In mezzo a tante sciocchezze e a tanta violenza verbale, un commento luminoso sulla vicenda del crocifisso in classe: quello di Marco Politi, ieri sul Fatto Quotidiano («La Croce che non s’impone», 4 novembre 2009, p. 18).
Da tempo l’Italia pseudo-religiosa della cattiva coscienza, per sfuggire alla questione della laicità delle istituzioni, si è inventata la spiegazione che il crocifisso sia soltanto un simbolo della tradizione italiana, un’espressione del suo patrimonio storico e ideale, un incoraggiamento alla bontà e a valori di umanità condivisibili da credenti e non credenti. Non è così. O meglio, tutto questo insieme di richiami è certamente comprensibile ma non può cancellare il significato profondo e in ultima istanza esplicito di un crocifisso esposto in un ambiente scolastico o nell’aula di un tribunale. Il crocifisso sulla cattedra è il richiamo preciso ad una Verità superiore a qualsiasi insegnamento umano. Il crocifisso sovrastante le toghe dei magistrati è il monito a ispirarsi e non dimenticare mai la Giustizia superiore che promana da Dio. È accettabile tutto ciò da parte di chi non crede in “quel” simbolo? E’ lecito imporlo a quanti sono diversamente credenti sia che seguano un’altra religione sia che abbiano fatto un’opzione etica non legata alla trascendenza? La risposta non può che essere no. […]Da leggere tutto.
Il messaggio di Strasburgo porta in Italia una ventata di chiarezza. Non nega affatto la vitalità di una tradizione culturale. Non “colpisce”, come lamenta l’Osservatore Romano, una grande tradizione. Strade, piazze, monumenti continueranno a testimoniare il vissuto secolare di un’esperienza religiosa. Edicole, crocifissi, statue di santi, chiese e oratori continueranno a parlare di una storia straordinaria. (Ma meglio sarebbe che gli alfieri della difesa delle «radici cristiane» si chiedessero perché tante chiese vuote, perché tanta ignoranza religiosa negli alunni che escono da più di dieci anni di insegnamento della religione a scuola, perché sono semivuoti i seminari e deserti i confessionali). Né viene toccato il diritto fondamentale dei credenti, come di ogni altro cittadino di diverso orientamento, di agire sulla scena pubblica. La Corte europea dei diritti dell’uomo afferma invece un principio basilare: nessuna istituzione può essere sotto il marchio di un unico segno religioso. Laicità significa apertura e neutralità, rifiuto del monopolio.
4 commenti:
Però! non facevo Polito - mi si passi il temine - così cazzuto!
O avuto quasi un sentimento orgamisco nel leggerlo
Sicuro che il Polito che citi tu è il Politi che ha scritto l'articolo?
scusate, ma qui credo che quando è Natale e Pasqua non lavora nessuno!
Allora perchè quando torna comodo non dice niente nessuno, quando invece, non si capisce bene il motivo del fastidio, da fastidio a qualcuno, si agitano gli animi dei laici a più non posso?
è no! così non va bene...
Ops -_-! Ah! ecco, ora mi tornano i conti
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