Fra gli argomenti speciosi, le contorsioni logiche e i veri e propri non sequitur che costellano i discorsi degli oppositori del testamento biologico, un posto di riguardo spetta a quello che così esprime ieri sul Foglio Benedetto Ippolito («Di quale libertà stiamo parlando quando decidiamo se vivere oppure morire», 1 ottobre 2008, p. 2):
Se […] posso fare tutto di me, perché non ammettere che io possa decidere anche sul mio essere, sulla mia vita e sulla mia morte? Se è legittimo scegliere tutto di se stessi, della propria vita e di quella altrui, perché non pensare di rendere assoluta questa libertà fino a decidere su tutto quanto riguarda l’esistenza umana? […] Ma su quale base posso pretendere di essere così tanto libero, se non ho deciso io di venire al mondo ma mi ci sono trovato, e se non sono io l’autore della mia vita e della mia morte ma tutto questo mi è accaduto?Che io non abbia il potere di dare a me stesso la vita, e che non sia l’autore della mia esistenza, è una verità tautologica, riaffermando la quale non direi nulla di importante. Ma come può, da questo, seguire che non ho nemmeno il potere di darmi la morte? La logica dell’argomento è decisamente oscura.
La mia libertà potrebbe essere tale da stabilire un arbitrio completo su quello che sono, cioè una decisione di vita e di morte sulla mia persona, se io fossi autore di me stesso e della mia esistenza. Ma non è così. Ed è esattamente questa l’assurdità del testamento biologico rispetto ad ogni altro testamento legale e ad ogni altra libera scelta. Esso pretende di far valere decisioni ultime su cose di cui la persona non dispone, non essendo nessuno creatore di se stesso.
Forse che godo di un titolo legittimo di proprietà soltanto sulle cose di cui sono l’autore? Evidentemente no: posseggo infatti del tutto legittimamente anche cose che ho acquistato, ereditato, trovato in stato di abbandono, ricevuto in dono. La mia vita può anche non rientrare in nessuna di queste categorie (ma si noti che spesso chi la pensa come Ippolito sostiene che la vita è un dono), ma la lista non è logicamente chiusa, e non si vede perché non debba far posto al possesso più intimo ed evidente, essenziale alla felicità personale, addirittura pre-legale: quello del proprio corpo e della propria mente, self-ownership.
È probabile che l’argomento di Ippolito sia così zoppicante a causa della sua derivazione dalla credenza religiosa secondo la quale la nostra vita è in realtà proprietà di Dio, che ce la dà – per così dire – in concessione, e ce la toglie a suo piacimento. Poiché è richiesta una parvenza di razionalità nel discorso pubblico, l’argomento viene privato di ogni riferimento teologico, ma in questo modo cessa anche di essere coerente.
Va notato che l’autore dell’articolo sembra essersi accorto dell’inconsistenza di quanto dice: nella frase «non sono io l’autore della mia vita e della mia morte ma tutto questo mi è accaduto», cerca in qualche modo di estendere alla morte l’evidenza tautologica della mancanza di potere sulla nascita. Ma ovviamente io posso essere l’autore della mia morte: l’aggiunta surrettizia non salva l’argomento dalla sua illogicità, e riesce solo a renderlo ancora più assurdo.
4 commenti:
Argomento curioso: io non essendomi creato non potrei nulla su di me, ma agli estranei sarebbe permesso essere dittatori e signori del mio corpo. Forse che sono stato creato da loro?
"agli estranei sarebbe permesso essere dittatori e signori del mio corpo"
????
infatti Paolo, quella e' l'altra conseguenza: qualcuno decide e, se non sono io, e' qualcun altro.
L'argomento di Ippolito e' abbastanza comune, qui e' solo espresso in modo piu' contorto.
Tra l'altro, non di tutto ciò di cui si è (in qualche senso) "autori" si è pure padroni: ad esempio, i miei genitori mi hanno dato la vita, ma non sono i miei padroni!
Magar
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