È uno dei punti più controversi nel dibattito che si è sviluppato dopo la sentenza n. 162/2014, con cui la Corte Costituzionale ha fatto cadere il divieto di fecondazione eterologa: mi riferisco alla possibilità di selezionare (nei limiti del possibile) il donatore e/o la donatrice di gameti in base alla somiglianza fisica con il genitore o i genitori inabili a contribuire alla fecondazione con il proprio sperma o i propri ovociti (più sinteticamente, ma un po’ inesattamente, si parla spesso di garantire la compatibilità delle caratteristiche fisiche del nascituro con quelle della coppia che riceverà i gameti donati). Il Ministro della Sanità Beatrice Lorenzin dichiarava così alcune settimane fa (Mario Pappagallo, «Eterologa, la linea del ministro: “Non si sceglie il colore della pelle”», Corriere.it, 6 agosto 2014):
Il discorso della compatibilità se vuole farlo, lo introduca il Parlamento. Per quanto mi riguarda sono contraria: questa si chiama discriminazione razziale. Non se ne parla, sarebbe anticostituzionale. È come se chi adotta un bambino lo potesse scegliere. Lo impedisce la legge. Mica siamo al supermercato.Con l’usuale grossolanità è intervenuta anche Eugenia Roccella, vicepresidente della commissione Affari Sociali della Camera:
Questa si chiama selezione della razza e dei canoni estetici. Insomma, c’è stato detto che, come per l’adozione, ricorrere all’eterologa era un gesto d’amore, e che al bambino serve solo l’amore dei genitori. Un amore, però, condizionato al colore della pelle: lo amiamo solo se è bianco, se è nero non lo vogliamo?Questi sono due esempi molto chiari di una tendenza tipica dell’integralismo cattolico: quella di attribuire a chi la pensa diversamente le peggiori intenzioni possibili. Se qualcuno desidera che il proprio figlio abbia il suo stesso colore della pelle non può che essere perché disprezza le persone di colore diverso; ogni altra ipotesi non viene non dico esaminata, ma neppure nominata.
Eppure altre ragioni per desiderare la compatibilità delle caratteristiche fisiche esistono, e non sono neppure cattive ragioni. Vediamole.
1. Proteggere la privacy
L’Italia è un paese mediamente ancora molto conservatore, e la fecondazione eterologa non è una pratica medica ancora del tutto accettata. In particolari realtà sociali (si pensi a certa vita di provincia) o familiari (in cui per esempio sia presente una componente integralista) la forza dell’altrui disapprovazione può rendere la vita difficile. Ciò che ci protegge dalla pressione sociale è il diritto alla privacy, cioè a tenere nascosti quegli aspetti della nostra esistenza che riguardano soltanto noi e a delimitare perciò un cerchio intimo di vita riparato da sguardi indiscreti. Le nostre condizioni di salute, e quindi anche le terapie ricevute, rientrano sicuramente in questo ambito (tranne ovviamente quando non sia possibile in nessun modo occultarle allo sguardo del pubblico), tanto più quando a essere interessata è la sfera culturalmente cruciale della riproduzione. È evidente però che la nascita di un bambino dalle caratteristiche fisiche incompatibili con quelle dei genitori putativi tradirebbe immediatamente l’avvenuto ricorso alla fecondazione eterologa. Naturalmente, in questo come in altri campi il coming out è da lodare incondizionatamente: i costumi alla fine cambiano proprio grazie ai coraggiosi che vanno orgogliosi di quello che sono e di quello che fanno e non lo nascondono; ma il coraggio non si può prescrivere per legge.
2. Accogliere un figlio come proprio
Il problema principale della fecondazione eterologa è psicologico: il genitore che non ha potuto contribuire alla fecondazione con un suo gamete può avere in certi casi difficoltà a sentire il figlio come proprio, e può arrivare a forme di rifiuto più o meno dirette. La legge 40/2004, in una delle sue pochissime norme ragionevoli, ha reso impossibile il disconoscimento da parte del padre non biologico in caso di fecondazione eterologa (nell’art. 9 comma 1; ovviamente all’epoca ci si riferiva a casi di fecondazione effettuata all’estero o in violazione della legge); ma il problema psicologico rimane. La soluzione consiste principalmente in un’adeguata informazione e preparazione, ma sembra ragionevole supporre che la somiglianza fisica possa contribuire a rendere le cose più facili (anche eventualmente per i familiari meno prossimi del bambino).
3. Rivelarlo al momento giusto
Sembra che nel progetto di decreto del Ministro della Salute (poi abortito) fosse previsto l’obbligo di informare la persona nata in seguito all’applicazione di tecniche di fecondazione eterologa del modo del suo concepimento una volta raggiunta la maggiore età. Il Ministro non sembrava rendersi conto che con la proibizione di selezionare i donatori molti dei nati avrebbero indovinato le proprie origini ben prima della maggiore età, semplicemente guardandosi allo specchio e paragonandosi ai propri genitori. In questo modo si sottrarrebbe ai genitori la decisione sul momento più adatto per rivelare al figlio le sue origini (non esaminerò qui se questa rivelazione sia davvero sempre desiderabile). Naturalmente è del tutto possibile che questo momento arrivi anche molto precocemente senza problemi (in situazioni particolari del resto non ci sono alternative), ma non c’è dubbio che là dove si può la flessibilità possa rivelarsi utile per facilitare le cose.
4. Evitare i razzismi inconsapevoli
Dire che esistono buone ragioni perché una persona cerchi di ottenere un figlio simile a sé non significa negare che possano esisterne anche di cattive e pessime. Se fosse imposta la proibizione di selezionare i donatori, è probabile che chi sottoscrive un’ideologia razzista sarebbe dissuaso dal tentare in caso di bisogno la fecondazione eterologa – ma va detto che questo genere di individui ha quasi sempre idee estremamente conservatrici sull’importanza della «stirpe», tale da renderlo comunque contrario a questa tecnica. Ma cosa succederebbe ai razzisti meno consapevoli, a chi proclama sinceramente di non disprezzare le persone di etnia diversa, salvo poi mostrare nei fatti dei pregiudizi inconsci ben radicati? Nel caso dell’adozione si perviene inevitabilmente al momento della verità, quando alla coppia viene presentato un bambino di un colore diverso dal suo; un momento dal quale si può fare vergognosamente marcia indietro. Ma nel caso della fecondazione eterologa – complici la bassissima probabilità di incappare in Italia nei gameti di persone di altra razza, il desiderio ardente di genitorialità e appunto la non consapevolezza dei propri pregiudizi – il momento della verità può arrivare quando ormai non si può più tornare indietro. Per i più l’esperienza di allevare un bambino basterebbe probabilmente a guarire da ogni pregiudizio; per altri le cose possono andare diversamente, e a rimetterci sarebbe in primo luogo chi non ha colpe. Con la selezione dei gameti il problema non si pone. Si può restare perplessi di fronte a una soluzione che alla fine asseconda un pregiudizio; ma trattandosi di un pregiudizio pressoché invisibile (persino a chi lo nutre) e quindi non identificabile con sicurezza in anticipo, non vedo alternative a questa.
Conclusione
Queste dunque le buone ragioni a favore della possibilità – non dell’obbligo, ovviamente – di assicurare un fenotipo simile a quello del genitore non biologico. Non so se chi si oppone le abbia mai prese in considerazione; ma viene spontaneo sospettare che qui non si tratti soltanto dell’abitudine inveterata degli integralisti a giudicare e condannare il prossimo con la massima ferocia possibile, ma anche di un tentativo estremo, sorto nell’ambiente dei consulenti del Ministro, di creare difficoltà e di perpetuare de facto la situazione precedente, pur mutata de jure, costringendo ancora le coppie a onerosi viaggi all’estero.
L’accordo tra le Regioni siglato a Roma il 4 settembre prevede che ogni «centro deve ragionevolmente assicurare la compatibilità delle principali caratteristiche fenotipiche del donatore con quelle della coppia ricevente». Speriamo che nessuno cambi questa disposizione ragionevole.
7 commenti:
Il Ministro Lorenzin una cosa giusta la ha detta, e cioè che su problemi di questo tipo è necessario che si pronunci il Parlamento.
Per quanto riguarda l'accostamento tra eterologa e adozione l'accostamento emerge dalla sentenza 162/14, che lo utilizza per dire che l'eterologa è già sufficientemente (anche se non compiutamente) normata.
Al momento con tale paralellismo bisogna quindi fare i conti.
Faccio riferimento ai primi due intervenuti.
Io stesso avevo formulato il medesimo pensiero di Eva, riguardo l'ovvia distinzione tra la necessità di non discriminare e svantaggiare bambini già venuti al mondo e la valutazione di ciò che si intende intraprendere prima che vengano al mondo. In quest'ultimo caso, peraltro, è arbitrario riferirsi al desiderio di privilegiare a priori una specifica etnia rispetto ad un'altra, poiché i cittadini di etnie di minoranza usufruirebbero della stessa opportunità degli altri di privilegiare donatori per quanto possibile dal profilo proprio consimile.
Purtroppo le parole della ministra mi fanno venire il dubbio, non so dire se fondato, che molti ignorino il significato del termine "discriminazione" e di rimando il dubbio che siano effettivamente in grado di riconoscerla e combatterla. La discriminazione riguarda individui, soggetti, soggetti giuridici ad essere più precisi, che possano essere vittime di esclusioni motivate da partigianerie o pregiudizi. Non può sussistere discriminazione quando non esiste nemmeno il soggetto escluso.
Più platealmente e banalmente, io non sono razzista o discriminatorio se mi scelgo una compagna di un tipo, avverso tutte le donne dell'altro tipo, o avverso uomini di ogni genere. Discriminazione vi sarebbe, al contrario, se la scelta mi fosse impedita sulla base di precetti impostimi da altri, riguardanti la di lei provenienza.
Per quanto concerne la famigerata sentenza, certo essa non esclude il dibattito sulla ragionevole valutazione di profili da poter inserire ex novo nella legge. E non obbliga di certo, nel dibattito annesso, di restare indifferenti rispetto alla lettura di valutazioni irragionevoli come quelle riportate in corsivo. Mi pare.
Certamente nemmeno nella sua versione odierna la legge (così come corretta) mutua pedissequamente le previsioni della legge sull'adozione, tanto che non impone gli stessi limiti legali all'accesso (tanto che se lo facesse, sarebbe per esplicitati motivi discriminatoria rispetto a chi non abbia bisogno di un donatore esterno). Il riferimento non è omnibus comunque alla fonte, perché esso scaturisce nella sentenza riguardo a precise fattispecie, come valutazioni concernenti l'anonimato del soggetto giuridico donatore/genitrice. Che debba mutuarsi la non (parzialissima) selezionabilità dell'adottando, quando peraltro il soggetto giuridico ancora non esiste, mi sembra estensione arbitraria e non giustificata dal testo della sentenza. Ma anche ammesso che per ipotesi si fosse effettivamente obbligati a fare i conti con detto parallelismo, è auspicabile che la ragionevolezza dell'intelletto induca a realizzare che -limitatamente a questo aspetto- le due rette effettivamente non si incontrano.
Dr. Gregory House: [to Cuddy about sperm donors] "You're designing a kid, a loser kid! He's already getting pummeled at gym".
Si dice "Queste dunque le buone ragioni a favore della possibilità – non dell’obbligo, ovviamente – di assicurare un fenotipo simile a quello del genitore non biologico".
Di fatto però l'accordo prevede un obbligo affermando che il "centro deve ragionevolmente ...." essendo "ragionevolmente" chiaramente riferito alle possibilità tecniche, non certo alla discrezionalità del centro o dei richiedenti gamete.
Mi pare che la frase "assicurare la compatibilità" non implichi necessariamente un obbligo. Se io cerco una certa RAM, e arrivo su un sito che mi "assicura la compatibilità" dei vari tipi di RAM che vende con tutti i modelli di computer (e magari posso immaginare che ci sia qualche norma dell'UE che obbliga questi venditori a offrire questa garanzia), questo non vuol dire affatto che il venditore è obbligato a vendermi soltanto la RAM compatibile col mio computer. Io posso volere una RAM non compatibile per qualche oscuro motivo (p.es., testare un certo crash che è accaduto a un mio cliente dopo che ha installato a sua volta una RAM), e il sito me la venderà ovviamente senza fare storie.
Può essere naturalmente che chi ha concepito la norma l'abbia intesa proprio come un obbligo, e in tal caso essa sarebbe meno ragionevole di come l'avevo interpretata io.
Vista l'intera norma (combinata col divieto di discrezionalità dei genitori) che afferma che "la fecondazione eterologa si pone per la coppia come un progetto riproduttivo di genitorialità per mezzo dell’ottenimento di una gravidanza, il centro deve ragionevolmente assicurare la compatibilità delle principali caratteristiche fenotipiche del donatore con quelle della coppia ricevente." io credo che i centri abbiano proprio un obbligo.
Per mantenere l'esempio del post, a mio parere, la nascita di un figlio "non compatibile" espone il centro a contestazioni di negligenza sia da parte dei genitori che - probabilmente - anche da parte delle istituzioni statali.
Ma questa è solo la mia interpretazione e non so neanche con esattezza quantificare il valore precettivo delle linee guida.
Il mio pensiero è più simile a quello di Giuseppe: è vero che c'è un obbligo, ma l'obbligo è a ragionevolmente assicurare la compatibilità. Non un obbligo a perseguire o imporre la compatibilità. Ai pazienti deve essere obbligatoriamente prospettata questa soluzione, ed è ragionevole pensare che in una stragrande maggioranza dei casi, se non addirittura in tutti, essa sarà accolta. Dopodiché, se una coppia dice "no, voglio trovare una sorpresa", penso che al limite si possa chiedere di firmare un foglio senza che in questo modo si ritenga violata la prescrizione.
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