martedì 3 gennaio 2012

Maria


La storia di Maria è stata pubblicata in Volti e Parole, a cura di Pad Pad Revolution (indice). Da ieri è anche in Lipperatura di Loredana Lipperini.

Dopo avere fatto il test di gravidanza Maria va in un consultorio. Non ha ancora deciso che cosa farà. Qualche giorno dopo Maria decide di abortire e va al Sant’Anna, dove si può scegliere tra l’aborto chirurgico e quello farmacologico, con la RU486. Bisogna certificare lo stato della gravidanza, fare gli esami e l’ecografia - come stabilito dalla legge 194. Durante l’ecografia Maria chiede di sentire il battito, ma la dottoressa le dice che è una IVG e che non è necessario. Ripensandoci adesso suona strano. Maria in quel momento lo attribuisce al carico di lavoro, alla fretta nel dover gestire i tanti pazienti. Non che avrebbe comportato tempo in più soddisfare la sua richiesta. Questo succede durante la prima visita in ospedale. Poi inizia l’iter per interrompere la gravidanza. Il personale medico è professionale e le infermiere molto umane, nella assoluta precarietà dei luoghi e del servizio. Il reparto è scarno, brutto, Maria si domanda se è così intenzionalmente. Le persone fanno la differenza, ma i luoghi sono sgradevoli. Com’è sgradevole passare davanti al nido. Lo stesso medico, insieme ad alcuni infermieri, segue ogni aspetto, dalle prime informazioni alla visita: la somministrazione delle pillole, l’innesto degli ovuli, la compilazione dei moduli e della cartella clinica. Tutto in una stanzetta spoglia. Maria sceglie di non essere ricoverata per i 3 giorni previsti dalla legge, ma firma e se ne va. Preferisce stare a casa e con i suoi amici. Non ci sono ragioni mediche per il ricovero e sarebbe troppo frustrante rimanere chiusa in ospedale 3 giorni durante i quali non succede quasi nulla, stai bene e non faresti che rimuginare e pensare. Il terzo giorno, in cui inseriscono l’ovulo per l’espulsione, sei ricoverata dal mattino, di fianco alle stanze per i magazzini, la porta del bagno non funziona, i letti sembrano arrivare dagli anni ’60. È l’11 agosto. Il 27 Maria torna per la visita di controllo. Deve fare l’ecografia e poi andare in un edificio al di là della strada, è lo stesso ospedale ma in due corpi diversi. Mentre percorre i pochi metri tra un luogo e l’altro Maria intravede delle persone. È distratta e non ci fa molto caso. Poi una donna la affianca. Da una cartelletta blu tira fuori un volantino. Maria ricorda l’immagine di un feto e delle scritte, lo prende in mano e lo restituisce immediatamente. La donna le dice che in quell’ospedale compiono atrocità e omicidi medici. Quell’ospedale è un abortificio. Maria le chiede perché e per conto di chi stava lì e la donna risponde: per il movimento per la vita. Poco più in là ci sono altre due persone, un uomo e forse una donna. Volantinano. Camminando Maria li raggiunge mentre la donna la segue e continua a parlare di orrendi assassinii. Maria sbotta e le dice che lei è lì per quel motivo, che la deve lasciare stare e rifiuta il suo aiuto. La conversazione la sente anche l’uomo, vestito di bianco come un infermiere, mentre la mano della prima donna è sulla spalla di Maria: noi ti possiamo aiutare psicologicamente ed economicamente. La donna deve pensare che Maria non abbia ancora abortito. L’uomo comincia a urlare: le donne che abortiscono sono assassine, è un omicidio vero e proprio, le donne che non sanno affrontare la gravidanza devono essere rinchiuse. Non si rivolge a Maria, ma lei è lì a pochi metri. Maria gli dice che avrebbe dovuto tacere, e che sperava di non incontrare persone come lui nell’ospedale. Ma perché stava lì fuori? L’uomo dice che conosce bene la materia, che ha studiato e che lui sa che è omicidio. Intanto Maria entra in ospedale, ma poco dopo deve ripassare di là per la visita. L’uomo la riconosce e ricomincia a urlare: assassine, assassine. C’è una signora che gli risponde: le ragazzine che rimangono incinte e magari non se la sentono è giusto che possano scegliere, è giusto che l’aborto sia legalmente protetto. Secondo l’uomo per le donne che non vogliono un figlio ci sono le comunità dove poter lasciare i neonati. Per le ragazzine i manicomi, devono essere rinchiuse in strutture di igiene mentale. Assassine, assassine, ricomincia a urlare l’uomo in camicie bianco. Maria durante il controllo incontra alcune delle donne che hanno abortito l’11 agosto e chiede loro se hanno incontrato il movimento per la vita. Entrambe rispondono che hanno raccolto il volantino, tanto poi l’hanno buttato. Maria chiede: avete reagito? Le rispondono che la loro scelta implica delle conseguenze, e che questa era una di quelle. Quanto potere ha il senso di colpa! Maria pensa che una tale remissività presuppone un profondo senso di colpa. Non che lei ne sia immune. Ci pensa a come sarebbe oggi e a quanto sia stato difficile scegliere, ma è convinta che le conseguenze dovessero riguardare soltanto lei e nessun altro. O almeno nessuno che le urlasse in faccia di essere un’assassina. Maria non avrebbe mai pensato di abortire eppure quell’agosto si è resa conto di non volere un figlio da sola, in quel momento la scelta più giusta per lei è interrompere quella gravidanza. Non la scelta giusta in assoluto. A volte si chiede come sarebbe stato. Si chiede anche quanto sia potente il pensiero che l’essenza di una donna sia essere madre. Quanto spesso ti ripetono che la vera e unica realizzazione di una donna sia fare figli. E si ricorda di alcuni anni fa, quando le dissero che forse non avrebbe potuto averne: il suo disorientamento, pur avendo sempre pensato di non volere un figlio in assoluto e in qualsiasi condizione, proprio come se anche lei fosse convinta dell’identificazione di vera donna e madre. Ci ha pensato anche quando ha visto alcune donne partorire: pur di farti partorire naturalmente ti fai 3 giorni con induzione del travaglio - che poi se lo induci cosa rimane di naturale? - 3 giorni di sofferenza, anche con il rischio di problemi fisici. Alcune donne supplicano di smettere di soffrire in una atmosfera in cui la denuncia della sofferenza è vista come debolezza. A qualche mese di distanza Maria è spaventata quando ripensa all’aggressione perché in quel momento non l’ha riconosciuta come tale. Ha attribuito quella reazione istintiva al momento - la perdita del compagno in quel momento difficile, la malattia e la morte del padre, l’arrivo imminente di un nipote. Ha pensato di aver reagito in modo eccessivo a causa del suo stato d’animo. Denunciare non le passa nemmeno per la testa. Nei mesi successivi, in coincidenza con la delibera Ferrero (21-807, il “Protocollo per il miglioramento del percorso assistenziale per la donna che richiede l’interruzione volontaria di gravidanza che prevede la presenza dei volontari del movimento per la vita negli ospedali), una giornalista le chiede di raccontare quanto ha vissuto e solo allora Maria capisce il motivo per cui ha reagito e riconosce la violenza che ha subito. C’è un fascicolo aperto in procura, Maria si sorprende che le abbiano riservato attenzione. Chissà quante aggressioni non riconosciamo. È necessario avere una consapevolezza maggiore. Anzi una consapevolezza, perché le donne e le ragazzine sono sconcertanti per difetto di consapevolezza riguardo ai propri diritti. Maria è sorpresa anche perché dopo il pezzo su la Repubblica torinese ci sono state alcune reazioni: alcuni politici, la Regione, il Movimento per la vita. Quasi nessuna reazione pubblica da parte di associazioni, o un insieme di donne, collettivi, un gruppo di amiche, insomma da parte delle donne. Anche contro. Le donne quasi non ci sono. L’unico gesto è stato un comunicato appeso al muro a cura di alcuni collettivi e associazioni che poi hanno fatto ricorso al TAR contro la delibera. Chissà quante donne hanno vissuto situazione peggiori e non ne hanno parlato e continuano a vivere con questo peso nel cuore e si sentono in colpa in silenzio e in solitudine.

4 commenti:

marzia bisognin ha detto...

Ho cercato di postare questo racconto su facebook, e non ci riuscivo mai. Infine ho scoperto che qualcuno lo ha segnalato come offensivo.... ergo, non si può postare

Chiara Lalli ha detto...

Davvero? Prova questo link: http://www.chiaralalli.com/2012/01/maria.html
Io intanto faccio un altro tentativo.

marzia bisognin ha detto...

Bingo! grazie

Anonimo ha detto...

"Per le ragazzine i manicomi, devono essere rinchiuse in strutture di igiene mentale"... è una battuta sarcastica, vero?