lunedì 24 maggio 2010

E io la pillola non te la do

Il 21 Aprile viene presentato un disegno di legge dal titolo: “Disposizioni in materia di obiezione di coscienza dei farmacisti nella dispensa dei farmaci rientranti nella contraccezione di emergenza”. Sebbene il testo non sia ancora disponibile nel sito del Senato al momento in cui scriviamo, alcuni giornali ne hanno riportato il contenuto, d’altra parte immaginabile fin dal titolo.
È quindi possibile fare alcune considerazioni al riguardo.
Prevedere per legge l’obiezione di coscienza per la cosiddetta pillola del giorno dopo comporta una serie di problemi.
Innanzitutto la questione generale di poter ammettere per legge una eccezione bizzarra.
Bizzarra perché oggetto di una normativa positiva e perché incrina i doveri che derivano da una libera scelta. Il caso più eclatante, e affine alla pillola del giorno dopo, è quello della legge 194 sulla interruzione volontaria di gravidanza, articolo 9. Perché un ginecologo che esercita in una struttura pubblica (compiendo 3 gradini di scelta: iscriversi alla Facoltà di Medicina, poi alla scuola di specializzazione in Ostetricia e Ginecologia e, infine, esercitare la professione in una struttura pubblica) potrebbe sottrarsi ad uno dei suoi doveri sanciti da una legge dello Stato? La domanda richiederebbe una trattazione a parte e che rimandiamo ad altra sede. Qui affronteremo aspetti che sono problematici indipendentemente dalla risposta che si abbraccia alla suddetta domanda.


Prima di tutto l’obiezione non dovrebbe essere indiscriminata: dovrebbe cioè riguardare i farmacisti e non le farmacie, che dovrebbero avere comunque l’obbligo di garantire il servizio previsto dalla legge (regio decreto legge del 1937, n. 1219). Ci auguriamo che gli estensori del disegno di legge ci abbiano pensato. La 194, in effetti, prevede la medesima distinzione: “Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare lo espletamento delle procedure previste dall’articolo 7 e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalita’ previste dagli articoli 5, 7 e 8” (gli articoli citati sono quelli che regolano le modalità della interruzione di gravidanza). Che poi di fatto le percentuali di obiettori di coscienza pongano in serio pericolo la garanzia del servizio (cioè della interruzione di gravidanza) è ancora un altro problema. Ma teoricamente la differenza è rilevante. E il Movimento Nazionale Liberi Farmacisti (MNLF) la sottolinea: «“Mentre al singolo professionista non puo’ essere negata la liberta’ di scelta rispetto alle proprie convinzioni etiche o religiose – precisano i liberi farmacisti – alla farmacia, in quanto gia’ detentrice di un’esclusiva e concessionaria di un rapporto privilegiato con lo Stato di monopolio, non deve essere permesso di esercitare l’obiezione di coscienza e quindi rifiutarsi di vendere farmaci come la pillola del giorno dopo o affini”. E aggiungono: “Ogni farmacia, nel caso venga riconosciuto tale diritto al professionista, dovra’ provvedere che nel proprio organico sia sempre a disposizione almeno un farmacista non obiettore in modo da non ledere un altro diritto: quello del paziente di ottenere il farmaco. In caso di obiezione di coscienza del titolare della farmacia o dell’impossibilita’ della farmacia di consegnare il farmaco per assenza di professionisti disponibili, dovra’ essere revocata la concessione dello Stato che permette a quella farmacia di operare sul territorio e la stessa rimessa a concorso’’.» (Aborto: liberi farmacisti, obiezione coscienza? Farmacie non possono, Asca, 1 maggio 2010).

Ma c’è un altro ostacolo: perché c’è bisogno di una legge specifica? La condanna della pillola del giorno dopo e i potenziali obiettori sarebbero comprensibili se giustificassero la posizione con la contrarietà all’aborto e, al tempo stesso, sostenessero che la pillola del giorno dopo è abortiva – e quindi rientrerebbe nella 194.
Nel foglietto illustrativo del Norlevo, nome con cui la pillola del giorno dopo è commercializzata, si legge (il corsivo è mio): “La contraccezione di emergenza è un metodo di emergenza che ha lo scopo di prevenire la gravidanza, in caso di rapporto sessuale non protetto, bloccando l’ovulazione o impedendo l’impianto dell’ovulo eventualmente fecondato, se il rapporto sessuale è avvenuto nelle ore o nei giorni che precedono l’ovulazione, cioè nel periodo di massima probabilità di fecondazione. Il metodo non è più efficace una volta iniziato l’impianto”.
Tuttavia le recenti ricerche hanno dimostrato la sola azione contraccettiva, e non abortiva, del farmaco. E le agenzie hanno consigliato di modificare i foglietti illustratici.
Perché qualcuno dovrebbe obiettare contro un farmaco contraccettivo? E, qualora si riuscisse a trovare una buona ragione per farlo, sarebbero inclusi anche i preservativi e altri contraccettivi? Ecco perché serve una nuova legge: per giustificare senza alcuna ragione (anche se sbagliata o forzata) la sottrazione al proprio dovere: vendere farmaci. Insomma nemmeno loro sembrano credere fino in fondo che si tratti di aborto, ma di un dominio diverso che richiede una legge ad hoc.
C’è ancora un altro problema: l’effetto causato dal Norlevo (o da un farmaco equivalente) fino a poco tempo fa veniva ottenuto con la somministrazione di 4 compresse di Ginoden (o di un farmaco equivalente) prese nel giro di poche ore.
Come si fa a sapere se qualcuno compra il Ginoden a scopo contraccettivo “tradizionale” (e quindi ancora concesso?) oppure a scopo illegittimo (come rimedio a un rapporto sessuale a rischio e, per l’accusa, a scopo abortivo)?
Il prossimo ddl prevederà il monitoraggio degli acquirenti per le successive 48 ore? O la scansione delle loro intenzioni?
Anche alcuni farmaci, prescritti per patologie specifiche, hanno un effetto sicuramente abortivo: come dovrebbero comportarsi i farmacisti? Il Cybotex è uno di questi: è un gastroprotettore, lo prendi se hai l’ulcera ma come effetto collaterale provoca contrazioni uterine e interruzione di gravidanza. Ultimamente sta andando di gran moda, verosimilmente anche a causa delle difficoltà indigene per abortire. Molte donne sono finite in ospedale con emorragie e complicazioni perché lo avevano usato per abortire: anche il moderno aborto clandestino non garantisce sicurezza insomma, anche se è meno appariscente di ferri e di mammane.
Insomma niente di nuovo sotto al sole. L’obiezione di coscienza per i farmacisti sembra proprio essere un altro corto circuito con cui buon senso e rispetto dei diritti hanno la peggio.

Sul prossimo numero di A.

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