008

La parola definitiva sul latte crudo...

... è quella di Dario Bressanini, in un articolo documentatissimo, ragionevole e piacevole da leggere («Il buon latte crudo di una volta», Scienza in cucina, 16 dicembre 2008):

La situazione ora è ovviamente profondamente cambiata. Gli alimenti sono sempre più sotto controllo e gli allevamenti di bovine da latte sono molto controllati. Per ogni alimento si cerca di controllare i possibili rischi di infezione lungo tutta la catena dal produttore al consumatore. Tuttavia le intossicazioni alimentari sono all’ordine del giorno. Dal formaggio (nostrano o meno), dai salumi (biologici o no), dalle uova, dalle conserve (casalinghe o industriali), dal latte (crudo o pastorizzato), dal pesce (crudo o cotto), dai molluschi, dalla verdura (biologica o meno) e così via. E non c’è necessariamente una “truffa” dietro tutte queste infezioni. Il fatto è che mangiare, più che un “atto politico”, come dice qualcuno, è un “atto naturalmente pericoloso”, perché il rischio zero non esiste. È l’idea, sbagliata, che il rischio zero sia raggiungibile che porta spesso a interpretare male i fatti. Quello che i responsabili della salute pubblica devono fare è cercare di ridurre i rischi ad un livello ragionevole, soprattutto tenendo conto di determinate categorie a rischio, come i bambini, gli anziani, le donne incinta e i malati.
[…]
Quello che mi preme mettere in evidenza è che il rischio non è MAI zero, e le politiche di sanità pubblica cercano di renderlo ragionevolmente basso effettuando se possibile anche delle analisi costi/benefici. E infatti io e voi possiamo consumare in Italia (in altri paesi è vietato) dei formaggi da latte crudo non stagionati a lungo senza rischiare (troppo) di finire all’ospedale. Ma il rischio non è zero, ed è bene saperlo. Soprattutto nei casi come quello del latte crudo dove il punto debole, dal punto di vista sanitario, della catena è quello che succede da quando viene prelevato a quando viene consumato. Quindi non mi pare ci sia da stracciarsi le vesti se viene imposto di segnalare, sui distributori di latte alla spina, i possibili rischi e le contromisure da prendere.
In più se l’attenzione da parte del consumatore verso il consumo di alimenti crudi quali carne, pesce, molluschi o uova mi pare esista e da più parti periodicamente si metta in guardia dai pericoli collegati, per il consumo di latte crudo mi pare non esista questa “consapevolezza”, e viene addirittura consigliato ai bambini perché “fa bene”.

Quello che però mi stupisce di tutta la questione del latte crudo è l’atteggiamento di chi, come Slow Food, cita ad ogni piè sospinto il cosiddetto “principio di precauzione”. La “litania” l’abbiamo sentita più volte, che si parli di ogm o di trattamenti industriali chimici o di additivi alimentari: “vogliamo il rischio zero”, “se c’è una seppur piccola probabilità che X possa fare male allora non possiamo accettarlo” e via su questo tenore. Ho già avuto modo in questo Blog di scrivere varie volte la mia opinione su questo cosiddetto principio: non ha validità scientifica, la sua applicazione può persino causare danni, mentre invece è usato da alcuni come strumento di pressione e decisione politica, mascherato da scienza.
Pretendo tuttavia che chi lo adotta si comporti coerentemente. Mi pare invece che questo principio funzioni un po’ a singhiozzo, e non se ne voglia tenere conto nel caso del latte crudo. Non mi pare possibile infatti negare che in questo caso il rischio esiste, ed è concreto. Piccolo ma non zero. Misurabile, muniti di microscopio, in termini di “conta batterica”, o in termini di pazienti ricoverati, come quei bambini di cui ci ha parlato Anna Meldolesi e confermati dal Ministero della Salute.
[…]
Vale davvero la pena far correre quel rischio, piccolo quanto si vuole, in nome del “latte dei bei tempi andati” a chi, magari come donne in gravidanza o bambini, può avere delle ripercussioni gravi? Che in fondo il buon Louis Pasteur non fosse proprio uno stupido lo avevano capito anche le nostre bisnonne che raccomandavano di far bollire il latte crudo.
Da leggere assolutamente tutto.

mercoledì 10 dicembre 2008

Latte crudo: ultimo atto

Il sottosegretario del Ministero della Salute, Francesca Martini, ha emanato oggi un’ordinanza ministeriale con cui si fa obbligo ai distributori di latte crudo di apporre sulle macchine distributrici la scritta ben visibile «prodotto da consumarsi solo dopo bollitura» e si ribadisce il divieto di somministrare latte crudo nell’ambito della ristorazione collettiva (comprese le mense scolastiche). Altri particolari su Darwinweb, «Il Ministero stringe i cordoni».

martedì 9 dicembre 2008

Approfondimenti sul latte crudo

Su Darwinweb, «Scoppia il caso del latte alla spina» (9 dicembre 2008):

La Regione Lombardia, che ha il 40% della produzione nazionale di latte, regola la vendita di quello crudo con due distinte circolari, nel novembre del 2004 e nel maggio del 2005, ma una volta che iniziano i controlli ci si rende conto che la normativa non viene applicata nella sua interezza. Una circolare successiva, indirizzata ai direttori generali delle Asl e al Ministero della salute, ricorda alle strutture sanitarie che «l’esito dei controlli effettuati ha evidenziato alcuni aspetti di criticità che, anche alla luce dell’esperienza maturata in questi mesi (…) richiedono ulteriori precisazioni e indicazioni operative». La circolare sottolinea – ma ne seguiranno altre dello stesso tenore – che ai sensi del decreto 109/92 e successive modifiche «è vietato fornire indicazioni che possono indurre in errore l’acquirente sulle caratteristiche del prodotto, che attribuiscono effetti o proprietà che non possiede, che attribuiscono proprietà atte a prevenire, curare, o guarire una malattia umana o accennano a tali proprietà». Quest’ultima precisazione forse non si riferisce alle etichette affisse nelle milk machine, quanto ad alcuni siti web dei produttori dove si decantano le proprietà curative del latte crudo. Passa altro tempo ancora e il numero degli esami aumenta sino a fornire un primo quadro generale sull’opera di vigilanza. Infatti nella tarda primavera del 2008 vengono presentati i dati sui controlli ufficiali dell’anno precedente da cui risulta che su 220 aziende lombarde autorizzate ben 29 hanno subito sospensioni per irregolarità. Il 27,6% dei provvedimenti è relativo a un tenore di cellule somatiche superiore alla norma, il 10,3% al tenore in germi, il 6,9% a Listeria monocytogenes, il 13,8% per Campilobacter termotolleranti e la stessa percentuale la si ritrova nelle sospensioni per Streptococcus agalactiae e per E. coli 0157.
Da leggere tutto.

giovedì 4 dicembre 2008

Latte crudo: la svolta

LATTE CRUDO: MARTINI, SI PUÒ VENDERE CON DICITURA “DA BOLLIRE”
(AGI) - Roma, 4 dic. - Presto i 2.000 distributori di latte crudo non pastorizzato dovranno adeguarsi alle direttive del Ministero della Salute, portando a conoscenza dei consumatori che prima di essere assunto va bollito, onde evitare qualsiasi contagio da agenti patogeni in esso contenuti. Lo ha detto in una breve conferenza stampa il Sottosegretario alla Salute Francesca Martini annunciando che della questione ne discuterà martedì 9 il Consiglio Superiore di Sanità e il giorno dopo un vertice con il ministro dell’Agricoltura Zaia per ulteriori provvedimenti restrittivi, fermo restando “l’avvio di una campagna di informazione a tappeto”, ha aggiunto la Martini. Tutto ciò nasce dal contagio di nove bambini (tre nel 2007 e sei nel 2008) i cui casi sono allo studio dell’Istituto Superiore di Sanità per l’ipotetico legame con l’assunzione di latte crudo non pastorizzato.
Pare che il (buon) giornalismo riesca ancora ad avere degli effetti, in questo paese...

mercoledì 3 dicembre 2008

Allarme per il latte crudo. La moda porta in ospedale

Agghiacciante l’inchiesta di Anna Meldolesi sul latte crudo (Il Riformista, 3 dicembre 2008). Succederà qualcosa? Si accettano scommesse.

Allarme per il latte crudo
Bere latte crudo non pastorizzato è come giocare alla roulette russa. Se sei fortunato risparmi fino a mezzo euro al litro. Se non lo sei puoi beccarti un batterio patogeno e finire in dialisi o rimetterci addirittura la pelle. Accade in Italia, mentre politici e produttori cantano il ritorno ai vecchi sapori, le normative sanitarie sono piene di buchi e i distributori automatici di latte non trattato aumentano vertiginosamente.
Che i rischi non siano soltanto teorici lo dimostra una circolare del Ministero della salute del 22 ottobre, firmata da Silvio Borrello, di cui Il Riformista è venuto in possesso. Parla di “casi umani di infezione da Escherichia coli O157 associati al consumo di latte crudo sul territorio italiano e del riscontro di diverse positività per E. coli O157 sia nel latte crudo, destinato come tale al consumo umano, sia nelle feci di animali produttori”. Dal 2004, anno in cui è stata autorizzata la vendita diretta di latte non pastorizzato nel nostro paese, le preoccupazioni fra gli specialisti di sicurezza alimentare sono andate aumentando. Ma la consapevolezza politica della necessità di un giro di vite sembra farsi strada solo adesso, dopo che i rischi, ampiamente documentati a livello internazionale, si sono trasformati in danni concreti per la salute dei consumatori. A suonare la sveglia potrebbe essere stata una storia esemplare, mai trapelata finora, accaduta quest’anno a Legnago. La protagonista è una bambina di 3 anni, che chiameremo Maria. Non sappiamo se i suoi genitori le abbiano dato quel latte “appena munto” perché credevano che fosse più genuino o per risparmiare rispetto ai prezzi della grande distribuzione. I fratellini di Maria, comunque, sono stati fortunati, lei invece è stata ricoverata per 12 giorni in terapia intensiva all’Ospedale Civile Maggiore di Verona. Colpa di un brutto ceppo batterico, che può trovarsi nel latte non pastorizzato e nella carne poco cotta, e causa la sindrome emolitico-uremica. Questa malattia colpisce soprattutto i bambini, uccidendoli nell’1-2% dei casi e determinando un’insufficienza renale cronica nel 10-20% dei casi. Secondo indiscrezioni i veterinari della Usl 21 di Legnago, allertati dall’ospedale, hanno rinvenuto il batterio in un allevamento che rifornisce i distributori automatici del paese. Ma non è chiaro se e quando queste vacche siano state eliminate dalla produzione. Il referente della Direzione igiene del Veneto, Silvio Pittui, ci ha confermato che le linee guida regionali non hanno ancora recepito le indicazioni, peraltro carenti, dell’Intesa fra Governo e regioni del 2007 e pare che la maggior parte delle regioni italiane sia in condizioni simili. In Veneto, dunque, non sono obbligatori i controlli per E. coli e, quando la Usl propone la sospensione dell’autorizzazione alla vendita, il sindaco non è tenuto ad accoglierla. Per il caso di Maria, in effetti, circolano voci su un disaccordo fra il sindaco di Legnago, Silvio Gandini del Pd, e il veterinario che chiedeva la sospensione. A complicare il quadro c’è il fatto che questo batterio è un ospite asintomatico dell’intestino dei bovini, mentre per l’uomo è patogeno anche a concentrazioni bassissime. Poiché la contaminazione con le feci è intermittente, il fatto che un campione di latte sia negativo non ci mette al riparo dal rischio durante la mungitura successiva. Perciò bisognerebbe andare a cercare il batterio non solo sul prodotto, ma anche sull’animale, e poco importa se questo è apparentemente sano. Non a caso la recente circolare del Ministero della salute afferma che i capi positivi devono essere esclusi dalla produzione di “latte crudo”, anche se test successivi risultano negativi, e prevede l’adozione da parte dell’azienda di adeguate misure di prevenzione in attesa di un parere del Consiglio superiore di sanità. Ma non è chiaro in quanti la stiano applicando.
Il Veneto non ha ancora reso pubblici i dati del monitoraggio annuale sul latte non pastorizzato venduto nella regione. Ma lo ha fatto la Lombardia e non vi è motivo di ritenere che qui gli allevatori lavorino peggio che altrove. Mario Astuti, della Direzione generale sanità, fa il punto: nel 2007 ci sono state 29 sospensioni, il 42% delle quali perché erano fuori norma la carica batterica o le cellule somatiche, che sono un indicatore di mastite. Poi sono stati trovati germi patogeni come stafilococco, salmonella, listeria, campylobacter, streptococco. E in 4 casi E. Coli. Un’interrogazione presentata il 10 ottobre da Paolo De Castro e altri esponenti del Pd chiede al ministro Sacconi di garantire una corretta informazione. E qui bisogna partire davvero da zero. L’intesa governo-regioni specifica che sui distributori deve essere scritto “latte crudo non pastorizzato”, ma molti mostrano impresso solo il primo aggettivo, lasciando i consumatori nel dubbio. Lombardia ed Emilia Romagna suggeriscono di scaldare ad almeno 70°C prima del consumo se si appartiene a una categoria a rischio, ma dimenticano di includere le donne incinte e finiscono per sviare i consumatori quando specificano che questo vale “per tutti gli alimenti crudi”. Altrove è peggio: in Veneto, ad esempio, non è prevista alcuna scritta. I genitori di Maria, dunque, non sapevano di correre un rischio.

Un business per gli amici di Grillo
Il ritornello suona così: dalla stalla alla tavola. E la filiera è talmente corta che tra produttore e consumatore non solo non c’è spazio per la pastorizzazione, ma spesso neppure per i controlli veterinari. Eppure il business fa faville: il sito che censisce su base volontaria i distributori automatici di latte crudo – www.milkmaps.com, creato dagli amici di Beppe Grillo – ne conta 1004 in 71 province ma potrebbero essere anche il doppio. Non solo nei pressi delle aziende e nei farmer market, ma anche nelle piazze, soprattutto nel nord Italia. Tra quelli mobili alcuni fanno sosta davanti alle scuole. E meno male che nessun amministratore ha ancora avuto l’incoscienza di accontentare Coldiretti, autorizzando la vendita anche dentro gli edifici scolastici, gli ospedali e le case di cura. Il conto è presto fatto: l’investimento iniziale per il “bancomat del latte” è modesto – dai 5.000 ai 30.000 euro a seconda del modello - e si ammortizza rapidamente. Infatti se un allevatore vende il suo prodotto al circuito tradizionale riceve 30 centesimi al litro, magari a 60 o a 90 giorni. Vendendo direttamente al consumatore incassa 1 euro subito, anche di più se il latte è biologico. E 1 euro è sufficiente per attirare un buon numero di clienti, visto che un litro di prodotto pastorizzato al supermercato costa 50 centesimi in più. Insomma tra coloro che fanno la fila, spesso portandosi da casa la bottiglia di vetro, non ci sono solo le vittime del pensiero petrinian-grillesco. C’è chi fa fatica ad arrivare a fine mese e chi crede che “crudo” significhi semplicemente “fresco”. Poi, certo, ci sono i fissati dell’ecologia che pensano che la natura sia più benigna della tecnologia e vogliono ridurre gli imballaggi. E i buongustai che rimpiangono i sapori di un tempo, dimenticando che la pastorizzazione è stata una conquista per la salute dell’umanità.
La lobby dei produttori, che con le loro manifestazioni si sono meritati l’appellativo di “milk warrior”, conviene tenersela buona. Ed ecco che a inaugurare i distributori accorrono i sindaci. Anche quello di Legnago, ritratto sul sito dell’azienda agricola Bontempo mentre taglia il nastro. Il latte alla spina impazza su internet, fra articoli di Slowfood, blog ambientalisti, deliri olistici di pseudoscienziati. “Scrivono che il latte crudo non dà allergie, fa dimagrire, previene i tumori”, si scandalizza Alfredo Caprioli, direttore del laboratorio europeo di referenza per E. coli O157, all’Istituto superiore di sanità. Junk science: scienza spazzatura. Dicono che possono consumarlo tutti, vecchi e bambini. Consigliano di non bollirlo per conservare le sue qualità nutritive. Sostengono che la pastorizzazione uccide anche i batteri benefici, quelli che consentono al latte crudo di difendersi da solo perché è vivo. Anche troppo vivo, aggiungiamo noi. L’unico modo onesto di venderlo sarebbe con l’etichetta: “latte non pastorizzato, può contenere microrganismi patogeni per l’uomo”. Ma questo ucciderebbe il business.