lunedì 22 gennaio 2007

La menzogna della sindrome post-abortiva

Un lungo articolo sul New York Times di oggi esamina da vicino i movimenti che negli Usa propagandano l’esistenza di una fantomatica «sindrome post-abortiva», che colpirebbe con depressione o altri gravi problemi psicologici le donne che hanno fatto ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza (Emily Bazelon, «Is There a Post-Abortion Syndrome?», 21 gennaio 2007). La strategia alla base di questa invenzione è delineata così nelle parole di un anti-abortista, David Reardon:

«Dobbiamo cambiare il dibattito sull’aborto in modo da affrontare i nostri avversari sul loro terreno, la difesa degli interessi delle donne» … Il movimento anti-abortista non conquisterà mai la maggioranza … proclamando la santità della vita del feto. Gli indecisi «hanno indurito i loro cuori nei confronti del “feto” non nato» e sono «concentrati totalmente sulla donna». Il movimento anti-abortista deve fare lo stesso.
Nell’originale:
“We must change the abortion debate so that we are arguing with our opponents on their own turf, on the issue of defending the interests of women” … The anti-abortion movement will never win over a majority … by asserting the sanctity of fetal life. Those in the ambivalent middle “have hardened their hearts to the unborn ‘fetus’” and are “focused totally on the woman.” And so the anti-abortion movement must do the same.
Chi segue il dibattito bioetico in Italia riconoscerà subito una strategia applicata anche nel nostro paese, dove allo scopo di conferirle credibilità sono state arruolate fra gli altri alcune femministe rinnegate; anche se da noi si è finora insistito di più sui pericoli della pillola abortiva che su quelli dell’aborto tout court.

L’articolo del Times chiarisce i fatti sepolti dal bombardamento propagandistico:
the American Psychological Association appointed a panel to review the relevant medical literature. It dismissed research like Reardon’s, instead concluding that “well-designed studies” showed 76 percent of women reporting feelings of relief after abortion and 17 percent reporting guilt. “The weight of the evidence,” the panel wrote in a 1990 article in Science, indicates that a first-trimester abortion of an unwanted pregnancy “does not pose a psychological hazard for most women.” Two years later, Nada Stotland, a psychiatry professor at Rush Medical College in Chicago and now vice-president of the American Psychiatric Association, was even more emphatic. “There is no evidence of an abortion-trauma syndrome,” she concluded in an article for The Journal of the American Medical Association.
Academic experts continue to stress that the psychological risks posed by abortion are no greater than the risks of carrying an unwanted pregnancy to term. A study of 13,000 women, conducted in Britain over 11 years, compared those who chose to end an unwanted pregnancy with those who chose to give birth, controlling for psychological history, age, marital status and education level. In 1995, the researchers reported their results: equivalent rates of psychological disorders among the two groups.
Brenda Major, a psychology professor at the University of California, Santa Barbara, followed 440 women for two years in the 1990s from the day each had her abortion. One percent of them met the criteria for post-traumatic stress and attributed that stress to their abortions. The rate of clinical depression among post-abortive women was 20 percent, the same as the national rate for all women ages 15 to 35, Major says. Another researcher, Nancy Adler, found that up to 10 percent of women have symptoms of depression or other psychological distress after an abortion – the same rates experienced by women after childbirth.
Researchers say that when women who have abortions experience lasting grief, or more rarely, depression, it is often because they were emotionally fragile beforehand, or were responding to the circumstances surrounding the abortion – a disappointing relationship, precarious finances, the stress of an unwanted pregnancy.
Dall’articolo si evince tuttavia che in ambienti condizionati pesantemente dal fondamentalismo e dalla povertà e ignoranza che spesso lo accompagnano, le conseguenze di un aborto possono essere effettivamente psicologicamente gravose. L’autrice ha seguito un’attivista, Rhonda Arias, la cui storia personale di aborti ripetuti, tentativi di suicidio e fanatismo religioso riesce quasi a muovere a pietà il lettore – se non fosse per il fatto che la donna contribuisce con la sua attività missionaria a diffondere ancora di più parte del male di cui è stata essa stessa vittima.

23 commenti:

Anonimo ha detto...

E' normale che si soffra in seguito alla uccisione del proprio figlio, anche se giustificata da decisioni adulte. Si elimina una persona, e si soffre (anche se non lo si vuole ammettere). E' l'unico segnale della umanità di chi abortisce.

Marco

Giuseppe Regalzi ha detto...

Marco, perché non ce lo dai tu un segnale di umanità, tacendo?

Anonimo ha detto...

Certo, perchè non la penso come voi devo stare zitto vero?
Bella dimostrazione di tolleranza, da parte vostra! E di umanità.

Marco

Anonimo ha detto...

Nel vostro schieramento (v. Emma Bonino e leggiti la sua intervista su Grazia) e fra la gente di sinistra non c'è NESSUNO, NEANCHE UNA PERSONA che dice che abortendo NON si soffre.
Tutti dicono che le donne non abortiscono alla leggera, che per tutte l'aborto è una sofferenza, un momento grave della propria vita che lascia segni.
Allora le cose sono due: se questo è vero, siamo tutti d'accordo, pro-life e pro-choice.
Se non è vero, ditelo chiaramente e pubblicamente: dite che per le donne abortire è un gesto come un altro. Lieve.
Se avete dei pudori a dire questo pubblicamente (cioè in TV, nei media, nei giornali, nei dibattiti), allora chiedetevi perchè li avete.

Assuntina Morresi

Anonimo ha detto...

Il punto è questo: una donna adulta che ricorre all'aborto fa una scelta di cui può anche soffrire, ne conosco più di una. Non è "cosa da niente", nessuno ha mai detto questo, ma non è escluso che possa portare a sollievo. La ragazzina di undici anni stuprata dal patrigno probabilmente ha sentito solo questo: sollievo.

Bisogna anche tenere conto poi dei casi in cui si ricorre all'aborto perchè un proseguimento della gravidanza non solo sarebbe inutile ma metterebbe in pericolo la vita della madre. Chi parla di "unico segnale di umanità di chi abortisce" dovrebbe pensare a questo e farsi qualche domanda sulla sua, di umanità, in mezzo a tutta questa spocchia.

Quanto agli altri casi di gravidanze che si decide di interrompere (che possono anche derivare da violenze sessuali, solo che come sempre il "mostro" non è lo stupratore ma la donna vero?), non è TOGLIENDO la possibilità di scegliere che si elimina la sofferenza, l'unico modo per poterlo fare è intervenendo sulle CAUSE che possono portare a questa scelta, anche perchè non ci sarebbe alcuna differenza per il bambino nascere per poi essere gettato in un cassonetto e morire in mezzo ai rifiuti. Incentiviamo l'adozione, diamo supporto alle madri che si trovano in difficoltà economiche.

Gli idioti che prendono posizioni come quelle che ho letto su qualche blog, dicendo, cito testualmente "non si può non dire che è una donna che abortisce non è una zoccola", farebbero meglio a tacere. Per rispetto verso le donne e per i bambini, non ultimo per rispetto verso l'umanità.

Stigmatizzare la madre o coloro che cercano di tutelarla perchè si rendono conto che rendere illegale tale pratica significa di fatto condannare le donne a farsi macellare dal primo bue con un bisturi in mano, è un atteggiamento palesemente cretino.

Chiara Lalli ha detto...

Nel "nostro" schieramento?
Non so tu, ma io rispondo unicamente delle mie credenze, e non di quelle di uno schieramento (nel quale peraltro sei tu a piazzarci).
Potrebbero essere anche tutti a sosstenere una certa opinione, ma io non mi improssienerei. L'opinione suddetta potrebbe essere discutibile (sono molti a credere alla transustantazione, ma non per questo la rendono una credenza ragionevole).
Inoltre, dubito che si possa sostenere che o tutte le donne vivono l'aborto come un trauma, o tutte lo vivono come una passeggiata.
E per concludere, mi fa sorridere ilr ichiamo ai pudori. Quali pudori? Se qualcosa ci si può rimproverare è l'assenza di pudori...

Giuseppe Regalzi ha detto...

Assuntina: quella che proponi è una falsa dicotomia. Dire che per tutte le donne l'aborto è una sofferenza e dire che per tutte le donne abortire è un gesto come un altro sono asserzioni ovviamente false: basta chiedere un po' in giro (o leggersi le statistiche riportate dal NYT) per dimostrarlo. Ogni donna vive l'aborto a modo suo, e ha tutto il diritto di farlo. Questo naturalmente non mi impedisce di pensare che sarebbe preferibile che l'aborto fosse vissuto il più possibile come un gesto «lieve» (per quanto può esserlo quello che rimane un intervento chirurgico), e che soprattutto si ponesse fine alla asfissiante pressione sociale di chi – anche tra i favorevoli – continua a ripetere monotonamente che è necessariamente un «dramma», come a voler scusare le donne da chissà quale colpa.

Anonimo ha detto...

Giuseppe tu sei un uomo e forse non puoi capire che tipo di sofferenza sia dovere rinunciare a un figlio. Anche se in apparenza è una scelta. E' doloroso e non ci sono scorciatoie.

Marco

Giuseppe Regalzi ha detto...

E tu, Marco, di che sesso sei, invece?

Anonimo ha detto...

Io sono uomo ma capisco la sofferenza di una donna che deve abortire.
Si tratta di avere un pò di sensibilità!

Marco

Giuseppe Regalzi ha detto...

Vabbeh, lasciamo perdere...

Anonimo ha detto...

Ma con un bel "Giuseppe, sei un uomo insensibile!" non si faceva prima?

Anonimo ha detto...

Hai mai visto qualche donna dopo l'aborto? Hai mai conosciuto qualcuna che lo ha fatto?
La tua compagna di merende su internet ha mai abortito?
Io si e l'esperienza è allucinante prima, durante e dopo, con o senza i volontari prolife accanto.
Quindi prima di dare sentenze, fatevi un giro in quelle corsie d'ospedale o nelle cliniche dove gli aborti non vengono solo nominati per fare sproloqui radical-chic, e dove vengono praticati con tutta quella disumanità di cui solo gli uomini son capaci (compresa me) e poi ne riparliamo.

Anonimo ha detto...

allora,cercando di non offendervi vorrei solo sottolineare che la "sofferenza" post abortiva non è solo di "tipo morale"...(piccini miei la vita è dura,e presso i vostri lettini rosati certe brutte storie non l'hanno mai raccontate...) ma è una sindrome simile alla depressione post-parto dove entrano in gioco fattori di ordine psichiatrico e persino ormonalequì non mi divculgo...ma...per favore fatevi una cultura. La statua di Giordano Bruno è ancora lì.........

Giuseppe Regalzi ha detto...

Giordano Bruno? Cos'è, una minaccia? :-D

lally ha detto...

Se hanno cominciato a parlarne solo per strategia, la cosa non suona certo bene, però sta di fatto che, al di là delle motivazioni per cui in america è stato presentato il discorso della sindrome post abortiva, in realtà tale sindrome esiste eccome!
una mia cara amica è psicologa e si occupa proprio di ragazze che hanno abortito, e ci ha descritto la sindrome nei dettagli.

Anonimo ha detto...

Ho abortito due volte. L'ultima qualche settimana fa. Vorrei dirvi due cose: a volte una donna non vuole un figlio e basta anche se non è stata stuprata, la sua vita non è messa in pericolo dalla maternità, il feto è sano. Sceglie in libera coscienza e autonomia che non vuole essere madre in quel momento della sua vita, con quel compagno. La scelta è sempre conflittuale, una parte di te lo vuole sempre e non è facile prendere una decisione. A volte si rimane incinta anche quando un figlio non lo si vuole e si prendono precauzioni. Succede, nessun metodo è sicuro al 100%.
E' già una scelta dolorosa, delicata, in cui sei sola e porta con sè una svolta nella tua vita che tu lo voglia o no. Poi quando leggo dell'aborto sento sempre tirare in ballo casi di stupri, feti malformati, pericoli per la madre,donne indigenti, ma questi sono casi limite, ci sono molte donne che sono sane, non hanno subito violenza, non sono indigenti ma non vogliono un figlio. Come mai la letteratura medica di paesi come la svizzera o la scandinavia non parlano di sindromi post abortive? anzi pare che la donna che non desidera un figlio e interrompa la gravidanza senta "sollievo" dopo, tristezza anche, ma anche "sollievo" e si sviluppi una psicopatologia solo nei casi in cui era già presente prima. Ecco, perchè in certi paesi, statistiche e ricerche alla mano, tutta questa sindrome post-aborto non pare esistere e invece qui inn Italia non si fa altro che mettere in condizioni la donna di soffrire più di quanto già il gesto che compie implichi, colpevolizzandola in modo a volte disumano e ipocrita? sono andata a fare il controllo dopo l'IVG in un consultorio di Milano. Sono passati venti giorni. Le ho detto che sono molto stanca, non dormo bene. Le ho chiesto un consiglio. E lei mi risponde che "la scelta che io ho fatto e così le donne come me, è pesantissimma e implica una sofferenza per mesi e anni ed è normale che io mi senta stanca". Ora, noi donne in tali condizioni abbiamo già il peso della scelta e delle sue conseguenze tutto sulle nostre spalle. Perchè dobbiamo anche sentirci ridotte o a vittime o a colpevoli? rivendico la mia libertà e responsabilità per il mio gesto. Ne ho pagato e sto pagando il prezzo fino in fondo. Ma vi prego, trattatemi con rispetto e onestà. Umanità direi se questa parola avesse ancora un significato.

Chiara Lalli ha detto...

Anonima del 7 febbraio: il tuo commento mi trova perfettamente d'accordo.
Io credo che la sindrome abortiva sia in larga parte costituita dal sentirci dire che esiste una sindrome post abortiva; per un'altra parte dall'investire la gravidanza e la maternità (e di conseguenza, il fatto di rifiutarle) di troppe aspettative, spesso fuori fuoco.

Anonimo ha detto...

Ciao a tutti. per quanto riguarda la cosidetta SPA (sindrome post abortiva), la IVG viene riconosciuta come evento traumatico dal manuale psichiatrico americano di riferimento universale precisamente il DSM 3 dell'American Psychiatric Association. - C'è da dire che non è l'unica possibilità a cui si va incontro con la IVG,benchè sia la più probabile: le altre sono "stress post-aborto" e "psicosi post aborto". -Fabrizio

Anonimo ha detto...

scusate, ma io ho avuto la sfiga di avere una psicosi post-abortiva, mi è durata un anno e mezzo (la fase acuta, con deliri e sensi di persecuzione... avete capito no, cos'è una psicosi?), e penso invece che la sindrome post-abortiva possa esistere davvero (che dovrebbe essere una specie di depressione, no?). io ho avuto questa sfortuna perché, diciamo, sono "predisposta" (frequento psicologi e psichiatri da 15 anni, anche se l'orrore della psicosi non l'avevo conosciuto mai prima di abortire). io vorrei che ci si calmasse un attimo, non è che dobbiamo essere viste per forza come vittime o come colpevoli, ma la realtà delle cose non si può negare. io non sono una vittima dell'aborto: in quel momento ho fatto la cosa più saggia, certo non sapevo che sarei impazzita... l'unica cosa certa è che ora, per come sono fatta io, l'ultima cosa al mondo che mi auguro, è di abortire di nuovo. poi ne ho conosciuto diverse invece, molto più fortunate, che hanno abortito e non sono state male. per loro il problema non si pone... però da qui a negare che per certe donne può davvero essere doloroso... Io credo si debba parlare di più di queste cose, così avremmo tutti le idee più chiare. e invece vige ancora la legge della scelta fatta in silenzio, o confidata a pochi intimi, e del tabù in tv a parlarne liberamente, giusto per fare degli esempi. sono certa che se avessi interiorizzato meno sensi di colpa, a furia di vivere in Vaticalia, anche per me sarebbe stato meno duro abortire... (ma cmq non sta tutto nei sensi di colpa il segreto di una psicosi post-abortiva perfetta :D..). ciao, giulia

Paolo1984 ha detto...

penso banalmente che ciò che sente una donna prima, durante o dopo un aborto vada sempre rispettato: che entri in depressione oppure no. Di sicuro non è mai un evento "confortevole" e non è una decisione che si prende a cuor leggero.
Per inciso: io sono per l'autodeterminazione del proprio corpo pertanto i movimenti per la vita hanno tutta la mia avversione (io non obbligherei mai una donna che vuole portare avanti una gravidanza a rischio ad abortire, loro invece vogliono decidere al posto dell'unica che può decidere e questo è ingiusto) Vorrei che l'aborto fosse legale, sicuro e raro (pertanto sapere che grazie alla 194 gli aborti sono in diminuzione mi rende felice, penso però che l'eccesso di obiezione di coscienza sia un problema, il servizio va sempre garantito)

Paolo1984 ha detto...

insomma, quello che ritengo importante è che si eviti di dire alle donne come si devono sentire quando scelgono l'aborto. Diventare genitore, madre ti cambia la vita quindi decidere di tenere o eno una gravidanza inaspettata non è mai una decisione semplice e va rispettata qualunque essa sia

Paolo1984 ha detto...

"decidere di tenere o meno.." così è più chiaro