2. Quante sono le coppie omosessuali?
Nella prima parte di questo post abbiamo visto come Mario Adinolfi, in un nuovo capitolo del suo pamphlet integralista Voglio la mamma, abbia in parte alterato e in parte ignorato le percentuali di persone omosessuali e bisessuali fornite dall’Istat, e come abbia cercato di far passare come invenzioni della «lobby Lgbt» cifre di altra provenienza, che in realtà devono essere considerate fino a prova contraria legittime (anche perché, tenendo conto della grande incertezza che circonda la questione, non sono drasticamente diverse da quelle dell’Istat).
Proseguiamo adesso con l’analisi del testo di Adinolfi, e cerchiamo di stabilire quante siano le coppie omosessuali nel nostro paese.
Vogliamo essere più precisi? Andiamo allora a interrogare i dati dell’ultimo censimento, quello del 2011. I dati sono sempre elaborati dall’Istat, dunque dall’Istituto nazionale di statistica che nessuno può immaginare come ostile agli interessi della lobby Lgbt. Anzi. Secondo i dati del censimento in Italia esistono circa 17 milioni di famiglie. Per la precisione 16.648.000. Tra queste, 2.651.000 sono le famiglie monogenitoriali (un solo genitore, con figli) mentre 13.997.000 sono le coppie che vivono in una condizione di stabilità il proprio rapporto sentimentale. Sono coppie con o senza figli. Sapete quante sono, tra queste, le coppie composte da un uomo e da una donna: 13.990.000. Sì, avete letto bene, non è un refuso, non è un copia incolla avventato. Sono praticamente il totale. Le coppie dello stesso sesso certificate dal censimento 2011 sono 7.591.Se si scorrono i commenti alla pagina Facebook in cui è stato pubblicato questo testo, si noterà come un lettore chieda a più riprese un link alla fonte di questi dati. Adinolfi – che pure partecipa alla discussione – ignora completamente questa richiesta. Come mai? La risposta sorprenderà (forse) qualcuno: Adinolfi non può fornire nessun link perché non è in grado di farlo: non è infatti mai andato «a interrogare i dati dell’ultimo censimento» sul sito dell’Istat. La sua fonte è secondaria: si tratta di un articolo di Roberto Volpi, «Tutte quelle coppie gay (con figli) sparite dal censimento, o forse mai esistite», apparso il 23 settembre scorso sul Foglio. Volpi e il suo articolo non vengono citati in nessun modo da Adinolfi, neppure in risposta alle sollecitazioni del suddetto lettore.
Bene. Abbiamo un dato, è assodato. L’Istat, che non vuole apparire come ostile agli interessi delle coppie Lgbt, ha dichiarato in una nota che ci sono state coppie dello stesso sesso che “hanno preferito non dichiararsi”. Ok. Immagino che queste coppie che non si dichiarano in un censimento in forma anonima non siano interessate a affiggere le pubblicazioni di matrimonio. Dunque le coppie su cui la lobby Lgbt può far conto per le proprie rivendicazioni matrimonialiste sono 7.591. Intanto però ricordiamo che 13.990.000 coppie sono composte da un uomo e da una donna.
Ma come faccio ad affermare con certezza che Adinolfi ha tratto i dati da Volpi e non dal sito dell’Istat? Semplice: perché nell’articolo di Volpi ci sono degli errori (l’autore non è nuovo a questo genere di distrazioni) che Adinolfi ha ripreso ciecamente. Il primo è il numero totale delle coppie formate da persone dello stesso sesso: 7513 per l’Istat, 7591 per Volpi e Adinolfi. Il secondo riguarda il numero dei figli delle coppie dello stesso sesso, che secondo Volpi e Adinolfi sono 529; per l’Istat, invece, 529 è il numero delle coppie con figli, non dei loro figli (quest’ultimo numero non è desumibile dal database, a quanto vedo). Altri due errori più piccoli ma sempre significativi: Volpi arrotonda erroneamente al migliaio inferiore il totale dei nuclei familiari e dei nuclei monogenitore, seguito fedelmente da Adinolfi. Non esiste infine neppure un dato riportato da Adinolfi nei paragrafi in questione che non sia presente già anche nell’articolo di Volpi. Qua e là si sfiora il plagio (corsivi miei): «L’Istat, che non vuole apparire come ostile agli interessi delle coppie Lgbt, ha dichiarato in una nota che ci sono state coppie dello stesso sesso che “hanno preferito non dichiararsi”. Ok» (Adinolfi); «Avverte tuttavia l’Istat che “i dati relativi alle coppie dello stesso sesso sono sottostimati e si riferiscono solamente alle coppie dello stesso sesso che si sono dichiarate. Molte persone in questa situazione hanno preferito non dichiararsi nonostante le raccomandazioni”. Ok, d’accordo […]» (Volpi). Sì, siamo davanti a un classico «copia incolla avventato».
Si dirà: per la tesi di Adinolfi cambia poco – le coppie dello stesso sesso sono praticamente le stesse, e se i loro figli non sono 529 è comunque abbastanza improbabile che superino il migliaio. Ma quello che emerge con chiarezza è il metodo dell’autore di Voglio la mamma: le cifre che confortano i suoi pregiudizi sono accettate senza uno straccio di controllo (e con poca gratitudine nei confronti di coloro a cui le sottrae), le altre devono sicuramente essere il frutto di qualche malvagio complotto.
Esaminiamo adesso più in particolare i dati Istat sul numero delle famiglie omosessuali, e vediamo se ad essi si può far dire ciò che Adinolfi vorrebbe. Partiamo dal numero di coppie conviventi. Abbiamo visto la nota dell’Istat, secondo cui i dati sono sottostimati. Forse qualcuno si chiederà come sia possibile che molte coppie abbiano preferito non dichiararsi: non sarebbe questa un’alterazione grossolana del censimento? Se due persone vivono assieme, com’è possibile farne risultare solo una? La risposta sta nel concetto di nucleo familiare, che per l’Istat «è definito come l’insieme delle persone che formano una relazione di coppia o di tipo genitore-figlio. […] Una famiglia può essere composta da più nuclei, ma può anche essere costituita da un nucleo e da uno o più membri isolati (altre persone residenti), o ancora da soli membri isolati». Esistono in Italia ben 560.422 famiglie composte da due persone, che dichiarano di non essere legate da una relazione di coppia o di tipo genitore-figlio; queste famiglie sono insomma composte da due «membri isolati». Molte saranno semplici coppie di amici, o coppie nonna-nipote, zio-nipote etc.; un certo numero saranno coppie – eterosessuali od omosessuali – che hanno deciso di non dichiararsi (altre coppie di questo genere possono essere nascoste in altre pieghe del censimento). Volpi tenta di minimizzare la cifra di chi non si è dichiarato, ma il suo non è altro che un argumentum ad incredulitatem:
sembra assai difficile supporre che per ogni coppia omosessuale censita ce ne siano, mettiamo, dieci o magari venti sfuggite al censimento, perché nell’eventualità ci sarebbe di che chiedere il subitaneo smantellamento del censimento stesso.È importante ricordare a questo proposito come il censimento non si svolga affatto «in forma anonima», come pretende Adinolfi: i nomi dei censiti figurano sulla prima pagina del questionario Istat.
Per sapere qualcosa di più preciso, rivolgiamoci alla recentissima indagine condotta dalla European Union Agency for Fundamental Rights (EU LGBT survey – European Union lesbian, gay, bisexual and transgender survey: Main results, 2014, p. 134), da cui risulta che nel 2012 il 20% degli omosessuali/bisessuali italiani conviveva con un partner, a fronte di una media UE del 30% (più in basso dell’Italia si trovano solo Croazia, Grecia e Cipro). Questa non è tuttavia la percentuale che stiamo cercando: secondo la stessa fonte, il 5% degli omosessuali/bisessuali italiani ha un partner (convivente o non convivente) del sesso opposto. Se assumiamo che il 15% delle persone LGBT conviva con un partner dello stesso sesso, e applichiamo questa percentuale alla cifra di un milione data dall’Istat (vedi la prima parte di questo post), risulta che dovrebbero esistere in Italia circa 75.000 coppie omosessuali: dieci volte il numero di quelle dichiarate al censimento! Questa conclusione è confermata in modo decisivo da M. Barbagli e A. Colombo, autori di una fondamentale indagine sulla condizione omosessuale nel nostro paese (Omosessuali moderni. Gay e lesbiche in Italia, 2ª ed., Bologna, Il Mulino, 2007, p. 204; i dati si riferiscono a un sondaggio condotto nel 1995-96); elaborando i loro dati (cfr. anche pp. 211 e 317) risulta che il 14% delle persone LGBT convive con una persona dello stesso sesso (lo studio è del tutto indipendente da quello UE; entrambi i sondaggi – quello europeo e quello da cui prendono le mosse i due italiani – sono stati condotti in modo da garantire l’anonimato dei rispondenti).
Ma per Adinolfi le coppie non dichiarate non contano: «Immagino che queste coppie che non si dichiarano in un censimento in forma anonima non siano interessate a affiggere le pubblicazioni di matrimonio». Questa è un’affermazione di un cinismo ributtante; certo, una coppia non dichiarata potrebbe avere più difficoltà delle altre a contrarre eventualmente matrimonio, ma la ragione di questa titubanza non può che essere il timore di un ambiente ancora saturo di pregiudizi. Chiunque – perfino chi è contrario al matrimonio per tutti – dovrebbe auspicare che questa condizione di paura sia superata il più presto possibile, e non invece gongolare soddisfatto perché in questo modo si riduce il numero delle coppie potenzialmente interessate al matrimonio.
Va notato poi che l’Istat raccoglie solo il dato delle coppie conviventi, non anche di quelle impegnate in una relazione ma non conviventi. Per Barbagli e Colombo (ibidem), «dal 40 al 49% dei gay e dal 58 al 70% delle lesbiche hanno una relazione fissa». Questi numeri sono confermati in pieno dalla già citata EU LGBT survey (ibidem), secondo cui nel 2012 il 52% degli omosessuali italiani era impegnato in una relazione con un partner dell’altro sesso, nonché dall’indagine Modi di, promossa dall’Arcigay in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità (Survey nazionale su stato di salute, comportamenti protettivi e percezione del rischio HIV nella popolazione omo-bisessuale, a cura di R. Lelleri, Bologna 2006, p. 25), secondo cui nel 2005 il 40,2% degli omosessuali maschi e il 52% delle lesbiche aveva una relazione con una persona dello stesso sesso.
Anche tra queste persone si troveranno sicuramente molti interessati al matrimonio: in una parte dei casi, la mancata convivenza sarà di nuovo da attribuirsi alla necessità di evitare reazioni negative da parte dell’ambiente circostante, o alle normali difficoltà materiali che tutte le coppie incontrano per vivere insieme. È significativo inoltre per il nostro discorso che, come scrivono ancora Barbagli e Colombo (ibidem), «[l]a grandissima maggioranza degli omosessuali italiani cerca un rapporto di coppia stabile e solo un’esigua minoranza (il 12% degli uomini e l’8% delle donne) preferisce avere relazioni con partner occasionali». Un dato che fa giustizia di pregiudizi ancora largamente diffusi.
Ma ammettiamo, per puro amore di discussione, che esistano davvero solo 7500 coppie omosessuali conviventi e potenzialmente interessate al matrimonio. Sarebbe questo un argomento valido contro la richiesta di estendere anche alle coppie omosessuali il diritto di sposarsi, o almeno di contrarre un’unione civile?
Esistono in Italia, a quanto pare, circa 830 persone che portano il cognome «Adinolfi». Supponiamo per assurdo che per un’antica tradizione religiosa fosse proibito a queste persone di sposarsi, e che dopo un lungo processo di maturazione civile si arrivasse finalmente a mettere in questione questa discriminazione. Ora, cosa penseremmo se qualche retrogrado si opponesse alla riforma adducendo a pretesto che 830 persone sono pochissime? La nostra risposta, ovviamente, sarebbe che negare ingiustamente un diritto non è meno grave se lo si nega solo a poche persone, o persino solo a una; semmai è forse più grave. Se si vuole impedire che il matrimonio sia per tutti, si cerchino altri argomenti; quello dei numeri troppo esigui è un non-argomento.
Nella prossima parte affronterò la questione del numero dei figli delle coppie omosessuali.
(2 - continua)
289 commenti:
1 – 200 di 289 Nuovi› Più recenti»Letto e riletto il post, piuttosto lunghetto in verità, ne ho ricavato queste semplici conclusioni:
– Regalzi non ama Adinolfi (probabilmente cordialmente ricambiato). Ovviamente non ama neanche Volpi.
– Adinolfi si è fidato ciecamente di Volpi e si è permesso pure di non citarlo: quasi un plagio. Si merita certamente un cartellino giallo.
– L’Istat ha rilevato che il numero di coppie formate da persone dello stesso sesso (non so se faccio bene perché mi sto fidando di Regalzi senza verificare la fonte…) sono 7513, mentre Volpi, per fare un favore al movimento LGBT, li aumenta ad 7591 (è un’inezia, ma è pur sempre un segno di attenzione!)
– Volpi erroneamente considera che i figli delle coppie dello stesso sesso siano 529 mentre questo numero rappresenta le coppie conviventi dello stesso sesso con figli. L’errore è serio, ma lo stesso Regalzi concede che «se i loro figli non sono 529 è comunque abbastanza improbabile che superino il migliaio».
– Ne deduco che Volpi in fondo ci ha dato un’informazione sostanzialmente corretta sulla dimensione del fenomeno, ALMENO COME RISULTA DAL CENSIMENTO.
A questo punto non riesco più a seguire Regalzi il quale contrappone ai dati del un censimento (che per definizione indaga su tutto l’universo statistico) i risultati di alcune indagini campionarie della cui attendibilità non siamo in grado di avere un’idea, quali l’ “EU LGBT survey”, lo studio di Barbagli e Colombo e l’indagine promossa dall’Arcigay. Per di più, qualcuno, ma non dico che io lo faccia, potrebbe legittimamente sospettare che, visti quali sono i committenti delle indagini, queste nascano già “orientate”. Francamente, il censimento, rimane un punto fermo per la sua stessa natura, anche se rimaniamo in attesa di poter valutare quale sia la sottostima del fenomeno denunciata dall’Istat stessa.
Sono curioso di leggere il prossimo post in cui verrà affrontata la questione del numero dei figli delle coppie omosessuali. Con la speranza di leggere una cosa un po’ meno “ostica”, anche se le difficoltà incontrate sono certamente colpa mia.
«A questo punto non riesco più a seguire Regalzi il quale contrappone ai dati del un censimento (che per definizione indaga su tutto l’universo statistico) i risultati di alcune indagini campionarie della cui attendibilità non siamo in grado di avere un’idea, quali l’ “EU LGBT survey”, lo studio di Barbagli e Colombo e l’indagine promossa dall’Arcigay. Per di più, qualcuno, ma non dico che io lo faccia, potrebbe legittimamente sospettare che, visti quali sono i committenti delle indagini, queste nascano già “orientate”».
Chi sono i committenti dell'EU LGBT Survey? E del libro di Barbagli e Colombo? Non certo le associazioni gay. E come may EU LGBT Survey e Barbagli e Colombo – indagini indipendenti – danno esattamente lo stesso risultato per la percentuale di coppie omosessuali conviventi? Ancora, tu ritieni probabile o anche solo possibile che in tutti i paesi UE le convivenze omosessuali oscillino tra il 15 (Grecia e Cipro) e il 40% (Paesi Bassi) mentre solo in Italia sarebbero al 2% (dati del censimento)? Cosa importa che il censimento «indaga su tutto l’universo statistico», quando la natura delle convivenze da esso registrate dipende dalla dichiarazione dei censiti (che non è anonima, checché ne dica Adinolfi – questo mi sono dimenticato di scriverlo nel post), e non da qualche dato rivelabile oggettivamente? I due sondaggi (che garantivano l'anonimato) sono decisamente più attendibili – anche se ovviamente non perfetti.
alcune mie considerazioni:
1. ottimo post, ma tutta questa fatica per commentare Adinolfi, è una cosa scandalosa.
2. Adinolfi e simili mi sembrano persone veramente cattive, anche se non se ne rendono conto.
3. come a tutti, mi capita spesso di avere a che fare con persone sconosciute: per lavoro, in viaggio, a una festa, a incontri di famiglia, eccetera. Beh, in nessun caso sento il bisogno di interessarmi di come fanno sesso. Mi interessa come lavorano, se sono intelligenti, simpatici, altruisti, onesti, ecc... ma non di come fanno sesso. Quindi mi chiedo: perchè A. & C. sono così ossessionati dall'argomento? Pare che per loro i problemi del mondo stiano tutti tra le lenzuola. Mah.
Non posso che ammirare il coraggio di Regalzi capace di annullare in un sol colpo l’attendibilità del censimento a favore di indagini demoscopiche campionarie! Mi ha convinto a tal punto che son pronto a scommettere che le prossime indagini sull’argomento daranno gli stessi risultati perché già sappiamo che sono quelli giusti!
Io ho fornito degli argomenti per preferire le indagini demoscopiche al censimento (per inciso, anche l'Istat sembra non avere molta fiducia nei suoi risultati, vista la nota con cui li accompagna). Argomenti cui tu non rispondi.
nel frattempo queste coppie (poche o tante) ci sono e ci sono i loro figli ed è un vero miracolo in questa condizione di diniego di diritti, io gli direi solo un sincero grazie e brav* a tutt*
Credo che siano in pochi a credere che alcune agenzie internazionali siano uno specchio di obiettività e non siano “un po’ schierate” (dalla parte della giustizia e della civiltà, ovviamente!) Chi siano Barbagli e Colombo non sono in grado di saperlo, ma mi sono permesso il lusso di metterli nel mucchio perché presentati come Pinocchio in mezzo ai due carabinieri dell’Arcigay e dell’agenzia europea (riconosco che sia stato un abuso… però…)
La realtà è che nei limiti intriseci di un blog non si può essere in grado di verificare né la correttezza metodologica, né l’attendibilità statistica di complesse indagini demoscopiche e di fatto ci affidiamo all’autorevolezza delle fonti (in più, nello specifico anche alla metodologia di rilevamento: un censimento rispetto ad un’indagine campionaria). Nella fattispecie, l’Istat vince per tantissimo a pochissimo.
Ma, dice Regalzi, il censimento non era anonimo per cui era ovvio che il “pride” omosessuale si dissolvesse come neve al sole.
Andiamo però a vedere cosa succedeva davvero nel 2011 (tutte informazioni ancora reperibili in rete e di cui posso dare i link, per chi proprio pensasse che sto lavorando di fantasia). Una gran quantità di gay di rilievo (tra gli altri, Luxuria, Paola Concia, Scalfarotto) hanno festeggiato il censimento come una vittoria del movimento omosessuale e fatto appelli pubblici per la partecipazione, assicurando che l’anonimato, nonostante la struttura della scheda, fosse assolutamente garantito dalle procedure. Erano proprio così schiocchini? Penso di no visto che l’Arcigay nel suo sito praticamente reclamava la paternità delle domande sulle convivenze e si faceva vanto di aver
«incontrato più volte ISTAT, i suoi ricercatori e i suoi dirigenti, proprio sul prossimo censimento, per trovare una soluzione idonea al conteggio delle famiglie conviventi gay e etero (anche in luce della normativa vigente, delle richieste Europee e della normativa sulla privacy), siamo a sgomberare il campo da ogni equivoco.»
Inoltre:
«Il censimento dirà il numero globale di coppie conviventi etero e gay per motivi affettivi.»
Si erano uniti all’Arcigay anche l’Associazione radicale Certi diritti, la Rete Lenford e Gay.it.
Ad abundantiam, l’ufficio stampa dell’Arcigay affermò:
«Qualunque altra ipotesi o illazione che sostenga che le coppie gay non saranno contate… omissis… fa il gioco pericoloso di “Avvenire”, che vorrebbe trasformare puerilmente una vittoria di tutti noi in una sconfitta.»
Potrei continuare a iosa sulla soddisfazione di quasi tutti i movimenti LGBT per il censimento. Poi, quando i risultati non sono stati quelli attesi, allora era tutta una bufala. Cosa di meglio che appellarsi alla dichiarazione dell’Istat di naturale prudenza statistica ed in fondo piuttosto banale, dal momento che si limita ad affermare che in ogni categoria ci sono solo quelli che hanno deciso di dichiarare di farne parte? Da questo a mettere in non cale l’intero censimento, ce ne corre assai. Con i dati del censimento, comunque, in ogni caso è necessario fare i conti.
«Credo che siano in pochi a credere che alcune agenzie internazionali siano uno specchio di obiettività e non siano “un po’ schierate” (dalla parte della giustizia e della civiltà, ovviamente!)».
Come no. Le agenzie internazionali sono solite falsificare i dati per i loro fini inconfessabili, lo sanno tutti. Se vai su Luogocomune troverai tutte le prove del caso.
«Chi siano Barbagli e Colombo non sono in grado di saperlo, ma mi sono permesso il lusso di metterli nel mucchio perché presentati come Pinocchio in mezzo ai due carabinieri dell’Arcigay e dell’agenzia europea (riconosco che sia stato un abuso… però…)».
Un argomento dalla forza incontestabile.
Quanto al lungo elenco di dichiarazioni che ci propini, non capisco cosa dimostri, se non che ci sia stato un invito alla partecipazione che non è stato seguito. Ho sotto gli occhi il questionario che ho compilato per la mia famiglia: nella prima pagina ci sono le generalità dei componenti. Tutte le rassicurazioni di questo mondo non possono annullare questo piccolo, scomodo fatto.
Io vorrei capire una cosa: a te sembra credibile che solo l'1,5% degli omosessuali italiani (correggo il 2% di un commento precedente) conviva con una persona dello stesso sesso? Il dato al denominatore viene dalla stessa Istat, e viene preso per buono persino dallo stesso Adinolfi. Ti sembra credibile che in Europa le percentuali oscillino tra il 15 e il 40%, mentre solo in Italia sarebbero dell'1,5%? O l'agenzia europea contro la discriminazione ha falsificato tutti i dati di tutti i paesi? Ma alcune di quelle percentuali hanno riscontro nei censimenti nazionali di paesi dove gli omosessuali hanno meno paura a dichiararsi. E cosa c'è di tanto straordinario nel fatto che un'alta percentuale di omosessuali non abbia voluto dichiarare di essere tale? Cosa rende questo fatto così straordinario da risultare incredibile – a parte la circostanza che è un fatto per te scomodo?
Abbiamo due possibili ipotesi sulla consistenza del popolo gay convivente. Banalmente: o sono tanti (e con un buon numero di figli) o sono pochi (e, di conseguenza, con pochi figli). Nella prima ipotesi (tanti), dopo svariati anni di militanza politica personale e delle loro associazioni, finalmente riescono ad avere una significativa presenza mediatica al punto da farsi riconoscere perfino dall’Istat che concorda con essi un censimento ad hoc (Arcigay dixit) e nonostante che lo stesso Istat, il garante della privacy e tutti gli esponenti di spicco del movimento si facciano garanti essi stessi della riservatezza dell’operazione, invece di cogliere l’occasione storica, si nascondono in massa! Ma questo non quadra: sarebbero le stesse persone che da una parte hanno il coraggio di convivere sotto gli occhi di tutti i circonvicini (i quali, per quanto cerchi di passare inosservato, prima o dopo ti sgamano e ti discriminano) e poi hanno paura di una complottarda “schedatura” da Luogocomune? Questo sì che è veramente poco verosimile: leone e coniglio insieme. È molto più probabile l’ipotesi alternativa che, seppur sottostimate, le cifre dell’Istat siano piuttosto vicine alla verità.
P.S. Che gli studi degli enti internazionali siano spesso a tesi non è un luogo comune e chi crede ciecamente ad essi mostra di avere un candore ammirevole e di cercare conforto nelle favole per grandi. Comunque, le condizioni tecnico-mediatiche di un blog non consentono di dare al contraddittore la possibilità di verificare l’attendibilità degli studi che vengono citati. Lei continuerà ad accontentarsi della concordanza di tanti studi internazionali, mentre io mi terrò stretto l’Istat per l’importanza che riveste un censimento ed anche perché altrimenti, come affermavo prima, non risulterebbe facilmente spiegabile il comportamento della stragrande maggioranza degli omosessuali.
Non commento la qualita' dell'argomentazione sui dati di Adinolfi ma credo che sarebbe da aggiungere una premessa fondamentale: anche ci solo una coppia gay questa dovrebbe essere tutelata come le altre.
In Italia ci sono massimo 35000 ebrei,meno dello 0.05% della poplazione: qualcuno (non bollato come razzista/antisemita) si sognerebbe di negagli il diritto a professare la loro religione con l'argomento che sono una minoranza insignificante?
«Ma questo non quadra: sarebbero le stesse persone che da una parte hanno il coraggio di convivere sotto gli occhi di tutti i circonvicini (i quali, per quanto cerchi di passare inosservato, prima o dopo ti sgamano e ti discriminano) e poi hanno paura di una complottarda “schedatura” da Luogocomune?».
La discriminazione dei vicini di casa può consistere al massimo nel non tenerti aperto il portone; si può contare sempre – almeno nelle grandi città – sul vivi e lascia vivere. Quando tutti sanno chi e cosa sei le cose cambiano radicalmente; immagino per esempio che nel tuo quartiere tutti sappiano che vai a messa la domenica, eppure per commentare su questo blog usi un nickname. Leone e coniglio insieme? No, l'ambito globale (beh, quasi globale) e quello locale sono molto differenti. Non c'è nemmeno bisogno di immaginare schedature «complottarde»: i dati stanno lì, in attesa del primo che passa. Ricordi quando qualche anno fa l'Agenzia delle Entrate rese pubblici per breve tempo gli elenchi dei contribuenti? Non c'era stata nessuna schedatura; erano i dati normali a loro disposizione. Credo che se cerchi nei posti giusti quegli elenchi siano ancora disponibili...
C'è poi una falla evidente nel tuo ragionamento: le associazioni gay falsificano o contribuiscono alacremente a falsificare tutte le indagini demoscopiche che le riguardano, perché – evidentemente – sanno che i numeri reali sono troppo miseri; poi, improvvisamente, si fanno in quattro perché l'Istat inserisca nel censimento delle domande sulla condizione omosessuale in modo da rivelare proprio quei numeri. Questa sì che sarebbe una contraddizione!
«Che gli studi degli enti internazionali siano spesso a tesi non è un luogo comune e chi crede ciecamente ad essi mostra di avere un candore ammirevole e di cercare conforto nelle favole per grandi».
Essere a tesi è cosa ben diversa dalla falsificazione a tappeto dei dati. E accuse tanto gravi andrebbero sostanziate (io i link agli studi li ho messi), altrimenti l'impressione che si dà è che si considerano automaticamente falsi gli studi che non collimano con i propri pregiudizi. Qui, finora, l'unico colto con le mani nel sacco a falsificare i dati (magari solo per ignoranza: gli voglio concedere il beneficio del dubbio) è il buon Adinolfi...
@Simone:
«credo che sarebbe da aggiungere una premessa fondamentale: anche ci solo una coppia gay questa dovrebbe essere tutelata come le altre».
È quanto ho scritto alla fine del post.
Si, mi scuso ma una argomentazione cosi lunga per contestare uno come Adinolfi ha superato il limite delle mie possibilita'.
@Simone
– Anche una sola coppia gay…
Ci sono buonissime ragioni totalmente laiche per opporsi al matrimonio omosessuale anche se ci fosse una sola coppia o se ce ne fossero centomila. Ripeto: ragioni laiche, senza nessuna concessione alla morale dei cattolici.
Se nel blog ci sarà un altro ennesimo post sull’argomento, sarò ben contento d’intervenire; farlo qui non mi sembra produttivo, dato che il tema è del tutto diverso. Però non ho difficoltà a confrontare le mie idee anche privatamente con chi fosse proprio curioso (per poterle eventualmente cambiare). Per il mio indirizzo mail, vedi appresso in “Conigli e leoni” per Regalzi.
@Regalzi
– Conigli e leoni:
l’esempio della partecipazione al blog usando uno pseudonimo per paura è il peggiore che si potesse fare. Questo è proprio il caso in cui si usa uno pseudonimo per difendersi dalla curiosità dei circonvicini e non dalla schedatura in ambito globale che, purtroppo, è già avvenuta e che, da leone coraggioso quale sono, ho già accettata! Infatti, chi vuol partecipare deve aver già dato almeno l’indirizzo di posta elettronica, altrimenti deve tacere (ripeto qui il mio: gs2800@gmail.com). E se Regalzi vuole, può conoscere il mio IP e altro. E Google sa perfettamente chi sono visto che accedo tramite un account g+ (me ne vergogno un po’, ma mi sono iscritto per sbaglio e già che ce l’ho lo uso per comodità, anche se il meno possibile).
Sia chiaro che considero la schedatura elettronica uno dei problemi più seri della nostra società informatizzata, ma è molto, ma molto, ma molto (con tanti “molto” quanti ve ne paiono opportuni) ma molto più grave di quella dell’Istat. Ne sono talmente convinto che personalmente ho risposto al censimento ma ho rifiutato qualsiasi servizio informatico di tipo cloud, anche se facilitano la vita. Mi piacerebbe sapere quanti siano coloro che non hanno risposto al censimento ma usano i servizi cloud per consultare la propria loro agenda, per “mettere al sicuro” i propri file e magari non hanno la minima idea di quanto sarebbe necessario cifrare la propria corrispondenza!
– Inverosimiglianze.
Vorrei concludere, per quanto possibile, constatando che ognuno di noi considera inverosimili due fatti diversi e non credo ci sia possibilità di convincerci l’un l’altro. Il mezzo che utilizziamo (il blog) lo rende impossibile: non basta dare i riferimenti degli studi ai quali ci si appoggia perché è presumibile che chi decide d’intervenire con un parere su di un blog abbia dei limiti di tempo (è il mio caso) e conoscenze (almeno per queste non è il mio caso perché queste ci sarebbero ed anche in modo abbondante. Non lo dico per vantarmi, ma a questo punto è necessario chiarire che conosco piuttosto bene gli studi delle agenzie europee e so come funzionano).
– Il vero bersaglio.
Ma c’è anche un’altra osservazione che era implicita e che forse avrei fatto bene ad evidenziare fin dall’inizio: vi siete tutti scagliati contro Adinolfi e Volpi, ma erano il bersaglio sbagliato ed anzi sono quelli che ne escono meglio. Infatti il loro scopo era quello di prendere atto dei risultati del censimento per poi tirar l’acqua al loro mulino (legittimamente). Lei stesso ha confermato che non hanno introdotto grossi errori nel riportare i numeri del censimento se non per l’errore materiale di leggere il numero di coppie omosessuali conviventi con figli come se fosse il numero di figli (anche se così facendo l’ordine di grandezza del fenomeno non viene falsato in modo grave). E per sovrammercato, l’altro errore materiale sul numero delle coppie conviventi era favorevole alle tesi LGBT. In questo senso, hanno ragione loro. Ma è evidente come il vero bersaglio non siano loro ma l’Istat ed il censimento che va buttato a favore di altri studi: legittimo (forse), ma non è una responsabilità del duo Adinolfi-Volpi.
Solo una precisazione: come del resto ho già detto nel post, non ho messo in evidenza le imprecisioni di Volpi-Adinolfi per mostrare che la loro tesi è sbagliata – visto che sono troppo lievi per essere davvero significative – ma per rivelare il modus operandi di Adinolfi: copia-e-incolla senza verifiche per i dati che gli tornano utili(e senza citare le fonti), rifiuto di quelli che non gli tornano utili con la scusa che sarebbero inventati. Quando parlo di falsificazione dei dati da parte di Adinolfi mi riferisco a quanto è emerso dalla prima parte di questa serie di post, non alla vicenda del censimento.
@Fra Diavolo
Sarebbe interessante piu che capire le sue (supposte) ragioni il motivo delal sua excusatio non petita. Qualcuno l' ha accusata di esser eun integralista cattolico?
Guardi che basta avere un libro, anche scadente, di storia per sapere che le discrimazioni dell' omosessulita' crescono e proliferano benissimo tra i non credenti.
Giuliano Ferrara mi risulta laico e ateo, per dire il primo
@Simone
Nessuna excusatio ma una semplice semplificazione in vista di una eventuale discussione visto che nella quasi totalità dei casi nei quali ho provato ad illustrare ad altri le mie ragioni che mi costringono a rifiutare una legge che consentisse le nozze omosessuali, al dunque mi son trovato obbligato a perdere la maggior parte del mio tempo a spiegare che non si fondano né su una visione religiosa, né su una qualsiasi morale che ne potrebbe risultare violata.
Pertanto, ho cercato solo di semplificarmi la vita di partecipante al blog.
@Anonimo (chi sarà?)
Nel momento che scrivo non vedo ancora la mia risposta a Simone che mi sembra sufficiente a motivare la non excusatio. Comunque, a me risulta anche che a Giuliano Ferrara sia stato appioppato l’appellativo di “laico devoto”. Appellativo che rifiuto se rivolto a me.
@Fra Diavolo
Non mi scriva un trattato (ho una qualche esperienza in materia) ma me ni dice almeno 3 di queste buonissime ragioni? Per cortesia sia originale.
@Simone
Mi fa piacere che si sia incuriosito, anche se in realtà lei lancia solo una sfida, sicuro di vincerla (e per questo mostrandosi un po’ arrogante, se mi permette di farglielo notare).
Però ha prestato poca attenzione. Ho già detto che «Farlo qui non mi sembra produttivo, dato che il tema è del tutto diverso». Lascio la palla a Regalzi, padrone e signore del post.
P.S. Perché tre? Se buona, di ragioni ne basterebbe una (e per la quale l’originalità sarebbe solo un optional inessenziale).
In effetti sono curioso anch'io: sentiamo quali sono queste ragioni (magari senza far partire una discussione interminabile).
@ Fra Diavolo
L'arroganza e' di chi sostiene una tesi intrommetendosi in una discussione con altre persone senza nemmeno portare un argomento a sostegno.
Inoltre e' lei che ha usato il plurale quindi sicomme immagino che siano almeno piu' di due (avrebbe detto un paio), tre mi pareva un numero piu' che sufficiente, poi sa io sono cattolico (almeno cosi sostiene il parroco del mio paese) quindi ho una affinita' che il numero 3.
È noto che persino sotto la copertura dell'anonimato esista una parziale resistenza a dichiarare le proprie scelte e preferenze quando percepite come minoritarie, figuriamoci quando come nel caso del censimento la dichiarazione resa non è anonima. In una discussione seria, poi, basterebbe la nota di cautela dello stesso Istat a suggerire di non dedurre troppi fatti dai dati forniti. Ma l'aspetto veramente grottesco è come si faccia a sostenere impunemente che questi dati, se presi per veri, diano sostegno alle tesi da sempre sostenute quando hanno l'effetto esattamente contrario: poiché grottesco e al limite dello sclerotico apparirebbe a questo punto la convinzione a più riprese sostenuta che quattordici milioni di famiglie "regolari" siano minacciate pericolosamente dalle richieste di 7500 coppie conviventi dello stesso sesso. Immaginatevi l'effetto della proporzione: l'equivalente numerico di quattro scuole di grandi dimensioni (ciascuna di una decina di sezioni) costituite interamente di coppiette "tradizionali", che sarebbero "minacciate" da una singola coppia omosex che si trovi a passare di lì. Quando uno dice: convinti delle proprie scelte di vita.
E' divertente vedere che i cattolici devono tollerare qualcosa in Italia; fino adesso erano solo i non cattolici a dover tollerare; adesso che la religione ha fortunatamente perso molto del suo potere culturale ed educativo se ne può misurare la reale capacità di tolleranza
@Anonimo (quello delle 10:03)
Non capisco che ci azzecchi in questo post il suo riferimento ai cattolici.
Posso solo ringraziarla perché così facendo ha confermato a Simone che la mia non era una excusatio non petita ma una quasi certezza che qualcuno, prima o dopo, avrebbe cercato di introdurre il tema “cattolici”.
@Simone
Mi dispiace che si sia offeso, ma non capisco perché consideri una mia arroganza il partecipare ad una «una discussione con altre persone senza nemmeno portare un argomento a sostegno» dal momento che ho esplicitamente rimandato a Regalzi la decisione dell’opportunità di intraprendere questa strada che mi sembrava non pertinente al post (e Regalzi ha invitato manzonianamente a proseguire: “Adelante Pedro con juicio”).
La polemica sul “numero” di ragioni mi sembra un po’ vuota: non conta quante siano, ma quanto siano fondate.
@paolo de gregorio
Mi sembra che la sua polemica non debba essere indirizzata a me (ma forse non lo era) che mi sono limitato ad evidenziare come alla fin fine Adinolfi abbia dato indicazioni numeriche RELATIVE AL SOLO CENSIMENTO che, almeno come ordine di grandezza, sono sostanzialmente corrette. Poi, di quei numeri, ognuno ne faccia quel che gli sembra giusto: anche nel WC se gli sembra il posto giusto dove destinarli.
@paolo de gregorio
A precisazione del commento precedente: confermo che non sono entrato nel merito se quei numeri siano a sostegno della tesi pro-gay o della tesi anti. E’ invece vero che ho discusso con Regalzi sulla verosimiglianza del nascondersi in massa da parte dei conviventi gay, con il corollario, però, che se ciò fosse davvero avvenuto, sarebbe stato un comportamento irrazionale da parte di quegli stessi che magari scrivono ai blog, si tuffano nei socialnetwork, usano i servizi cloud, non pensano minimamente all’opportunità di cifrare la propria corrispondenza e si espongono a chissà quante altre “schedature” molto più pericolose di quella eventuale dell’Istat.
@Fra Diavolo:
Almeno non citi Manzoni a sproposito!
@ Regalzi:
Credo di aver incontrato Fra Diavolo altrovo con un altro nick, se non vuole perdere tempo lasci perdere.
@Fra Diavolo:
«E’ invece vero che ho discusso con Regalzi sulla verosimiglianza del nascondersi in massa da parte dei conviventi gay, con il corollario, però, che se ciò fosse davvero avvenuto, sarebbe stato un comportamento irrazionale da parte di quegli stessi che magari scrivono ai blog, si tuffano nei socialnetwork, usano i servizi cloud, non pensano minimamente all’opportunità di cifrare la propria corrispondenza e si espongono a chissà quante altre “schedature” molto più pericolose di quella eventuale dell’Istat».
Qui la parola chiave è «magari»: non possiamo ovviamente conoscere le abitudini di navigazione in rete di chi non ha risposto in modo veritiero al censimento, quindi tutto questo discorso è in realtà puramente speculativo. E anche se non lo fosse, dimostrerebbe solo che molta gente non ha le conoscenze tecniche per comprendere certi rischi. Quanto alla schedatura «eventuale» dell'Istat, ho già detto che non sto assolutamente parlando di schedature.
@Simone:
Può essere. Ma vediamo comunque cos'ha da dire (anche se sta tardando alquanto a dirlo).
Non capisco l'invito a lasciar perdere da parte di Regalzi. La citazione manzoniana non era appropriata? Cercavo in qualche modo di non «far partire una discussione interminabile», almeno per quanto possa dipendere da me. Sto solo pensando ad essere sintetico, chiaro e non provocatorio (mi pare ci sia molta gente suscettibile in giro)
E' vero: probabilmente usavo lo psuedonimo "Michele Pezza da Itri" (che sempre Fra Diavolo era)
@Simone
Ma forse abbiamo anche da lavorare ed abbiamo una vita sociale al di fuori del blog. Penso che in giornata/nottata qualcosa dirò.
«l'invito a lasciar perdere da parte di Regalzi».
Da parte di Simone, casomai.
Credo di aver indirizzato male la risposta sul lavoro e sulla vita sociale che non consentono di rispondere colpo su colpo. Ma il concetto va bene per tutti.
Devo uscire e nella fretta mi si sono "aggrovigliati" gli interlocutori. Chiedo scusa tutti.
Lo dicevo io! Schedato da Simone…
sopravviverò!
@ Fra Diavolo
Stia tranquillo che sulla questione delle presunte orde minacciose di famiglie omosessuali che minacciano le famiglie mulino bianco non mi rivolgevo a lei e forse neanche interamente a Mario Adinolfi, o colui dal quale ha dedotto i dati e mutuato i commenti: non ricordo e non so infatti se questi personaggi si siano recati in piazza per manifestazioni varie "pro famiglia", anche se propendo per il pensare che vi abbiano partecipato oppure ne abbiano sostenuto le ragioni. Ciononostante do per assodato che tra coloro ai quali questi ultimi articoli si rivolgono ci siano molte di quelle persone e non mi pare che Adinolfi ne volesse smontare le assunzioni, dicendo che in realtà le coppie conviventi dello stesso sesso siano pochissime e quindi prevedibilmente "innocue". Si vuol affermare che i numeri sono trascurabili, ma anche pretendere che si abbia a che fare con una chiassosa, minacciosa lobby con potere destabilizzante? I neuroni che fanno capolinea, pur di propagandare pregiudizi irrazionali.
Sui numeri nudi e crudi certamente sì, ho già ripetuto come altri che abbiamo due istituti che riportano cifre non reciprocamente compatibili, ma di questi è l'Istat a precisare le limitazioni del valore di quei numeri e quindi non si capisce perché si debbano preferire quelli dell'Istat su questo punto. Sono virtualmente certo che se a uno degli studiosi che hanno steso il rapporto venisse chiesto un parere sui numeri dell'altro istituto questi li definirebbe (come si suol dire) "non incompatibili". La contraddizione non esiste, cioè non è palese, semplicemente: perché chi fa statistica sa che certe inferenze sono deducibili solo da condizioni appositamente disegnate e per questo tra l'altro esiste un'infinità di campi dove ai rispondenti è garantito in modo perentorio l'anonimato. Adesso vogliamo metterci a sostenere che da decenni tutti le maggiori indagini statistiche professionali abbiano perso inutilmente risorse, tempo, energie?
D'altronde concordo anche con quanti mettano in evidenza il quasi nulla che da questi numeri possiamo dedurre in merito ad eventuali diritti. Io non ho mai sentito o letto un giudice rivolgersi ad un ricorrente con l'argomentazione "ma è solo lei a chiedere questo diritto, le sembra che dandole ragione farei giustizia agli altri sessanta milioni"? È un'argomentazione risibile quella di dedurre qualcosa dalla forza o meno dei numeri, almeno come argomentazione di diritto tutelato. Che poi i numeri contino per il legislatore quando deve prendere atto degli "usi" della società è un altro discorso, ma anche in questo caso i numeri dovrebbero essere quelli della società globale libera, non certo quelli entro le mura di casa: per cui anche da questo punto di vista i numeri di Adinolfi contano zero, nill.
@fadiavolo non ho capito sta dicendo che Adinolfi non è cattolico o che non c'entra col post?
@l’Anonimo delle 15:06 del 27/11
Che Adinolfi sia cattolico, a me non interessa proprio; penso però che si possa affermare che il post fosse incentrato sulla sua attendibilità di fornitore di numeri. O forse sulla sua correttezza deontologica. Non so interpretare meglio Regalzi, il quale, se vorrà, potrà essere più preciso.
Su tutt'e due. Non mi sembra così difficile da interpretare.
Sulla discriminazione
Prima parte del perché il matrimonio gay non s’ha da fare, né domani né mai (tanto per abusare in citazioni manzoniane)
Ci serve una definizione cui riferirci, e questa mi sembra “passabile”: “Si ha discriminazione quando non si attribuiscono a due persone, che si trovano nelle stesse condizioni, gli stessi diritti e doveri”. In modo speculare, si ha discriminazione quando si danno gli stessi diritti e doveri di cui è portatrice una persona, ad un’altra che non si trovi nelle medesime condizioni che li hanno motivati nei riguardi della prima.
Ora, che succederà in Italia? Io sono convinto che, nonostante il mio parere contrario (che conta come il due di briscola), il matrimonio omosessuale si farà (allegri!), qualunque sia il nome che gli appiccicheranno. Allora cerchiamo di capire come funzioneranno le cose a giochi fatti e prendiamo in esame il percorso di vita lavorativo e sociale della persona tipo, più o meno quella persona che non ha diritto di chiedere nulla alla società (salvo casi di necessità), quale un giovane che ha terminato gli studi e che entra nel mondo del lavoro (se lo trova). Egli non deve chiedere nessun trattamento di favore alla società ed anzi è chiamato a sostenerla pagando le tasse. A questo punto cerchiamo di confrontare lo slalom parallelo di due di queste persone (il sesso non ha rilevanza, per non aggiungere anche il problema delle quote rosa). Ognuno dei due dovrà costruirsi il suo percorso sociale e lavorativo e le cui differenze dovrebbero essere determinate dalle loro capacità personali o anche dalle differenti condizioni sociali da cui eventualmente provengono.
Poi, ad un certo punto del percorso di vita, uno dei due instaura una relazione con un’altra persona con cui condivide casa e quant’altro (ai fini della mia tesi, il mix dei sessi è irrilevante), mentre l’altro rimane single (magari per scelta o per disgrazia: questo non conta). Una cosa assolutamente certa è che quello dei due che ha costruito una convivenza vive meglio del single (dal punto di vista economico non ci sono dubbi: basta l’esempio degli studenti fuori sede; poi ci sono mille altri momenti di aiuto reciproco, quale quello, tanto per fare un esempio minimo, che posso andare al cinema perché c’è qualcuno che mi porta il cane a spasso altrimenti non posso andarci per non correre il rischio di trovare la cacca sul divano, ecc.) Come già detto, il mix sessuale della coppia è del tutto irrilevante e possiamo vedere gli aspetti psico-socio-sessual-affettivi della relazione come ulteriori benefit gratuiti.
Ma i vantaggi degli sposati non finiscono qui perché, proprio in quanto sposati, avranno un “poderoso” aiuto dallo stato, quale la pensione di reversibilità, preferenze in concorsi, precedenze per le case di edilizia popolare, ecc. ecc. Qui necessita una precisazione: è facile dire che in realtà gli aiuti statali alle coppie sposate sono troppo bassi rispetto alle loro esigenze (come pe dì: “Ma de cchè stamo a parlà?!»), ma è proprio quando i soldi sono pochi che bisogna gestirli bene e poi sono sempre qualcosa in più dello zero che prende il single.
In conclusione qui abbiamo una evidente e paradossale discriminazione a favore degli sposati nei confronti del single (sia che la coppia sia omo che etero). Insomma, è il matrimonio, qualunque esso sia, che discrimina.
Ovviamente, la storia non finisce qui, ma penso ci sia sufficiente carne al fuoco per esserci arrostito sopra anch’io e a questo punto vorrei capire se per qualcuno di voi il ragionamento fatto fin qui si regga in piedi oppure abbia delle falle.
@ Fra Diavolo
Premetto per solo onor di cronaca che per me personalmente l'interesse per l'istituzione matrimonio si esaurisce in notevole misura nel diritto all'assistenza reciproca e di tutela dell'autonomia reciproca di scelta, e che tutt'al più dal punto di vista economico trovo più cogenti le questioni relative al subentro in eredità che quelle relative a pensioni, assegni, tetto coniugale e quant'altro. Premesso altresì che quando entrino in gioco famiglie numerose non si debba a mio parere guardare allo status dei genitori ma a quello complessivo del nucleo e comunque a tutela dei figli; ancora premesso che a tal proposito mi parrebbe giusto agevolare famiglie (a qualunque titolo) con figli, le dico questo. Che a mio parere quello di cui lei sta parlando non c'entra nulla con la discriminazione. La discriminazione è altra cosa: è disparità di accesso a tutele e diritti a fronte di parità sul piano civile. Il matrimonio "discrimina" secondo un'accezione che è diversa da quella che viene normalmente contestata: perché in realtà non discrimina, ma regolamenta, tutela, gestisce, ordina. Le disparità che ne conseguono sono con chi, beh, è bizzarro doverlo sottolineare: col matrimonio ha deciso di non entrarci nulla. Secondo questa accezione che lei suggerisce, io dovrei gridare alla discriminazione perché la domenica non bussano alla mia porta decine di persone a consegnarmi un obolo di offerte.
Lei può, o meno, decidere di iscriversi all'associazione sotto casa dove c'è un circolo culturale, cui dovrebbe avere liberamente accesso in regime di uguaglianza, se ne condivide i fini. Ma se quando va lì paga la birra meno di quel che io pago al bar, nessuno sta discriminando me.
Ora, detto ciò, è chiaro che sarebbe più che legittima la posizione di chi ritenesse che il matrimonio non rientri tra i mezzi per conseguire i fini della società (espressione che le è cara), visto che come lei osserva, tutto ha un prezzo. Ma questo è un discorso del tutto diverso da quello del piano delle discriminazioni: riguarda l'organizzazione sociale collettiva e le sue regole.
@paolo de gregorio
Lei m’inonda con una serie di distinguo che invece di chiarirmi cosa sia la discriminazione, un po’ mi confondono. Certamente avviene per i miei limiti e per la mia grettezza economica la quale mi fa credere di trovarmi davanti ad una discriminazione quando, tra due persone con le stesse caratteristiche, uno è in grado comprare una casa con sovvenzioni statali e l’altro no; quando da anziano uno ha un reddito da pensione di 1.500 € e l’altro da 1.000; quando uno si trova automaticamente avanti all’altro in una graduatoria importante; e così via in tanti altri aspetti della vita. Mi sembra evidente che siamo di fronte ad una discriminazione bella e buona. Ma, tra i due, chi è stato ad essere premiato dalla società? Per assurdo, il premiato è quello che ha già avuto una vita “facile” e non l’altro (e nella maggioranza dei casi, non perché non si è voluto iscrivere al “circolo culturale sotto casa” – come lei vorrebbe suggerire – ma quasi sempre perché non ha avuto la possibilità di farlo)
Questo thread, se non lo è già, rischia di diventare una seduta psicoanalitica.
@Marcoz
Non sarà certo colpa mia che parlo di quattrini…
Fra Diavolo, mica parla solo di quattrini, quando dice "tra due persone con le stesse caratteristiche, uno è in grado di…".
Qui c'è pure una questione di valore (presunto o reale) intrinseco della persona, di come ci percepiamo (e come siamo percepiti).
@ Fra Diavolo
Io ho già detto che io stesso non sono sicuro di vedere con favore tutti i termini delle pensioni di reversibilità, tuttavia mi sembra anche che al giorno d'oggi queste siano modulate in base alla condizione del superstite. Queste pensioni nascono da un motivo storico ben preciso: molte donne dedicavano l'intera propria esistenza a fare le casalinghe e a badare ai figli, mentre gli uomini portavano a casa uno stipendio. La pensione di reversibilità non era altro che riconoscere che di fatto avevano svolto un lavoro, sacrificato comunque la propria vita e indipendenza economica al bene stare di marito e figli.
Va aggiunto che la pensione di reversibilità vera e propria al coniuge è collegata strettamente ai contributi pensionistici versati. In altre parole, l'ente pensionistico invece di "incamerare" il surplus versato lo mette a disposizione del superstite. Quindi, se vuole, è una mancata messa a disposizione della collettività di un quantum ad essa versato dal singolo. Inoltre essa in particolari casi di non esistenza del coniuge mi pare (se non erro) che possa risalire in verticale e persino "lateralmente" (fratelli?).
Dico ciò solo per precisare che, condivisibili o meno, le differenze di trattamento celano dietro di sé una precisa ratio e non sono dei bonifici arbitrari. Non è necessario condividere la ratio, ma riconoscerne l'esistenza.
Per tornare al linguaggio: esiste un'accezione letterale o neutra della parola "discriminazione", che equivale a dire "distinzione". Una tipica "discriminazione" nel senso di "distinzione" può essere quella che riguarda alcuni dipendenti pubblici -e se vogliamo parlare di trattamento pensionistico- quello che spetta a chi ha ricoperto cariche elettive. Ma queste distinzioni non rappresentano discriminazioni nell'accezione negativa comunemente intesa di "discriminazioni per causa arbitraria": come quando si parla di discriminazioni per causa di etnia, sesso, convinzioni politiche o religiose, inclinazioni sessuali. In altre parole, sarebbero discriminanti in questa ultima accezione pensioni che fossero accordate a Tizio perché è bianco, ma non a Caio perché è nero, oppure a Tizio perché positivista ma non a Caio perché panteista. Nel caso delle cariche elettive, non c'è discriminante per quel tipo di cause "arbitrarie" e quindi nemmeno discriminante è il trattamento economico in questa accezione, ciò non togliendo che lo stesso trattamento possa essere considerato iniquo, ingiusto o ingiustificato.
A mio parere lei sta tentando di associare il primo tipo di discriminazione, nel senso di cernita e distinzione, ma determinato da causa alla fonte non discriminante a priori, al secondo tipo (quello con accezione negativa) di discriminazione senza causa legittima e operante a priori. Riformulo semplicemente dicendo che nessuno le vieta di sposarsi nella speranza che il suo coniuge maturi contributi e pensione se tanto ci tiene, di divenire quindi per legge responsabile per quella persona, ed imputabile se viene meno ai suoi doveri: questo, se vuole proprio a tutti i costi una possibilità ipotetica di pensione di reversibilità. Lei è libero di smettere di essere "discriminato" in questa accezione da lei scelta, trovandosi un partner (di sesso diverso dal suo) verso il quale avrà sì diritti ma anche verso di lui obblighi di fronte allo Stato (ne deve ovviamente trovare uno d'accordo con lei). Vedrà che dopo aver assunto questi obblighi e diritti non sarà "discriminato". Non è la stessa cosa che se le venisse vietato di sposarsi perché "ha i capelli biondi" oppure le fosse poi negata la pensione di reversibilità perché "non ha gli occhi scuri".
Ho l’impressione che sia sfuggito il fatto che quanto scritto da me costituisse solo la prima parte (so che suona come una minaccia… e lo è) Lp scopo si limitava ad essere quello di dimostrare come ci fosse una disparità di trattamento ECONOMICO tra chi è sposato e chi non lo è a parità delle altre condizioni socio-economiche.
@Marcoz: sì, per ora parlo solo di quattrini! Che poi le persone siano anche altro e portatrici di valori, è ovvio e non me lo dimentico certamente.
@paolo de gregorio
Posso usare disparità di trattamento invece di discriminazione come voce con meno valenza di giudizio? Oppure suggerisca altra dizione che le sembri più congrua.
Il peso economico globale richiesto dal supporto fornito agli sposati da parte della società ha una dimensione enorme (e non si limita alla sola pensione di reversibilità, la cui logica è del tutto valida ancor oggi come lo era ieri e, forse, più di ieri) e bisogna chiedersi quali siano le ragioni per questo impegno così rilevante.
Forse il mio argomentare finora può sembrare arido, ma mi sembra una introduzione necessaria su di un aspetto di cui si deve tener conto.
Data l’ora notturna molto avanzata non sono in condizione di connettere lucidamente (vi consento la battuta che la cosa accade anche di giorno…) e non posso proseguire. Gli impegni familiari domenicali mi terranno certamente occupato, ma farò quel che potrò.
@paolo de gregorio
Mi piacerebbe essere d’accordo con lei almeno una volta, magari su una cosa anche minima. Così, tanto per un piacere personale! Ad esempio anch’io penso che il matrimonio «non discrimina, ma regolamenta, tutela, gestisce, ordina. Le disparità che ne conseguono sono con chi, beh, è bizzarro doverlo sottolineare: col matrimonio ha deciso di non entrarci nulla.» (a parte la questione semantica sulla parola “discriminazione”).
Invece, sull’affermazione che «sarebbe più che legittima la posizione di chi ritenesse che il matrimonio non rientri tra i mezzi per conseguire i fini della società […] visto che […] tutto ha un prezzo», si potrebbe forse essere d’accordo, ma solo dopo aver individuato ragionevolmente quale sia la ratio giuridica del matrimonio (analogamente a quanto ha fatto lei nel caso della pensione di reversibilità) ed aver espresso un giudizio su detta ratio.
È quello che cercherò di fare nel prossimo messaggio (a prescindere da quanto necessario per dare risposte puntuali ad eventuali osservazioni su quanto detto prima).
sì certo, la disparità colpisce "chi col matrimonio ha deciso di non entrarci nulla", adesso le coppie omosessuali che non possono sposarsi sono discrimintate perchè hanno deciso loro così
@Anonimo delle 9:49
Anche se la citazione per cui la disparità colpisce «chi col matrimonio ha deciso di non entrarci nulla» è di paolo de gregorio, mi permetto di evidenziare due cose:
1) mi sembra che lei confermi che lo stato matrimoniale introduce una disparità di trattamento da parte della società a favore della persona sposata rispetto a quella che non lo è;
2) mi sembra anche evidente, ed in questo lei ha ragione, che sia sottinteso che si applichi a chi ne abbia l’effettiva possibilità giuridica di farlo. Gli omosessuali non ce l’hanno (per ora) e quindi non si applica a loro. Il problema sul tavolo è da vedere se esista una ratio giuridica che giustifichi queste disparità e, qualora la si consideri ragionevole, se sia applicabile anche alle coppie omosessuali.
Una precisazione.
Nella risposta a Anonimo delle 9:49 a un certo punto dico che
«Il problema sul tavolo è da vedere se esista una ratio giuridica che giustifichi queste disparità e, qualora la si consideri ragionevole, se sia applicabile anche alle coppie omosessuali.»
Mentre lo scrivevo pensavo che fosse evidente dal contesto, ma, ad evitare equivoci con botta e risposta, chiarisco meglio: bisogna vedere se esista una ratio giuridica che giustifichi le disparità tra una persona sposata ed una non sposata (non tra le coppie sposate e quelle non sposate). Prima di decidere quali siano le coppie matrimoniabili, bisogna vedere se il matrimonio stesso abbia un minimo di senso sociale e quale esso sia, ossia se e per quali ragioni possa essere ragionevole privilegiare due persone come coppia rispetto al comune cittadino (parliamo di quattrini, per ora).
Per Fra Diavolo
Io non capisco perché prenderla così larga.Ammesso pure che il matrimonio discrimini (in un accezione negativa) i single, questo come potrebbe essere pertinente nel dibattito sui matrimoni gay?
Stiamo alla situazione concreta: i gay in Italia non si possono sposare, gli etero sì. Quali sono gli argomenti che lei trova convincenti per negare questo diritto?
Brad
Faccio mia l'esortazione di Brad a venire al punto. Ricordo che avevo chiesto esplicitamente di non far partire una discussione interminabile.
Prendo l’impegno di completare l’argomentazione entro domani mattina (e forse anche entro oggi).
Ho già detto che cercherò d’individuare quale sia l’interesse della società ad investire così tanto sul matrimonio al punto di operare contro la giustizia distributiva (che rimane pur sempre uno degli principi centrali di una società “giusta”) creando una palese e grave disparità di trattamento tra il singolo sposato e il singolo non sposato. Io credo che il motivo esista e ben fondato, ma credo anche che ne discenda che il matrimonio omosessuale non sia conforme a quell’obiettivo.
A presto…
a spanne uscirà un argomento così riassumibile:
siccome ci sono discriminazioni tra chi si vuole sposare e chi no, allora il matrimonio è per sua nataura un istituto che prevede discriminazioni
@Anonimo delle 9:52
Mi scusi, ma lei dov’era? L’argomento che lei ipotizza esca fuori (cioè che il matrimonio è per sua natura un istituto che prevede discriminazioni) è già uscito fuori da un pezzo, ma forse lei era sintonizzato su qualche altro blog ed è stato paracadutato qui alle 9:51. È proprio così: il matrimonio discrimina il singolo non sposato rispetto al singolo sposato. L’ho ripetuto tante di quelle volte che giustamente Regalzi mi ha richiamato all’ordine invitandomi a completare l’argomentazione.
allora lo articolo meglio, posto che l'istituto prevede discriminazioni, se discrimina gli etero allora può discriminare anche i gay
@Anonimo aggiornato alle 10:53
La vorrei tranquillizzare che non sarà questo il percorso della mia argomentazione.
Speriamo però, Fra Diavolo, che dopo tanta attesa, dopo questa prolungata danza dei sette veli, non ci faccia vedere delle banalissime tette finte.
@ Fra Diavolo
"Posso usare disparità di trattamento invece di discriminazione come voce con meno valenza di giudizio?""
C'è una disparità. Una disparità che discende da un principio. La stessa nostra Costituzione prescrive che si incentivino le formazioni sociali: che ciò preveda eventualmente disparità di trattamento economico è una possibilità contemplata. Viene riconosciuta una valenza sociale e di comunità a certi tipi di formazione (si pensi anche alle detrazioni fiscali) che può ben giustificare il fatto che essa esuli da un calcolo di ritorno economico (ma non è detto che sia così e ci tornerò). Per esempio, in altro ambito: non è detto che l'assistenza pubblica agli ammalati abbia un ritorno economico, o meglio, è ben possibile che non lo abbia sempre, ma questo non vuole dire che il valore della sua implementazione per la comunità non renda sostenibile il dispendio economico. Nelle formazioni sociali esiste un'incentivazione che parte da un presupposto di valenza positiva non strettamente economica per la collettività.
"Il peso economico globale richiesto dal supporto fornito agli sposati da parte della società ha una dimensione enorme"
Non so quanto questo punto sia e sarà rilevante alla discussione, anche alla luce di quanto ho appena precisato, ma mi pare un'affermazione un po' troppo forte e difficilmente dimostrabile. Quanto è il risparmio sulle ospedalizzazioni evitate perché c'è stato un coniuge a fare da infermiere? Quanto sulle disabilità, quando spesso accade che in famiglia si svolga il 99% dell'assistenza continuativa? I ricorsi a psicologi sono statisticamente maggiori o minori? Certo, sarei d'accordo che accade anche tra chi non è sposato e non vedrei di cattivo occhio un meccanismo di verifica a posteriori della reale assistenza fornita anche tra chi non è coniugato, e tuttavia qui c'è un punto addizionale non irrilevante: che quell'assistenza personale nel matrimonio che solleva la collettività da notevoli costi è stata assunta come responsabilità di fronte alla legge, tanto che nei casi più estremi si è addirittura perseguibili nel farla venire meno.
"dopo aver individuato ragionevolmente quale sia la ratio giuridica del matrimonio".
Potrebbe anche rileggere il testo del rito civile, il codice cosa prescrive. Penso che la ratio sia in buona parte deducibile con linearità da lì: assunzione reciproca di responsabilità, cui viene evidentemente riconosciuto valore indiretto per la collettività, e di cui tra l'altro la stessa collettività viene in parte giocoforza sollevata.
@Marcoz
Forse cambierò il mio pseudonimo in Salomè… È un buon suggerimento e ci debbo pensare!
La vera bravura sta nel creare l'aspettativa; soddisfarla è un'altra storia.
Abbiamo stabilito (rectius: io ho stabilito) che il matrimonio crea discriminazione per cui dovrebbe semplicemente essere abolito. Non è una proposta peregrina: il libero amore è stato costantemente riproposto da sempre da molti pensatori e riformatori sociali (e corrisponde specularmente alla visione polemica dell’Anonimo aggiornato). Eppure, l’istituto matrimoniale, con mille varianti, ha attraversato la storia dell’umanità senza eccezioni di rilievo (tranne che nelle intenzioni di alcune società totalitarie, anch’esse però obbligate a consentire una qualche strutturazione del matrimonio e della famiglia, anche minima; perfino Sparta).
Quale potrà mai essere uno scopo adeguato e tale da giustificare che la società a investa un’enorme quantità di risorse per perseguirlo, anche a costo di creare una grave (ma solo apparente) discriminazione? Uno scopo del genere esiste ed è cosa talmente banale, ma contemporaneamente tanto pervasiva del tessuto sociale, che si corre il rischio di non vederla. Una delle finalità che può essere chiamata a sostenerne il ruolo è una che costituisce uno degli interessi primari, se non forse il primo in assoluto, di ogni organismo sociale (come per quelli naturali) è la sopravvivenza, fisica e culturale (e questa, ovviamente, presuppone quella).
Come si garantisce la sopravvivenza fisica della società? La risposta è banalissima: prima di tutto facendo figli. Ripeterò ancora una volta che il biblico “Crescete e moltiplicatevi” non è chiamato in causa e non penso neppure che l’unico scopo del matrimonio sia “fare figli” (come molti pensano che altri pensino). E non è neanche una nobile scelta a favore dei posteri, ma una necessità per tutti di noi. Non nel senso che ciascuno debba fare i propri figli, ma nel senso che il bilancio complessivo dovrà essere adeguato. Non è solo una questione di far quadrare i conti dell’Inps (per ora ci aiutano gli immigrati), ma nel senso che quando sarò vecchio e non sarò in grado di allacciarmi le scarpe, potrò anche star seduto sopra un metro cubo di ricevute di contributi, ma purtroppo le ricevute non saranno in grado di farlo per me. Ugualmente, se ancora giovane mi ammalerò e sarò ricoverato in ospedale, gli infermieri di carta non mi serviranno. E così via, con un elenco infinito di esempi.
La sopravvivenza della società può giustificare una differenza di trattamento tra chi partecipa attivamente a realizzarla e chi no? Questa sì che è una domanda retorica! Una coppia omosessuale non può dare il suo contributo per lo scopo, per cui ha senso che non usufruisca dei benefici che lo stato concede alle coppie che presumibilmente faranno figli. Ricordo ancora che non si toglie loro nulla che loro non spetti come persone (saranno trattati come i single).
In altri termini, è il banale adagio per cui non si spara alle mosche col cannone. Se vedo uno che usa il cannone, mi attendo che stia mirando a qualcosa di grosso. Se vedo che la società spende uno sproposito per sostenere le coppie sposate, cercherò un obiettivo proporzionalmente adeguato: il generare e allevare figli, non solo lo è certamente, ma probabilmente corrisponde ad una buona allocazione delle scarse risorse di cui disponiamo.
Credo di conoscere più o meno tutte le obiezioni (e le relative risposte) che nel tempo mi hanno fatto tutti i miei conoscenti con cui da tempo discuto sull’argomento e che provo ad elencare (risponderò se qualcuno le avanzerà e se Regalzi lo consentirà):
– se c’`e discriminazione, allora non ha senso il matrimonio neppure per le coppie eterosesssuali (penso di aver già risposto);
– il matrimonio ha anche una valenza interpersonale che deve essere riconosciuta anche socialmente;
– l’amore tra due persone è l’essenziale;
– prima facciano i figli e poi si potranno sposare;
– non facciamo sposare gli ultra sessantenni;
P.S. @paolo de gregorio
Al momento di pubblicare il mio commento mi accorgo che ha appena pubblicato il suo. Complesso come al solito. Per sopravvivere, pubblico senza leggerlo e poi vediamo.
Parturiunt montes, e ci ritroviamo con il sempiterno argomento: il matrimonio serve a far figli. Ma sentiamo: qual è la tua risposta alle ultime due obiezioni (coppie eterosessuali senza figli), che tu stesso hai elencato?
non ci credo,
il motivo della discriminazione è che il matrimonio serve alla procreazione attraverso cui si tutela la sopravvivenza fisica e culturale della società.
(e ci volevano settordici post di settordici righe per dirlo ?) ma ciaone proprio
@ Fra Diavolo
Si è accorto della patente contraddizione (o indipendenza sistemica) nelle sue conclusioni, alla luce della sua lunga premessa? Lei è partito dalla pensione di reversibilità ed ha finito per giustificarla col fatto che due eterosessuali possono procreare. Ma la pensione di reversibilità non è garantita ai figli (a meno che minori e senza genitori), bensì al coniuge. E a questi è garantita a prescindere dall'esistenza e numero della prole. Questa disparità, che lei chiama discriminazione, quindi, non può trovare giustificazione nella (ne è chiaramente sanata dalla) propensione alla "prosecuzione della specie", sia perché ne è indipendente, sia perché non la pone come premessa, sia infine perché non riguarda in prima istanza la prole ma il coniuge.
In sintesi, lei prima pretende di asserire che i favori economici "discriminanti" sarebbero ingiusti, per poi finire nel dichiararli giusti perché a tutela di ciò che essi non tutelano affatto (almeno in prima istanza).
Detto ciò, sicuro che le mie obiezioni cogenti fossero già presenti nel mio messaggio che ha preceduto la sua ultima disquisizione, ribadisco che sembra che lei trascuri integralmente l'intero istituto matrimoniale così come configurato nel nostro ordinamento civile, pretendendo di fatto che esso non riguardi i coniugi prima che i figli. Si sbaglia: a tutela dei figli vi sono altri articoli, in particolare ve ne sono sempre più che equiparano i minori tra loro a prescindere delle circostanze familiari in cui si trovassero all'origine.
Mentre non intendo negare che esista una seconda finalità di fondo che è il favorire le condizioni per lo sviluppo di una famiglia più allargata, questa eventualità non sembra affatto essere la ratio peculiare, centrale e dichiarata dell'istituzione "matrimonio", visto che essa prevede precise prescrizioni ed uso e consumo esclusivo dei due contraenti, all'origine, dal primo giorno, e a prescindere da qualunque ulteriore ipotetico progetto, realizzabile o meno, di un allargamento numerico. Ne pone in premessa degli "anticipi" di prescrizione, questo sì, ma ne resta comunque indipendente nella sostanza costitutiva.
Forse confonde con troppa facilità le parole del rito religioso con quelle del rito civile.
E' genitore chi presta le cure parentali.
E comunque una coppia di omosessuali può procreare senza problemi utilizzando metodiche di fecondazione assistita e di maternità surrogata.
Quindi pare che il problema non sussista. Almeno oggettivamente.
@Anonimo delle 18:57 (quale sarà dei precedenti?)
Un «ciaone» non è un argomento. Provi a sforzarsi: se ha deciso di partecipare a un blog penso che abbia il piacere di esprimere il proprio pensiero con tutti e perfino con me (ma forse m’illudo).
@Caro Regalzi
L’accenno ad un “sempiterno argomento” mi è dispiaciuto molto, visto che è il mio, mentre così sembra che non meriti una risposta. Il matrimonio non “serve” a far figli, mentre l’interesse della società per il matrimonio delle coppie eterosessuali è dovuto innanzi tutto alla consapevolezza che è lo strumento da sempre utilizzato ed il più efficiente ed economico per garantire la sopravvivenza fisica e culturale della società stessa.
Prevedo di rispondere in nottata o al massimo domani alla sua richiesta sulle coppie eterosessuali senza figli (che prima o preso un po’ di striscio).
@paolo de gregorio
Posso parlare solo di quel che son penso di aver compreso (le ripeto che riuscirci a volte mi è un po’ arduo, ma prometto di applicarmi di più).
Mi riferisco al paragrafo in cui pone in dubbio che il peso economico sia sia enorme. In realtà ammette che lo possa essere, anche se difficilmente dimostrabile. Io penso, invece, che sia oltre che intuitivo, anche dimostrabile. Mi sembra per di più che la sua argomentazione sia a sostegno della mia tesi: il 99% dell’assistenza continuativa avviene in famiglia? Ma la differenza che conta e ha peso non è costituita dall’assistenza verso il coniuge, di cui nessuno nega la rilevanza (anche sociale). In questa discussione l’assistenza al coniuge pesa a mio favore perché questa è già “conteggiata” in una convivenza ed è pur sempre un vantaggio di cui la persona che vive da sola non gode. Ancora una volta risulta evidente che chi convive sta meglio, tanto è vero che lo riconosce anche lei quando ammette che non c’è bisogno del matrimonio perché s’instauri l’assistenza reciproca. A questo punto non si vede perché debbano avere ulteriori benefici che il single non avrà. Non credo si possibile giustificarlo con la bislacca motivazione che già stanno meglio di lui. Ben altra storia, invece, quando prendiamo in esame l’assistenza ai figli effettuata dalla coppia genitoriale: basta un solo figlio per incasinare totalmente la vita. È assolutamente vero che nulla può sostituire con lo stesso livello di qualità la cura parentale e neanche con la stessa economicità. Ma, contemporaneamente, implica, da parte dei genitori, un dispendio di danaro, di fatica, di attenzione, di preoccupazione, di organizzazione, di passioni da ridimensionare, di attività cui si deve rinunciare, di limitazioni alle aspirazioni di carriera, e non saprei che altro aggiungere, che devono essere riconosciute e per quanto possibile supportate dalla società, sia sul piano economico, che su quello delle facilitazioni. Per fare un esempio di facilitazioni, pensiamo precedenze nelle graduatorie: voglio evidenziare che ancora una volta pur essendo un benefit sociale, ancora una volta ha un risvolto economico perché sposta delle risorse concentrandole su di un gruppo (gli sposati, appunto) invece di distribuirle in modo uniforme
Il suo secondo messaggio (quello delle 22:59) mi manda ancor più in confusione e penso non mi abbia letto con attenzione.
Lei mi fa dire che sono partito dalla pensione di reversibilità per giustificarla con il fatto che gli eterosessuali possono procreare. È falso. Era solo uno dei tanti vantaggi economici che hanno i coniugati rispetto al singolo e, en passant, mi limitavo a contestare la sua opinione che oggi non abbia motivo di essere, senza però entrare nel merito del perché specifico. Il perché della validità della pensione di reversibilità è uno degli esempi migliori per giustificare la mia tesi generale, ma non era quello il momento di entrare nello specifico. Tra l’altro, proprio il fatto che sia limitata al coniuge e non possa passare ai figli può spiegare nel modo migliore il motivo per cui la finalità è a favore della procreazione; potrebbe anche sembrare una contraddizione, ma non lo è. Cercherò di chiarire il punto nel prossimo messaggio per rispondere a Regalzi sugli eterosessuali senza figli e che mi darà il modo di precisare meglio anche questo punto.
Infine, oltre a pregarla di non prendere troppo facilmente atteggiamenti da “mo’ ve spiego come se ragiona”, le garantisco che non riuscirà a trascinarmi in polemiche basate sulla contrapposizione di ideologie e religioni (cosa che avevo esplicitamente escluso e alla quale mi atterrò rigidamente).
@filippo
Preferisco non entrare nel merito della fecondazione assistita e della maternità surrogata. Almeno perché non confrontabile numericamente con quella tradizionale (ed anche per non aprire un altro fronte sui problemi collegati a quelle metodiche). Se vorrà, Regalzi apra un altra discussione, ma in questa lo trovo un argomento del tutto fuori luogo.
guardi Fra diavolo, dei bancali di argomenti che mi si affacciano alla mente, sceglierò quello per cui la tutela economica della genitorialità è del tutto indipendente dal matrimonio dei genitori; detto più facile, lo Stato spende uguale per i figli di sposati e per i figli della colpa (come suppongo li chiami lei);
potrei aggiungere che la tutela economica dei - soli - coniugi è così svantaggiosa che ci sono i divorzi per interesse e potrei concludere dicendo che i fini sociali del matrimonio sono altri e che le famiglie omosessuali chiedono di essere riconosciute per molte ragioni diverse da quelle economiche, ma mi creda non ho proprio voglia quindi ciaone
Egregio Signore, è una questione di logica.
Nel momento in cui Lei afferma che il matrimonio viene privilegiato per sostenere la funzione riproduttiva, ritenendo di dover per questo escludere gli omosessuali dal matrimonio stesso (e dai suoi vantaggi), ecco che l'obiezione del sottoscritto diventa estremamente pertinente, altro che fuori luogo.
Al netto di tutti gli altri possibili motivi per escludere gli omosessuali, quello relativo alla procreazione non regge perchè anche loro, ricorrendo a metodiche di fecondazione assistita e di amternità surrogata, possono felicemente riprodursi.
E, dove è consentito, già lo fanno.
FD, maggior rigore: scelga quando affrontare l'aspetto economico e quando altri.
"ammette che [il peso economico] possa essere [enorme], anche se difficilmente dimostrabile".
Ammetto anche che possa essere enorme il guadagno economico per lo Stato, visto che risparmia su di un sacco di spese.
"Io penso, invece, che sia oltre che intuitivo, anche dimostrabile".
E vediamo se userà argomentazioni contabili.
"l’assistenza al coniuge pesa a mio favore perché questa è già “conteggiata” in una convivenza"
Non ha compreso la parte in cui spiego che nel caso specifico del matrimonio la mancanza di assistenza, nei casi più estremi, possa essere perseguibile? Le sembra un dato irrilevante? Rimanendo con il dato economico in mente, le sembra irrilevante che nel "contratto d'uso" del matrimonio lo Stato obblighi i coniugi a sollevarlo da una parte di dispendio che altrimenti dovrebbe esso stesso sostenere?
Aspetto "civile": tutt'al più allora valuterei che si garantissero risparmi economici anche a chi nei fatti offra vita natural durante assistenza ai conviventi, non eliminarli nel caso dei matrimoni. Resta il fatto che se i semplici conviventi possono interrompere quando vogliono l'assistenza, ergo il risparmio per lo Stato.
"ed è pur sempre un vantaggio di cui la persona che vive da sola non gode".
E vi prego passatemi un moderato "e chissenefrega". Non ha appena premesso che sta tentando di illustrare come "dimostrabile" che per lo Stato "il peso economico sia enorme"? E allora se i single vanno all'ospedale quando i coniugati si fanno assistere a casa, questo ha un costo per lo Stato. Che i single siano anche "meno felici" nell'andare all'ospedale non rientra nel calcolo economico.
Lei sta di fatto contestando che io e lei possiamo metterci in affari tutte le volte che ci convenga e ci renda anche più felici, perché ci sarà qualcun altro che non avendo l'opportunità di avere interesse sarà più infelice e/o meno agiato. Ma che ragionamento è? Se conviene sia allo Stato che all'assistito che l'assistenza avvenga da parte del coniuge, le pare che sarebbe un buon argomento per non incentivarla?
"Ancora una volta risulta evidente che chi convive sta meglio"
Sta ancora sostenendo di essere nel processo di dimostrare che lo Stato spenda più soldi di quanti ne risparmi coi matrimoni ed un'altra volta mi torna sul tema dello "sta meglio Pinco o Pallo". Uso adesso il suo stesso insostenibile procedimento argomentativo: "allo Stato non conviene pagare pensioni. Infatti chi ha una pensione si riposa e prende soldi. Chi non ha lavoro non avrà una pensione ed è meno felice perché non può nobilitarsi lavorando. Allora si elimini la pensione".
"tanto è vero che lo riconosce anche lei quando ammette che non c’è bisogno del matrimonio perché s’instauri l’assistenza reciproca".
Questo è l'unico argomento con un barlume minimo di sostenibilità. Riformulo meglio: con l'istituto matrimoniale lo Stato non è che spenda più soldi di quelli che risparmi, come continua a sostenere senza prove, ma perde in realtà l'occasione di guadagnarci ancora di più: sulla base della scommessa cinica che potrebbe fare che, se eliminasse il matrimonio, ci sarebbe all'incirca la stessa assistenza in casa che c'è oggi (il che non è poi così inverosimile). L'infelicità dei single conta zero. E come conseguenza di questo calcolo il matrimonio dovrebbe semplicemente essere eliminato.
"Non credo si possibile giustificarlo con la bislacca motivazione che già stanno meglio di lui".
Ecco, chiudiamo il buon senso dentro al tombino. "Non si può giustificare e quindi permettere che due si mettano in affari e siano per giunta entrambi felici del lavoro che faranno. Perché? Perché chi non ha da guadagnarci è anche meno felice. Sostenere il contrario sarebbe bislacco".
Una sintesi del perché no
– Chi convive (il mix dei sessi non è rilevante) ha una vita “migliore” di chi vive da solo;
– Ulteriori privilegi per “merito” della convivenza è un’offesa alla giustizia distributiva che provoca una discriminazione evidente;
– Messa così sembrerebbe che l’unica soluzione ragionevole sia l’amore libero senza matrimonio e senza privilegi (soluzione non peregrina, sostenuta da molti);
– Se si vuole dare un senso all’istituto del matrimonio, è necessario individuare quale sia l’interesse della società nel mantenerlo, anche a costo di un’apparente discriminazione;
– In una società decentemente organizzata, i fini dovranno essere sempre proporzionati alla quantità di risorse impiegate;
– Il dispendio di risorse da parte della società a favore delle famiglie è rilevantissimo;
– Il fine della sopravvivenza fisica è forse il più rilevante per qualsiasi organismo, sia sociale che individuale, per cui non ci sono dubbi che possa essere sufficiente per giustificare l’impegno profuso.
- Se non pensiamo di poter individuare un altro fine confrontabile con questo (come a me pare nessuno di voi abbia saputo indicare), allora le coppie omosessuali per loro natura “non hanno i numeri” che consenta loro di dare il loro contributo per il fine perseguito.
E le coppie etero senza figli?
Come la mettiamo con le coppie eterosessuali senza figli?
L’obiezione significa che dovremmo richiedere che innanzi tutto facciano i figli e poi solo allora verranno ricompensati per ognuno di essi? Vedere cammello, dare moneta? A parte che assomiglia un po’ troppo alle campagne per la famiglia numerosa di lontana e non felice memoria, si può semplicemente dire che così si manca il bersaglio perché non si coglie quale debba essere la dinamica di un percorso che possa portare una coppia a fare figli. Come nel caso in cui si pensa opportuno concedere sovvenzioni per stimolare lo sviluppo di un’attività imprenditoriale, magari giovanile, si sa che non ci si può limitare a “comprare” il prodotto finito, ma che invece bisogna intervenire fin dalla fase dell’ideazione, del finanziamento e della programmazione dell’attività stessa. Analogamente, una coppia che si sposa deve avere fin dall’inizio la possibilità di organizzare la propria convivenza con tutto l’aiuto possibile perché, di norma e salvo errori operativi, si pensa a fare figli quando si ha una valida prospettiva di sapersi sostenere da soli, si ha un alloggio adeguato e comunque si abbia una certa tranquillità sul futuro. Ricevere aiuti come coppia sposata prima di avere figli serve eccome! proprio perché la serenità della coppia è quasi indispensabile perché decidano di farli e, comunque è auspicabile.
Ci saranno certamente quelli che poi non li faranno mai, ma le leggi lavorano sui grandi numeri e alla fin fine le coppie sposate eterosessuali, nella stragrandissima maggioranza dei casi, i figli finiscono per farli, soprattutto se hanno una serenità almeno economica.
Spero di aver individuato correttamente e risposto all’obiezione di Regalzi (coppie eterosessuali senza figli).
Cerco di rispondere ai tanti, ma supero il limite dei caratteri e quello della mia capacità fisica di rimanere alla tastiera. Segue a ruota altro messaggio e poi a domani (molti impegni,ma si fa quel che si può)
Perché ai genitori e non ai figli?
Qualcuno dice che « la tutela economica della genitorialità è del tutto indipendente dal matrimonio dei genitori; detto più facile, lo Stato spende uguale per i figli di sposati e per i figli della colpa (come suppongo li chiami lei)». (Primissima obiezione di netichetta: NON SI PERMETTA DI INVENTARSI QUEL CHE PENSO E QUEL CHE DICO IO! Non supponga nulla sui miei pensieri e su quel che dico a casa mia, se non confermato da quel che scrivo). Tornando alla discussione: quel che si traduce in un vero beneficio per i figli, non è quel che lo stato spende direttamente su di loro, ma quel che dà ai genitori (in fondo, è un argomento vuoto in quanto, sarà pure banale osservarlo, ma anche gli assegni familiari per i figli l’incassano i genitori e non i figli). Come già detto, se si vuole supportare un’attività, bisogna finanziare i “produttori” e non il prodotto.
La differenza tra una coppia con figli e quella senza
Ho insistito molto sulla discriminazione che verrebbe indotta nei confronti del single, ma la vera differenza è fra la vita di una coppia con figli e quella senza. Mi rifaccio, senza fare copia e incolla, al messaggio delle 3/12/14 01:21 in cui credo di illustrare come la gestione di anche un solo figlio cambi radicalmente la vita. Come la coppia sia penalizzata economicamente e socialmente. Una coppia con figli sarà certamente meno competitiva proprio negli anni in cui maggiormente si determinano le loro sorti lavorative. Quindi lo svantaggio economico sarà doppio: non solo hanno un maggior impegno sul lato delle uscite, con enormi spese “improduttive” (far crescere un figlio costa un vero patrimonio), ma contemporaneamente, sul lato entrate la coppia ha meno introiti di quel che potrebbe avere se non avesse quelle “palle al piede”. Oddìo, palle amatissime, ma pesantissime. Riconoscendo il valore primario del compito che svolgono come genitori a vantaggio di tutta la società, è giusto che vengano supportati per quanto possibile. Per cui, coloro a cui non sembra evidente che si impieghi un’enorme entità di risorse sociali per questo scopo (distratti?), anch’essi dovranno convenire che anche se così fosse, allora la società dovrebbe provvedere meglio (e comunque, è certamente vero che nella realtà italiana la società fa veramente troppo poco). A quale titolo le coppie omosessuali potrebbero reclamare un trattamento analogo? Dove sarebbe una contropartita sociale comparabile?
La pensione di reversibilità
È una misura che opera correttamente. Ammesso che sia stata concepita a difesa della donna discriminata perché non si trovasse alla fine senza risorse alla morte del coniuge, ha tuttora una valenza rispettabile. Dato che la coppia è certamente meno competitiva sul piano economico di altri senza figli, la pensione di reversibilità consente ad essi di organizzare la propria vita di coppia come essi meglio credano, con la garanzia che il coniuge superstite possa più o meno mantenere lo stesso standard di vita o, per lo meno, avere una compensazione del mancato guadagno del passato (qualunque dei due sia il superstite). È anche da dire che forse andrebbe rivista la sua applicazione almeno in un aspetto non irrilevante, per cui vada commisurata all’effettiva durata della vita in comune e non allo stato delle cose alla morte (insomma sono da evitare i casi delle badanti troppo furbe e, per rimanere su esempi culturalmente più nobili, il caso pirandelliano di “Pensaci, Giacomino!”)
Fra Diavolo:
«Ci saranno certamente quelli che poi non li faranno mai, ma le leggi lavorano sui grandi numeri e alla fin fine le coppie sposate eterosessuali, nella stragrandissima maggioranza dei casi, i figli finiscono per farli, soprattutto se hanno una serenità almeno economica».
Ma perché esattamente «quelli che poi non li faranno mai» dovrebbero comunque godere di quegli stessi privilegi? Per esempio, nel momento in cui infine si percepisce la pensione di reversibilità i giochi sono ormai fatti: perché dunque non assegnarla solo al superstite di una coppia che ha avuto figli? Anzi, non è nemmeno ragionevole aspettare tanto tempo: al compimento dei cinquant'anni di età della donna le probabilità di avere un figlio (specie se non ne ha ancora mai avuti) sono inferiori a quelle di vincere il primo premio della lotteria; perché allora non mettere la coppia di fronte a un'alternativa: o avviate le pratiche dell'adozione, o richiedete la fecondazione eterologa (una volta innalzati gli attuali assurdi limiti di età), o il vostro matrimonio sarà dichiarato nullo – e sarà nullo anche nel caso in cui risultiate inadatti all'adozione o rifiutate l'eterologa o questa non riesca (naturalmente, questo non vuol dire che debba cessare anche la convivenza e la comunità d'affetti). Nella tua prospettiva, la probabilità infima di avere un figlio a questa età non è certo sufficiente a giustificare un ulteriore spreco di risorse scarse – e comunque, se poi per miracolo un figlio spunta non ci vuole molto a ricostituire il matrimonio.
Lo stesso vale, a maggior ragione, per le coppie sterili. Mettiamo che una donna priva di utero (di cui sia nota questa condizione) si sposi: perché, sempre nella tua prospettiva, non porla di fronte a un aut-aut: o avviare al più presto le pratiche dell'adozione – o comunque entro un termine ragionevole, se vogliamo dare alla coppia il tempo di stabilizzarsi – o avere il matrimonio annullato (l'utero in affitto non è ammesso dalla legislazione attuale, quindi le cose sono più semplici).
Infine, perché dovrebbero potersi sposare le coppie anziane? Dopo i settant'anni (ma anche prima) non solo i figli non possono più arrivare naturalmente, ma non si può più adottare un minore (a causa della norma sulla differenza di età), e la fecondazione eterologa non sarebbe possibile (e nemmeno l'utero in affitto, se fosse legale, vista l'età della madre).
Ora, è possibile che tu ti dica d'accordo su queste osservazioni e che mi risponda che effettivamente le leggi dovrebbero essere modificate in questo senso. Ma – tralasciando la discussione sull'utilità sociale del matrimonio senza figli – quali sono le probabilità che ciò possa accadere nel futuro prossimo? Non si tratta soltanto di norme, ma anche del comune sentire: la gente non si scandalizza quando due anziani si sposano, non senti nessuno mormorare per lo spreco di denaro pubblico; quello viene considerato un matrimonio a tutti gli effetti – al massimo ci sarà qualche battuta sulla speranza che trionfa sull'esperienza. Stante questa situazione, risulta allora discriminante limitare il matrimonio alle coppie di sesso diverso. Il matrimonio, per come è concepito adesso (e non per la concezione che ne hai tu o io o qualcun altro), è essenzialmente volto ad assicurare la solidarietà tra i coniugi, non la generazione dei figli (anche se naturalmente procura anche un ambiente grandemente idoneo a quest'ultimo scopo).
"per come è concepito adesso (e non per la concezione che ne hai tu o io o qualcun altro), è essenzialmente volto ad assicurare la solidarietà tra i coniugi, non la generazione dei figli (anche se naturalmente procura anche un ambiente grandemente idoneo a quest'ultimo scopo)."
È essenzialmente questo sottolineato da Giuseppe un punto nodale della questione. Quello che descrive Fra Diavolo non è il matrimonio così come concepito e regolamentato nel nostro ordinamento, ma una cosa che vorrebbe diventasse ma non è: basta guardare al codice civile, alla formula che viene letta durante il rito, alle previsioni dell'istituto e a quelle legate alla sua cessazione, alle disposizioni economiche per rendersi conto che esso è prima di ogni altra cosa un patto tra i contraenti e che tra gli obblighi verso i figli non sia contemplato quello di generarli. Viene il forte dubbio, come ho scritto, che Fra Diavolo confonda il Magistero con il Codice Civile, e le prediche durante la celebrazione dei preti con la formula letta dall'Ufficiale. Forse non ha capito che il rito concordatario non implica che è matrimonio civile anche quando il prete afferma che la coppia si sta impegnando solennemente a favorire ed accogliere la vita, ma solo quella parentesi in cui si legge (spesso farfugliando e di corsa) gli obblighi civili.
Quindi per dare sostanza alle sue pseudo argomentazioni dovrebbe prima di tutto chiedere una modifica delle leggi italiane che regolano il matrimonio. In piccolo inconveniente per lui è che le coppie omosessuali non è che chiedano di potersi sposare secondo il rito che lui ha in mente e che ancora non esiste, ma secondo quello vigente, che tutte queste sue fantasie non le prevede e che oggi come oggi continua ancora a riguardare i due contraenti prima del resto.
Può parere brutto che io le abbia definite pseudoargomentazioni, ma purtroppo ai miei occhi queste sono. Certe volte il ragionamento va sintetizzato nella sua brutalità, e nel suo caso ciò si traduce in un imponderabile: siccome lo Stato spreca troppi soldi per le coppie sposate, soprattutto se confrontati con quanti ne spende per i conviventi o per gli infelicissimi single, allora gli eterosessuali devono continuare a potersi sposare e gli omosessuali no. Notevole ragionamento.
Paolo:
«Viene il forte dubbio, come ho scritto, che Fra Diavolo confonda il Magistero con il Codice Civile».
Attenzione, però: neanche la Chiesa considera nullo il matrimonio tra persone sterili, e neppure pone condizioni relative all'adozione. Il matrimonio tra due anziani viene celebrato in chiesa in modi non diversi da quelli delle nozze tra due ventenni. Sono esistite – specie nei primi secoli, credo – voci che hanno sostenuto che il matrimonio non ha senso senza la generazione, ma sono rimaste isolate – saggiamente, bisogna concederlo. Inutile dire che si risentono adesso solo ed esclusivamente nelle discussioni sul matrimonio per tutti, e che prevedibilmente taceranno quando la questione sarà risolta. Credo in effetti che l'intero argomento non sia altro che un fraintendimento del Magistero su questo punto, che vede il fine essenziale degli atti sessuali (e quindi, nella sua prospettiva, anche del matrimonio) nella generazione. Ma fine essenziale non significa propriamente scopo. Oramai i cattolici non capiscono più quello che dicono i loro pastori, temo.
@ Giuseppe
Sono d'accordo e la tua puntualizzazione è corretta: il fatto che per il Magistero esista il fine di generare la vita legato all'atto sessuale non implica né che il matrimonio cessi quando generare non è stato possibile e non più possibile, né che ci si debba continuare a provare quando non è più possibile (e restano sante anche le coppie che dovessero votarsi consenzienti per qualche loro motivo alla castità).
Non che non avessi presente in parte questa obiezione, pur non ritenendomi super competente. Diciamo che mi sono rivolto a quella porzione di cattolici che dimentica questo punto e di cui credo Fra Diavolo faccia parte. Del resto molti preti hanno buon gioco a farsi fraintendere perché se i due contraenti sono giovani di solito non mancano di rimarcare con enfasi spregiudicata cosa loro starebbero lì a fare. Ritengo che quelle frasi molto comuni siano ciò che rimane nella testa di molti.
Comunque questa continua ad essere una curiosa visione: il matrimonio esisterebbe esclusivamente tra uomo e donna perché possono procreare, ma i matrimoni tra chi non può procreare sono celebrati o continuano ad essere validi. Hai ragione però che non è questo l'argomento della Chiesa, che si basa più sull'adagio "Dio ha creato l'uomo e la donna", per il quale la predisposizione alla procreazione è una manifestazione contingente.
Paolo:
«Comunque questa continua ad essere una curiosa visione: il matrimonio esisterebbe esclusivamente tra uomo e donna perché possono procreare, ma i matrimoni tra chi non può procreare sono celebrati o continuano ad essere validi».
È una visione curiosa per noi, certo; ma nell'ottica della metafisica cattolica si spiega abbastanza. Si parte da una condizione: l'atto sessuale non deve contrastare la finalità intrinseca che lo caratterizza, che è quella della generazione; gli organi sessuali stanno lì e hanno la struttura che hanno per quel particolare fine. Questo spiega perché la Chiesa continua ancora oggi a ritenere illecite quasi tutte le forme ‘artificiali’ di contraccezione e ogni pratica sessuale che non si concluda in vaso debito (comprese ovviamente quelle omosessuali). Ma «non contrastare» non significa affatto che l'atto sessuale esista solo per quello; il Magistero riconosce volentieri anche il cosiddetto «fine unitivo», per cui gli sposi si uniscono sessualmente allo scopo di dimostrarsi e rinsaldare il reciproco affetto. Da ciò deriva quindi che un matrimonio tra persone sterili sia perfettamente valido (purché la sterilità non venga nascosta); la metafisica scolastica ci spiegherà che la sterilità è un accidente, e non contrasta quindi con il fine essenziale; lo scopo del matrimonio – cioè, più brutalmente, la risposta alla domanda «ma allora che si sposano a fare?» – è la stessa che riconosce l'ordinamento civile: il mutuo aiuto tra i coniugi. Paradossalmente, per la Chiesa questo aspetto del matrimonio è ancora più irrinunciabile di quanto sia per noi, visto che non ammette relazioni sessuali extra-matrimoniali, compresa quindi ogni ipotesi di unione di fatto.
Quello che succede poi è che il cattolico medio, che di metafisica scolastica ormai non sa più niente (o che si rende conto che l'argomento non avrebbe gran presa su una società laica), legge il catechismo, là dove dice che «la fecondità è un dono, un fine del matrimonio» (2366) e capisce che il matrimonio serve necessariamente a quello. E comincia la faticosa arrampicata sugli specchi per conciliare questo equivoco con la realtà del matrimonio, che è tutt'altra.
@Regalzi
nel momento in cui infine si percepisce la pensione di reversibilità i giochi sono ormai fatti: perché dunque non assegnarla solo al superstite di una coppia che ha avuto figli?
Qui ci avviamo verso scenari kafkiani in cui, invece di facilitare le coppie a fare figli, li obblighiamo sotto ricatto economico! Quindi vediamo quali opzioni avranno le donne all’incirca quarantacinquenni: tutte in fila davanti alle cliniche della fecondità? Oppure, disperate, se lo vanno a comprare di nascosto in qualche paese disperato da donne più disperate di loro, per cui sarà opportuno prevedere un’onnipresente ed onnisciente polizia in grado di scoprire tutte queste losche manovre! Ma non basta, in questo stato liberale sarà obbligatoria la denuncia da parte dei medici di qualsiasi isterectomia, con relativo database aggiornato. E, per andare per le spicce, sarebbe opportuno stabilire un’età sinodale, come per le perpetue (sempre di manzoniana memoria!) E se una donna affermasse di avere ancora il ciclo, la metteremo sotto stretta sorveglianza per ventinove giorni (o per due mesi per essere sicuri) sul vasino?
Mi sembra che tu abbia sorvolato sul punto fondamentale: le coppie (etero, naturalmente) devono essere messe in condizione di programmare con serenità il proprio futuro e le misure che suggerisci, anche se in modo paradossale, otterrebbero lo scopo contrario.
Alla fin fine tu pretenderesti, o per dir meglio, pensi che sia implicito in quel che dico giungere a dover chiedere un certificato di fecondità (impossibile ad ottenersi, almeno in scala appena appena utile allo scopo) per concedere il diritto a sposarsi o a dover fare una contabilità a posteriori. Potrebbe essere vista un po’ come una festa in cui ci possono essere degli “imbucati”, ma se scovarli diventa una impresa impossibile, si accetta il rischio.
Nel comune sentire si accetta un matrimonio di una qualsiasi coppia eterosessuale, proprio perché nessuno ha il diritto di scrutarne la possibile fecondità, né se la coppia è giovane, né se è molto anziana, proprio per quella infima probabilità che tu stesso ammetti. Per la coppia omosessuale non c’è nulla da analizzare perché le cose sono ben chiare a priori.
Infine, non crederai che io non pensi che il matrimonio non abbia anche la finalità di facilitare la solidarietà fra i coniugi. Dico solo che ciò non sarebbe sufficiente, se fosse l’unico scopo, a motivare la società a sostenerlo nella misura in cui lo fa effettivamente. Di fatto ci sono tante forme in cui la solidarietà tra persone si manifesta in modo anche rilevantissimo. L’esempio più vicino è il sentimento d’amicizia che spesso è più duraturo e saldo del vincolo matrimoniale. Nessuno pensa, però, che una firma su di un polveroso volume depositato in un ignoto scantinato di un’anagrafe, sia tale da rendere migliore l’amicizia . L’amicizia vive del rapporto reciproco, senza altre esigenze. Per favore, non fatemi dire che il rapporto tra omosessuali debba essere di sola amicizia. Dico solo che non si capisce cosa la registrazione anagrafica possa dare di più (oltre agli interessi economici, ovviamente, ma sono convinto che non vi sia doppiezza nel vostro dire).
Un’ultima notazione (almeno per ora perché non vi siete risparmiati nello scrivere e debbo un po’ leggere con calma per comprendere bene il vostro non facile pensiero. Sia tu che paolo de gregorio avete una paradossale forma di rapportarvi alle norme vigenti e al comune sentire: volete fortissimamente cambiare sia le prime che il secondo, ma poi, quando vi fa comodo, vi rifate ad essi per dare forza alle vostre opinioni. Curioso!
Ed infine (ma preciserò meglio) da voi non me l’aspettavo che finiste per parlare di religione, Magistero e altre amenità, almeno quando rispondete al sottoscritto (ho già dichiarato che non raccolgo l’invito) e, SOPRATTUTTO, che vi siate permessi d’ipotizzare pensieri che non ho mai espresso. Ho già ripreso un’altra persona, ma dal moderatore (ed anche da paolo) non me lo sarei aspettato.
vede fradiavolo, nessuno pensa che all'amicizia serva una firma su un polveroso registro perchè l'amicizia è già riconosciuta socialmente, al contrario dell'amore omosessuale, ed è proprio a questo che serve il riconoscimento pubblico delle unioni omosessuali ed è proprio questo riconoscimento che lei e quelli come lei rifiutano trincerandosi dietro a pilatesche motivazioni economiche.
A costo di farla arrabbiare le dico che è fin troppo facile supporre che lei non riconosce all'amore omosessuale la stessa dignità individuale e sociale dell'amore eterosessuale.
Fra Diavolo:
Intanto chiariamo una cosa: gli scenari «kafkiani» non li sto proponendo io, ma sono impliciti – secondo me – in quello che tu sostieni essere il vero e unico scopo del matrimonio. Se questi scenari (ma solo in parte) sembrano assurdi, è perché è assurda la tua concezione del matrimonio.
Entriamo nel merito: tu stai sostenendo in pratica che la coppia eterosessuale ha soltanto diritti e nessun dovere. La società deve elargire denaro, senza potere esigere nulla in cambio. Il motivo? Perché altrimenti le coppie non avrebbero più la necessaria tanquillità a mettere su famiglia. E ci descrivi delle donne che a 45 anni si mettono in fila disperate davanti alle cliniche della fertilità. Ma questo è quello che precisamente dovrebbero fare delle quarantacinquenni che vogliono dei figli e che non li hanno ancora avuti: mettersi in fila davanti a una clinica della fertilità, perché i figli non verranno quasi certamente in altro modo. (In effetti, dopo i 43 anni è perfettamente inutile tentare la fecondazione omologa; bisognerebbe pensarci molto prima.) Questo è precisamente quello che una società che lega le risorse destinate al matrimonio alla fertilità vorrebbe che quelle donne facessero. Si chiama incentivo negativo, e funzionerebbe proprio come dici tu. Dov'è il problema? Forse per l'agitazione quelle donne diverrebbero meno fertili? Ma qual è la prova scientifica di questo? Ci sono donne che sono rimaste incinte sotto le bombe. Donne che rimangono incinte dei loro violentatori, purtroppo (è rimasto tristemente famoso il cretino repubblicano che sosteneva che questo non poteva avvenire). Forse la prospettiva di perdere quei privilegi è troppo pesante? Ma sei proprio tu ad avere sottolineato la discriminazione a danno dei single. Di cosa si dovrebbe lamentare una coppia che vede sfumare la prospettiva di godere della pensione di reversibilità? Di dover contare solo sui propri contributi – esattamente come devono fare tutti gli altri? O stai suggerendo che la gente sarebbe totalmente incapace di programmare il proprio futuro economico tenendo anche conto dell'evenienza di non avere figli? Stiamo parlando di persone adulte o di ragazzini? Cosa è più responsabilizzante: uno Stato che elargisce fondi senza chiedere nulla in cambio o uno Stato che si aspetta una ragionevole contropartita? Non c'è nessun bisogno di rischiare il collo sulla china scivolosa, immaginando scenari assurdi come il certificato di fertilità; di misure razionali ne esistono già a sufficienza. Ma nessuno pensa seriamente ad imporle, perché il matrimonio, attualmente, non è concepito soltanto per la generazione dei figli.
«Nel comune sentire si accetta un matrimonio di una qualsiasi coppia eterosessuale, proprio perché nessuno ha il diritto di scrutarne la possibile fecondità, né se la coppia è giovane, né se è molto anziana, proprio per quella infima probabilità che tu stesso ammetti».
La probabilità di fare figli a settant'anni non è infima; è nulla (io parlavo di donne di cinquant'anni). E quando la gente festeggia i due settantenni che escono dalla chiesa non lo fa certo dopo aver valutato le possibilità che quei due per diretto intervento divino possano generare un erede. Cerchiamo di non arrampicarci sugli specchi, per favore.
@paolo de gregorio
Secondo lei, ampiamente supportato da Regalzi, il sottoscritto
« per dare sostanza alle sue pseudo argomentazioni dovrebbe prima di tutto chiedere una modifica delle leggi italiane che regolano il matrimonio».
Quando ho letto questo mi sono stropicciato gli occhi e ho provato a leggere e a rileggere. Il mio equivoco era stato enorme veramente! Pensavo che non fossi io, ma lui, Regalzi e più o meno tutti i partecipanti, nonché i movimenti LGBT a chiedere una modifica delle leggi italiane per l’introduzione del matrimonio omosessuale: non era così e avevo preso una vera cantonata!
Però non mi sono arreso: data la palese evidenza del contrario, mi son detto che forse intendeva dire (non sempre lo si può intendere al volo) che lo spirito generale del nostro ordinamento è tale che tramite una corretta ermeneutica delle leggi si può scoprire che, in fondo in fondo, il matrimonio omosessuale, a cercar bene è già lì.
Ma il giudice delle leggi, la Corte costituzionale, fa professionalmente questo per noi e nel non lontano 2010 (sentenza n. 276 del 22 Luglio) ha dichiarato che:
… la questione, sollevata con riferimento ai parametri individuati negli artt. 3 e 29 Cost., è stata dichiarata non fondata, sia perché l’art. 29 Cost. si riferisce alla nozione di matrimonio definita dal codice civile come unione tra persone di sesso diverso, e questo significato del precetto costituzionale non può essere superato per via ermeneutica, sia perché (in ordine all’art. 3 Cost.) le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio.
Più chiaro di così! Non credo che questo “blocco” costituzionale possa mai essere superato dai giudici giudicanti, ma certamente il legislatore potrà cambiare le cose (e come ho detto tanti messaggi fa) sono quasi certo che lo farà. Ma per ora, la sua puntigliosa lettura delle leggi fa un po’ acqua da molti punti di vista.
@Anonimo (5/12/14 08:42)
Lei dice che per l’amicizia non serve nessuna firma perché già riconosciuta come nobile sentimento. Potremmo allora dire, solo per seguire il suo ragionamento, che si dovrebbe abolire il matrimonio eterosessuale, in quanto ha già un robusto riconoscimento sociale e al pari dell’amicizia non ha bisogno d’altro, ed invece istituire il matrimonio omosessuale affinché l’ottenga. Magari per abolirlo subito dopo, una volta ottenuto…
P.S. Perché trova divertente cercare d’indovinare qualcosa che non ho mai detto?
@Regalzi
È falso che io sostenga che «il vero e unico scopo del matrimonio» sia la procreazione». Io ho detto chiaramente che la procreazione è certamente un motivo adeguato a non rendere assurdo il modo così rilevante con il quale la società sostiene le coppie genitoriali. Ho affermato esplicitamente e posso ripetere con le tue parole che il matrimonio «non è concepito soltanto per la generazione dei figli», ma, per dire in altro modo quanto appena affermato, che se non ci fosse la stragrande maggioranza di coppie che poi i figli li fanno, l’interesse sarebbe sociale per qualsiasi convivenza dovrebbe avere gli stessi diritti delle altre forme di solidarietà che si stabiliscono nella società. Vale l’esempio già fatto dell’amicizia al quale se ne possono aggiungere in numero innumerevole, quale quello del parente che si occupa in forma stabile del disabile, di quello anziano o tante altre forme, senza escludere neanche i figli dei fiori.
@Regalzi
Un’altra cosa che, non solo non è sostenibile, ma che mi sono ben guardato di dire, è che «la coppia eterosessuale ha soltanto diritti e nessun dovere»
Innanzi tutto, basta provare a divorziare per accorgersene. Poi, quando capita (sovente) che fai un figlio, allora sì che ti accolli un dovere pesante!
La miopia della vostra visione è quella di vedere in piccolo senza vedere l’insieme: è come confrontare due foglie al microscopio per l’esercitazione di botanica, senza vedere il bosco. La società scommette molto ragionevolmente sull’intero insieme delle coppie eterosessuali, le quali, se messe in condizioni di serenità del futuro (proprio quel che non accade oggi) tutte insieme forniscono il servizio più importante che ci si può attendere da loro (lo so che mi ripeto, ma mica è colpa mia) la “ciccia” per la sopravvivenza.
E siccome son d’accordo con te che la convivenza tra due persone ha anche la valenza di supporto al reciproco sostegno, non potendo chiedere il certificato di fecondità (non puzza di eugenetica?) neanche nella forma negativa di stabilire a priori un’età per la donna (non sarebbe un po’ discriminante per sesso e un po’ “fuori quote rosa”?), il modo più intelligente di gestire la cosa è proprio quella attuale. Qualche coppia non raggiungerà in pieno quanto la società spera (i demografi parlano di circa 2,1 figli per donna), ma, ciononostante, almeno uno degli scopi fondamentali per la coppia rimarrebbe supportato ugualmente, anche da solo. Se generalizzato, però, potrebbe non essere adeguato agli interessi della collettività in rapporto alle risorse impiegate.
Comunque, la discriminazione nei confronti delle donne sarebbe del tutto inccettabile.
@paolo de gregorio
Mi fa dire che son «partito dalla pensione di reversibilità ed [ho] finito per giustificarla col fatto che due eterosessuali possono procreare». Non è così. Ho presentato la pensione di reversibilità come uno degli esempi più rilevanti tramite il quale la società supporta la coppia. Non è un premio per la prolificità, ma ha lo scopo proprio di garantire oggi il futuro della coppia. Dico oggi perché il problema è oggi, quando si perde competitività nel mondo del lavoro nei confronti dei single e delle coppie che non hanno figli, a causa degli obblighi verso la prole. Il punto importante è che la regola aurea per far stare bene i figli, è quella di far stare bene i genitori (questo, per chi si occupa di terapia familiare o semplicemente di educazione, è una semplice ovvietà). Alla fine, la pensione di reversibilità può anche essere vista come una compensazione per i mancati guadagni a causa dei figli. “A favore di”, ma “a causa di”.
Fra Diavolo:
«E siccome son d’accordo con te che la convivenza tra due persone ha anche la valenza di supporto al reciproco sostegno, non potendo chiedere il certificato di fecondità (non puzza di eugenetica?) neanche nella forma negativa di stabilire a priori un’età per la donna (non sarebbe un po’ discriminante per sesso e un po’ “fuori quote rosa”?), il modo più intelligente di gestire la cosa è proprio quella attuale. Qualche coppia non raggiungerà in pieno quanto la società spera (i demografi parlano di circa 2,1 figli per donna), ma, ciononostante, almeno uno degli scopi fondamentali per la coppia rimarrebbe supportato ugualmente, anche da solo. Se generalizzato, però, potrebbe non essere adeguato agli interessi della collettività in rapporto alle risorse impiegate.
Comunque, la discriminazione nei confronti delle donne sarebbe del tutto inccettabile».
Quindi negare i privilegi a una coppia di settantenni eterosessuali perché non possono in nessun caso avere figli costituirebbe una discriminazione; invece negare i medesimi privilegi a una coppia di settantenni omosessuali perché non possono in nessun caso avere figli non costituirebbe una discriminazione. È un po' difficile cogliere la logica di questa distinzione... Con un certo sforzo, mi pare di capire che tu ponga le settantenni nella categoria «donne» e che sostenga che se non tratto tutte le donne allo stesso modo allora sto compiendo una discriminazione. Ma la discriminazione non significava trattare in modo diverso ciò che è uguale relativamente allo scopo dell'atto in questione? Se lo scopo del matrimonio fosse davvero quello di generare prole, allora si avrebbe discriminazione solo se trattassi in modo diverso donne fertili. Non posso costruire una categoria più ampia e dire che visto che A e B appartengono entrambi a questa categoria, allora vanno trattati in modo uguale, perché con questo giochino posso dimostrare anche che gli omosessuali appartengono alla categoria più ampia degli esseri umani, e quindi vanno trattati anche loro sempre allo stesso modo di tutti gli altri. Faccio un esempio: è come se tu mi dicessi che se devo girare un film realistico sulla vita di Ingrid Bergman e rifiuto la parte della protagonista a Lupita Nyongo, allora la sto discriminando (e magari sono pure razzista), visto che anche lei come la Bergman è una donna. Con questo ragionamento compirei una discriminazione anche rifiutando la parte a Tommy Lee Jones, visto che anche lui, come la Bergman, è un essere umano.
«Ho presentato la pensione di reversibilità come uno degli esempi più rilevanti tramite il quale la società supporta la coppia. Non è un premio per la prolificità, ma ha lo scopo proprio di garantire oggi il futuro della coppia. Dico oggi perché il problema è oggi, quando si perde competitività nel mondo del lavoro nei confronti dei single e delle coppie che non hanno figli, a causa degli obblighi verso la prole. Il punto importante è che la regola aurea per far stare bene i figli, è quella di far stare bene i genitori (questo, per chi si occupa di terapia familiare o semplicemente di educazione, è una semplice ovvietà). Alla fine, la pensione di reversibilità può anche essere vista come una compensazione per i mancati guadagni a causa dei figli».
Ma tutto questo vale nel caso in cui la coppia abbia avuto figli. Se non li hanno avuti (e se davvero lo scopo del matrimonio fosse quello di fare figli), perché dovremmo assegnare al sopravvissuto quella pensione? La sicurezza di una coppia deve consistere nella certezza che, se avranno figli, allora non dovranno avere (nei limiti del possibile) soverchie preoccupazioni economiche, non nella certezza che, sia che abbiano figli sia che non ne vogliano avere, non dovranno avere troppe preoccupazioni economiche. Non mi pare oltretutto che accertare se due abbiano figliato o meno comporti violazioni della privacy o particolari costi aggiuntivi...
Il punto nodale di Regalzi
Cerchiamo allora di stringere sul punto nodale che è definito chiaramente da Regalzi e ripreso con citazione letterale da paolo de gregorio:
per come è concepito adesso (e non per la concezione che ne hai tu o io o qualcun altro), [il matrimonio] è essenzialmente volto ad assicurare la solidarietà tra i coniugi, non la generazione dei figli (anche se naturalmente procura anche un ambiente grandemente idoneo a quest'ultimo scopo).
Insomma, la generazione dei figli sarebbe una specie di effetto collaterale. Si potrebbe anche concordare sul fatto che lo sia, ma rimarrebbe che l’interesse principale che spinge la società a sostenere questo effetto collaterale è la sopravvivenza dell’intero corpo sociale e, siccome non si può avere la sopravvivenza senza la riproduzione, quel certo effetto collaterale diventa essenziale (nell’ottica della società, e non solo in quella dei coniugi). Ripetendomi: la società con il matrimonio sostiene la solidarietà perché sa che è il metodo più efficace ed economico per garantirsi la sopravvivenza. In fondo, anche voi accettate l’ipotesi nel momento che concordate sul fatto che così «… si procura anche un ambiente grandemente idoneo allo scopo»
Ma esiste una gerarchia tra i due interessi cui è sensibile la società (solidarietà dei coniugi rispetto alla sopravvivenza)? Di fatto sì. Basterebbe dimostrare che la società è pronta a mettere in seconda linea la solidarietà dei coniugi nel momento che non potesse garantire la sopravvivenza. In tal modo si dimostrerebbe in modo indiscutibile una chiara gerarchia tra i due interessi. Esistono situazioni nelle quali la società mette senza esitare in seconda linea la l’unità coniugale rispetto alla sopravvivenza? Certamente sì! In caso di guerra, se si rivelasse necessaria una leva obbligatoria, le coppie coniugali verrebbero dolorosamente separate e molte purtroppo non si rivedranno.
Non si dica che è un caso diverso perché straordinario: esso è più che sufficiente a dimostrare che nella scala di priorità la sopravvivenza ha la precedenza rispetto alla solidarietà della coppia. In un caso, la sopravvivenza è minacciata dall’esterno, nell’altro dall’incapacità della propria popolazione di riprodursi in modo adeguato (o, per dir meglio, per l’incapacità della società di creare le condizioni per cui la popolazione si possa riprodurre in modo numericamente adeguato.)
Ma per fortuna, con il matrimonio eterosessuale si riesce a persegue tutti e due gli scopi contemporaneamente.
P.S. Tra ieri e oggi avevo cercato faticosamente di rispondere un po’ a tutte le obiezioni, ma poi mi è sembrato giusto affrontare innanzi tutto il punto nodale. Tra le cose che mi sono appuntato, una che mi sembra degna di menzione in questo contesto, è quando paolo de gregorio afferma che «a tutela dei figli vi sono altri articoli, in particolare ve ne sono sempre più che equiparano i minori tra loro a prescindere delle circostanze familiari in cui si trovassero all'origine». Sono pochissime norme e se fosse tutto lì sarebbe ben misera cosa! Innanzi tutto sono chiaramente misure che cercano di regolare i casi anomali e cercano di ricondurli, per quanto possibile, alla situazione considerata preferibile. Idem per l’adozione. E’ possibile che non ci sia molto altro nell’ordinamento per uno scopo così rilevante? Non rappresenta questa una conferma “per deficienza”? Si deve per forza pensare che la preoccupazione della società nei confronti della prole sia affidata ad altre norme, dal momento che non si può pensare che la società non se ne occupi. Mi sembra evidente quali siano queste norme.
Infine, mi sembra che l’unica obiezione che sia rimasta da prendere seriamente in considerazione (ma non troppo) sia quella del confronto fra una coppia eterosessuale in cui la donna – e solo essa – non sia in condizione assoluta di generare (nell’ottica di Regalzi) e quella di una coppia omosessuale che non è nella condizione di generare (nell’ottica di tutti). Provvederò appena possibile.
Errore.
Come già detto, una coppia omosessuale E' nella condizione di generare. Basta consentirglielo.
@filippo
Copio e incollo dal mio messaggio del 3/12/14 01:22
Preferisco non entrare nel merito della fecondazione assistita e della maternità surrogata. Almeno perché non confrontabile numericamente con quella tradizionale (ed anche per non aprire un altro fronte sui problemi collegati a quelle metodiche). Se vorrà, Regalzi apra un altra discussione, ma in questa lo trovo un argomento del tutto fuori luogo.
Di nuovo: Egregio Signore, è una questione di logica.
Nel momento in cui Lei afferma che il matrimonio viene privilegiato per sostenere la funzione riproduttiva, ritenendo di dover per questo escludere gli omosessuali dal matrimonio stesso (e dai suoi vantaggi), ecco che l'obiezione del sottoscritto diventa estremamente pertinente, altro che fuori luogo.
Al netto di tutti gli altri possibili motivi per escludere gli omosessuali, quello relativo alla procreazione non regge perchè anche loro, ricorrendo a metodiche di fecondazione assistita e di maternità surrogata, possono felicemente riprodursi.
E, dove è consentito, già lo fanno.
Mi permetto di aggiungere inoltre che se la faccenda non è confrontabile numericamente, questo semplicemente non importa un fico secco ai fini del discorso.
@filippo
Se vuole affrontare l’argomento del ruolo che la riproduzione assistita può assumere ai fini della sopravvivenza della società, penso che dovrebbe prima rivolgersi a Regalzi. Io lo considero fuori tema in questa discussione.
Non mi dispiace contraddirla, ma qui i numeri sono il punto più importante della discussione (tanti a zero…)
Si parte dal principio che è bene discrimare l'accesso al matrimonio per gli omosessuali per i costi che questo comporterebbe, viste le risorse limitate (e se non fossero limitate?), perché la società ha interesse a ridistribuirle solo su coloro che le portano un vantaggio figliando, ma poi se si fa notare la marea di risorse che vengono ugaualmente date, in barba a tale principio, a coppie non portano alcun vantaggio(per scelta o per impossibilità) salta fuori che non sarebbe giusto togliergli tali risorse né chiederle indietro.
Insomma, queste sarebbero le "armomentazioni" laiche per dire no al matrimonio omossessuale. Quando si vuole nascondere l'omofobia dentro il velo apparente della razionalità.
@Aldo
La “marea” di risorse che verrebbero sprecate non esiste. È una piccola percentuale di coppie eterosessuali rispetto al totale di quelle che fanno figli (e spesso perché non sufficientemente supportate). La società fa bene a scommettere sull’insieme delle coppie eterosessuali senza dare per forza la caccia a quelle che non li fanno. Prima del matrimonio non ci sono possibilità d’intervenire da parte della società per una questione di efficienza giuridica: è infatti impossibile ottenere un certificato di fertilità (sorvolando sui fantasmi eugenetici che richiamerebbe). Stabilire una età sinodale per le donne sarebbe una evidente disparità di trattamento rispetto all’uomo fin dall’età giovanile perché così le donne avrebbero una prospettiva di vita totalmente diversa e penalizzante (e nonostante quel che pensa Regalzi, è noto che lo stress è una delle maggiori cause di infertilità).
Cosa rimarrebbe? Il redde rationem alla morte del coniuge con restituzione del mal tolto fino a quel momento e la negazione della pensione di reversibilità? Ma siamo sicuri che il recupero crediti copra i costi dell’azione legale (giusto negare la pensione di reversibilità sarebbe una cosa semplice da attuare) e della sofferenza inflitta alle donne senza figli, le quali, nella stragrande maggioranza, già soffrono per questa condizione (altrimenti non avremmo questa “grande” richiesta di assistenza medica alla fecondazione). Gli uomini stanno a posto… possono finalmente cercare a norma di legge una più giovane.
Per le coppie omosessuali, nulla di tutto questo. Non li attende nessun redde rationem alla fine perché nessuno si attende nulla da loro.
Fra Diavolo:
«La società fa bene a scommettere sull’insieme delle coppie eterosessuali senza dare per forza la caccia a quelle che non li fanno».
Che parte hanno le coppie di ultra-sessantenni in questa scommessa? Cosa si aspetta la società da loro? In che senso «darebbe loro la caccia» se stabilisse un'età limite per sposarsi? Da quando in qua i dati anagrafici sono così riservati? La società «dà la caccia» a qualcuno ogni volta che stabilisce un'età minima o massima per qualcosa?
«Prima del matrimonio non ci sono possibilità d’intervenire da parte della società per una questione di efficienza giuridica: è infatti impossibile ottenere un certificato di fertilità (sorvolando sui fantasmi eugenetici che richiamerebbe)».
Ho già detto più volte che non ci sarebbe bisogno di questo. Non agitiamo teste di turco (o straw men, se preferisci).
«Stabilire una età sinodale per le donne sarebbe una evidente disparità di trattamento rispetto all’uomo fin dall’età giovanile perché così le donne avrebbero una prospettiva di vita totalmente diversa e penalizzante».
Già; ma per usare le tue stesse parole, nessuno si aspetta nulla da un'ultracinquantenne. La natura ha stabilito che gli uomini possono procreare fino a tarda età (ammesso che riescano a trovare una partner più giovane), e le donne no – esattamente come ha stabilito che le coppie eterosessuali possono procreare senza particolari artifici, e le coppie omosessuali (in particolare quelle maschili) invece no. Com'è che per le donne questo determinerebbe una disparità ingiustificabile e per gli omosessuali no? Non è sempre la stessa natura a parlare?
«Cosa rimarrebbe? Il redde rationem alla morte del coniuge con restituzione del mal tolto fino a quel momento e la negazione della pensione di reversibilità? Ma siamo sicuri che il recupero crediti copra i costi dell’azione legale (giusto negare la pensione di reversibilità sarebbe una cosa semplice da attuare) e della sofferenza inflitta alle donne senza figli, le quali, nella stragrande maggioranza, già soffrono per questa condizione».
Lasciamo perdere il recupero crediti (che fin qui nessuno ha mai nominato). Negare la pensione di reversibilità non determinerebbe particolari discriminazioni, visto che non la percepirebbero neppure gli uomini in caso di morte della moglie; il fatto che in genere sia la donna a riceverla dipende in buona parte dalla diversa speranza di vita – non mi pare che questo configuri un particolare vantaggio maschile, anzi il contrario. Lasciare la pensione a chi figli non ne ha avuti, questo sì costituirebbe una discriminazione (sempre nella tua ottica, è chiaro): discriminazione nei confronti di chi ha affrontato sacrifici per tirare su i figli, rinunciando in tutto o in parte ad occasioni di reddito; discriminazione nei confronti di chi non si è potuto sposare, e magari i figli li avrebbe voluti, che vede le proprie tasse andare a beneficio di chi ha già ricevuto benefici per cui non ha dato – volente o nolente – nulla in cambio.
Quanto poi all'argomento della sofferenza delle donne, che si aspettavano figli e non ne hanno avuti, e su cui non bisognerebbe infierire: a parte il fatto che non si vede che sofferenza ci sia nel non ricevere una pensione di reversibilità non dovuta (visto che la sua ratio – ripeto – consisterebbe nella tua ottica solo nel sostituire redditi perduti perché si era impegnati a sostenere i figli), perché allora non prendere in considerazione la sofferenza degli omosessuali, che spessissimo vogliono figli anche loro? O la sofferenza dei single che magari non sono riusciti a trovare nemmeno un partner, nonostante le loro speranze, per non parlare dei figli? O anche la sofferenza della brillante promessa della chirurgia, che in seguito a un incidente non può più operare? Già, applicando il tuo argomento costui avrebbe diritto a una pensione da chirurgo che ha operato per quarant'anni...
"La “marea” di risorse che verrebbero sprecate non esiste. È una piccola percentuale di coppie eterosessuali rispetto al totale di quelle che fanno figli (e spesso perché non sufficientemente supportate)."
Ma quante apodittiche affermazioni e senza uno straccio di dato.
E no caro mio, se il motivo sono le risorse scarse, o fai figli o niente (e restituisci il maltolto). 5 anni di tempo per dare al mondo prole, se no via tutti i privilegi economici (ritornano quando darai prole, possibilmente numerosa). Ancor più se, altrimenti, si discriminano pure i single, quindi non c'è alcun motivo perché una discriminazione permanga, se non si vedono i vantaggi concreti per la società. Con tutto quel flusso di laica razionalità che ti scorre in corpo dovresti arrivarci da solo
Quello che voglio affrontare è il ruolo assunto dalla procreazione assistita nell'equiparare le coppie omosessuali a quelle eterosessuali.
Se, come da Lei riferito, il matrimonio comporta dei privilegi che vengono accordati alle coppie per sostenerne la funzione riproduttiva, cioè diamo soldi a chi fa figli scommettendo sull'insieme delle coppie, bene: di questo insieme fanno parte anche le coppie dello stesso sesso.
no, vabbè fradiavolo, nel marasma questa perla sulle risorse alla genitorialità mi era sfuggita:
"Sono pochissime norme e se fosse tutto lì sarebbe ben misera cosa! Innanzi tutto sono chiaramente misure che cercano di regolare i casi anomali e cercano di ricondurli, per quanto possibile, alla situazione considerata preferibile"
i figli naturali sono equiparati in tutto a quelli nati nel matrimonio non perchè sono "casi anomali" o per ricondurli a
una situazione ritenuta "preferibile" ma perchè la legge italiana non fa giustamente differenza alcuna tra chi si sposa e chi no per fare un figlio
ma del resto, sanfedismo è libertà
@Regalzi
Lei arriva ad affermare, evidentemente per mancanza di tempo e per il solo gusto della polemica, che la pensione di reversibilità gli uomini non la percepirebbero. Siccome mi sembrava una novità assoluta, ho consultato il sito dell’Inps e, senza rovistare tanto, salta fuori immediatamente, che i beneficiari dopo i coniugi sono, in cascata, i figli (guarda un po’!), i nipoti, i genitori, i fratelli celibi e le sorelle nubili. Tra i coniugi non ci sono limitazioni di sorta, se non in caso di separazione o di divorzio (ovviamente). Tutti gli altri hanno un diritto spesso limitato nel tempo e purché rientrino in condizioni molto strette (età, studi, inabilità, dipendenza economica, ecc.)
L’intero testo dell’Inps è troppo lungo. Ne faccio una sintesi e vi indico il link:
http://www.inps.it/portale/default.aspx?itemdir=8071
I beneficiari:
1. il coniuge
il coniuge separato, purché…
il coniuge divorziato, se…
2. i figli
(legittimi, legittimati, adottivi, naturali, legalmente riconosciuti):
minori di 18 anni;
studenti di scuola media superiore di età compresa tra i 18 e i 21 anni, a carico del genitore deceduto e che non svolgono attività lavorativa;
studenti universitari per tutta la durata del corso legale di laurea e, comunque, non oltre i 26 anni, a carico del genitore deceduto e che non svolgono attività lavorativa;
inabili di qualunque età a carico del genitore deceduto.
3. i nipoti,
… omissis…
4. i genitori(in mancanza del coniuge, dei figli e dei nipoti):
… omissis…
5. i fratelli celibi e le sorelle nubili (in mancanza del coniuge, dei figli, dei nipoti e dei genitori):
… omissis…
Fra Diavolo:
io ho scritto: «Negare la pensione di reversibilità non determinerebbe particolari discriminazioni, visto che non la percepirebbero neppure gli uomini in caso di morte della moglie», dove si intende – molto chiaramente, secondo me – che se la pensione di reversibilità non fosse assegnata ai sopravvissuti delle coppie senza figli, allora si darebbero casi in cui anche gli uomini non la percepirebbero in caso di morte della moglie (e quindi non ci sarebbe una discriminazione a spese delle donne). Ovviamente non ho detto che attualmente gli uomini in generale non la percepiscono.
Attendo la risposta agli argomenti che esponevo nello stesso commento.
@Anonimo
Veramente non è vero che «la legge italiana non fa[ccia] differenza alcuna tra chi si sposa e chi no per fare [rectius, educare] un figlio». La clamorosa smentita gliela dà la legge sull’adozione, secondo la quale il primo requisito da possedere per poter essere aspiranti genitori adottivi è quello di costituire «una stabile unione [ossia] devono essere uniti in matrimonio da almeno tre anni e non essere separati neppure di fatto… omissis… oppure [nel caso siano sposati da meno di tre anni] dimostrare di aver convissuto in modo stabile e continuativo prima del matrimonio per almeno tre anni».
Le faccio notare che in ogni caso debbono essere sposati e se lo fossero da meno di tre anni debbono in qualche modo dimostrare di aver convissuto in modo stabile per almeno tre anni.
Mi pare che questo confermi ancora una volta che uno degli interessi fondanti da parte della società nei confronti del matrimonio sia proprio nel vederlo come lo strumento preferenziale per l’educazione dei bambini. Ancor più deve far riflettere che l’adozione costituisce uno strumento “riparativo”, con il quale si cerca di dare ai bambini, per quanto possibile, ciò che spetterebbe loro in quanto bambini: una coppia genitoriale (eterosessuale) che li ami e si occupi di loro, vista come la loro “condizione naturale”.
fra diavolo
non è affatto così perchè l'argomento era la tutela economica della genitorialità (rispetto alla quale il matrimonio è - giustamente - del tutto indifferente) ed è patetico il suo tentativo di affermare che l'infelicissima affermazione
"Sono pochissime norme e se fosse tutto lì sarebbe ben misera cosa! Innanzi tutto sono chiaramente misure che cercano di regolare i casi anomali e cercano di ricondurli, per quanto possibile, alla situazione considerata preferibile" fosse riferita ai soli adottandi e non ai ai figli naturali (che alcuni impresentabili individui definiscono ancora "della colpa")
@Anonimo 12/12/14 18:57
Non capisco cosa ci sia d’infelice nell’affermazione che lei riporta. Comunque, rielaboro.
– La sopravvivenza fisica del corpo sociale è una tra le priorità assolute per una qualsiasi società (la guerra difensiva, anche secondo la costituzione italiana, è un esempio chiarissimo).
– Sopravvivere significa impedire l’uccisione degli attuali (guerra difensiva) e garantire la presenza dei futuri (procreazione? Non vedo altro procedimento significativo).
– Il bilancio militare è imponente. Il bilancio di tutto ciò che “ruota” intorno al matrimonio, pure.
– Se lo scopo fondante delle risorse impiegate per il matrimonio non è la procreazione, vorrà dire che la società provvede in altro modo, confrontabile, almeno alla lontana, con i due esempi precedenti.
– Le dispiacerebbe farmi vedere in qual altro modo la società provvede?
L’esempio degli adottandi è solo la dimostrazione che il nostro ordinamento considera “normale e preferibile” che TUTTI i bambini siano cresciuti ed educati da coppie eterosessuali stabili.
@Anonimo 12/12/14 18:57 (commento bis)
"Preferibile" non significa che non ci possano essere casi in cui, non essendo possibile la soluzione privilegiata, non si ricorra ad altro.
@Regalzi (e Aldo)
Non è mia l’ipotesi che coloro che essendo stati sposati hanno usufruito di privilegi rivelatisi a conti fatti non legittimi, debbano “restituire il mal tolto”. È ciò che afferma Aldo facendone una questione di razionalità (che lo porta pure a tratteggiare uno strano scenario con benefici che vanno e vengono, con franchigia di cinque anni). In fondo, sul piano di una razionalità astratta potrebbe non avere torto. E non solo sul piano astratto: io stesso avevo ammesso che una cosa molto semplice sarebbe quella di negare la pensione di reversibilità al coniuge sopravvissuto senza figli (ma ci tornerò perché rimarrebbe ugualmente un’ingiustizia), ma che ugualmente quella coppia avrebbe usufruito lungo tutta la durata del matrimonio di una serie di privilegi che sarebbe “giusto” farsi restituire (il famoso “mal tolto” di Aldo). Cosa assolutamente impossibile da realizzare. Basti l’esempio della casa popolare: gliela confischiamo al vecchietto/a neo vedovo/a? Oppure è il pacco dono per il cinquantesimo compleanno di lei e li sfrattiamo tutti e due?
Sarebbe una strada impossibile da realizzare, però “razionale”, la quale non inficia la mia teoria dell’opportunità del supporto da parte della collettività alle attività socioeconomiche che nel loro complesso raggiungono gli scopi. Ci saranno sempre alcune inefficienze, come avviene in qualsiasi intervento di supporto alle attività sociali, ma, ripeto, il bilancio sarà positivo e certamente migliore del non intervento. In fondo, anche quando s’incentiva un’attività economica qualsiasi e con i soldi distribuiti alcuni riescono a creare società pubbliche o private che siano per realizzarla, nel caso una di queste società fallisca, non si applicheranno penali per non aver raggiunto lo scopo (tranne nei casi di malaffare)
Cercherò di essere più specifico nel rispondere ai punti che evidenzi, che però mi sembra si possano sostanzialmente ridurre all’esclusione delle donne anziane dal matrimonio come necessità logica della mia impostazione.
Repetita iuvant.
Se, come da Lei riferito, il matrimonio comporta dei privilegi che vengono accordati alle coppie per sostenerne la funzione riproduttiva, cioè diamo soldi a chi fa figli scommettendo sull'insieme delle coppie, non si capisce perchè di questo insieme non possano far parte anche le coppie dello stesso sesso.
A dir la verità non si capisce nemmeno perchè la famiglia stabile di cui si parla come requisito per le adozioni debba essere costituita da genitori eterosessuali. Le coppie eterosessuali sono più stabili? C'è qualcos'altro o è solo una questione di pregiudizi? Suoi pregiudizi, per esempio?
fradiavolo, è un paragone subdolo, sottinteso, con l'odore acre della sacrestia, quello che non si riesce a nascondere per quanto ci si finga liberali
@Anonimo 15/12/14 18:44
Non mi è chiaro a cosa tu ti riferisca. Puoi spiegarti meglio?
@Regalzi
Tra le obiezioni che fai alla mia visione dell’utilità del matrimonio, mi sembra che le uniche significative siano quelle legate alla impossibilità pratica delle donne di generare oltre una certa età. Prendiamo in esame innanzi tutto le donne sposate che non hanno avuto figli. Come già detto in altro messaggio, ci sono impossibilità giuridiche insormontabili a chiedere quello che Aldo ha definito il maltolto. L’unica misura semplice sarebbe la confisca della pensione di reversibilità, semplice da applicare, ma ugualmente ingiusta o, per dir meglio, controproducente. Nella mia ottica secondo la quale l’interesse fondante della società nei confronti del “sistema matrimonio” è quello di sostenere le coppie nella procreazione e nell’educazione, la confisca della pensione di reversibilità sarebbe una misura controproducente, perché sarebbe applicata solo in un’ottica statica e ragioneristica, senza prendere in considerazione il processo che si vuole facilitare nel suo sviluppo umano e sociale. Devo ripetermi: se voglio aiutare una qualsiasi attività produttiva, devo fornire aiuti fin dall’inizio ed ancor prima, quando qualcuno dovrà decidere se imbarcarsi in essa valutando se ci siano sufficienti garanzie di avere una discreta probabilità di riuscita (e di fallimento). Nel far questo dovrò conteggiare quello che ci metterò io e quello che ci metterà lo stato. Proprio in questi giorni il governo pubblicizza l’accesso a borse di studio e a prestiti agevolati per giovani, sia per lo studio che per avviare attività produttive. Nessuno pensa che lo studente bocciato debba restituire i soldi di una borsa di studio (al massimo, nel caso fosse prevista questa possibilità, non gli verrà rinnovata). Prendere una borsa di studio può significare dover rinunciare ad altre possibilità lavorative, ma intanto mi sono assicurato una “tranquillità” economica, anche se limitata nel tempo e oggi molto precaria. Ben altra sarebbe la condizione di scelta se ci fosse la possibilità di dover restituire quanto ricevuto per uno o due anni. E probabilmente anche il rendimento del borsista sarebbe peggiore di fronte alla possibile catastrofe economica della restituzione (anche se qualcuno erroneamente pensa che il sistema del bastone e della carota sia il non plus ultra per stimolare nello studio). Se vogliamo ottenere risultati accettabili, dobbiamo fornire “prospettive di vita” credibili e garantite, oltre che appetibili. E poi dobbiamo dare fiducia a chi abbiamo deciso essere in grado di raggiungere lo scopo.
Questa stessa strategia, mutatis mutandis, è più o meno quella messa in campo dalla società per sostenere il matrimonio e per sperare in risultati concreti (non solo figli: ripeto che non è l’unico interesse sociale perseguito, ma è quello che se venisse a mancare non ci sarebbe giustificazione per la dimensione dell’impegno sociale messo in campo). Dobbiamo, quindi, dare prospettive di vita garantite alla coppia che si sposa. Anzi, per essere più chiari, anche se dovrebbe essere del tutto evidente, queste “garanzie” devono essere percepite e valutate, magari in modo implicito, anche da quelli che ancora sposati non sono e che cercano un compagno con cui, se gli andrà a genio, sposarsi.
E si dovrà dare alla coppia la nostra fiducia, così come nell’esempio del borsista, dando per scontato che cercheranno di gestire la propria vita matrimoniale al meglio delle proprie possibilità. Dovranno, pertanto, poter fare i progetti che riterranno più opportuni per la riuscita della propria convivenza. Alcuni saranno anche a lunga scadenza ed alcuni comporteranno impegni economici considerevoli come, ad esempio, l’acquisto di una casa. È della massima evidenza che la sola possibilità di avere un reddito decurtato alla morte di uno dei due porti ad a ridurre radicalmente l’appetibilità di essenziali scelte a lunga scadenza.
(continua: interrotto per limiti d’età (di caratteri)
@Regalzi (continuazione)
Il punto nodale è rappresentato dalla necessità di accordare fiducia alla coppia, così come facciamo nei confronti del borsista. Ci saranno certamente borsisti che coglieranno al volo l’occasione solo per usufruire di un reddito immeritato, ma, ciò nonostante, continuiamo a dare borse di studio e a non richiedere indietro il “mal tolto” perché pensiamo che il bilancio complessivo sarà ugualmente a vantaggio della crescita culturale della società. Analogamente per le coppie eterosessuali che si sposano: alla fin fine, nella stragrande maggioranza, i figli li fanno davvero.
Un'ulteriore prova della validità dell'assunto ci viene anche dalla conferma negativa: oggi moltissime coppie si sposano dopo che il figlio l’hanno già fatto. Non sarà per caso che, una volta scontratisi con la fatica di dover allevare figli, abbiano scoperto che sia più vantaggioso essere sposati?
Aggiungerei anche che, siccome è noto come lo stress sia una delle cause principali dell’infertilità (e non solo per le donne), la tranquillità per il proprio futuro a lungo termine diventa una necessità. La necessità di “figliare a tempo” è proprio l’opposto.
Per qualche uomo coniugato con moglie attempata senza figli, non sarebbe poi tanto male potersi liberare a norma di legge di quel peso morto e cercarsene una nuova, giovane e magari piuttosto avvenente, per usare un termine sufficientemente soft (soprattutto se adeguatamente ricco).
Per quanto riguarda l’ipotesi di impedire il matrimonio alle donne ultracinquantenni, dovrebbe essere sufficiente una serena valutazione degli effetti sociali su quelle che si avvicinano a quell’età senza essere coniugate. Non è solo un loro problema personale, ma spingeremo ad assumere atteggiamenti del tutto antisociali da parte di un gruppo consistente di persone. Avremmo inventato le zitelle a norma di legge. Non entro nel dettaglio per spiegare quali potrebbero essere le conseguenze negative perché penso che dovrebbero essere evidenti (oltre alla non accettabile disparità di trattamento nei confronti degli uomini).
Qualora tutto ciò non vi risulti convincente, evidenzio due cose:
- pensare di motivare il matrimonio solo con la valorizzazione del rapporto interpersonale, si scontra con la mancata regolamentazione giuridica di altri rapporti interpersonali importantissimi, quale l'amicizia: che cosa motiva l’indifferenza da parte della società nel non concedere particolari privilegi?
- una volta eliminato il matrimonio dalla lista delle misure a favore della procreazione, l’onere della prova passa a voi che dovreste individuare quale insieme coordinato e coerente di azioni la società mette in campo per garantire la sopravvivenza fisica del proprio corpo sociale. Che non lo faccia è assurdo, ma io non sono riuscito a trovare qualcosa di diverso e migliore.
@filippo
-"Repetita iuvant": verissimo! Anche se il mio professore di latino aggiungeva "Sed stufant";
-Riaffermo che non reputo adeguato a questa discussione il tema da lei proposto: chieda eventualmente a Regalzi di farne una nuova;
-Gli eventuali pregiudizi a favore delle coppie eterosessuali stabili, per essere onesti, non sono miei, ma della legge italiana sull'adozione.
@Regalzi
Per cortesia puo' gentilmente permettere a Fra Diavolo di rispondere a Filippo.
La discussione e' surreale! Non si puo' sentire un diaologo in cui un interlocuture evitare di rispondere inventando scuse.
@Simone:
a dire il vero preferirei che la discussione rimanesse limitata al caso del matrimonio senza figli, per non far debordare troppo un discorso che già è andato molto al di là dell'oggetto del post.
Mi sembra anche che in questo modo si colga più chiaramente l'essenza del matrimonio, il che non è male, vista l'alterazione che ne viene fatta in continuo dai cattolici.
Ho provato ad inviare questo messaggio in modo precario dal cellulare, ma siccome non sono riuscito a vedere la conferma che fosse stato letto ed ancora non lo vedo pubblicato, lo invio nuovamente scusandomi per l’eventuale duplicazione. In fondo ci tenevo che arrivasse prima delle polemiche…
@Regalzi
Approfitto di questo attimo di pausa (ossia prima di essere subissato da tante legittime contestazioni) per poter esprimere una certa soddisfazione ed apprezzamento a lei per aver potuto partecipare ad una discussione che mi sembra si sia mantenuta in termini più che civili e che mi è anche stata utile per approfondire a me stesso il mio pensiero.
Grazie a lei. Queste sono le uniche conversazioni che vale la pena di avere, lo dico per lunga esperienza.
Il tizio non risponde perché non ha niente da rispondere. Ovviamente.
La discussione è interessante? Forse, ma di certo è fine a se stessa. Perché non spiega affatto le fantomatiche ‘ragioni laiche’ che dovrebbero imporre di non estendere l’istituto del matrimonio alle coppie dello stesso sesso.
Se infatti il matrimonio non è solo un bambinificio ma anche altro, come sosteniamo noi tutti, non si vede perché le coppie dello stesso sesso non possano sposarsi. Come i vecchi o gli sterili.
Se poi il matrimonio serve in pratica solo per figliare, come dice invece, strumentalmente, questo signore, anche coppie dello stesso sesso possono avere dei bambini. Non potendo averne, gli si potrebbe consentire di adottare, esattamente come agli eterosessuali sterili, naturalmente dopo avere rimosso dalla legge sulle adozioni quei pregiudizi da cui il nostro prende formalmente le distanze, ma che di certo non gli dispiacciono.
Non è con argomenti peregrini come questo che uno può illudersi di dare fiato ai propri pregiudizi e di affermare che il matrimonio debba essere riservato ai soli eterosessuali.
E’ musica scadente, che abbiamo già sentito un sacco di volte.
"L’onere della prova passa a voi che dovreste individuare quale insieme coordinato e coerente di azioni la società mette in campo per garantire la sopravvivenza fisica del proprio corpo sociale"
Non sono ancora interevuto lo faro solo una volta cercando di commentare quest' ultima affermazione che mi pare paradigmatica.
1) In Occidente sono 2500 anni almeno che la impossibilita' a procreare non e' un impedimento assoluto a contrarre matrimonio. Quindi per cortesia non scambi i suoi desideri con la realta': la societa' e' sopravvissuta (anzi siamo piu' che troppi) anche se si possono sposare le persone sterili.
2) Sempre da 2500 anni meno qualche decennio il matrimnio non regolava la filiazione ma regolava la filiazione legittima che e' cosa molto diversa.
3) Legge elementare della demografia: per mantenere costante il numero dei componenti di una popolazione il numero di figli per coppia deve essere due (in realta di piu') quindi vuole per caso sostenere che si possono sposare solo le persone che generano due figli?
Fra Diavolo:
l'esempio che fai della borsa di studio è profondamente fuorviante. La borsa di studio serve per pagare le spese in cui uno studente incorre adesso; garantisce la tranquillità necessaria per studiare perché fornisce i mezzi per studiare. Se passiamo al campo procreativo, il miglior paragone con la borsa di studio saranno gli assegni familiari o le deduzioni o detrazioni per carichi familiari, che saranno corrisposti però quando i figli ci saranno effettivamente (e che sono indipendenti dal fatto di essere sposati o meno). Al massimo possiamo parlare del sostegno per acquistare una casa, in modo da preparare per così dire il terreno più adatto alla nascita dei figli. Si tratta di misure che vengono prima o seguono immediatamente la nascita dei filgi. Ma cosa ha a che fare tutto questo con i benefici portati dal matrimonio – in primo luogo la pensione di reversibilità – e corrisposti a persone non più in grado di avere figli? La tua risposta, un po' vaga, è che bisogna dare tranquillità per il futuro a lungo termine. Il che equivale a dire che bisognerebbe promettere al borsista una pensione, e anche che questa pensione verrà corrisposta anche in caso di fallimento negli studi, perché solo così, con la sicurezza assicurata, potrà dedicarsi tranquillamente allo studio. Questa è ovviamente una follia, nel caso dello studente; non vedo perché non dovrebbe essere una follia anche nel caso dei coniugi.
La sicurezza economica a lungo termine si ottiene cercando un lavoro, esattamente come fanno i single; nel momento in cui nascessero i figli si concretizzerebbe nell'ipotesi la prospettiva della reversibilità, in modo da consentire a chi lo volesse un sacrificio parziale o totale delle opportunità di carriera per allevare i bambini. Dov'è l'angoscia della situazione? I figli non verranno? Allora te la caverai come fanno le persone non sposate (che non muoiono di fame a sessantacinque anni). I figli verranno? Avrai la tua pensione, e di che ti preoccupi allora?
Tu continui a parlare degli effetti di questa situazione sulla fertilità. Ma cosa succedeva quando la pensione di reversibilità non esisteva? Si tratta di un'invenzione relativamente recente, come sai. Forse la fertilità era minore allora, quando non esisteva un sistema pensionistico vero e proprio neppure per i lavoratori, e chi non aveva figli che lo assistessero in tarda età poteva letteralmente fare la fame? Non mi pare proprio.
Ma ammettiamo per puro amore di discussione che la situazione di un(')ultrasessantenne che si veda dichiarare nullo il proprio matrimonio sia così nera come la descrivi; non sarebbe questo un motivo valido per estendere a tutti il matrimonio? Se l'impatto sul welfare delle persone è così devastante, allora certo non si potrà negarlo anche alle coppie omosessuali. Un omosessuale che si sente dire che il matrimonio con il suo compagno sarebbe nullo a qualsiasi età soffre di meno?
Fra Diavolo:
«Per quanto riguarda l’ipotesi di impedire il matrimonio alle donne ultracinquantenni, dovrebbe essere sufficiente una serena valutazione degli effetti sociali su quelle che si avvicinano a quell’età senza essere coniugate. Non è solo un loro problema personale, ma spingeremo ad assumere atteggiamenti del tutto antisociali da parte di un gruppo consistente di persone. Avremmo inventato le zitelle a norma di legge. Non entro nel dettaglio per spiegare quali potrebbero essere le conseguenze negative perché penso che dovrebbero essere evidenti (oltre alla non accettabile disparità di trattamento nei confronti degli uomini)».
Qui si potrebbe rispondere in molti modi. Per esempio, che la «zitella» oggi non è chi non è sposata, ma chi non ha proprio un compagno; e nell'ipotesi che facevamo si parlava ovviamente solo di matrimonio, non di impedire alle persone di mettersi assieme. Si potrebbe rispondere anche che la stragrande maggioranza di chi si sposa oltre i cinquant'anni non sono zitelle o scapoli, ma persone divorziate o vedove, contro cui non esiste nessuno stigma particolare, anche se rimangono nella condizione in cui si trovano. Soprattutto, si potrebbe rispondere che oggi il costume è un po' più evoluto di un tempo, e che una donna nubile non è socialmente una reietta; siamo nel 2014, non nel 1954.
Ma ammettiamo pure che sia come dici tu. In questo modo, però, stai ipotizzando per il matrimonio uno scopo che è totalmente avulso dalla procreazione. Scopriamo improvvisamente che per te il matrimonio serve ad (almeno) due scopi: procreare ed evitare effetti sociali negativi sulle donne ultracinquantenni. Per te risorse della società sono spese utilmente per evitare che qualcuno dia della zitella a una donna di sessant'anni che non può più (nell'ipotesi) sposarsi. Ma allora, di grazia, perché le stesse risorse non potrebbero essere spese per uno scopo che sembra un pochino più urgente? Tu stesso elencavi all'inizio della discussione i vantaggi del matrimonio; perché escluderne gli omosessuali? Le zitelle sono un gruppo sociale più bisognoso, più oppresso di loro?
«pensare di motivare il matrimonio solo con la valorizzazione del rapporto interpersonale, si scontra con la mancata regolamentazione giuridica di altri rapporti interpersonali importantissimi, quale l'amicizia: che cosa motiva l’indifferenza da parte della società nel non concedere particolari privilegi?»
Mi sembra che normalmente il legame sessuale e sentimentale fondi un'alleanza tra due persone molto più profonda di quella che può garantire il legame amicale (anche se questo sovente è più stabile). Il matrimonio parte da quel legame per istituire diritti e doveri reciproci.
«una volta eliminato il matrimonio dalla lista delle misure a favore della procreazione, l’onere della prova passa a voi che dovreste individuare quale insieme coordinato e coerente di azioni la società mette in campo per garantire la sopravvivenza fisica del proprio corpo sociale».
Qui evidentemente non ci siamo capiti. Chi dice che il matrimonio non sia a favore della procreazione? Noi diciamo che non è esclusivamente o necessariamente a favore della procreazione, il che è una cosa molto diversa.
@Regalzi
Debbo riconfermare la validità della mia “dimostrazione per assurdo”. Proprio l’ultima sua obiezione mi rende chiaro che non riesco ad esprimermi con la chiarezza che vorrei. Io non ho mai detto (come molti pensano che io dica) che il matrimonio sia esclusivamente a favore della procreazione e l’ho ripetuto più volte. La procreazione, però, costituisce una valida ragione per motivare l’intervento massiccio della società a favore delle coppie in vista della sua sopravvivenza fisica. La sola profondità affettivo-sessuale tra due persone (che io riconosco per vera) non può essere una motivazione che possa sostenere l’assunto. Non è solo una questione di entità valoriale del fenomeno, ma una illogicità in quanto i rapporti interpersonali hanno già il loro “premio” in loro stessi, senza bisogno di altri “aiutini”. Mi sembra che a forza di dettagli, sia passata in seconda linea la prima e fondamentale obiezione contro il matrimonio, etero o omo che sia: con esso si favoriscono immotivatamente due persone rispetto a ai single e, per di più, con con la contraddittoria motivazione che già vivono una condizione migliore. Rimangono solo due uscite possibili: o l’amore libero (abolizione del matrimonio), o s’individua una ragione adeguata e proporzionata (dal punto di vista della società che dà e non da quello di chi riceve) per questa discriminazione. Sono obbligato a ripetere ancora una volta che l’alleanza tra due persone (amicizia o amore che sia), per quanto profonda e per quanto utile per la società, non ha nessuna necessità di essere sostenuta dalla società con privilegi speciali perché già autosufficiente (spiritualmente ed economicamente). Diverso è il discorso quando si pensa che costituisce il modo migliore per generare, allevare ed educare figli, con grandissimo dispendio economico e di energie da parte della coppia.
Per tutto ciò, io single riconosco alle coppie eterosessuali il diritto di avere dallo stato aiuti sostanziosamente maggiori di quelli che ricevo io e penso che a maggior ragione gli omosessuali dovrebbero fare lo stesso.
P.S. Non ho risposto nel dettaglio a tutte le obiezioni perché ho pensato fosse necessario eliminare l’equivoco di fondo e sintetizzare ancora una volta in modo schematico il ragionamento in base al quale risulta giusto non introdurre nell’ordinamento giuridico il matrimonio omosessuale (ragionamento laico e senza riferimenti a sistemi etici precostituiti). E non mi pare che il suo punto focale sia stato preso in considerazione.
Per le risposte di dettaglio, provvederò nei prossimi giorni.
In realtà avevo capito la tua posizione; infatti scrivevo alla fine del mio commento "Noi diciamo che non è esclusivamente o necessariamente a favore della procreazione". Tu sostieni che il matrimonio sia necessariamente a favore della procreazione (anche se poi ti contraddici con la faccenda della protezione delle "zitelle"). Altri cattolici sostengono che lo sia esclusivamente. Avrei dovuto invertire i due termini, per essere più chiaro.
(Ma Paolo De Gregorio che fine ha fatto? Mi ha lasciato a fare tutto il lavoro da solo, non è giusto... :-)
@Regalzi
In quanto a solitudine, che dovrei dire io?
@Regalzi
Quando scrivi "altri cattolici sostengono…" affermi, così en passant, che sono cattolico. Che io lo sia o non lo sia non ha rilevanza e di fatto non puoi saperlo. Io credo che sia opportuno evitare di personalizzare la discussione.
È vero che pensavo che tu fossi cattolico, ma non ho detto che la cosa fosse rilevante. Se ti sei dispiaciuto perché ti ho dato del cattolico, ti chiedo scusa.
@Regalzi
Vedi… ora mi metti nella situazione che non posso né accettare le scuse, né declinarle, senza dare quell'indicazione che non voglio dare.
Non è ritrosia da vecchia zitella (per stare in tema), ma perché cerco di evitare quello che mi sembra costituire una brutta abitudine nei dibattiti e soprattutto nei blog: non si discute su quel che dici, ma su quel che sei o penso che tu sia. Per cui, anche se hai affermato A, sei ugualmente in difetto perché il nonno dello zio del nipote di mia moglie, assimilato tout court a te, era un puzzone ed aveva affermato B, che magari era una gigantesca fesseria, lontana mille miglia dai tuoi pensieri. Vorrei evitare di passare il tempo a dipanare questi equivoci.
Poi, magari, alla fine, non è escluso che non ve lo dica se lo sono oppur no: potresti organizzare una lotteria…
A me pare di avere discusso solamente di quello che dici, non di quello che sei. Un riferimento isolato e incidentale al tuo essere cattolico non costituisce una discussione. E non ho particolari curiosità sulla tua religione. Per cui direi che possiamo proseguire senza troppi patemi.
Certo.
Una lotteria con in premio un caffè a Sant'Eustachio...
P.S.: sarò limitato, ma temo di non aver ben compreso quale sia "... il ragionamento in base al quale risulta giusto non introdurre nell’ordinamento giuridico il matrimonio omosessuale...".
Ragionamento naturalmente laico e senza riferimenti a sistemi etici precostituiti.
Ci avremmo scommesso.
@filippo
Il caffè a Sant'Eustachio lo paghi tu? (Per i non romani: è proprio buono!!!)
Il ragionamento potrebbe anche non essere corretto, ma ho la pretesa di averlo espresso in modo comprensibile ed in una forma italiana abbastanza passabile. Comunque, ti sfido a trovare una sola argomentazione che possa essere ricondotta ad un qualsivoglia sistema etico precostituito (immagino diverso dal tuo altrimenti ti saresti spellato le mani per gli applausi) e non ad interessi socioeconomici della società.
Per maggior precisione, ripeto che gli unici presupposti che considero condivisi da tutti quelli che partecipano alla discussione, sono due: 1) la necessità che nella società viga una passabile giustizia distributiva; 2) che ci sia una corretta proporzione tra le risorse impiegate dalla collettività e gli scopi perseguiti.
@Simone
-Non mi pare una idea vincente quella di rifarsi alla legislazione matrimoniale degli ultimi 2500 anni visto che il matrimonio omosessuale non è mai stato consentito (neanche nelle società in cui l'omosessualità non era giudicata negativamente sul piano etico, come in Grecia).
-Ripeto anche te che non ho mai detto che bisogna sposarsi unicamente per fare figli. Ho sempre sostenuto che non si può pensare che lo stato non si preoccupi di aiutare la procreazione, trattandosi della sua propria sopravvivenza, uno dei pochi obiettivi irrinunciabili di qualsiasi organismo, fisico o sociale che sia.
-Il matrimonio eterosessuale è sempre stato lo strumento adottato dell'ultimi 2500 anni (e non solo).
-Nel tempo si sono modificate alcune sensibilità, soprattutto nell'accoglienza dei figli illegittimi. Non mi pare che questo modifichi l'assunto di fondo che l’interesse principale della società (non dei due che si sposano) sia garantire le migliori condizioni per la procreazione.
-Gli unici sterili conclamati sono le coppie omosessuali e, anche se con qualche distinguo, le donne molto anziane. Le coppie omosessuali non si sono mai potute sposare. Le seconde invece sì, ed io credo che impedirglielo sarebbe un provvedimento dannoso per la società. Ne ho parlato in altri messaggi (sollecitato da Regalzi) senza riuscire a chiarirlo al meglio, per cui dovrò tornarci su.
@ Giuseppe
"(Ma Paolo De Gregorio che fine ha fatto? Mi ha lasciato a fare tutto il lavoro da solo, non è giusto... :-)"
È che ogni tanto uno vuole sentirsi dire di essere utile ;-).
A parte gli scherzi, io ho avuto l'impressione che la lunga premessa di Fra Diavolo non abbia retto al nostro scrutinio. In modo complementare al tuo, ho semplicemente sostenuto che è un fatto che il matrimonio nel nostro ordinamento non sia "esclusivamente o necessariamente a favore della procreazione": per dedurre questo basta leggere gli articoli del codice civile e, per quanto concerne gli aspetti economici, annotarne le modalità di erogazione (per esempio per quanto concerne la più volte citata pensione di reversibilità). A questo non ho scorto controdeduzioni risolutive da parte di Fra Diavolo e devo insistere nel dover dire che le sue posizioni derivino da estrapolazioni non del tutto fondate.
Ma anche andando a scrutinare queste estrapolazioni, come hai anche osservato tu, queste comunque non reggono. Fra Diavolo contrappone per esempio una sorta di fantomatica necessità di serenità pro creazionanda che va estesa anche alle coppie non in grado di procreare: per un non meglio precisato rischio di discriminazione. Nella sostanza, l'essere maschio e femmina esaurisce ogni altra necessità di verifica dell'utilità delle misure e agevolazioni che accompagnano i matrimoni. Mi sembra un'estensione esagerata, mi parrebbe come sostenere che io in quanto essere umano avrei diritto ad una pensione per disabilità perché comunque i disabili che ne hanno diritto sono esseri umani, e sarei discriminato altrimenti.
A mio avviso non tiene nemmeno il voler invocare un "insieme coordinato e coerente di azioni [che] la società mette in campo per garantire la sopravvivenza fisica del proprio corpo sociale" da parte di Fra Diavolo, poiché ritengo che egli stesso ammetterebbe di concepire dei limiti a queste garanzie. Per esempio, può darsi che non sia d'accordo che tutti possano procreare con l'aiuto dei laboratori, in qualunque situazione. Quindi queste esigenze non possono intendersi come centro di gravità della società, ma sembra più che egli voglia promuoverle tali per dare sostegno artificioso alla sua posizione. Non sfugge a tale proposito nemmeno come abbia glissato sul problema posto da Filippo, cioè che anche le coppie omosessuali potrebbero "garantire la sopravvivenza fisica del nostro corpo sociale", sotto opportune condizioni. Perché allora le une misure sarebbero inamovibili, e le altre che perseguono lo stesso scopo (fare sopravvivere il nostro corpo sociale) da rigettare?
Nel momento in cui ammettesse dei limiti e delle restrizioni sarebbe anche costretto ad ammettere che il suo postulato decade. Ed in effetti io credo che sia così in modo del tutto naturale: una società tipicamente si prefigge di tutelare i propri appartenenti in senso ampio e non sempre specifico, così che anche la detta sopravvivenza sarà garantita per lo più come conseguenza virtualmente automatica (esempio ne siano le numerosissime coppie non sposate che procreano senza voler trarre alcun vantaggio da dette azioni).
Tutt'al più, anche nell'ottica procreativa, il matrimonio si prefigge un altro scopo, che è quello di favorire il formarsi di mattoni di società che costituiscano un microsistema coeso che è rappresentazione in piccola scala della società ideale stessa: unita, leale, solidale, duratura, reciprocamente vincolata. I figli verrebbero così inseriti in questa realtà che è già previsto che esista. Ma non sono necessari perché quella piccola società venga riconosciuta come funzionale.
@paolo de gregorio e @Regalzi (che giocano a ping pong tra loro: uno tira e l’altro risponde)
– Che il matrimonio sia “esclusivamente o necessariamente a favore della procreazione”, anche se virgolettata, non è una mia affermazione (leggera, ma sempre scorrettezza). Francamente mi meraviglio assai che attenti lettori e come paolo e Giuseppe continuino con questo equivoco. Riprovo: il matrimonio “NON è esclusivamente o necessariamente a favore della procreazione” (ora potete virgolettarlo). La mia tesi, ripetuta più e più volte, era (ed ora la esplicito nel modo più chiaro possibile, virgolettato e virgolettabile): “Il matrimonio ha molteplici fini e la procreazione è uno di questi”
Spero che la cosa sia ormai acclarata.
– Non per questo mi sto contraddicendo. Il matrimonio continuerebbe ad avere tutti i valori che voi sostenete anche senza la procreazione. Mi sembra che più o meno questo sia la vostra tesi di fondo, ed anche la mia.
– Il punto è che la società non avrebbe un chiaro interesse a sostenere il matrimonio più dell’amicizia, più delle comunità tra parenti che si sostengono, più delle comunità hippy, più dei circoli del tressette e neanche più delle comunità di trappisti! E qui bisogna stare bene attenti perché (occhio! è un paradosso e sarebbe sciocco, oltre che inutile, polemizzare sull’argomento) il Vaticano potrebbe prendervi seriamente in parola e invece di pagare l’IMU potrebbe pretendere le case popolari e la pensione di reversibilità, con tutti gli altri benefit a vantaggio di tutti gli ordini religiosi! Paradosso, sì! ma coerente con il vostro pensiero. Idem per le comunità islamiche (così rimaniamo nel politicamente corretto).
– Perché posso affermare di non contraddirmi? Perché le leggi non si devono misurare con il singolo caso come dimostrate di fare (questo sarà compito del giudice giudicante e non del legislatore), ma dovrà essere giudicata sull’insieme degli effetti sulla società.
– La mia posizione dà una motivazione "robusta" per l’esistenza stessa del matrimonio in contrapposizione al libero amore. Vi ho chiesto d’indicare una motivazione che possa vantare credenziali confrontabili e non sono riuscito a sentire nulla oltre la necessità di rinforzare la solidarietà dei coniugi. Ripeto, però, che la solidarietà pura e semplice è una bandiera per cento battaglie. Ho ricordato anche che la guerra difensiva dimostra come purtroppo le esigenze della sopravvivenza possano finire per fare premio su quelle della solidarietà coniugale.
– Alla fin fine, le vostre obiezioni si riducono solo alla necessità di impedire il matrimonio ad un manipolo di povere vecchiette. Ho dovuto interrompere di scrivere una spiegazione sul perché le vecchiette che non hanno figliato non possono essere considerate equivalenti alla coppia di anziani omosessuali. Ho dovuto interrompere per rispondere (e purtroppo solo parzialmente) al debordante paolo de gregorio.
– Ora debbo interrompere, perché devo dare la precedenza a due P.S. per paolo che reputo importanti. Ma entro domani penso di farcela.
(i P.S. arrivano a ruota per limiti di caratteri)
@paolo de gregorio (i tuoi due P.S. )
P.S. per paolo n. 1: non ho “glissato sul problema posto da filippo" (rigidamente minuscolo come usi fare tu, anche se poi a lui gli appioppi la maiuscola). In realtà è stata una esplicita richiesta di Giuseppe. Anche questa è stata una (piccolissima) scorrettezza, ma forse eri distratto o eri in vacanza e Giuseppe ha fatto bene a richiamarti nei ranghi…
P.S. per paolo n. 2: già te lo facevo notare, ma nel blog non sei l’unico, anche se tu lo fai in modo sistematico. È banale affermare che voi siete convinti della necessità di cambiare radicalmente l’ordinamento italiano riguardo al matrimonio. Però non è vero che per via ermeneutica si possa sostenere che nell’attuale ordinamento italiano ci sia già posto per il matrimonio omosessuale al di là di quanto esplicitamente espresso. Ho citato anche la recente sentenza della Corte costituzionale che azzera definitivamente la possibilità di una qualsiasi interpretazione diversa per via ermeneutica, per cui solamente il legislatore potrà cambiare la situazione attuale (e come ho detto più volte, sono più che convinto che lo farà: allegria! alla Mike Bongiorno). Ma vedo un po’ troppa disinvoltura nell’isolare le parole del codice civile quando parla degli obblighi reciproci dei coniugi (potrebbero non esserci?) e trascurare tutto il resto, quali, solo per fare due esempi, la legge sull’adozione e la definizione stessa di matrimonio implicita nel codice civile come dimostrato dalla sentenza di cui sopra. Insomma, mi sembra un po’ comico che ogni tanto l’ordinamento italiano sia “vangelo” (laicamente minuscolo), ed ogni tanto una buffonata.
Fra Diavolo:
«Alla fin fine, le vostre obiezioni si riducono solo alla necessità di impedire il matrimonio ad un manipolo di povere vecchiette».
Una sessantenne (o anche una settantenne) non è proprio «una povera vecchietta». Comunque le nostre obiezioni comprendono anche il mancato annullamento del matrimonio delle stesse sessantenni-settantenni nel malaugurato caso in cui non abbiano avuto figli, se il matrimonio deve necessariamente comprendere la procreazione... ah, ma già, questa non è la tua posizione. Qual è, esattamente, la tua posizione? Perché a questo punto non lo so più. “Il matrimonio ha molteplici fini e la procreazione è uno di questi” è anche la nostra posizione, quindi non è che serva a fare molta chiarezza.
‘Ci sono buonissime ragioni totalmente laiche (?) per opporsi al matrimonio omosessuale anche se ci fosse una sola coppia o se ce ne fossero centomila’.
Vuol dire che ci terremo la curiosità insoddisfatta. Continuando a credere che spiegazioni in realtà non ne esistono, almeno di esaurienti, mentre chi queste spiegazioni dovrebbe fornircele continuerà a farci credere che non ci risponde perché ‘non gli è consentito’.
Nel frattempo vediamo come evolve il dibattito sulle vecchiette.
Ribadisco: il caffè a Sant’Eustachio dovrebbe, eventualmente, pagarlo Lei. Si fidi sulla parola.
@Regalzi
Per ora eviterei le battaglie sugli aggettivi riferiti alle vecchiette. Meritano certamente un chiarimento, ma finora, per cercare di rispondere un po’ a tutto, non ho avuto il fiato per farlo, anche perché, almeno a me, non sembra che costituiscano un problema molto rilevante (comunque, non mi tiro indietro).
Nei confronti del matrimonio non abbiamo la stessa posizione per questi motivi:
– Siamo perfettamente d’accordo nell’affermare che la procreazione è uno degli scopi per cui due persone si sposano, ma non l’unico. Tutti gli altri motivi che vorrete aggiungere, li accetterò a scatola chiusa (forse).
– La questione che ci differenzia e che ho illustrato fin dall’inizio ripetendola ad ogni piè sospinto (non capisco come non sia ancora chiaro) è quella di stabilire se, tra tutti questi motivi, ce ne sia qualcuno che dal punto di vista della società possa dare ragione della rilevanza del sostegno prestato alla coppia che si sposa (secondo il principio della proporzione tra risorse impiegate e fini da raggiungere).
– In caso contrario, lo spreco sarebbe ingiustificato e forse l’amore libero sarebbe la soluzione più logica.
– L’UNICO MOTIVO cha ha la dimensione e la rilevanza per poter sostenere questo ruolo è la procreazione. Gli altri non ne hanno né la dimensione (perfino fisica dei corpi), né possono affermare di essere a sostegno a pari titolo per la sopravvivenza della società.
– Gli altri motivi che avanziamo (voi ed io) oltre a questa, sono praticamente presenti in tutte le altre società di sostegno interpersonale. Tutti matrimoniabili? Forse un po’ troppi e un po’ troppo intersecati (forse non basterebbero dieci matrimoni contemporanei a testa: io ho molti parenti e molti amici…).
– Ed infine (anche se lo presentai come primo argomento) se mancasse una motivazione “forte” non si giustificherebbe la disparità di trattamento nei confronti dei single (è bene non dimenticarsi della giustizia distributiva).
@ Fra Diavolo
"È banale affermare che voi siete convinti della necessità di cambiare radicalmente l’ordinamento italiano riguardo al matrimonio".
Passo anche io al tu. Non mi pare che qui si stia discutendo di ciò di cui io sia convinto: sei stato tu a fare una lunga premessa per poi sostenere una tesi ed io di quella dibattevo ed essa contestavo. Potrei in astratto essere in errore anche io su altre convinzioni in materia, ma questo non dimostrerebbe che la tua tesi si sia dimostrata corretta.
Mi pare di aver già esplicitato che io non condivida la tua premessa, che io ritenga che il matrimonio che hai in mente non è quello del nostro ordinamento e infine che eventualmente le coppie omosessuali vogliano rientrare nei termini di questo matrimonio e non in quello che estrapoli tu. Non interessa qui che questo possa avvenire per via ermeneutica o legislativa: è un fatto che un certo numero di copie omosessuali ambiscano ad avere riconosciuti quei diritti e quei doveri già oggi riconosciuti alle coppie eterosessuali, e nella formazione di essi l'esistenza di una progenie non è elemento imprescindibile. Come la si può brandire come esclusiva? Davvero surreale: "Sì, è vero, quei due si sposano e sono novantenni, ma poverini li vogliamo discriminare perché non più fertili? Piuttosto, voi, ditemi, che siete dello stesso sesso e non potete avere figli, che diamine pretendete?"
Quella che illustri è una tua libera e suggestiva interpretazione, che può ben accomodare il tuo concetto di società, ma non penso proprio che tu abbia dimostrato che questa valenza che attribuisci al matrimonio sia oggettiva, poiché essa va ben oltre la eventuale richiesta di modifica del codice civile: fa dire a quello che il codice oggi già dice quello che esso non dice affatto.
"le parole del codice civile quando parla degli obblighi reciproci dei coniugi (potrebbero non esserci?)"
Certo che sì, che potrebbero non esserci. In fondo gli obblighi verso i figli potrebbero essere esaustivi. Non lo sono. Perché? Non si tratta di "disinvoltura" nell'isolare quelle ed altre parole del codice (che non a caso vengono prima del resto e non dopo): si tratta esattamente del nucleo della questione. Si stabiliscono doveri reciproci, il dovere di assistenza e solidarietà. E questi valgono per tutti, sono sempre valsi per tutti, di qualunque età e con qualunque possibilità o intenzione di procreare o meno. Di più: molte coppie si sposano solo per quello, giovani o meno. Il matrimonio può addirittura terminare quando, pur in presenza di figli, si rinvenisse come lampante che a quelle parole "disinvoltamente" da me richiamate non si sia tenuto fede. Questo addirittura secondo me dimostra come all'interno del matrimonio civile vi sia una scala di priorità per cui i rapporti reciproci tra coniugi vengano prima del nucleo familiare nel suo insieme, nel senso di rappresentare la conditio sine qua non: puoi avere due rapporti su tre che funzionano, padre-figlio e madre-figlio, ma se non funziona padre-madre la famiglia può disunirsi.
@paolo de gregorio
– Affermi di non essere d'accordo con la mia premessa, ma non mi è chiaro su quali punti specifici:
> Forse non sei d’accordo che il matrimonio comporti una disparità di trattamento (non oso dire “discriminazione”) nei confronti di tutti i non sposati, single o conviventi che siano?
> Oppure non sei d’accordo che la società abbia comunque un interesse primario per la procreazione, al di là del fatto che lo strumento scelto sia il matrimonio o altro? Evidenzio che qui non sto dicendo che lo strumento scelto sia proprio il matrimonio.
– Insisti nel dire che gli obblighi verso i figli non sono esaustivi nel codice, ma che prima si stabiliscono i rapporti tra i coniugi. Pensavo di aver già risposto più e più volte (ma forse era il momento in cui eri in vacanza) evidenziando una ovvietà, che quando si vuole supportare una qualsiasi attività socioeconomica, ci si deve preoccupare di supportare innanzi tutto chi la deve realizzare, ancor prima di premiare il “prodotto finito”.
– l'esempio che fai del divorzio mi sembra non adeguato, proprio perché, sempre secondo il nostro ordinamento, il giudice divorzista dovrà curare, nei limiti del possibile, innanzi tutto gli interessi dei figli, prima di quelli della coppia.
– Sorvoli un po' troppo disinvoltamente sull'esempio della guerra difensiva. In quel caso è evidente che la solidarietà tra i coniugi viene sacrificata per le esigenze della sopravvivenza attuale. Un po’ di sana analogia con la sopravvivenza futura?
– Dici che molte coppie si sposano solo per stabilire i doveri reciproci. Questa volta siamo d'accordo! Ma nel dire questo mi fai comprendere di non essere ancora riuscito a spiegare quale per me sia il punto dirimente: quel che è rilevante per la società non è l'interesse soggettivo delle due persone, ma che i coniugi prendano proprio quegli impegni reciproci, proprio quelli che danno la speranza, come dici tu, che la famiglia non si disunisca.
– Mi piace citarti integralmente: «… anche nell'ottica procreativa, il matrimonio si prefigge un altro scopo, che è quello di favorire il formarsi di mattoni di società che costituiscano un microsistema coeso che è rappresentazione in piccola scala della società ideale stessa: unita, leale, solidale, duratura, reciprocamente vincolata. I figli verrebbero così inseriti in questa realtà che è già previsto che esista.»
Mi sto spellando le mani per gli applausi.
Poi aggiungi «Ma non sono necessari perché quella piccola società venga riconosciuta come funzionale.»
Ancora applausi. Non sono necessari loro, ma sono necessari quei mattoni per loro. Non ti pare una clamorosa lungimiranza della società che conferma il mio assunto?
P.S. Siccome rispondere a paolo è sempre complicato (ripeto che a volte ho difficoltà a comprenderlo in prima e in seconda lettura) la storia delle vecchiette, deve ancora pazientare, ma garantisco non mi tiro indietro.
A spasso tra dizionari ed enciclopedie
Non sarà oro colato quel che dicono alcuni dizionari e la Treccani (chiedere a Chiara Lalli per “eutanasia”…) Sarà certamente un covo di retrogradi e forse omofobi, però…
Dizionario della lingua italiana on line (www.dizionario-italiano.it)
Unione legittima dell'uomo e della donna per creare una famiglia e perpetuare la specie
Dizionario Gabrielli della Hoepli (http://www.grandidizionari.it/)
Matrimonio
Unione legittima tra un uomo e una donna che di fronte a un pubblico ufficiale o a un ministro del culto si impegnano a vivere in comunione, e quindi a formare una famiglia, procreare figli, allevarli ed educarli
Enciclopedia Treccani (http://www.treccani.it/enciclopedia/matrimonio/)
Matrimonio
Unione fisica, morale e legale dell’uomo e della donna in completa comunità di vita, al fine di fondare la famiglia e perpetuare la specie.
Se inteso nella sua definizione minima, come unione fra un uomo e una donna, tale che i figli nati da questa unione siano riconosciuti come progenie legittima di entrambi i coniugi (o anche di uno solo), il m. può essere considerato un’istituzione universale, comune a tutti i popoli conosciuti di ogni continente e di ogni epoca.
Enciclopedia dei ragazzi Treccani
http://www.treccani.it/enciclopedia/matrimonio_(Enciclopedia-dei-ragazzi)/
Matrimonio
Unione socialmente riconosciuta tra uomo e donna, in qualche modo ‘ufficializzata’, cioè riconosciuta dalla società e dalle autorità religiose o civili. In genere, anche se non sempre, si tratta di un’unione tra un uomo e una donna finalizzata alla procreazione e all’allevamento dei figli. L’istituzione del matrimonio è diffusa in tutte le culture e in tutte le epoche, ma può assumere una varietà pressoché infinita di forme, così come variano nel tempo e nello spazio le regole che stabiliscono i diritti e i doveri reciproci e le relazioni tra coniugi.
Secondo alcuni antropologi dell’Ottocento il matrimonio non esisteva nelle prime società umane, all’interno delle quali le relazioni tra i generi non erano regolate da alcuna norma. Questa ipotesi, tuttavia, sembra contraddetta dal fatto che tutte le società e le culture studiate dagli antropologi e dagli etnologi – anche le più primitive – conoscono l’istituzione del matrimonio, un’unione socialmente riconosciuta tra un uomo e una donna che ha come fine la procreazione e la legittimazione della prole.
Treccani, Universo del corpo (http://www.treccani.it/enciclopedia/famiglia_(Universo_del_Corpo)/)
È possibile una definizione di famiglia?
La famiglia è un invariante universale nella storia dell'umanità, anzi l'unico invariante 'psichico' della cultura, come afferma uno dei massimi antropologi del 20° secolo, A.L. Kroeber (1952). È dunque possibile una definizione di famiglia a patto che non si confondano le caratteristiche strutturali (che sono dell'ordine dello psichico, cioè del simbolico) con la forma sociologica, cioè storicamente data, della famiglia stessa. Dagli studi di L.H. Morgan (1871) centrati sulle forme di parentela degli indiani d'America a quelli di C. Lévi-Strauss (1949), fino a quelli degli antropologi attuali, risulta infatti evidente come sia impossibile dare una definizione di famiglia in base alla sua organizzazione nelle varie culture. È per questo che l'organizzazione della famiglia nel mondo occidentale, incentrata sulla combinazione padre, madre, figli (famiglia nucleare), non deve trarre in inganno: tale combinazione non è che uno stereotipo etnocentricamente determinato (Héritier 1979). Acquista così una sua plausibilità l'affermazione secondo la quale l'unica definizione possibile di famiglia è quella che si riferisce agli invarianti psicologici e simbolici, stando ai quali la famiglia risulta essere un'organizzazione sociale che, qualunque ne sia la forma, deve garantire appartenenza, protezione e trasmissione dei significati fondanti della vita psichica, sociale, rituale, economica e simbolica tra le generazioni.
A spasso tra dizionari ed enciclopedie bis
Nella ricerca della definizione sui vocabolari del termine matrimonio (probabilmente non esaustiva ma abbastanza ampia), ho trovato diverse definizioni che fanno riferimento solo alla coppia.
Ad esempio il Sabatini Coletti dal sito del Corriere della Sera (http://dizionari.corriere.it/dizionario_italiano/M/matrimonio.shtml)
Matrimonio
Unione tra un uomo e una donna ufficialmente sancita davanti a un ufficiale dello stato civile o a un ministro del culto.
Lo riporto io fin da subito per risparmiare la fatica a quanti volessero riferirsi a questi esempi ed evitare fin da subito un altro fronte: la mancanza esplicita della menzione di uno specifico scopo non significa la negazione dello stesso (e sorvolando sul mix sessuale predefinito)
Fra Diavolo:
esattamente cosa staresti cercando di provare, con questa alluvione di dizionari? L'argumentum ad dictionarium è una fallacia piuttosto grave, ti ricordo.
E a questo punto, come prossimo step, dopo i dizionari passeremo ai proverbi.
D'altronde, vox populi vox dei...
@Regalzi e @filippo
Il primo scopo era quello di dimostrare che la mia visione della cosa non era del tutto isolata. Per questo scopo possono essere sufficienti perfino i dizionari che, appunto, registrano la vox populi di filippo, anche se si rivelasse del tutto approssimata.
Ma nel caso delle enciclopedie della Treccani non ci troviamo davanti a semplici raccolte di modi di dire. I brani che ho trascritto sono tratti da opere prodotte da sociologi ed antropologi accademici di rilievo, che non possono essere facilmente considerati dei ciarlatani.
Consideriamola una semplice parentesi. Per quanto possibile non farò riferimento alle opinioni degli “esperti” e continuiamo solo con quanto siamo in grado di esprimere noi, comuni mortali. Spero solo di aver dimostrato che le stesse idee vengono sostenute anche da altri più qualificati di me, senza che ciò porti nessun obbligo da parte vostra a doverle accettarle.
Parliamo di vecchiette
Alla fin fine, letto e riletto l’intero blog, mi sembra che forse l’unica obiezione che molti avanzano alla mia tesi sia quella di mostrare che, una volta accettata, ne conseguirebbe un’assurdità palese o una regola inaccettabile. La conseguenza inaccettabile sarebbe quella di dover impedire il matrimonio alle donne che abbiano superato un’età sinodale da definire e di “annullare” il matrimonio di quelle che abbiano superato detta età.
La prima risposta legittima (ma non è la mia) potrebbe essere quella di darvi ragione. Chi ritenesse che la procreazione costituisca l’interesse primario della società per supportare le coppie sposate, forse avrebbe il diritto di adottare queste misure legittimamente. Potrei non avere obiezioni di principio. Cosa mai non funzionerebbe dal vostro punto di vista? Per solo amor di polemica, potrei essere disponibile a sacrificare le “vecchiette”.
Passiamo a risposte più pertinenti. Innanzi tutto, separiamo le due fattispecie, quella dell’annullamento per mancanza di figli di un matrimonio legittimamente in essere da quella del divieto di sposarsi per la non sposata. Sono due situazioni sostanzialmente diverse. Più che di annullamento, si dovrebbe parlare di contratto a termine (tra lo stato e la coppia) subordinato ad un evento.
Innanzi tutto è una questione di efficienza giuridica: l’unica cosa “semplice” (ma non giusta) sarebbe la confisca della pensione di reversibilità. Impossibile procedere al “recupero” di tante altre facilitazioni ricevute. Ho già fatto l’esempio della casa: li sfrattiamo? O magari sfrattiamo solo lei, causa del “fallimento”? Forse siamo di fronte ad un “divorzio di stato” e potremmo applicare le regole del divorzio stesso, magari per colpa (sempre di lei, perché la logica così detterebbe). Il buon maritino può passare ad altra, più avvenente e più ricca compagna, previsti che siano o non siano i figli, tanto, per quanto riguarda l’aiutino statale: “finché dura fa verdura” (e il “fin che dura” è sempre relativo all’età sinodale della nuova lei). Il sogno di tanti mariti galantuomini!
Dimentichiamoci del surreale “recupero crediti” (definizione che a Regalzi non è piaciuta, ma è più o meno “la restituzione del maltolto” di Aldo e cerchiamo di comprendere quali possano essere gli effetti di una misura del genere sul comportamento sociale della coppia, sia all’interno della stessa che sulle sue possibili azioni sociali.
L’acquisto di bambini, fenomeno (e reato) che già avviene sotto diverse forme (adozioni estere in stati compiacenti, adozioni fasulle, ostetriche o cliniche compiacenti con registrazione della puerpera con falso nome, crociere lunghe con ritorno dopo un congruo numero di mesi con bimbo in braccio, rapimenti veri e propri: per fortuna(?) la fantasia umana non ha limiti). Ebbene, questo rivoltante crimine sarebbe fortemente incentivato dalla legge! Basta essere ricchi, ma molto ricchi! Si noti bene che il meccanismo di ricerca del pargoletto non avrebbe inizio nell’immediato avvicinarsi della data fatidica («Buon compleanno, cara!») ma scatterebbe non appena sorgesse la paura di non riuscire a generare in modo casareccio, ossia con qualche decennio d’anticipo sull’ora X.
Devo anche ammettere che come effetto collaterale positivo si potrebbe perfino avere un aumento della natalità perché molte donne, soprattutto se non ricchissime, ben sapendo che la fertilità diminuisce significativamente con l’andare avanti negli anni (il massimo della fertilità femminile si ha tra i 20 e i 25 anni), potrebbero affrettarsi a “svolgere la pratica” in giovane età e quindi con maggior probabilità di successo (non criticate il termine burocratico di “pratica”: in fondo è adeguato allo scenario di cui si parla).
E’ finita la lavagna (troppi caratteri), segue a ruota il resto.
Parliamo ancora di vecchiette
Oltre agli incentivi legali a commettere un crimine di cui nel messaggio precedente, non possiamo non prendere in considerazione le conseguenze sulla qualità della solidarietà fra i coniugi (che poi, per molti di voi, sarebbe il vero interesse della società nei confronti del matrimonio). La donna che cominciasse ad aver paura di non poter generare in modo casareccio, potrebbe legittimamente cominciare a pensare che possa dipendere da lui. Ancor prima che lui eventualmente accetti di fare le opportune analisi per chiarire la situazione, la tentazione dell’antichissimo metodo delle corna si farebbe strada facilmente, il che, ancora una volta, non si può dire che sia proprio il massimo per cementare la solidarietà coniugale.
Ed anche se fosse acclarata l’infertilità di lui, certamente alcune potrebbero pensare alla fecondazione assistita, ma ugualmente rientrerebbe in gioco la possibilità di un modo molto più economico, conveniente, collaudato ed anche molto più sicuro per la sua salute, anzi due modi: quello di cui prima (l’antico metodo delle corna) oppure un bel divorzio con assegno divorzile e nuovo marito, tanto più che non mi porto appresso figli…! Naturalmente, ancora una volta a vantaggio della solidarietà coniugale (bisogna però riconoscere che la coppia omosessuale non correrebbe tutti questi rischi a causa di un semplice e banale imprevisto come quello di scoprire che ci sia una probabilità di non poter generare).
Sull’altra faccia della medaglia, avremo un marito sempre più dominante con il passare degli anni, in grado di umiliare la moglie e di brandire in modo ancor più credibile di oggi la minaccia del divorzio. Tanto lui ha una vita (quasi) davanti a sé, ben più promettente di quella di lei.
Insomma, evidenzio ancora il tema della PROSPETTIVA DI VITA che il matrimonio deve assicurare alla coppia affinché questa voglia e riesca a fare tutte le scelte di lungo periodo necessarie affinché i figli possano essere accolti e allevati al meglio. Ho messo in maiuscolo perché questa è la chiave di volta del successo (relativamente allo scopo sociale ricercato). Se la società offrirà buone prospettive di vita alla coppia (cosa che non fa adesso), allora nella stragrande maggioranza i figli li faranno. La minaccia di perdere tutto in data certa se non ci si dimostrerà “buone fattrici”, non sembra creare una buona prospettiva di vita per una una donna (oltre ad essere un po’ offensivo).
Non oso pensare alle proteste di chi si batte per le pari opportunità!!!
Ci saranno certamente delle inefficienze dovute a quelli che i figli non li vogliono fin dall’inizio (anche se poi moltissimi cambiano idea) e a quelli che non riusciranno a farli, ma anche una rozza analisi benefici/costi come quella appena accennata sconsiglia l’annullamento del matrimonio senza figli.
Diverso il caso delle vecchiette non coniugate. Prendo fiato, pronto a sacrificarle, ma non credo sia necessario.
P.S. Anche il caso della borsa di studio era un esempio più che azzeccato. Chi prova ad ottenere una borsa di studio universitaria (termine generico) non lo fa certo per vivere male per due o tre anni (normalmente è più facile trovare di meglio fuori o, per dire meglio, meno peggio) ma lo fa per una prospettiva di vita a cui aspira. Potrà essere spinto da un sincero spirito per la ricerca, per amore della didattica oppure da un bieco desiderio di potere accademico, ma sempre sarà decisiva la prospettiva di vita che vedrà innanzi a sé, anche spesso illudendosi (parlo per conoscere bene il fenomeno dal di dentro).
ahahaha rido tutte queste righe per argomentare che il matrimonio tra omosessuali non si può fare perchè non ci sarebbero i soldi
@Anonimo 29/12/14 18:55
Tante righe, ma non sembra che tu le abbia lette con attenzione, forse proprio perché troppe. Mi correggo subito: sono io che non mi spiego bene. Allora cercherò di essere il più chiaro possibile in poche parole: non è vero che non ci sono i soldi, ma che sarebbero spesi male (la differenza mi pare evidente).
Pare che Lei sia l'unico a cui questa differenza pare evidente.
@filippo
Per il bene delle sue finanze personali, spero che impari al più presto la differenza tra il non avere soldi e l’averne (tanti o pochi che siano) e spenderli male.
Auguri!
Lei interpreta brillantemente, a quanto pare, il ruolo di quello che getta il sasso e poi nasconde la mano.
Ricambio gli auguri.
su "spesi male" veramente complimenti
@filippo e Anonimo 30/12/14 09:09
Sinceramente, non mi sembra che i vostri ultimi commenti diano un contributo alla discussione, ma esprimono solo apprezzamenti personali che possono portare facilmente ad uno sterile battibecco, cosa alla quale non mi voglio prestare.
Comunque, da una parte abbiamo un Anonimo che alle 18:55 di ieri (penso che sia lo stesso di oggi) si fa una risata sarcastica sulle troppe righe scritte da me e dall’altra filippo che mi accusa di nascondere la mano, come se non avessi scritto nulla per motivare le mie ragioni (ovviamente, senza successo). Perché non provate a risolvere tra voi la questione e decidere chi dei due abbia ragione?
Siccome non avrei letto con attenzione riassumo il suo argomento: tutti i diritti, patrimoniali e non patrimoniali, collegati all'istituto matrimoniale trovano fondamento esclusivo nella possibilità della coppia di avere figli, unica garanzia della sopravvivenza fisica e morale della società.
Da ciò discende(rebbe) che i diritti riconosciuti alle coppie omosessuali sarebbero "spesi male".
Ovviamente è libero di pensarlo, ma si deve rendere conto che è la pochezza del suo argomento a portare al "battibecco", non la mia lucidità.
Se è alla ricerca di ‘contributi alla discussione’, se vuole evitare lo ‘sterile battibecco’, cominci col giustificare certe Sue improvvide affermazioni:
“…il ragionamento in base al quale risulta giusto non introdurre nell’ordinamento giuridico il matrimonio omosessuale...".
‘Ci sono buonissime ragioni totalmente laiche (?) per opporsi al matrimonio omosessuale anche se ci fosse una sola coppia o se ce ne fossero centomila’.
Le uniche ragioni che vedo, al momento, sono quelle che promanano direttamente da un ben determinato sistema etico di riferimento, verso il quale Lei ha, peraltro, un dichiarato atteggiamento di “stretta osservanza”.
E non hanno niente di laico.
@filippo
Provi a trovare in questa discussione una qualsiasi affermazione da parte mia che «proma[ni] direttamente da un ben determinato sistema etico di riferimento».
All’altro estremo, l’Anonimo (30/12/14 09:09) si scandalizza che io parli solo di soldi «spesi male».
@Anonimo (30/12/14 15:30)
Devo confermare che il suo riassunto è carente perché non ha letto tutto con attenzione. Infatti si è dimenticato della premessa fondamentale da cui parte tutta la mia argomentazione: il matrimonio genera un disparità di trattamento a favore delle coppie sposate rispetto a tutti i non sposati, single, coppie o comunità che siano. E questo fatto rimane un vulnus nei confronti della giustizia distributiva a meno che non venga individuata una ragion sufficiente per concedere questi privilegi alle coppie sposate. Certamente, la solidarietà tra le persone è tra le cose più importanti che la società deve sostenere, ma presa a sé isolatamente, non è in grado di motivare l’ingiustizia creata del regime matrimoniale. Ad esempio, e non è l’unico motivo per non considerare la solidarietà con le “spalle sufficientemente robuste”, basta rendersi conto che se ci si volesse appoggiare solo ad essa il club diventerebbe un po’ troppo affollato: avrebbero diritto di usufruire degli stessi benefici una gran varietà di strutture sociali di mutuo soccorso, dai parenti di sangue che si sostengono reciprocamente fino alle comunità dei figli dei fiori (con tutte le varianti intermedie che le piacerà inserire). La sopravvivenza fisica della società, invece, ha certamente una valenza adeguata.
Così come lei mi concede munificamente di essere libero di avere questa opinione, altrettanto vale per lei non averla. Non penso, però, che lei possa permettersi di parlare di pochezza dell’argomento, soprattutto dopo aver dimostrato di non averne una visione completa e senza spiegare quali siano gli errori contenuti in esso.
Quello che non trovo, in questa discussione, è un qualunque straccio di motivazione alle frasi di pesantissima discriminazione che Lei, con leggiadra disinvoltura, ha lasciato scivolare nel discorso.
Quello che non trovo sono gli argomenti e i ragionamenti che giustifichino la volontà di discriminare le coppie dello stesso sesso escludendole dall’istituto del matrimonio. Perché, ripeto, si tratta di questo, di una discriminazione bella e buona, assolutamente gratuita.
E questa è una prova che Lei non può certo sperare di superare raccontandoci che gli omosessuali siano sterili (falso, come già detto) o che negli ultimi 2500 anni non gli è mai stato permesso di sposarsi (e con questo? C’è sempre una prima volta: provi a guardarsi intorno perché altrove, un po’ più in là del suo naso, sta già succedendo).
Oppure può decidere di vuotare il sacco ammettendo che le uniche ragioni di cui dispone a sostegno del Suo atteggiamento discriminatorio sono costituite da una paccottiglia ideologica organica ad un ben preciso sistema etico di riferimento verso il quale, come già detto, Lei ha un atteggiamento di “stretta osservanza”.
E' vero che nel riassunto ho tralasciato quell'argomento, ma solo per pietà intellettuale, dato che (come le è già stato fatto ampiamente notare) non possono dirsi discriminatorie le conseguenze derivanti dalla scelta di non sposarsi nel momento in cui la scelta è libera, ma il problema è che le persone omosessuali non hanno la libertà di scelta (e questa mancanza di libertà è colpa di ragionamenti "illuminati" come i suoi)
@filippo
Non comprendo perché lei finisca sempre per alzare i toni di una pacifica conversazione.
Non comprendo se lei non trovi in quel che scrivo argomenti a sostegno della mia tesi o se li trova errati. Escluderei il primo caso, data la quantità di righe scritte (è buffo che lei non trovi quel che c’è e in compenso trovi un «ben preciso sistema etico di riferimento» che non c’è). Invece di fare proclami ed alzare la voce, provi a spiegare quali sono i passaggi errati nei miei laici ragionamenti. Lei fa solo affermazioni apodittiche.
Non sono stato io ad introdurre l’argomento dei 2500 anni di diritto matrimoniale, ma Simone che lo portava avanti contro la mia posizione. Mi sono limitato ad una precisazione opportuna. So benissimo che il matrimonio omosessuale è già stato introdotto in molti paesi e per di più ho già espresso l’opinione che presto lo avremo anche in Italia. Questo dovrebbe darle un minimo di serenità (ma non di superiorità) nella discussione.
Visto che vincerete questa battaglia, perché non si rilassa un po’?
P.S. Che gli omosessuali siano sterili è una verità incontrovertibile. Siccome il tema della fecondazione assistita è stato escluso dal padrone di casa, sarebbe opportuno non reintrodurlo ad ogni occasione.
Gli omosessuali non sono sterili, eventualmente sono sterili le coppie omosessuali, visto che non possono generare attraverso un rapporto sessuale; ma questo è chiaramente un problema di sterilità di coppia e come tale può essere tranquillamente superato.
@Anonimo 31/12/14 11:22
Mi sento un po’ Fracchia e la voglio ringraziare: “Ma come è buono Lei! che dimostra tanta pietà intellettuale!” Vedo che anche a Lei, come a filippo, piace alzare il tono della discussione.
Mi pare d’interpretarLa correttamente nel dire che le conseguenze sono discriminatorie solo nei confronti di coloro ai quali la legge impedisce di sposarsi. A guardar bene, l’unica cosa che Lei sta chiedendo è che li omosessuali finalmente possano entrare nel club dei privilegiati. Il problema l’ha solo spostato dal momento che ci sarà sempre qualcuno che non potrà sposarsi perché non in possesso delle caratteristiche che la legge avrà stabilito per potersi sposare. Questi saranno discriminati anche dal Suo punto di vista, ma a Lei sembra non interessare molto. E poi ci sono anche quelli che vorrebbero proprio sposarsi, ma non possono farlo per motivi di fatto, ad esempio perché non hanno trovato nessuno disponibile a rovinarsi la vita con loro: si arrangino anche questi! Mica vorranno ugualmente le ferie matrimoniali pagate!
@Anonimo 31/12/14 11:54
Credo di capire che lei non abbia una grande stima delle mie capacità intellettuali, ma le assicuro che fosse alla mia portata comprendere che il singolo omosessuale, cooperando con un essere dell’altro sesso, sia in grado di generare.
Era ovvio che mi riferissi alla sterilità della coppia omosessuale, qualità che costituisce una verità incontrovertibile. Per quanto riguarda la sua affermazione che il problema possa «essere tranquillamente superato», mi sembra che anche lei, come filippo, voglia reintrodurre un argomento dichiarato off limits in questo post (non da me). Per cui "non sono autorizzato" a rispondere.
Nel completo vuoto argomentativo, diviene lecito chiedersi in quale sistema etico di riferimento tali tesi discriminatorie trovino terreno fertile, e la risposta non è così difficile da trovare.
Per il resto, io non vedo alcuna discussione.
Ciò che ho visto è stata una serie di dissertazioni, sulle vecchiette e cose del genere, cui Lei continua inutilmente a richiamarsi. Dissertazioni assolutamente prive di rilevanza ai fini della richiesta, credo ben precisa e comprensibile, di giustificare i motivi per cui le coppie dello stesso sesso andrebbero escluse, a Suo dire, dall’istituto del matrimonio.
Come già detto, a prescindere da come si intende il matrimonio, sia che serva a tenersi compagnia o a sfornare bambini, in entrambi i casi non si capisce perché da tale istituto bisognerebbe tenerne fuori le coppie che nel caso non dispongono, tra le mutande, di una attrezzatura adeguatamente e opportunamente differenziata. Coppie che comunque sono ugualmente fertili, con gli opportuni accorgimenti. Che consentono a chi per limiti obiettivi non può procreare di superare i suoi limiti naturali. Così come altri accorgimenti consentono, ad esempio, a chi per limiti obiettivi non può volare di superare i suoi limiti naturali. O di vedere nel buio. O di far sentire la propria voce dall’altra parte del pianeta. O quello che Le viene in mente.
Oppure Lei ha ormai superato l’integralismo cattolico e adesso fa parte di una comunità Amish del Vecchio Ordine?
"Non autorizzato a rispondere", a quanto pare.
Salvato dall'arbitro per impraticabilità di campo!
Mi pare che la discussione stia deragliando. Questo blog esiste per presentare e criticare argomenti, non importa se chiaramente fallaci o più o meno abominevoli. Se qualcuno pensa che questa attività sia inutile o dannosa non è obbligato a intervenire.
Fra Diavolo:
ti invito a seguire la linea di discussione principale. Aspetto la conclusione del tuo ragionamento.
@Regalzi
Cercherò di essere conclusivo al massimo facendo una sintesi la più stringata possibile perché penso di aver detto tutto quel che avevo da dire. Vorrei evitarmi di dover discutere anche le vecchiette nubili senza figli perché utilizzerei buona parte degli stessi concetti usati per negare l’opportunità del “divorzio di stato” per le vegliarde coniugate opportunamente adattati; penso che possiate tranquillamente immaginarvi da soli cosa direi, ma a richiesta provvederò ugualmente.
Vi sono due principi che ogni società ben ordinata dovrebbe rispettare e sui quali tutti dovremmo essere d’accordo:
1. il rispetto della giustizia distributiva;
2. un uso efficiente delle risorse a disposizione.
– Il matrimonio contraddice la giustizia distributiva perché privilegia in modo palese le persone sposate rispetto a tutte le altre, qualunque sia la loro situazione relazionale (single, coppie di fatto e qualsiasi altra “formazione”), anche in presenza di forte solidarietà (es. parenti di sangue coabitanti).
– Allora, sul piano logico si hanno solo due opzioni: a) il libero amore (abolizione del matrimonio); b) ma, siccome la storia ci mostra la presenza del matrimonio in tutte le società di tutti i tempi, vale la pena cercare d’individuare quel “qualcosa” che l’ha reso una presenza costante nella storia.
– Quel “qualcosa” dovrà costituire una ragione sufficientemente “robusta” per sostenere un ruolo così rilevante da fare premio sulla giustizia distributiva violata e dovrà rispettare il secondo principio di efficienza. In altre parole dovremo individuare uno scopo rilevante e dovremo poter affermare che il matrimonio è il modo più efficiente per ottenerlo.
– Il primissimo scopo di ogni organismo, fisico o sociale che sia, è quello della sopravvivenza fisica. Le condizioni per garantire la sopravvivenza del corpo sociale sono molteplici, ma qualora non si abbia una procreazione numericamente adeguata, tutto il resto è inutile. Si può quindi affermare che la procreazione sia una ragione “sufficientemente robusta” per poter motivare una disparità dal punto di vista della giustizia distributiva (cfr. l’esempio della guerra difensiva).
– È anche il modo più efficiente? Ancora non s’è trovato di meglio.
– Il matrimonio omosessuale, invece, non contribuisce alla procreazione per cui le risorse investite su di esso non potrebbero appoggiarsi a quella motivazione e rimarrebbe solo l’offesa alla giustizia distributiva.
La sintesi mi pare molto “sintetica” ed anche chiara. Risposte altrettanto sintetiche alle diverse obiezioni.
– Siamo tutti d’accordo che la procreazione non è l’unico scopo del matrimonio, ma dobbiamo metterci dal punto di vista dell’interesse collettivo e senza la procreazione la società non avrebbe sufficienti motivi per sostenere ed investire sul matrimonio.
– Ci saranno inefficienze (le coppie che i figli non li fanno) come avviene in tutte le leggi sociali, ma quel che conta sono i grandi numeri. Nel loro complesso, l’insieme delle coppie eterosessuali, se messe nelle condizioni di avere una favorevole prospettiva di vita, alla fin fine i figli li faranno davvero. Cercare di evitare queste inefficienze o è impossibile o ha costi eccessivi.
– L’uniche obiezioni che mi sembra potrebbero avere senso in un confronto tra possibili benefici e costi sono quelle relative alle vecchiette. Per il divorzio imposto a quelle sposate senza figli, rimando al mio prolisso chiarimento del 26/12/14 alle 19:55 e successivo. Per il divieto di sposarsi per le ultra-unpòd’anni, ho già detto che mi sembra superfluo, ma a richiesta mi attivo.
– Aggiungo la prova negativa: chi rifiuta la procreazione come interesse primario della società, dovrà trovare un’altra motivazione sufficientemente adeguata (dal punto di vista della società) che sia almeno comparabile con la procreazione. Non mi pare di aver sentito nulla di convincente in questo blog.
P.S. Rileggendo dopo quanto scritto in altra occasione, ho visto che il 4/12/14, alle 01:47 ho fatto un’altra sintesi forse migliore di questa (ma ormai le scrivo quasi in automatico).
Fra Diavolo:
«L’uniche obiezioni che mi sembra potrebbero avere senso in un confronto tra possibili benefici e costi sono quelle relative alle vecchiette […] Per il divieto di sposarsi per le ultra-unpòd’anni, ho già detto che mi sembra superfluo, ma a richiesta mi attivo».
Insomma, sono obiezioni sensate o è superfluo rispondere ad esse? Mi pare che la contraddizione indichi una certa difficoltà a produrre argomenti ragionevoli (finora hai citato solo la necessità di risparmiare alle donne di una certa età la qualifica di zitella). Anche l'ostinazione a chiamare «vecchiette» le ultrasessantenni suona come un tentativo di sminuire il più possibile un fenomeno che confuta la tua ricostruzione degli scopi del matrimonio.
Il fatto è che è logicamente impossibile, mi pare, ammettere che le ultrasessantenni si possano sposare e allo stesso tempo continuare a sostenere che la condizione necessaria del matrimonio è la possibilità di procreare. Un'unione di cui fa parte una donna ultrasessantenne è sterile in tutti i sensi:
1. non può generare naturalmente un figlio;
2. non lo può adottare, per la regola della differenza di età massima tra adottanti e adottato;
3. non lo può generare con la fecondazione eterologa, perché la legge (o i regolamenti regionali, per ora) impongono limiti di età.
Allora qual è la differenza con una unione omosessuale? La Chiesa aveva una risposta: l'unione eterosessuale è nella sostanza sempre fertile, e può essere sterile solo per accidente; l'unione omosessuale è sterile per essenza. Ma quasi nessuno più maneggia i concetti di sostanza e accidente, ed è improponibile costruirci oggi sopra delle norme. Quindi si ripiega su questa curiosa idea del necessario fine procreativo del matrimonio. Ma il matrimonio è – almeno nella civiltà occidentale – tutt'altro. È un modo per regolare l'unione sentimentale-sessuale fa due persone non consanguinee. Sono in gioco sentimenti estremamente potenti, ma anche estremamente distruttivi, se non regolati adeguatamente. Il matrimonio fa questo: incanala questi sentimenti in una direzione utile per la società, costruendo vincoli di solidarietà (allargati alle famiglie di origine dei coniugi), che garantiscono l'assistenza reciproca anche in caso di vecchiaia, malattia, bisogno. E naturalmente questa unione è anche un luogo per sua natura adatto alla generazione dei figli; fino a poco tempo fa era anche il luogo della legittimazione dei figli (per la definitiva equiparazione dei figli nati dentro e fuori il matrimonio abbiamo dovuto aspettare fino all'anno scorso).
Si può aggiungere che questa unione ha assunto la forma che ha anche tenendo conto dell'ineguaglianza della condizione femminile e maschile. Istituzioni come l'eredità legittima, gli alimenti o la pensione di reversibilità, che tu interpreti erroneamente come sussidi alla procreazione, sono in realtà mezzi per garantire al coniuge debole – che fino a pochissimo tempo fa era quasi sempre la donna – una protezione in caso di fine (volontaria o meno) dell'unione. Ovviamente le unioni diseguali ci sono anche fra le coppie omosessuali – si potrebbe citare qualche caso di cronaca abbastanza recente per mostrare cosa succede al partner debole quando quello forte muore in assenza di vincoli codificati. Queste provvidenze comunque non costituiscono lo scopo principale del matrimonio, che rimane la solidarietà reciproca (anche tra coniugi uguali).
Questo vale come sintesi del mio pensiero. Se nessuno ha argomenti forti da apportare, forse potremmo chiudere questa (utile, almeno per me) discussione.
Allora, vediamo cosa ci rimane al termine di questa utile discussione.
Il matrimonio, sostanzialmente, serve a fare figli. Serve anche, incidentalmente, a qualcos’altro, ma è in nome della preservazione della specie e dell’incentivo a sfornare bambini che si giustifica la profusione di risorse destinata a chi mette su famiglia, profusione di risorse che altrimenti non sarebbe giustificata se a sposarsi fosse qualcuno che sicuramente non può o non vuole adempiere al compito replicativo (ne andrebbe di mezzo il “rispetto della giustizia distributiva”).
Nonostante tali premesse, ed in deroga a quanto affermato, l’istituto del matrimonio, con annessa privilegiata distribuzione di risorse, non viene comunque precluso ad alcune categorie di persone verosimilmente non in grado di adempiere alla funzione procreativa. Tale deroga viene giustificata con le motivazioni più svariate. Con tanti saluti al rispetto della giustizia distributiva.
Nonostante tali eccezioni, ed in deroga alla deroga testè enunciata, l’istituto del matrimonio, con annessa privilegiata distribuzione di risorse, viene comunque precluso ad una ben precisa categoria di persone, le coppie dello stesso sesso, che invece possono procreare (cosa che avviene già adesso senza troppi patemi d’animo). Tale deroga alla deroga viene giustificata con … non lo sappiamo con cosa viene giustificata, anche se la domanda è stata posta ripetutamente. Cadiamo in piena ingiustizia distributiva, anche se sarebbe meglio chiamarla col suo nome: discriminazione.
A me sembra di cogliere alcune incongruenze in questa interessante discussione, che è stata peraltro utile anche a me.
Utile nel vedere fin dove ci si può spingere nella difesa di un pregiudizio.
@Giuseppe e un po’ a filippo
Concordo anch’io che la discussione è stata utile ma che potrebbe essere il momento di chiuderla. Chiudo con una ultima replica alle ultimissime affermazioni. Purtroppo alla fine non sono riuscito ad entrare in un solo messaggio…
> Vecchiette: era solo un termine sintetico ed economico nella scrittura invece di usare lunghe locuzioni (e in questo senso continuo ad usarlo).
> NON è vero che non abbia risposto all’obiezione relativa alle vecchiette. Ho usato la bellezza di 7368 caratteri (sono entrato a stento in due messaggi pieni pieni) per negare l’opportunità del divorzio di stato delle vecchiette coniugate e senza figli. Potrò non essere stato convincente, ma dire che abbia considerato superfluo farlo, mi pare un’affermazione un po’ troppo disinvolta. Dopo quel diluvio di parole, mi è sembrato opportuno non ripetermi anche per le vecchiette nubili perché ho pensato, forse erroneamente, che tutti fossero in grado di applicare i concetti modificandoli opportunamente. Ripeto: potrei farlo, ma mi sembra superfluo perché evidente (non che non lo possa o non lo sappia fare).
> Qual è l’errore nel considerare equivalenti l’omosessuale e la vecchietta in quanto ambedue sterili? Il confronto corretto non è tra una donna vecchia e un omosessuale (di qualsiasi età), ma è quello tra l’omosessuale giovane e la donna giovane. Siccome il primo ha una prospettiva di vita ben definita, senza possibilità di generare (salvo una scorribanda in campo altrui), egli potrà fare ragionevoli scelte a lunghissimo termine. Una donna, invece, già da giovanissima saprà che per avere certe garanzie per la propria vita da vecchia, dovrà dimostrare di essere una buona “fattrice”. Nessun uomo e nessun omosessuale è costretto ad affrontare un futuro così incerto. Questo cambia la prospettiva di vita e quindi il valore delle diverse scelte. Ancora più esplicitamente: non bisogna annullare per legge il matrimonio delle vecchiette sterili per non condizionare in modo negativo le scelte delle donne giovani e presumibilmente feconde. Forse non era chiaro e diciamo che mi ero spiegato male.
> Chiarito che dobbiamo porre l’attenzione sulle donne giovani e in età di poter procreare, allora il nocciolo del ragionamento, mutatis mutandis, vale anche per le vecchiette non sposate (che, ovviamente, sono state giovani).
> NON ho detto che la condizione necessaria per il matrimonio [sia] la possibilità di procreare, ma che serve un adeguato interesse della società per giustificare il sostegno prestato alle coppie eterosessuali. NON è la stessa cosa. E la sopravvivenza costituisce certamente un interesse sociale adeguato allo scopo.
> NON avete motivato perché ci sia bisogno delle leggi dello stato per incanalare i sentimenti per costruire vincoli di solidarietà. Non sono gli obblighi legali a far crescere la solidarietà fra due persone, ma l’amore, la sincerità e la volontà.
> Sono d’accordo che questi sentimenti possano essere anche distruttivi, ma, allora quello che serve non è il diritto di sposarsi che non cambierebbe nulla all’interno della coppia, ma solo una buona legislazione divorzista, in cui venga regolato quanto necessario al momento della rottura. Gli omosessuali forse dovrebbero chiedere questo ed avere il coraggio di rinunciare ai privilegi dello stato matrimoniale.
(continua…)
@Giuseppe e un po’ a filippo (seconda puntata)
> Non rinunciare ai privilegi (cosa che io single faccio con convinzione) significherebbe accettare come giusta la discriminazione (questa vera) nei confronti dei single ed in genere nei confronti di tutti i non sposati. NON avete mai dato una soluzione a questo problema, senza, per altro, averlo mai negato (tranne un bizantino tentativo di distinzione semantica tra “discriminazione” e “disparità di trattamento”). Qui filippo fa un po’ di confusione logica: se ci sono categorie che non meritano un privilegio, allora lo si tolga loro, ma questa circostanza non rende legittimo assegnarlo anche ad altre categorie che ugualmente non ne hanno titolo (oltre ad un altro cartellino giallo – anche se non sono l’arbitro – perché, appena può, rimette in pista la procreazione assistita).
> Come corollario dei due punti precedenti, bisogna dire che non avete mai dato un contributo per capire quale potrebbe essere l’interesse della società al matrimonio invece del libero amore (con eventuale diritto divorzista minimale), ossia il contrario del matrimonio. Avete sempre e solo evidenziato l’interesse della coppia che chiede alla società il suo riconoscimento, ma non quale sia l’interesse della controparte (la società).
> Affermi che le regole del matrimonio «sono in realtà mezzi per garantire al coniuge debole … una protezione in caso di fine … dell’unione» perché, anche nel caso degli omosessuali, si potrebbe «mostrare cosa succede al partner debole quando quello forte muore in assenza di vincoli codificati» (che poi sarebbe il mio diritto divorzile minimale). In quel caso, comunque, succede esattamente quel che succede a me single: il mio futuro dipende da quel che ho costruito. Con un po’ di accortezza, nulla mi avrà impedito di lavorare in modo autonomo, di avere la mia pensione, di aver fatto i miei acquisti e di lasciare le mie cose a chi voglio. È proprio il vincolo matrimoniale ad incasinare le cose, per cui la questione finisce per diventare surreale: cui prodest? Perché vogliono farsi del male con il matrimonio?
>Pensione di reversibilità: mi sembra che la sua utilità sia oggi sostenibile solo nella mia interpretazione, altrimenti, indipendentemente dalla sua genesi storica, togliamola e basta. Ma si dimenticherebbe con troppa facilità che un figlio, da un punto di vista economico e di fatica, è una palla al piede (come già detto, amatissima, ma sempre palla di ghisa al piede) che diminuisce la competitività della coppia, al contrario di quello che accade ad una coppia omosessuale che sa di poter investire l’intero reddito di ambedue su loro stessi, sia per la propria crescita personale, che per affermarsi in ambito lavorativo.
> NON avete mai risposto, se non di striscio, ad un’altra domanda ineludibile: se il matrimonio non costituisce la leva sociale fondamentale per la sopravvivenza del domani, quali misure esplicite prende la società per uno scopo così rilevante? NON potete sostenere la tesi che una volta fatta la coppia solidale e sostenutala anche economicamente (i mattoni di paolo de gregorio), allora si è risolto il problema. Non potete perché questa è proprio la MIA tesi! E senza scordarsi che la sopravvivenza ha la priorità rispetto alla solidarietà coniugale (guerra docet).
(finisce con il prossimo messaggio, piuttosto breve, dedicato alle controdeduzioni della tua definizione)
@Giuseppe e un po’ a filippo (terza e ultima puntata)
> Passiamo alle controdeduzioni. Lo faccio per la prima volta per adeguarmi al vostro modo di affrontare il problema. Adattando le tue parole, mi chiedo quali siano i fenomeni che confutano la vostra ricostruzione degli scopi del matrimonio Ovviamente parto dalla tua definizione: « È un modo per regolare l'unione sentimentale-sessuale fa due persone non consanguinee.»
Ci sono almeno tre legittime contestazioni:
Perché solo due persone? Il due non è certamente un numero magico, ma solo un pregiudizio. È provato che l’amore può sussistere tra più di due persone e negar loro l’accesso al matrimonio sarebbe solo una usanza tradizionale, così come il negarlo agli omosessuali.
Perché limitarsi ai non consanguinei? Anche il tabù dell’incesto è un pregiudizio. Se la preoccupazione è per la salute dei figli, basta decidere di non farli oppure di abortire in caso di bisogno.
La pratica sessuale è essenziale per rendere il matrimonio valido? Anche se fosse, non la si potrebbe verificare, con la conseguenza che chiunque, anche per solo interesse economico, potrebbe usufruire dell’istituto matrimoniale, anche se non pensato per essi. Altro che le care vecchiette!
P.S. sempre per Giuseppe: anch’io sarei in grado mostrare una discreta conoscenza della filosofia scolastica, ma siccome si era stabilito di parlare solo ai laici di oggi…
Mi pare che tutti sostengano che questa discussione con Fra Diavole sia stata "costuttiva" e "interessante".
Evidentemente io ho una definizione diversa di questi due aggettivi.
Riassumendo in poche parole: Esiste uno negozio giuridico X che determinate caratteristiche Y. E' lecito impedire a Z di stibulare X.
La discussione imposta da Fra diavolo e' sta di inventarsi un negozio giuridico di nome X con caratteristiche W per impedire a Z di contrare il X (indovinate quale X?).
“…se ci sono categorie che non meritano un privilegio, allora lo si tolga loro, ma questa circostanza non rende legittimo assegnarlo anche ad altre categorie che ugualmente non ne hanno titolo…”.
Anche a volerLe venire incontro considerando come pregiudiziale la potenzialità riproduttiva in un’ottica matrimoniale, tocca per l’ennesima volta ricordare che le altre categorie di cui si parla, le coppie dello stesso sesso, hanno eccome titolo per rivendicare i loro diritti in materia. Per cui duplice cartellino rosso al nostro affabulatore, per reiterata e immotivata discriminazione nei confronti degli omosessuali e per reiterato e immotivato tentativo di esclusione dal discorso dell’argomento Fecondazione Assistita.
Il punto di tutta la manfrina è stato efficacemente individuato da Simone che ci fa notare come l’unico problema dell’affabulatore sia di convincerci della ragionevole necessità di impedire a Z di contrarre il negozio giuridico X, affibbiando a tale negozio delle caratteristiche W che però, oltre a essere intrinsecamente discutibili, comunque non si adattano allo scopo. Perché consentono al limite di escludere tutta una serie di categorie, ma non Z.
@filippo
Cerco solo di rispettare le regole poste dal padron di casa, per cui non aggiungo altro.
Però, caro filippo, si rilassi! Tanto questa partita, pur avendo torto, l’avete già vinta…
A Fra Diavolo:
"Però, caro filippo, si rilassi! Tanto questa partita, pur avendo torto, l’avete già vinta…"
Dett da chi rimpie km di post per sostenere una tesi assurda e rivoltata in tutti i modi da anni mi viene in mente un citazione biblica: Matteo 7,1-5. Nel merito basterebbe che aprisse un libro di storia ma sarebbe chiedere troppo.
Certo, abbiamo torto. Abbiamo torto oggi così come avevamo torto ieri quando difendevamo la Procreazione Assistita contro il nuovo Medio Evo della legge 40. Quando i detentori della morale, i possessori delle verità rivelate, bollavano come immorali e perversi gli argomenti che usavamo per ribadire il diritto alla PMA. Poi questi stessi argomenti sono tornati indietro a stretto giro di posta, non più come semplici opinioni ma in forma di sentenze della Corte Costituzionale che hanno fatto a pezzi la legge 40, di cui credo non sia rimasto più niente o quasi.
Per cui Le giro di buon grado l'invito a rilassarsi. La verità è figlia del tempo, ed a tempo debito vedremo ancora una volta chi aveva torto e chi no.
e qui fradiavolo che facciamo ?
questo bimbo e queste mamme non assicurano la conservazione morale e fisica della società ?
allora le facciamo sposare o no ?
e se non le facciamo sposare con quali laici argomenti ?
http://torino.repubblica.it/cronaca/2015/01/07/news/bimbo_nato_da_due_mamme_i_giudici_al_comune_e_figlio_di_due_mamme-104434826/?ref=HREC1-20
Come già detto, considero la discussione conclusa perché così stabilito da Giuseppe. Salvo una riapertura della stessa da parte sua, non risponderò a piccole provocazioni.
Ad essere precisi, Giuseppe ha affermato di poter considerare chiusa la discussione “Se nessuno ha argomenti forti da apportare”.
Adesso, io credo che quanto opportunamente ricordato dall’anonimo costituisca per l’appunto un argomento forte, certo non sbrigativamente liquidabile con altezzosa alterigia come una ‘piccola provocazione’.
Direi anzi che siamo molto in tema con quanto dibattuto finora. Si è parlato del fine ultimo di un’unione tra due persone (o più persone, perché no?), identificando questo fine ultimo con la perpetuazione della specie e giustificando a tal fine la concessione di privilegi (aiuti, diritti, li si chiami come si vuole) che comporterebbero altrimenti un vulnus alla giustizia retributiva.
Ebbene, date queste premesse, con queste due mamme, che hanno dato il loro inequivocabile contributo a questa alta finalità, e con il loro bambino che, a prescindere dal come, adesso è arrivato fra noi, cosa vogliamo fare?
“…le facciamo sposare o no ? e se non le facciamo sposare con quali laici argomenti?”
Penso sia fuori luogo cercare pretestuosamente di ignorare la domanda.
@filippo
Lo so che ti manco e soffri a non poter dialogare con me e per questo sono lusingato!
Ma, per essere ancora più precisi, all’esplicita richiesta di Simone a Giuseppe di consentirmi di rispondere alle tue ripetute sollecitazioni sul tema che ti sta a cuore (16/12/14 11:17), questi ha testualmente risposto (alle 11:23 dello stesso giorno):
«a dire il vero preferirei che la discussione rimanesse limitata al caso del matrimonio senza figli, per non far debordare troppo un discorso che già è andato molto al di là dell'oggetto del post» (grassetto mio).
Cerchiamo di rispettare i desideri del padron di casa.
E' sufficiente allora pensare a due lesbiche senza figli. Anzi, due vecchiette lesbiche.
E quindi “…le facciamo sposare o no? E se non le facciamo sposare con quali laici argomenti?”
@Regalzi
Help me! Con filippo mi sembra di essere al gioco dell’Oca e di essere finito nella casella “Ricomincia da capo!” Rispondere alla sua ultima richiesta significa ricominciare tutto da capo: forse non sarò stato convincente, ma non potrei che ripetere per l’ennesima volta perché secondo me la società non ha un interesse adeguato per concedere i privilegi del matrimonio alle coppie omosessuali. Qualunque coppia: maschile o femminile, giovane o anziana che sia.
filippo potrà dire quel che vuole, ma non che non abbia già risposto con laici argomenti (ovverosia, senza alcun richiamo ad un qualsiasi sistema etico o religioso prestabilito). Senza convincerlo, ovviamente, ma lo scopo di un blog non è quello di uscire tutti con la medesima idea.
Se proprio dovessi… allora potrei legittimamente ricorrere al “copia e incolla di me medesimo”, ma non mi sembrerebbe di fare una cosa interessante per nessuno (tranne che per filippo?).
Beh, in effetti una risposta l'hai data. Filippo potrebbe rileggersi tutti i commenti, e a quel punto potrebbe intervenire costruttivamente. (Io ho avuto il raffreddore e devo pure lavorare. Spero di riuscire a dire un'ultima parola quanto prima.)
"...la società non ha un interesse adeguato per concedere i privilegi del matrimonio alle coppie omosessuali...".
Io credo che l'interesse della società, almeno di una società improntata a princìpi liberali, sia quello di attribuire la massima libertà possibile al maggior numero possibile di individui.
@filippo
Niente paura! Vorrei poterti tranquillizzare! Siccome l’unica libertà di cui si possa parlare in questo contesto è quella di convivere con chi si vuole senza condizionamenti legali (purché non si commettano reati), ti posso assicurare che oggi in Italia questa libertà è totale e non sembra minacciata da nessuno (nemmeno da quel retrogrado di Fra Diavolo).
Allora, di quale libertà parli? Chiedere di avere accesso agli stessi privilegi di cui godono altri, anche se si è portatori di caratteristiche diverse, non lo si può fare in nome della libertà, ma va fatto in nome di una corretta applicazione della giustizia distributiva e di una migliore allocazione delle risorse collettive. Che ne sussistano le condizioni, però, è una cosa che va dimostrata. In questa discussione, appunto, ho cercato di dimostrare come nel caso del matrimonio omosessuale queste condizioni non sussistano. Non mi pare di averti convinto (non è certo questo lo scopo della partecipazione al blog), ma ugualmente non mi pare di aver visto da parte tua alcun tentativo per dimostrare il contrario. Magari c’è stato e mi è sfuggito…
Il matrimonio serve per reciproca assistenza/compagnia/condivisione della vita? Non si vede perchè negarlo alle coppie dello stesso sesso.
Il matrimonio serve per sfornare bambini (o per averne cura --> adozione)? Non si vede perchè negarlo alle coppie dello stesso sesso.
@filippo
La tua domanda retorica su che cosa serva il matrimonio nasconde (e neanche tanto bene) un banale sofisma. Infatti, usi il termine “matrimonio” con due distinti significati nella stessa argomentazione. Prima affermi (anche se in forma interrogativa) che «il matrimonio serve per reciproca assistenza/compagnia/condivisione della vita». In questo caso il termine “matrimonio” indica il vivere insieme in modo solidale. E quindi, passi a chiedere retoricamente «perché negarlo alle coppie dello stesso sesso»? Ma,in questo caso, il termine si è trasformato miracolosamente nell’istituto giuridico omonimo. Non hai dimostrato niente. Eppure te lo avevo spiegato piuttosto bene: il “matrimonio” (convivenza solidale) è una libertà che non è minacciata in nessun modo per cui non viene affatto negata alle coppie dello stesso sesso. Per accettare l’esistenza dell’istituto giuridico “matrimonio” (sia etero che omo), va invece dimostrato che sia conforme alla giustizia distributiva, nonostante introduca una palese disparità di trattamento nei confronti di tutti i non sposati e che non induca ad una cattiva allocazione delle risorse della collettività. Dimostrarlo per quello etero è facile, per quello omo, se qualcuno l’ha fatto, mi è sfuggito.
P.S. Per il secondo punto, ancora una volta cerchi di mettere sullo stesso piano, perfino nei riguardi della procreazione (e dintorni), le coppie eterosessuali con le omosessuali. Non potendo utilizzare l’argomento della fecondazione assistita, ti sei buttato sull’adozione. Anche in questo caso, io reputo che il punto non corrisponda allo spirito della richiesta di Giuseppe. Di mio, penso che l’argomento sposti completamente il focus della discussione. Anche in questo caso mi rimetterò alle disposizioni di Giuseppe.
Allora, vediamo.
Fra Diavolo parte da un primo presupposto: il matrimonio è il modo con cui due persone si mettono d’accordo per accedere a risorse che vengono precluse al singolo.
Fra Diavolo mi trova sostanzialmente d’accordo, ma la soluzione del problema (se e in che misura è tale) sarebbe relativamente semplice: togliere le indebite “sovvenzioni” al matrimonio c.d. tradizionale, erogando in maniera progressiva e maggiormente oculata le risorse, in cambio di una contropartita da parte degli sposandi più effettiva possibile (assistenza reciproca, benessere indotto dalla convivenza, crescita ed educazione di eventuali figli).
Mettendo a punto il do ut des sociale non si otterrebbe solo un risultato di “giustizia” tra coppie e single, ma si alimenterebbe un sistema più solido (quello attuale è in crisi mica per colpa dei ghèi, mi pare).
Però Fra Diavolo ne aggiunge un altro, di presupposto, che condiziona la valutazione sul primo: la società ha la necessità di perpetrarsi con la filiazione, e deve indirizzare particolari risorse in questa direzione, anche se ciò può sfociare in una discriminazione nei confronti di qualcuno.
Il mio parere è che uno Stato maggiormente virtuoso, che adottasse politiche più rigorose di spesa (come accennato in chiosa al primo presupposto), non avrebbe il problema di incentivare la voglia di mettere al mondo dei figli (al netto di quella naturale, intendo), perché le risorse risparmiate - ruberie permettendo - consentirebbero di investire molto di più nelle infrastrutture e nei servizi, agevolando lo sviluppo economico e dando migliori prospettive per il futuro.
Quindi, anche se può sembrare benaltrismo (e non lo è), voglio dire che il matrimonio omosessuale non è un problema, e la sua istituzione non sposterebbe di molto la situazione, visti i numeri.
A mio avviso, chi è contrario al matrimonio omosessuale, non è semplicemente preoccupato della sopravvivenza della società, ma del futuro di una determinata società.
Saluti.
P.S.: eh sì, la prolungata danza dei sette veli si è risolta in modo piuttosto deludente.
NOTA a margine.
Secondo uno studio dell’Università di Padova, ovviamente per via di meccanismi genetiche, le donne imparentate con gay sono molto più prolifiche della media (la Natura, evidentemente, sa far di conto). Se ciò corrisponde al vero (non so se i risultati sono stati confermati), sono indotto a pensare che, per avere più figli, bisognerebbe permettere in particolare agli omosessuali maschi di accedere a forme di procreazione (quindi alla genitorialità), affinché i geni alla base della prolificità si possano diffondere con maggior facilità.
@Marcoz
Mi duole molto che le grazie di Salomé non siano state di tuo gradimento… ma son convinto che alla fin fine sia riuscita ad ammaliarti ugualmente, anche se non lo confesserai mai. Infatti, nei fondamentali, sei d’accordo con lei.
Sulle sovvenzioni “progressive”
Dichiari di essere sostanzialmente d’accordo sul matrimonio come modo per accedere a risorse precluse al singolo. Poi, però, pur di non darmi ragione, sconfini in un mondo che definirei di “fantascienza giuridica”. Non indichi quali debbano essere le metodiche da applicare per mettere a punto quello che chiami il «do ut des sociale» e, francamente, penso proprio che non esistano.
Proseguo con alcune notazioni specifiche sull’argomento (cui ho già risposto più volte):
– i validi motivi dell’assistenza reciproca e del benessere indotto dalla convivenza, sono di per sé AUTOPREMIANTI e non c’è motivo di aumentare ulteriormente il divario di benessere nei confronti del singolo con i sussidi dello stato matrimoniale i quali, pertanto, invece di portare ad «un risultato di “giustizia” tra coppie e single», avrebbero l’effetto esattamente contrario.
– non è chiara la sequenza temporale che suggerisci quanto parli di «contropartita da parte degli sposandi» e in questa introduci la «crescita ed educazione di eventuali figli» (grassetto mio). Messa così, sembrerebbe la mia ipotesi: dare subito i sussidi per un eventuale risultato (che potrebbe non esserci). Se invece suggerisci il classico “vedere cammello, dare moneta” mi rifugio in un virtuale e legittimo auto-copia-e-incolla dal commento 4/12/14 01:47 (tra i tanti possibili). Con una semplice ricerca del testo puoi partire da « Come la mettiamo con le coppie eterosessuali senza figli?» fino a «… i figli finiscono per farli, soprattutto se hanno una serenità almeno economica.» Ultra sinteticamente: per incentivare un’attività socioeconomica bisogna erogare i sussidi fin dalla fase dell’ideazione e non limitandosi a premiare il prodotto finito.
Sullo stato virtuoso
La tua visione non è certamente «benaltrismo: è un’autentica utopia. Nel mondo perfetto, tutto sarebbe meglio, anche la voglia di fare figli e la filiazione in generale. Ma purtroppo siamo qui…
Cosa intendi con «al netto di quella naturale» riferendoti alla voglia di mettere al mondo dei figli? Parli della “quota di mantenimento” pari ai circa 2,1 figli per donna indicata dai demografi? Perché da questo punto di vista siamo messi molto male e i miei argomenti acquistano ancor più forza!
Sui numeri
Ancora una volta sei d’accordo con la tua Salomé: il contributo delle coppie omosessuali non «sposterebbe di molto la situazione». Questo, però, non vuol dire che sia giuridicamente corretto. Qualcuno mi ha ammonito che neanche un solo caso, quando si tratta di giustizia, può essere trascurato (oltre al fatto che forse ti troveresti in contrasto con il post iniziale di Giuseppe e d’accordo con Adinolfi! Mi sa che questa non te la perdona…)
Con i più sentiti ringraziamenti da parte di Salomé per l’apprezzamento discreto. Dice che quasi quasi ti sposerebbe.
NOTA alla nota a margine.
Vorrei evitare di ricorrere alla citazione delle più disparate ricerche che si contraddicono l’una con l’altra. I partecipanti ad un blog non hanno certamente il tempo e in genere neanche le competenze per giudicare della validità scientifica di ciascuna ricerca (neanche quelle universitarie si possono prendere a scatola chiusa). Tra noi, vince chi fa più citazioni o chi afferma che gli studi citati da lui sono i più attendibili? Il caso delle mie citazioni dalla Treccani era diverso perché aveva soprattutto lo scopo di mostrare come la mia non fosse una posizione del tutto isolata nel mondo (qui sì, ma lo sapevo da prima)
In effetti, quando la gente si sposa tende a trasformare un concetto di vita insieme in un istituto giuridico. Succede agli eterosessuali ed alle coppie dello stesso sesso, a queste ultime però solo se e quando gli viene concesso, ovviamente.
Il Suo problema è, banalmente, che Lei insiste nel considerare diversi i due gruppi, quando le differenze esistono solo nella Sua testa ovverossia, più semplicemente, quando ci sono soltanto delle persone in entrambi i casi, a prescindere dalla mercanzia che celano sotto le mutande.
Per cui tutta la tiritera con la quale ci sta martellando i suddetti da un centinaio di commenti in qua non ha alcun motivo di essere, e costituisce solo il tentativo di mascherare e ripulire, rendendolo in qualche modo presentabile, un pensiero discriminatorio che Lei sa di non poterci ammannire sic et simpliciter.
Una sintesi credo efficace di quanto sto affermando è già rintracciabile nel mio intervento riassuntivo del 02.01.2015 h 23.14.
Dovendo rendere presentabile il Suo altrimenti impresentabile pensiero, Lei si è perciò costruito questo castello concettuale del matrimonio come bambinificio cui può accedere solo chi ha quanto serve allo scopo e non gli altri, per questioni di ‘giustizia distributiva’, ovvero dato per assodato che se chi si sposa si ritrova anche a ricevere tutta una serie di bonus economici-e-non-solo come accessori tutto compreso garantiti dalla società per mantenere la finalità procreativa, ebbene non possiamo mica consentire a tutti di sposarsi, mica possiamo distribuire risorse a cazzo di cane anche a chi crede di potersi sposare solo per fare i suoi comodi facendosi pure foraggiare dai suoi simili, specialmente da quei poveri discriminati dei single! Naturalmente se si tratta di una coppa anziana il problema non sussiste, sussiste solo se devi discriminare le coppie dello stesso sesso.
Smontare questo assunto è molto semplice: si prende una asserzione quale «Come la mettiamo con le coppie eterosessuali senza figli?.......i figli finiscono per farli, soprattutto se hanno una serenità almeno economica.» e si prova a sostituire eterosessuali con coppie dello stesso sesso, così da ottenere «Come la mettiamo con le coppie omosessuali senza figli?.......i figli potrebbero anche decidere di farli, soprattutto se avessero una serenità almeno economica e, aggiungerei, se gli si dessero gli stessi diritti di tutti gli altri, dato che anche loro pagano le tasse e non sono cittadini di serie B».
Oppure Lei ritiene di dover erogare i sussidi fin dalla fase dell’ideazione in un caso e di dover dare la moneta solo se e quando vede il cammello in un altro?
L'ultima domanda dell'ultimo commento è, ovviamente, retorica.
So benissimo che Lei non darebbe mai alcuna moneta alle coppie dello stesso sesso, neanche se dovessero subissarLa di cammelli...
E poi ha già speso tutto per le vecchiette...
Mi sono perso un pezzo:
"oltre al fatto che forse ti troveresti in contrasto con il post iniziale di Giuseppe e d’accordo con Adinolfi! Mi sa che questa non te la perdona…"
Non ho specificato.
Con "visti i numeri" mi riferisco alla percentuale statistica di omosessuali presente nella specie umana, e di conseguenza a quelli che si possono stimare essere i soggetti interessati al matrimonio, non ai valori in discussione nel post.
[Prima del mio commento delle 13/1/15 00:48 sarebbe dovuto comparire questo che probabilmente non è arrivato a destinazione e che invio nuovamente]
Non indichi quali debbano essere le metodiche da applicare
Ci mancherebbe, mica sono un addetto ai lavori. Tuttavia, non bisogna essere professionisti del settore per capire che il sistema è già in crisi da tempo (addirittura, se non ricordo male, già qualche decennio fa c’era chi lo criticava ammonendo che non avrebbe retto a lungo). In tutto ciò il matrimonio omosessuale non ha avuto e non ha alcun ruolo, quindi, il sistema va rivisto in ogni caso, molto probabilmente anche nei benefici economici tuttora erogati a chi si sposa (compresi anche i contraendi del pronosticato matrimonio omosessuale, che a rigor di logica dovrebbero ottenero benefici più contenuti rispetto a quelli ipotizzabili adesso).
i validi motivi dell’assistenza reciproca e del benessere indotto dalla convivenza, sono di per sé AUTOPREMIANTI
I c.d. motivi autopremianti sono forieri di risparmio per lo Stato, ed è ragionevole tenerne conto.
”non è chiara la sequenza temporale che suggerisci”
A grandi linee:
1) riconoscimento economico per i motivi autopremianti appena menzionati;
2) riconoscimento per la presenza di un coniuge “debole” (in corso d’opera del matrimonio e nel calcolo della reversibilità pensionistica);
3) riconoscimento per la presenza di figli (solo alla presenza di questi, cioè nessun anticipo).
”bisogna erogare i sussidi fin dalla fase dell’ideazione e non limitandosi a premiare il prodotto finito”
Finanziamento a pioggia. Si consideri la sostenibilità di un sistema del genere, come già ho accennato all’inizio di questo commento.
”La tua visione non è certamente «benaltrismo: è un’autentica utopia.”
Forse se immaginassi uno Stato, una società perfetta, lo sarebbe, Ma non è così. Auspicare un sistema MAGGIORMENTE (lo scrivo anche maiuscolo) virtuoso non mi pare un’illusione estrema.
”Cosa intendi con «al netto di quella naturale»”
Oltre alla spinta delle perturbazioni chimiche, un clima di generale positività e di fiducia nelle prospettive offerte da un’economia non impantanata riduce la riluttanza a non mettere al mondo i figli.
”il contributo delle coppie omosessuali non «sposterebbe di molto la situazione». Questo, però, non vuol dire che sia giuridicamente corretto.”
Non essendo il matrimonio esclusivamente una istituzione per mettere al mondo dei figli (spero che questo punto non sia ancora in discussione), non vedo ragioni perché una coppia omo che decide di formare un nucleo stabile non debba avere i medesimi benefici (quelli del punto 1 e 2 della mia lista rudimentale) di una coppia etero; se poi verrà loro liberamente concesso di avere figli, ne avranno di ulteriori, altrimenti no.
Saluti
Nota alla nota alla nota a margine.
Se avessi voluto mettere la ricerca citata sul piatto della bilancia (ricerca per cui io per primo ho invocato la cautela) non l’avrei messa come nota a margine, appunto.
La cosa più insensata del dibattito rimane quell'avere "torto" nel richiedere diritti civili.
Ma torto rispetto a cosa, santamadonna.
@Marcoz
Sembri il maestro del “dico e non dico” prima affermi e poi, con qualche giro di parole semanticamente confuse, finisci per negarlo. Ma in modo che quasi non sembri.
Concordi con me che il matrimonio comporta un privilegio degli sposati e che i conviventi (anche senza matrimonio) godono già di una qualità di vita migliore dei singoli, grazie ai «c.d. motivi autopremianti […] forieri di risparmio per lo Stato» per cui «è ragionevole tenerne conto». Di conseguenza, nel presentare il tuo progetto riformatore affermi che «i contraendi del pronosticato matrimonio omosessuale […] a rigor di logica dovrebbero ottenere benefici più contenuti rispetto a quelli ipotizzabili adesso» Sorpresona: quasi perfetta concordanza di pensiero tra Marcoz e Fra Diavolo! Controsorpresona: come primo atto della tua riforma spunta fuori il «riconoscimento economico per i motivi autopremianti appena menzionati»!
Forse non ho capito bene (è la cosa più probabile), ma questa sembra una specie di “sussidio di ricchezza”. A pensarci potrebbe essere una buona idea perché effettivamente è molto probabile che i ricchi faranno risparmiare la società non chiedendo la pensione sociale. E fanno male a non chiederla, sia a compensazione del risparmio sociale che inducono, che per sanare un’inaccettabile discriminazione subita da parte dei poveri. Mi correggo: sono certo di aver capito male.
In questo momento non ho tempo per rispondere a tutti i diversi punti interessanti del tuo commento, sui quali tornerò appena posso, ma al volo ti faccio presente che sembri ipotizzare un “matrimonio diverso” per gli omosessuali, cosa sdegnosamente rifiutata dalla stragrande maggioranza dei movimenti LGTB, tranne l’essere disponibili ad accettare che nella legge italiana prossima ventura non sia prevista l’adozione (filippo, ci sei?). Anche se in realtà questa concessione puzza di strategia astutissima. La realtà è che quei privilegi li vogliono proprio tutti; altro che i tuoi «benefici più contenuti»
@filippo
Letto il commento da te citato, debbo innanzi tutto ringraziarti per il riconoscimento implicito (probabilmente al di là della tua volontà) per una certa capacità dialettica nella «difesa di un pregiudizio». Anche questa è una qualità, ma non capisco fino in fondo che gusto ci sia a farsi «martella[re] i suddetti»: basterebbe non leggere.
Prendo atto della tua “filippica” contro il fantasma del «rispetto della giustizia distributiva», ma contemporaneamente di faccio presente che l’esistenza di questa disparità di trattamento dei single rispetto agli sposati è stata riconosciuta da altri partecipanti alla discussione. Mi costringi a ringraziarti un’altra volta per l’attenzione che dimostri nei miei confronti, al punto di trascurare le opinioni di altri.
”Sembri il maestro del “dico e non dico” prima affermi e poi, con qualche giro di parole semanticamente confuse, finisci per negarlo. Ma in modo che quasi non sembri.”
Chissà, forse ho imparato cose dai preti più di quanto immaginassi.
In attesa delle considerazioni, aggiungo qualche annotazione. Spero facciano risparmiare tempo.
"Concordi con me che il matrimonio comporta un privilegio (…)
Attualmente, sì, soprattutto se i coniugi non hanno figli (in particolare in relazione ai criteri che regolamentano l’erogazione della pensione di reversibilità).
«i contraendi del pronosticato matrimonio omosessuale […] a rigor di logica dovrebbero ottenere benefici più contenuti rispetto a quelli ipotizzabili adesso»"
Questo vale anche per gli etero senza figli.
"ma al volo ti faccio presente che sembri ipotizzare un “matrimonio diverso” per gli omosessuali"
Certo, è diverso perché mi sono attenuto al paletto che impedisce di prendere in considerazione la procreazione e la genitorialità (o per procreazione, appunto, o per adozione) omosessuale.
Le note che ho appena aggiunto chiariscono che, in assenza di figli, i trattamenti dovrebbero essere gli stessi.
La disparità di trattamento dei single rispetto agli sposati non giustifica l'esclusione delle coppie dello stesso sesso dall'istituto del matrimonio.
@filippo
Intanto, prendo atto per la prima volta che anche tu ammetti vi sia una « disparità di trattamento dei single rispetto agli sposati». Quindi sei d’accordo che vi sia una palese offesa alla giustizia distributiva.
Logica vorrebbe (spero anche per te) che il matrimonio venga semplicemente abolito. Se lo si volesse mantenere, bisognerebbe trovare una ragion sufficiente per mantenere in vita l'istituto giuridico, a prescindere dal sesso dei contraenti. Ricordiamoci che partiamo da una situazione esistenziale già a favore dei conviventi rispetto ai single, per cui aiutare economicamente e con altri privilegi gli sposati significa aumentare ulteriormente il divario che già naturalmente esiste. Sempre la suddetta logica vorrebbe addirittura che si sostenesse economicamente il singolo e non la coppia. Però, siccome tutte le società di tutti tempi hanno fatto il contrario, bisogna individuare quale sia stato l'interesse (dal punto di vista della società e non dei contraenti) sufficientemente forte per giustificare il non rispetto della giustizia distributiva. Dovrebbe essere inutile ripetere che NON può essere il benessere della coppia "per la contradizion che nol consente". Una volta individuato un principio o una motivazione adeguata a spiegare il perché del matrimonio come istituzione giuridica, solo allora potremo cominciare a discutere su chi debba essere abilitato ad usufruire di quel privilegio e chi no.
Un’ulteriore precisazione. Siamo anche d’accordo che il matrimonio ha anche altri scopi ed effetti positivi, ma qui si cerca il motivo essenziale, quello senza il quale non si potrebbe motivare la disparità di trattamento nei confronti dei non sposati. Mi sarò distratto, ma qui nessuno ha trovato qualcosa di meglio della procreazione, la quale garantisce la sopravvivenza fisica del corpo sociale. Senza una reale ed adeguata contropartita a favore della società, chi vuole convivere lo può fare liberamente, ma rinunci ai privilegi derivanti dallo stato matrimoniale. E non si può neanche dire “Vabbè! Lo facciamo lo stesso perché raccogliamo comunque qualcosa”: la solidarietà coniugale, così come l’amicizia, non ha bisogno dell’impalpabile supporto dato dalla registrazione su di un registro anagrafico. Al massimo, poiché sono in gioco, come dice Giuseppe, « sentimenti estremamente potenti, ma anche estremamente distruttivi», potrebbero essere utili alcune norme giuridiche per regolare soprattutto gli aspetti patrimoniali al momento della separazione (ammesso che già il codice civile non sia sufficiente).
Quindi il matrimonio come bambinificio.
E allora si torna all'esempio precedente: se il fine ultimo di un’unione tra due persone viene identificato, dal punto di vista del corpo sociale, con la perpetuazione della specie ed in nome di questo fine ultimo viene giustificata la concessione di privilegi (aiuti, diritti, li si chiami come si vuole) che comporterebbero altrimenti un vulnus alla giustizia retributiva, date queste premesse cosa facciamo quando ci troviamo dinanzi a due mamme ed al loro bambino, cioè ad una coppia che ha dato il suo inequivocabile contributo a questa alta finalità?
“…le facciamo sposare o no ? e se non le facciamo sposare con quali laici argomenti?”
E ancora: ci è stato detto detto che “…bisogna erogare i sussidi fin dalla fase dell’ideazione e non limitandosi a premiare il prodotto finito...”; a quanto pare, ci sono casi in cui si pretende di non pagare nemmeno il prodotto finito…
@filippo
Ancora! Credevo ti fosse ormai chiaro che Regalzi ha escluso che la discussione si orienti sulla fecondazione assistita, ma tu “intigni”!
Venendoti a mancare il tuo cavallo di battaglia, potrebbe essere interessante che tu ci facessi sapere quale sia la tua teoria per cui la società dovrebbe trovare utile investire nel matrimonio. Perché non mi pare di averla colta. Siccome certamente dipende da mie difficoltà di comprensione intrinseche, prova a spiegarci pianamente perché la società dovrebbe dare soldi alle coppie (eterosessuali o omosessuali che siano) invece che ai single, i quali vivono una condizione umana più difficile dei primi.
Oppure, perché non proponi l’abolizione del matrimonio tout court? A me, sul piano della logica, potrebbe starmi bene (anche se penso che il bilancio finale sarebbe negativo).
P.S. Sia chiaro che il problema delle due mamme con il quale ci torturi, non cambia minimamente il problema dello scopo sociale del matrimonio. Se Giuseppe vorrà dar vita ad un altro post sull’argomento, sarò contento di esprimermi. Ma ci vorrà un certo coraggio da parte sua…
@Marcoz
Mi sembra sempre di più che i nostri punti di vista siano abbastanza simili. Credo che nello sviluppo dell’argomentazione le nostre strade effettivamente divergano al momento di prendere in considerazione le coppie senza figli, mentre fino a quel punto ci sia una discreta concordanza. Prima di risponderti vorrei avere conferma esplicita del quadro che faccio del nostro reciproco modo di confrontarci.
Se così fosse, potresti allora valutare quanto ho già detto più volte, ma che non mi sembra da te preso in considerazione. Te lo riporto con il mio virtuale e legittimo auto-copia-e-incolla dal commento 4/12/14 01:47 (mamma mia! nell’anno scorso e più di un mese fa!) o semplicemente facendo una ricerca testuale a partire da «Come la mettiamo con le coppie eterosessuali senza figli?»
@Marcoz
Avevo scritto qualche giorno fa, ma poi non l’avevo inviato. Lo faccio adesso.
Il post iniziale di Giuseppe, se l’ho interpretato bene, era proprio una contestazione dei numeri rifilatici da Adinolfi. Mi è sembrato che non ci fosse una vera discussione sui valori umani, ma solo una “arida” questione di numeri e di percentuali statistiche. Di fatto ti sei schierato dalla parte di Adinolfi, al di là della correttezza o meno della sua stima statistica, perché appoggi la sua conclusione che, «visti i numeri», l’istituzione del matrimonio non sposterebbe di molto la situazione, ossia che non esiste una richiesta socialmente rilevante, almeno dal punto di vista numerico (fatti salvi i principi e i valori, naturalmente!!!)
Scusi, Fra Diavolo, ma c’è una bella differenza tra dire che (riassumo) i numeri bassi di una certa categoria non giustificano il mancato riconoscimento di diritti alla medesima (Regalzi) e sostenere che i numeri bassi di una supposta spesa “non opportuna” (secondo i suoi criteri legati alla procreazione) non spostano di molto le sorti di una situazione già compromessa di suo (Marcoz).
P.S.: psst… Fra Diavolo, venga più vicino, che così Regalzi (che devo cercare di compiacere a prescindere) non ci sente.
Se io fossi un oppositore, un detrattore, eccetera, del matrimonio omosessuale, farei in modo sottobanco che venisse concesso; in tal modo, quando il sistema collasserà (e lo farà se non avviene un mezzo miracolo) egli avrebbe buon gioco, indicando nell’innovazione sociale la causa del disastro. Sarebbe un colpaccio mica da ridere. D'altro canto, è risaputo che i momenti acuti di crisi economica favoriscono governi autoritari e illiberali.
@Marcoz
Non sono riuscito ad individuare in modo soddisfacente a quali commenti si riferisca parlando di numeri bassi. Comunque, se il riferimento fosse al post iniziale di Regalzi, riconfermo che quello era centrato solo sulla valutazione statistica delle coppie omosessuali e dei figli degli stessi. Adinolfi, sulla base dei risultati del censimento 2011, affermava che erano pochissimi, mentre Regalzi lo contestava nelle procedure usate e nei risultati. Lei, anche se sempre in modo ellittico, di fatto mostra di credere più ad Adinolfi che a Regalzi affermando che si parla di «numeri ridotti».
P.S. Grazie dell’astuto parere mediatico-politico per poter poi dire che la causa del disastro sarebbe da attribuire all’innovazione sociale del matrimonio omosessuale. Ma non se ne ha bisogno perché son convinto, e l’ho detto apertis verbis, che non passerà molto tempo per averlo bello e fatto. Senza adozione, ma poi ne passerà ancora meno per avere anche quella.
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