Lo sanno
tutti che cosa Angelina Jolie ha deciso di fare e perché. Il suo editoriale di ieri
sul New York Times, My
Medical Choice, è chiarissimo anche riguardo ai dettagli medici. Inizia
così: “My mother fought cancer for almost a decade and died at
56”. Quando i figli
le chiedono cosa sia successo alla nonna, Jolie deve spiegare loro la malattia
che l’ha fatta morire e poi rassicurarli che no, a lei non succederà. Ma non è
proprio così, a causa della mutazione del gene BRCA1, responsabile di aumentare
la percentuale di rischio di sviluppare un tumore: 87% per quello al seno, 50%
per quello alle ovaie. Una volta conosciuta la situazione, Jolie decide di
sottoporsi a una mastectomia preventiva e lo scorso 27 aprile si chiudono i tre
mesi previsti per le procedure mediche necessarie. In questo periodo Jolie ha
mantenuto un’assoluta riservatezza, ma ora ha deciso di parlarne
sperando che possa essere utile alle altre donne.
“Posso
dire ai miei figli che non devono aver paura di perdermi per colpa di un cancro
al seno. È rassicurante che non vedano altro che le mie piccole cicatrici,
tutto qui. Il resto è solo Mamma, la stessa di sempre. E sanno che li amo e che
farò di tutto per stare con loro il più a lungo possibile. Sul fronte
personale, non mi sento in alcun modo meno donna. Mi sento rafforzata
dall’avere preso una decisione importante che non diminuisce affatto la mia
femminilità” (sulla questione tornano in tanti,
tra cui Maureen O’Connor su The Cut – New York Magazine, Angelina Jolie: Breasts don’t define Feminity e Eleanor Barkhorn su The Atlantic, Angelina Jolie Is Still a Woman – il titolo arriva direttamente dalla domanda di Erin Brockovich/Julia Roberts dopo avere subito mastectomia e isterectomia: “non
ho più il seno e l’utero, sono ancora una donna?”).
Dicevo,
tutto chiarissimo. Ciò che non è chiaro è per quale ragione non possiamo fare a
meno di commentare – voglio dire, non solo nella nostra testa, quello più che
commentare è reagire con la paura egocentrica e immediata del “se succedesse a me”.
Ma la necessità di dire pubblicamente
cosa ne pensiamo, atteggiandosi a pizie serissime, è un’altra storia.
E se
potrebbe essere utile aggiungere informazioni sul quadro clinico e sul
significato di quella che è una diagnosi predittiva e della conseguente
decisione preventiva – come fa per esempio Anna Meldolesi – oppure provare a valutare gli effetti di questo racconto (saggiamente informativo
o pericolosamente imitativo?), rischia di sembrare ridicolo caricare questa
storia di giudizi e di valutazioni “etiche” adatti a tutte le stagioni, a volte
espressi senza capire nemmeno di cosa si stia blaterando.
Il caso
forse più fascinoso – ma può essere che io mi sia persa esempi migliori – è il
commento telefonico rilasciato da Michela Marzano a la Repubblica.
A cominciare
dal titolo – Jolie, Marzano: “Il rischio vero è di
non riconoscersi più”
– ma, si sa, i titolisti a volte si lasciano prendere la mano e messa così
sembra un problema di scambio di persone, tipo che Jolie s’è risvegliata nel
corpo di Marzano e non se ne capacita. Tuttavia questa volta il titolo è
didascalicamente preciso ed evocativo di sapori e atmosfere alla Philip K. Dick
o altra fantascienza di trasferimenti corporali meno nota.
Si
comincia con “Angelina Jolie è conosciuta
mondialmente non solo come attrice, ma anche, e forse soprattutto, come donna
autonoma”. Come donna autonoma? “Ma allora – incalza Marzano, spingendoci
immediatamente in un angolo – si tratta di un gesto di autonomia personale?”
Non è chiaro se il
significato di autonomia sia tecnico, esistenziale o verosimilmente entrambi e
mischiati, e non è nemmeno chiaro in che modo potremmo provare a rispondere o
perché dovrebbe interessarci farlo.
Confidiamo nel seguito che
riguarda “un gene difettoso – ma che cos’è un gene difettoso? Si può davvero
arrivare a minimizzare il rischio? In realtà questo tema dei geni difettosi è un
tema molto complesso”, e se speri che qui vi sia qualche spiegazione ti sbagli (nella
stessa giornata c’era “un gene che usciva dal corpo” di una neonata cui era
stata diagnosticata la trisomia 21 – doveva esserci qualcosa nell’aria, ieri).
Il meglio deve ancora
arrivare però, il meglio è il dilemma etico (in fondo Marzano non è una
genetista, ma questo – il dilemma etico – dovrebbe essere il suo territorio): da
un lato si vuole minimizzare, dall’altro “agendo in maniera così invasiva sul
proprio corpo si mette a rischio quella che è la propria identità personale, si
modifica in maniera radicale il proprio corpo”.
Qui viene il dubbio che
Marzano non abbia davvero idea della procedura medica nella sua completezza, e
che nella sua testa permanga l’immagine dell’asportazione dei seni, quella
iconografia da manuale degli orrori, tubi cicatrici e spazio mancante (lì dove
prima c’era il tuo seno – e anche in questo caso l’identificazione
seno/identità non è proprio automatica). E Jolie l’aveva scritto chiaramente: “They can see my small scars
and that’s it. Everything else is just Mommy, the
same as she always was. And they know that I love them and will do anything to
be with them as long as I can. On a personal note, I do not feel any less of a
woman.” E aveva anche aggiunto che l’avanzamento nelle tecniche ricostruttive ti
permette di avere risultati molto soddisfacenti, anche dal punto di vista estetico
(“the result can be beautiful”).
Chissà cosa pensa Marzano degli
effetti di una malattia sull’identità personale, o del terrore di svilupparla –
soprattutto quando è un terrore fondato. Chissà cosa pensa di quando ci si
tinge i capelli, si dimagrisce o si ingrassa, si invecchia. Capisco che il tema
sia affasciante – è forse uno dei più affascinanti – ma tirare fuori l’identità
personale in questo modo è come tirare fuori un asso da una manica e poi non
giocarselo.
Non abbiamo ancora finito
perché c’è un monito definitivo, un avvertimento che va ben oltre il caso da
cui siamo partiti. “Attenti – conclude Marzano – perché siamo oggi di fronte
all’ideologia di credere che si possa esercitare un controllo su se stessi, sul
proprio corpo e sulla propria salute. Certo i rischi diminuiscono quando ci si
fa asportare, ma si arriva veramente al rischio zero?”
Per fortuna Marzano ci
rassicura: no, il rischio zero non esiste, questo almeno ce lo risparmia. “Ma
rischi di non riconoscerti davanti allo specchio”, e torno a chiedermi cosa
immagina Michela Marzano, una Venere di Milo cui manchino entrambi i seni
invece delle braccia?
“Il corpo non è semplicemente
un oggetto che si può cambiare. Non c’è vita senza salute. La salute non la si
può controllare, non fa parte delle merci, di quel bagaglio di controllo. Il
corpo non è semplicemente un oggetto in nostro possesso.”
A parte questa storia del
corpo e degli avvertimenti che lo riguardano, a parte questa rimasticazione del
“corpo non come oggetto, non in nostro possesso” (chissà di chi è il nostro
corpo), qualcuno dovrebbe ricordare a Marzano che la vita c’è anche quando la salute non
c’è e che va pure bene pontificare, ma perché non provare a prendere meglio
la mira?
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