giovedì 31 gennaio 2013

Aiuto, il mio bambino è un filosofo


“Perché devo fare quello che mi dici tu?”, “perché tu sei la mia mamma?”, “perché piove?”, “dov’ero prima di nascere?”. Chiunque abbia un figlio, o chiunque abbia familiarità con i bambini, conosce bene queste domande e tante altre simili. Sa anche quanto i bambini possano essere implacabili nel pretendere risposte convincenti e non approssimative, e quanto siano propensi a rilanciare un nuovo “perché?” alla nostra risposta. Di recente due filosofi hanno inaugurato un forum, “Help! My child is a philosopher” (http://www.mychildisaphilosopher.com/index.htm), destinato a genitori, nonni e insegnanti interessati a coltivare l’animo filosofico e le capacità analitiche dei bambini fin dalla più giovane età. Katarzyna de Lazari-Radek insegna etica e filosofia all’università polacca di Lodz e ha due figli. Peter Singer insegna bioetica a Princeton, ha tre figlie e tre nipoti. Insieme hanno dato vita a questo spazio virtuale filosofico, con lo scopo di scambiare racconti e di imparare dalle esperienze altrui, di confrontare i dilemmi sollevati dai più piccoli e, soprattutto, di incentivare la loro sterminata curiosità.

Il Corriere della Sera, la Lettura di domenica 27 gennaio 2013.

giovedì 24 gennaio 2013

Non è mai troppo tardi per imparare a suonare


Quanti di noi vorrebbero saper suonare uno strumento ma sono scoraggiati perché ormai adulti? Quanti sono convinti di non avere talento musicale e non ci provano nemmeno? Gary Marcus, cognitivista e direttore del New York University Center for Language and Music, ha scritto un libro per sfatare questi luoghi comuni, Guitar Zero (Oneworld). O meglio ha scritto un libro sulla sua smodata passione per la musica e su come questo amore l’abbia spinto a sottoporsi a un intenso allenamento musicale e a diventare un topo di laboratorio: da una parte studiava musica, dall’altra studiava se stesso studiare musica. “Se qualcuno stonato come me poteva fare progressi, forse c’era una speranza per chiunque”. Marcus, attraverso il racconto della sua esperienza di allievo tardivo e ostinato, ci conduce nei meccanismi dell’apprendimento in generale, e ci svela i segreti per cui anche un adulto - magari nemmeno portato per la musica - può imparare a suonare e può arrivare a un buon livello di competenza.

Il Corriere della Sera, la Lettura #60, domenica 6 gennaio 2013.

domenica 13 gennaio 2013

Come nascono le notizie di Avvenire? Un esercizio di critica delle fonti

La sentenza con cui la Prima sezione civile della Corte di Cassazione ha confermato l’affidamento esclusivo di un bambino alla madre omosessuale sta generando in questi giorni una lunga catena di reazioni. In particolare, ha fatto discutere l’osservazione della Corte che alla base del ricorso del padre del bambino non fossero «poste certezze scientifiche o dati di esperienza, bensì il mero pregiudizio che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale».
La stampa integralista ha subito sentito il bisogno di richiamare le presunte prove scientifiche che dimostrerebbero, al contrario, che solo nell’ambito di una famiglia eterosessuale tradizionale sia possibile un armonioso sviluppo del bambino. In particolare, è stata ripreso uno studio del sociologo Mark Regnerus, uscito l’anno scorso; ecco come ieri si esprimeva in proposito Avvenire in un articolo non firmato («Ricerca Usa sui figli degli omosex. “Più a rischio suicidio e malattie”», 12 gennaio 2013, p. 5):

Il 12 per cento dei figli delle coppie o­mossessuali pensa al suicidio (contro il 5% delle coppie normali), il 40% è più propenso al tradimento (13% tra gli etero­sessuali), più frequentemente sono disoc­cupati (28% contro l’8%), ricorrono più spesso alla psicoterapia (19% contro l’8%), contraggono con più facilità patologie tra­smissibili sessualmente (40% contro l’8%). Non si tratta di un saggio di natura omofo­bica ma di quella che viene considerata la ricerca scientifica più ampia e più detta­gliata a livello internazionale sui figli delle coppie omosessuali. L’ha realizzata e pub­blicata sulla rivista “Social Science Resera­ch [sic]”, il sociologo dell’Università del Texas, Mark Regnerus. […] Negli Usa la ri­cerca è stata ferocemente contestata dalla lobby omosessuale. Sono stati firmati ap­pelli perché l’Università mettesse alla por­ta il docente e sono state sollecitate in­chieste per verificare la scientificità dello studio. Nell’agosto scorso l’Università del Texas, portate a termine le verifiche del ca­so, ha concluso ufficialmente che nessuna accusa di faziosità possa essere attribuita al ricercatore e ha chiuso ufficialmente la que­stione con una nota sul sito dell’ateneo. An­che il New York Times, che non può essere certo accusato di tendenze omofobiche, ha valutato positivamente la ricerca, definen­dola «rigorosa», e ha dato spazio alle valu­tazioni di 18 esperti e docenti universitari che ne hanno riconosciuta l’attendibilità.
La notizia che il New York Times avrebbe così autorevolmente avallato lo studio di Regnerus avrà comunicato un brivido di eccitazione ai lettori abituali di Avvenire; e anche, penso, ai lettori abituali di Bioetica – anche se in questo caso potremmo parlare più correttamente di un brivido di aspettativa, conoscendo certi precedenti...

Com’è suo costume, il giornale dei vescovi italiani si guarda bene dall’indicare le fonti; una breve ricerca nell’archivio del New York Times ci fa trovare l’unico articolo che corrisponde alla descrizione di Avvenire. Si tratta di «Debate on a Study Examining Gay Parents», di Benedict Carey, pubblicato online l’11 giugno 2012. Ma la corrispondenza è solo parziale. Scrive infatti Carey:
Gli esperti neutrali, nel complesso, riconoscono che la ricerca è rigorosa, fornendo alcuni dei dati ad oggi migliori sul confronto tra la riuscita dei bambini che hanno avuto un genitore gay e quella dei bambini che hanno avuto genitori eterosessuali. Ma sostengono al tempo stesso che i risultati non sono particolarmente rilevanti al dibattito in corso sul matrimonio omosessuale o sull’omoparentalità [corsivo mio].
Nell’originale:
[O]utside experts, by and large, said the research was rigorous, providing some of the best data yet comparing outcomes for adult children with a gay parent with those with heterosexual parents. But they also said the findings were not particularly relevant to the current debate over gay marriage or gay parenting.
La sintesi di Avvenire è insomma, per usare un eufemismo, decisamente parziale. La cosa più inquietante è che l’articolo del Times non dà affatto spazio, come vorrebbe invece Avvenire, «alle valu­tazioni di 18 esperti e docenti universitari» che avrebbero riconosciuto l’attendibilità dello studio di Regnerus. L’articolo di Carey ospita le opinioni di tre studiosi, che si esprimono così:
Paul Amato, un sociologo della Penn State University […] sostiene che molti studiosi sospettavano che alcuni bambini con un genitore gay potessero avere più problemi del bambino medio, in particolare nei decenni scorsi, quando lo stigma sociale era maggiore. “Sappiamo, per esempio, che molte persone con un genitore gay sono state sostanzialmente allevate in una famiglia adottiva e hanno vissuto il divorzo dei genitori, circostanze associate con svantaggi modesti ma reali”.
Altri sostengono che lo studio abbia un’utilità limitata. “Ciò di cui abbiamo davvero bisogno in questo campo è che ricercatori fortemente scettici studino genitori gay dallo stile di vita stabile e li confrontino direttamente con gruppi analoghi di genitori eterosessuali dallo stile di vita stabile”, afferma Judith Stacey, sociologa della New York University. […]
“Quando guardo i suoi [di Regnerus] dati, quello che ne ricavo è soprattutto che il divorzio e il passaggio da una famiglia all’altra non sono benèfici per i bambini”, sostiene Gary Gates, demografo della University of California, Los Angeles.
Vengono riportate poi anche le parole dello stesso Regnerus; e siamo così a 4 studiosi, non 18, tre quarti dei quali non sembrano particolarmente propensi a «riconoscere l’attendibilità» dello studio. Un ultimo controllo nell’archivio della Grey Lady conferma che da nessuna parte si parla dei fantomatici 18 studiosi.

Da dove arriva questo bizzarro supplemento? E da dove la sintesi stravolgitrice del senso dell’articolo del New York Times? Impossibile pensare a un falso architettato a freddo: il numero «18» è troppo preciso. Deve essere successa qualche altra cosa; l’ipotesi che si presenta immediatamente è che il giornalista di Avvenire abbia visto due notizie accostate, e le abbia fuse in una sola. La cosa può sembrare improbabile, a prima vista; ma una rapida ricerca in Rete ci porta a una conferma inaspettata.

Marco Tosatti è il vaticanista della Stampa. Suoi articoli compaiono fra l’altro anche sul sito Vatican Insider, «un progetto del quotidiano “La Stampa”, dedicato all’informazione globale sul Vaticano, l’attività del Papa e della Santa Sede, la presenza internazionale della Chiesa cattolica e i temi religiosi». Il giorno prima che uscisse l’articolo di Avvenire, Tosatti pubblica su Vatican Insider «“Ecco quali saranno i problemi dei figli di coppie gay”» (11 gennaio 2013), un pezzo dedicato allo studio di Mark Regnerus che corrisponde quasi alla lettera a quello del quotidiano della Cei. Ecco come si chiude:
La ricerca di Regnerus è stata approvata anche da [sic] New York Times, certo non sospetto di simpatia verso posizioni tradizionali. Il quotidiano ha scritto che «gli esperti esterni, in generale, hanno detto che la ricerca è stata rigorosa, fornendo alcuni dei migliori dati sul tema», da un gruppo di 18 scienziati e docenti universitari tramite un comunicato sul sito della “Baylor University” e da diversi psicologi e psichiatri che hanno scelto di prendere posizione, riconoscendo l’attendibilità degli scomodi risultati.
La citazione dal New York Times è un po’ più lunga, ma è troncata anche qui al punto giusto. Ma si noti soprattutto il sintagma «da un gruppo di 18 scienziati e docenti universitari»: da cosa dipende? Nel contesto della frase in cui si trova è chiaramente sgrammaticato; solo andando più indietro ci rendiamo conto che in realtà dipende da «La ricerca di Regnerus è stata approvata anche da»; cioè la ricerca di Regnerus è stata approvata dal New York Times, da un gruppo di 18 scienziati e docenti universitari (che non c’entrano nulla con il quotidiano newyorkese) e da diversi psicologi e psichiatri. Capiamo adesso cosa è successo: il giornalista di Avvenire è stato tratto in inganno dalla frase a-grammaticale di Tosatti, e ha capito che i 18 fossero identici agli «esperti esterni» citati dal Times; allo stesso tempo, fidandosi di Tosatti, ha dato per acquisito che questi ultimi avessero soltanto elogi per Regnerus.

Qui però si pone un altro problema: come diavolo avrà fatto Tosatti a scrivere una frase così atrocemente sbilenca? E perché neppure lui cita l’articolo di Carey per intero? Ci assale un dubbio atroce: vuoi vedere che anche lui dipende da una fonte antecedente? La ricerca stavolta è più rapida: ci aiuta lo stesso Tosatti, che nel suo blog sul sito della StampaCoppie gay e figli: una ricerca USA», San Pietro e dintorni, 11 gennaio 2013) riassume le conclusioni dell’articolo su Vatican Insider, lasciando cadere una frase un po’ sibillina: «I dati della ricerca sono stati pubblicati, oltre che su questo blog, anche dal sito UCCR, Unione Cristiani Cattolici Razionali». Ed è proprio su questo sito che troviamo l’articolo che ha dato origine a questa piccola commedia degli equivoci («Chiusa l’indagine su Regnerus: “è valido lo studio sui problemi di chi ha genitori gay”», 6 settembre 2012), e che si conclude così:
lo studio di Regnerus in cui si dimostra il disagio psicofisico per i figli cresciuti da genitori omosessuali, è stato approvato dal “New York Times”, dove si ricorda che «gli esperti esterni, in generale, hanno detto che la ricerca è stata rigorosa, fornendo alcuni dei migliori dati sul tema», da un gruppo di 18 scienziati e docenti universitari tramite un comunicato sul sito della “Baylor University” e da diversi psicologi e psichiatri che hanno scelto di prendere posizione, riconoscendo l’attendibilità degli scomodi risultati.
Lascio al lettore il compito di confrontare la lettera di questo articolo con quella dell’articolo di Tosatti, e di trarne le necessarie conclusioni.

Abbiamo insomma un giornalista di Avvenire che si rifà a un articolo di un altro giornalista italiano, senza capirne il senso e senza prendersi i cinque minuti necessari a controllare l’originale; abbiamo uno stimato vaticanista che non si prende neppure lui quei cinque minuti, e preferisce rifarsi – oltretutto convertendolo in un italiano impossibile – a un articolo di un gruppo di integralisti con gli occhi fuori dalla testa; che però sono quelli che ci fanno a conti fatti la figura migliore: l’alterazione di partenza del senso dell’articolo del Times è opera loro, ma il link all’originale almeno l’hanno messo (e in un articolo precedente ne davano una sintesi più onesta). No, decisamente la stampa italiana non è il New York Times...

martedì 8 gennaio 2013

Più avanzo negli anni e più sottovaluto le qualità che portano al successo e alla supremazia

«Più avanzo negli anni e più sottovaluto le qualità che portano al successo e alla supremazia. Le mie simpatie vanno a quelli dotati di una profonda e acuta sensibilità, a quelli che sanno dimenticarsi completamente nella contemplazione dell’universo e/o dedizione agli altri e a quelli non "senza incrinature", ma che fanno errori e sono vulnerabili». Rita Levi Montalcini non praticava questi valori, ma nondimeno li suggeriva al nipote Emanuele in una lettera del 6 giugno 1963.
[...]
È singolare che nei ricordi di questi giorni quasi nessuno abbia detto che il successo scientifico e accademico ottenuti da Rita Levi Montalcini negli Stati Uniti è una delle innumerevoli testimonianze del fallimento culturale e politico dell’Italia. Che appunto non ha investito in lei - come in Luria, Dulbecco e tanti altri, quando erano scienziati creativi - accogliendola e celebrandola solo quando la sua carriera scientifica era di fatto al capolinea.
[...]
Il modo migliore di ricordarla, al di là dei facili e ipocriti ovvero stucchevoli altarini, sarebbe di smetterla di asfissiare economicamente ricerca e istruzione, e dimostrare un vero salto di qualità nella percezione della cultura scientifica da parte del mondo intellettuale e politico italiano.
Rita, l’Italia non ti merita, Gilberto Corbellini, Il Sole 24Ore, domenica 6 gennaio 2013.

Il papa e l’uccellino

È la notizia dell’anno: Joseph Ratzinger, in arte Benedetto XVI, ha inaugurato un account Twitter.

Se non sarà lui in carne e ossa a digitare, lo farà qualcun altro autorizzato da Ratzinger a esprimere pensieri papali in 140 caratteri al massimo. Il 12 dicembre il primo twit: “Cari amici, sono lieto di stare in contatto con voi tramite Twitter. Grazie per la vostra generosa risposta. Vi benedico dal mio cuore”.
Anche prima che ci fosse il primo twit i followers erano centinaia di migliaia - in effetti pochi pensando a quanti nella realtà riconoscono al papa un’autorità religiosa, e soprattutto tenendo a mente che Justin Bieber ne ha quasi 31 milioni e mezzo e Lady Gaga oltre 32 milioni. I followers aumentano di giorno in giorno e si frammentano nei vari profili: it, eu, es, uk - ognuno dei quali segue solo gli altri @Pontifex in un circolo autoreferenziale. Oggi il profilo principale - Pontifex senza estensioni di nazionalità - ne ha poco più di un milione. Gli altri qualche centinaia di migliaia tutti insieme. Ma a parte i numeri, comunque provvisori, l’arrivo di Ratzinger nel mondo virtuale di Twitter qualcosa dà da riflettere. Secondo Whitney Mallet (Follow The Leader, The New Inquiry) è sorprendente che un sistema religioso tanto fondato sul materialismo, un sistema la cui fede si basa sulla credenza che l’ostia sia fisicamente - e non simbolicamente - il corpo di Cristo, sia interessato al virtuale. E potrebbe essere rischioso combinare la santità all’astrazione. Il passato rapporto della Chiesa con la tecnologia e i nuovi media suggerisce che il Web sarà terra di conquista. Non è certo una novità: il Vaticano ha già un sito multilingue - molto old fashioned e con meno traduzioni di Scientology (che il potere lo si veda dal numero delle lingue?), un’applicazione per la confessione - che però vale più come allenamento che come mezzo per l’assoluzione che reresta prerogativa umana - e una indubbia familiarità con la radio, la tv e vari altri mezzi di informazione/evangelizzazione. Il web sembra essere ancora un terreno quasi vergine, o almeno meno usato degli altri media, e un luogo ideale da conquistare. Soprattutto se si tiene conto che l’espansione cattolica è più vitale in Paesi come l’Asia e l’America meridionale, e nelle popolazioni più povere - mentre in Europa è in arresto o in declino. Tablet e pc a basso costo potrebbero essere buoni alleati della diffusione del Verbo. Non è detto però che la gerarchia, su cui il sistema cattolico si regge, non possa esserne scossa profondamente, colpita dal boomerang twitterante in modo imprevisto. Le strade della nemesi virtuale sono infinite. Per ora sembra essere la cautela l’ispirazione del neonato profilo. Nel corso dello stesso 14 dicembre, mentre su Twitter si legge una domanda mite e compatibile con varie credenze religiose (“Qualche suggerimento su quale sia il modo più proficuo per pregare mentre siamo così occupati con il lavoro, la famiglia e il mondo?”), l’Agi riporta una tipica manifestazione di aggressività ratzingeriana (“Unioni gay minacciano la pace. Eutanasia e aborto un pericolo”). In occasione della giornata mondiale della pace il messaggio papale torna su alcuni dei cavalli di battaglia tipicamente cattolici, o addirittura clericali, seppure mascherati da principi razionali e appartenenti alla “natura umana”. Un mistero della fede, probabilmente. Troppo lungo da twittare e troppo importante per essere spezzettato. Appena Pontifex scoprirà google shortener o altri modi analoghi per accorciare i link, il baratro sarà probabilmente colmato. Nel frattempo il Vaticano accoglie Rebecca Kadaga, presidente del parlamento ugandese e fan della legge antigay. ×

I miei oscar 2012: Moonrise Kingdom di Wes Anderson, No di Pablo Larrein, Episodes 2.

Lamette, Il Mucchio di gennaio 2013.

Il problema di vivere più a lungo


Negli ultimi 40 anni l’aspettativa di vita delle donne è aumentata di 12 anni, quella degli uomini di 11, ma il prezzo da pagare sembra essere alto: aumentano infatti le patologie mentali e fisiche. È solo uno dei particolari della fotografia che ci offre uno studio pubblicato da pochi giorni sulla rivista «Lancet», il Global Burden of Desease 2010. Un’indagine ciclopica, durata alcuni anni, che ha coinvolto quasi 500 ricercatori e 50 Paesi: il più ambizioso sforzo mai realizzato finora di descrivere le condizioni sanitarie globali. A partire dagli anni Settanta sono di molto diminuiti i decessi causati dalle malattie infettive, così come sono scese la mortalità materna e la malnutrizione. Muoiono molti meno bambini rispetto ad alcuni anni fa. Oggi le maggior parte delle morti nel mondo sono causate da infarto e da patologie cardiache, responsabili di quasi 13 milioni di decessi nel 2010. I principali fattori di rischio sono poi il fumo e l’alcol, particolarmente diffuso nell’Europa occidentale e nell’America latina. A seguire la scarsa attività fisica e l’alimentazione scorretta, correlate a circa 12 milioni e mezzo di morti. Le morti legate all’Aids sono passate dalle 300.000 del 1990 al milione e mezzo del 2010, e malattie per noi ormai quasi sconosciute - come la malaria e la tubercolosi - continuano a uccidere milioni di persone in Paesi lontani dal nostro. Al di là delle medie mondiali, ci sono infatti differenze profonde tra le nazioni più ricche e quelle più povere, tra quelle più avanzate tecnologicamente e quelle più arretrate.

La Lettura #58, domenica 23 dicembre 2012.

Non è mai troppo tardi per imparare a suonare


Quanti di noi vorrebbero saper suonare uno strumento ma sono scoraggiati perché ormai adulti? Quanti sono convinti di non avere talento musicale e non ci provano nemmeno? Gary Marcus, cognitivista e direttore del New York University Center for Language and Music, ha scritto un libro per sfatare questi luoghi comuni, Guitar Zero (Oneworld). O meglio ha scritto un libro sulla sua smodata passione per la musica e su come questo amore l’abbia spinto a sottoporsi a un intenso allenamento musicale e a diventare un topo di laboratorio: da una parte studiava musica, dall’altra studiava se stesso studiare musica. “Se qualcuno stonato come me poteva fare progressi, forse c’era una speranza per chiunque”. Marcus, attraverso il racconto della sua esperienza di allievo tardivo e ostinato, ci conduce nei meccanismi dell’apprendimento in generale, e ci svela i segreti per cui anche un adulto - magari nemmeno portato per la musica - può imparare a suonare e può arrivare a un buon livello di competenza.

Il Corriere della Sera, la Lettura #60, domenica 6 gennaio 2013.