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giovedì 10 aprile 2014

Dopo la legge 40

Con la sentenza di ieri della Corte Costituzionale si chiude di fatto, se non ancora di diritto, la vicenda della legge 40 sulla procreazione assistita. Rimangono ancora spuntoni pericolanti da abbattere, ma il grosso dell’edificio è ormai venuto giù. Concepita come la prima risposta integralista alle grandi leggi laiche sul divorzio e l’aborto, è sembrata segnare per un poco una svolta e l’avvio di una reconquista cattolica; ma con il senno di poi, erano evidenti fin dal principio i suoi punti deboli. Il primo è l’estraneità totale del pensiero integralista rispetto allo Stato laico. Un’ideologia che pretende di imporre a tutti, volenti o nolenti, il suo concetto – per giunta assai idiosincratico – di bene, e che minimizza o nega sfrontatamente i diritti delle minoranze (tranne, naturalmente, quando in minoranza si ritrovino i suoi sostenitori), rappresenta un corpo estraneo in uno Stato che, nonostante i mille inquinamenti, le mille inadempienze e i mille tradimenti rimane, nella sua struttura fondamentale se non nella pratica quotidiana, ancora liberale. Un corpo estraneo che prima o poi sarà rigettato. Facendo un giro per i blog e i giornali integralisti che in queste ore danno sfogo a tutta la loro rabbia impotente, colpisce che la stragrande maggioranza dei commentatori lamenti una presunta ferita alla democrazia: «Ci avete confermato che la volontà del popolo, in questa che passa per essere una democrazia, non conta una beata cippa»; «questa sentenza è un ennesimo attacco alla democrazia rappresentativa»; «In Italia i giudici, che non sono eletti da alcuno, non rispettano i limiti delle proprie funzioni, cioè perseguire chi non rispetta le leggi, ma agiscono come legislatori, imponendo nuove leggi o modificando le leggi esistenti»; «Sono sconcertata […] per il metodo, profondamente antidemocratico, che si sta utilizzando per cancellare leggi invise ad alcuni: i giudici ribaltano leggi votate da un parlamento e confermate da un referendum»; «Bisognerà forse riscrivere la costituzione e aggiornarla sancendo che in Italia il potere giudiziario non applica solo la legge ma ha assunto un ruolo a tutti gli effetti legislativo che sovrasta anche la volontà del Parlamento e di un voto popolare». Credo che qui non sia solo questione di banale ignoranza dei compiti e dei poteri della Consulta: questa gente sembra profondamente, irrevocabilmente estranea a ogni concetto di garanzia costituzionale e di limitazione del potere della maggioranza; vive da straniera in uno Stato di cui non riconosce i principi. (Si avverte, è vero, anche l’eco di vent’anni di devastante propaganda berlusconiana, che però presuppone per la sua ricezione un comune sentire.)
Il secondo punto debole è che gli integralisti sono divenuti vittime della loro stessa propaganda. Tutti ricordiamo l’assurda pretesa che fosse stato il 75% degli Italiani a bocciare il referendum abrogativo della legge 40 – pretesa che ha cominciato a circolare quasi subito dopo il voto, e che da allora è stata ripetuta innumerevoli volte. Questa sembrava all’inizio propaganda buona solo per spiriti molto, molto semplici; ma ben presto è apparso chiaro che gli stessi integralisti cominciavano sorprendentemente a darle credito; in più di una discussione ho notato come l’interlocutore sembrasse incapace di comprendere il concetto di astensione dal voto. Ancora stamattina, per esempio, nell’editoriale apparso su Tempi.itLa sentenza della Consulta sulla legge 40 è assurda in democrazia, ma non in uno stato di polizia», 10 aprile 2014) Luigi Amicone sembra convinto che nel referendum del 2005 la maggioranza dei votanti si sia espressa a favore della legge 40 («nessuna Corte, neppure la più alta, è legittimata a sentenziare lo svuotamento e il pratico annullamento dei risultati di un referendum popolare»), quando nella realtà, com’è noto a chiunque abbia un minimo di memoria storica, furono i contrari alla legge a vincere il referendum, il cui risultato fu però annullato per il mancato raggiungimento del quorum (la Corte, checché ne pensi il confuso Amicone, non ha abrogato l’esito del referendum ma alcuni articoli della legge stessa). Sommare il voto degli astensionisti per disinteresse al voto degli astensionisti per astuzia è totalmente arbitrario; qui però quello che ci interessa è notare come, giungendo a credere alle proprie stesse menzogne, gli integralisti abbiano iniziato a nutrire una pericolosa fiducia in un ampio consenso popolare, di fatto mai esistito.
Il terzo punto debole della legge è stata la scarsissima caratura intellettuale del ceto politico che l’ha imposta e sostenuta. La legge 40 è stata notoriamente una delle leggi peggio scritte della storia della Repubblica; mi limito qui a ricordare il divieto di diagnosi preimpianto, rubricato incongruamente sotto il titolo «Sperimentazione sugli embrioni umani». Svarioni di questo genere hanno indubbiamente facilitato la graduale erosione della legge. Il dilettantismo e l’approssimazione personali, le gaffe dei politici, della stampa e dei giuristi integralisti e clericali hanno anche impedito, credo, l’accreditamento delle loro idee (di per sé già improbo, come abbiamo visto) presso un’élite giuridica che avrà certo mille difetti, ma che alla fine si è trovata quasi da sola, vista la viltà della stragrande maggioranza dei politici, a difendere la natura liberale della Repubblica.

Cosa accadrà adesso? Credo che il primo effetto della caduta della legge 40 sarà una netta radicalizzazione dell’integralismo. Già alla sua approvazione la legge aveva causato una divisione nel cosiddetto movimento pro-life: la dottrina cattolica vieterebbe in realtà anche la fecondazione artificiale omologa, non da ultimo perché causa inevitabilmente la perdita di numerosi embrioni. La 40 era ritenuta un compromesso politico accettabile (anche e soprattutto dal clero ruiniano), ma una parte dei pro-lifer rifiutò qualsiasi forma di cedimento al «male minore», fino a fondare – in polemica con lo storico Movimento per la Vita di Carlo Casini, ritenuto troppo accomodante – l’organizzazione della Marcia per la Vita (alla secessione contribuirono anche contrasti personali e di gestione del potere). Oggi, di fronte al fallimento totale della strategia di compromesso, che sembra paradossalmente aver fruttato solo la convinzione del pubblico che la fecondazione artificiale omologa sia considerata lecita dalla Chiesa, gli intransigenti possono vantare di avere avuto ragione, come fa per esempio Tommaso Scandroglio sul sito della Nuova Bussola QuotidianaLegge 40, come volevasi dimostrare»):

una volta che abbiamo accettato il principio che la vita può essere prodotta in provetta, il fatto che i gameti provengano o meno dalla coppia è aspetto secondario. Diventa tutto e solo una questione di limiti ad un male ormai legalizzato. Ingoiato il cammello come stupirsi che possiamo ora ingoiare anche il moscerino? Questa sentenza è insomma figlia della stessa legge 40.
[…] la sentenza è frutto della difesa strenua di alcuni ambienti cattolici della stessa legge. Se tuteli il male, questo non potrà che svilupparsi e portare frutto. La male pianta non può che essere sradicata al più presto. Detto in soldoni, il compromesso è la porta d’ingresso a mali ben peggiori.
(Per una squisita ironia della Storia, in queste settimane la Marcia per la Vita è scossa al suo interno dalle critiche violentissime mosse da una minoranza ancora più intransigente: si sa come si finisce, quando si fa a gara a fare i puri...)
Questo atteggiamento però comporta quasi inevitabilmente una perdita di presa sulla politica, che molto difficilmente può fare a meno di cercare compromessi. Con il tramonto del berlusconismo, d’altra parte, e soprattutto con lo spostamento d’accento del nuovo papa – con la nuova «dottrina percepita» della Chiesa, potremmo dire, pur nella invariabilità della dottrina effettiva – nonché con l’esempio del fallimento di chi ha dedicato lunghi anni alla lotta per la legge 40, la politica è destinata col tempo a perdere relativamente interesse per l’agenda integralista. Potremmo assistere dunque alla formazione di un extraparlamentarismo integralista, di cui oggi già appaiono i primi esempi; anche la sempre più evidente deriva complottistica, con la creazione di nemici inesistenti (la fantomatica «ideologia del gender»), il preannuncio tanto angosciato quanto grottesco di persecuzioni imminenti, il diffuso vittimismo aggressivo, gli episodi di vera e propria ideazione paranoide nei soggetti più deboli, sono segni di uno stress psicosociale che deriva dalla percezione di un abbandono da parte dei tradizionali referenti politici. Ma è possibile allo stesso tempo anche una deriva settaria, con l’accento posto sulla purificazione del gruppo, magari propedeutica a una vagheggiata palingenesi futura, e con l’abbandono dell’impegno propriamente politico.

Il futuro resta come sempre oscuro. Nel frattempo, già si profilano all’orizzonte possibili progressi tecnologici di fronte ai quali le discussioni attuali ci sembreranno litigi di bambini. Ci aspettano tempi interessanti in cui vivere.

martedì 3 gennaio 2012

Maria


La storia di Maria è stata pubblicata in Volti e Parole, a cura di Pad Pad Revolution (indice). Da ieri è anche in Lipperatura di Loredana Lipperini.

Dopo avere fatto il test di gravidanza Maria va in un consultorio. Non ha ancora deciso che cosa farà. Qualche giorno dopo Maria decide di abortire e va al Sant’Anna, dove si può scegliere tra l’aborto chirurgico e quello farmacologico, con la RU486. Bisogna certificare lo stato della gravidanza, fare gli esami e l’ecografia - come stabilito dalla legge 194. Durante l’ecografia Maria chiede di sentire il battito, ma la dottoressa le dice che è una IVG e che non è necessario. Ripensandoci adesso suona strano. Maria in quel momento lo attribuisce al carico di lavoro, alla fretta nel dover gestire i tanti pazienti. Non che avrebbe comportato tempo in più soddisfare la sua richiesta. Questo succede durante la prima visita in ospedale. Poi inizia l’iter per interrompere la gravidanza. Il personale medico è professionale e le infermiere molto umane, nella assoluta precarietà dei luoghi e del servizio. Il reparto è scarno, brutto, Maria si domanda se è così intenzionalmente. Le persone fanno la differenza, ma i luoghi sono sgradevoli. Com’è sgradevole passare davanti al nido. Lo stesso medico, insieme ad alcuni infermieri, segue ogni aspetto, dalle prime informazioni alla visita: la somministrazione delle pillole, l’innesto degli ovuli, la compilazione dei moduli e della cartella clinica. Tutto in una stanzetta spoglia. Maria sceglie di non essere ricoverata per i 3 giorni previsti dalla legge, ma firma e se ne va. Preferisce stare a casa e con i suoi amici. Non ci sono ragioni mediche per il ricovero e sarebbe troppo frustrante rimanere chiusa in ospedale 3 giorni durante i quali non succede quasi nulla, stai bene e non faresti che rimuginare e pensare. Il terzo giorno, in cui inseriscono l’ovulo per l’espulsione, sei ricoverata dal mattino, di fianco alle stanze per i magazzini, la porta del bagno non funziona, i letti sembrano arrivare dagli anni ’60. È l’11 agosto. Il 27 Maria torna per la visita di controllo. Deve fare l’ecografia e poi andare in un edificio al di là della strada, è lo stesso ospedale ma in due corpi diversi. Mentre percorre i pochi metri tra un luogo e l’altro Maria intravede delle persone. È distratta e non ci fa molto caso. Poi una donna la affianca. Da una cartelletta blu tira fuori un volantino. Maria ricorda l’immagine di un feto e delle scritte, lo prende in mano e lo restituisce immediatamente. La donna le dice che in quell’ospedale compiono atrocità e omicidi medici. Quell’ospedale è un abortificio. Maria le chiede perché e per conto di chi stava lì e la donna risponde: per il movimento per la vita. Poco più in là ci sono altre due persone, un uomo e forse una donna. Volantinano. Camminando Maria li raggiunge mentre la donna la segue e continua a parlare di orrendi assassinii. Maria sbotta e le dice che lei è lì per quel motivo, che la deve lasciare stare e rifiuta il suo aiuto. La conversazione la sente anche l’uomo, vestito di bianco come un infermiere, mentre la mano della prima donna è sulla spalla di Maria: noi ti possiamo aiutare psicologicamente ed economicamente. La donna deve pensare che Maria non abbia ancora abortito. L’uomo comincia a urlare: le donne che abortiscono sono assassine, è un omicidio vero e proprio, le donne che non sanno affrontare la gravidanza devono essere rinchiuse. Non si rivolge a Maria, ma lei è lì a pochi metri. Maria gli dice che avrebbe dovuto tacere, e che sperava di non incontrare persone come lui nell’ospedale. Ma perché stava lì fuori? L’uomo dice che conosce bene la materia, che ha studiato e che lui sa che è omicidio. Intanto Maria entra in ospedale, ma poco dopo deve ripassare di là per la visita. L’uomo la riconosce e ricomincia a urlare: assassine, assassine. C’è una signora che gli risponde: le ragazzine che rimangono incinte e magari non se la sentono è giusto che possano scegliere, è giusto che l’aborto sia legalmente protetto. Secondo l’uomo per le donne che non vogliono un figlio ci sono le comunità dove poter lasciare i neonati. Per le ragazzine i manicomi, devono essere rinchiuse in strutture di igiene mentale. Assassine, assassine, ricomincia a urlare l’uomo in camicie bianco. Maria durante il controllo incontra alcune delle donne che hanno abortito l’11 agosto e chiede loro se hanno incontrato il movimento per la vita. Entrambe rispondono che hanno raccolto il volantino, tanto poi l’hanno buttato. Maria chiede: avete reagito? Le rispondono che la loro scelta implica delle conseguenze, e che questa era una di quelle. Quanto potere ha il senso di colpa! Maria pensa che una tale remissività presuppone un profondo senso di colpa. Non che lei ne sia immune. Ci pensa a come sarebbe oggi e a quanto sia stato difficile scegliere, ma è convinta che le conseguenze dovessero riguardare soltanto lei e nessun altro. O almeno nessuno che le urlasse in faccia di essere un’assassina. Maria non avrebbe mai pensato di abortire eppure quell’agosto si è resa conto di non volere un figlio da sola, in quel momento la scelta più giusta per lei è interrompere quella gravidanza. Non la scelta giusta in assoluto. A volte si chiede come sarebbe stato. Si chiede anche quanto sia potente il pensiero che l’essenza di una donna sia essere madre. Quanto spesso ti ripetono che la vera e unica realizzazione di una donna sia fare figli. E si ricorda di alcuni anni fa, quando le dissero che forse non avrebbe potuto averne: il suo disorientamento, pur avendo sempre pensato di non volere un figlio in assoluto e in qualsiasi condizione, proprio come se anche lei fosse convinta dell’identificazione di vera donna e madre. Ci ha pensato anche quando ha visto alcune donne partorire: pur di farti partorire naturalmente ti fai 3 giorni con induzione del travaglio - che poi se lo induci cosa rimane di naturale? - 3 giorni di sofferenza, anche con il rischio di problemi fisici. Alcune donne supplicano di smettere di soffrire in una atmosfera in cui la denuncia della sofferenza è vista come debolezza. A qualche mese di distanza Maria è spaventata quando ripensa all’aggressione perché in quel momento non l’ha riconosciuta come tale. Ha attribuito quella reazione istintiva al momento - la perdita del compagno in quel momento difficile, la malattia e la morte del padre, l’arrivo imminente di un nipote. Ha pensato di aver reagito in modo eccessivo a causa del suo stato d’animo. Denunciare non le passa nemmeno per la testa. Nei mesi successivi, in coincidenza con la delibera Ferrero (21-807, il “Protocollo per il miglioramento del percorso assistenziale per la donna che richiede l’interruzione volontaria di gravidanza che prevede la presenza dei volontari del movimento per la vita negli ospedali), una giornalista le chiede di raccontare quanto ha vissuto e solo allora Maria capisce il motivo per cui ha reagito e riconosce la violenza che ha subito. C’è un fascicolo aperto in procura, Maria si sorprende che le abbiano riservato attenzione. Chissà quante aggressioni non riconosciamo. È necessario avere una consapevolezza maggiore. Anzi una consapevolezza, perché le donne e le ragazzine sono sconcertanti per difetto di consapevolezza riguardo ai propri diritti. Maria è sorpresa anche perché dopo il pezzo su la Repubblica torinese ci sono state alcune reazioni: alcuni politici, la Regione, il Movimento per la vita. Quasi nessuna reazione pubblica da parte di associazioni, o un insieme di donne, collettivi, un gruppo di amiche, insomma da parte delle donne. Anche contro. Le donne quasi non ci sono. L’unico gesto è stato un comunicato appeso al muro a cura di alcuni collettivi e associazioni che poi hanno fatto ricorso al TAR contro la delibera. Chissà quante donne hanno vissuto situazione peggiori e non ne hanno parlato e continuano a vivere con questo peso nel cuore e si sentono in colpa in silenzio e in solitudine.

martedì 25 novembre 2008

Miserabili

Da una nota dell’agenzia Asca:

(ASCA) - Roma, 25 nov - Eluana Englaro compie oggi 38 anni e con lei «ci saranno solo le suore misericordine che in questi anni hanno rappresentato la sua famiglia.
Il padre, Beppino Englaro, sarà probabilmente in giro per l’Italia a cercare qualche struttura sanitaria che voglia accettare il trasferimento di Eluana per poi staccare il sondino».
Lo scrive, in una breve nota, il Movimento per la Vita, che nota come Eluana festeggi il suo compleanno «nella stessa clinica Beato Talamoni dove è nata nel 1970 e dove ha trascorso gli ultimi 14 anni, dopo l’incidente stradale di cui è rimasta vittima il 18 gennaio 1992».

domenica 16 novembre 2008

Il silenzio, vi prego, su Eluana Englaro

Il Movimento per la Vita, riunito a Montecatini, scrive al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: “Signor Presidente, il Movimento per la vita, con i 550 delegati riuniti a Montecatini per il XXVIII convegno nazionale dei Centri di aiuto alla vita, si permette di sollecitarle un atto straordinario con cui esercitare la sua autorità morale: le chiede di fare quanto possibile perché Eluana Englaro possa conservare la ‘grazia’ di continuare a essere curata e amata dalle Suore Misericordine che attualmente la ospitano e che in questi anni l’hanno sempre accudita amorevolmente”.

Scienza & Vita, subito dopo la decisione della Cassazione, ha dichiarato: “Chiediamo che alla lunga fine di Eluana, proprio perché si tratta di una vera e propria condanna a morte in età repubblicana, non solo assistano alcuni testimoni, ma possa essere registrata in video e messa a disposizione di quanti ne facciano richiesta. [...] Così i nostri figli e i nostri nipoti potranno scoprire come un cittadino italiano possa essere condannato da un giudice di uno Stato civile e democratico a morire di fame e di sete”.

Davanti alla clinica, in strada, c’è un uomo con un cartello bianco e la scritta: “Condanna a morte non in mio nome”.
Rappresentanti del Movimento per la Vita protestano e Paolo Gulisano (a nome del MPV) chiede indignato di far vedere Eluana Englaro, chiede di far entrare le telecamere. Chiede, chissà se come provocazione o come punizione, la pornografia più atroce immaginabile: un Truman Show per sedare il loro inestinguibile cattivo gusto. MPV dovrebbe stare per Movimento per la Vergogna – la loro, che non hanno. Nemmeno l’ombra.
Il tg1 fa il quiz sulla sentenza: “sì o no”?
Vomitevole.

Sono solo pochi esempi delle reazioni che non accennano a lasciare spazio al doveroso silenzio.
Tutti questi figuri abusano della lingua italiana e della pazienza di tutti noi.
Questi difensori della “Vita” pronunciano parole e frasi senza coglierne la violenza e l’orrore.
Sorprende, poi, che si attacchino con tanta cieca ostinazione alla vita terrena, anche quando di questa non restano che poche sembianze, anche quando (o bisognerebbe dire soprattutto?) il legittimo proprietario non la vuole più portare avanti (ma per loro la vita non è disponibile, che cosa significa poi? Dove va a finire il libero arbitrio? Non è dato sapere).
Nessuno di loro ha speso una sola parola sulla volontà di Eluana. Nessuno. I pochi che l’hanno nominata lo hanno fatto per asserire con apodittica certezza che quella di non sopravvivere in queste condizioni era la volontà “vecchia” di Eluana, e che oggi non varrebbe più. Oppure che era stata fatta in una condizione diversa – diversa da cosa? Possibile che la nostra identità e il nostro volere siano tanto labili per questi signori? Possibile che non si facciano problemi a decidere per gli altri mentre ribadiscono che il mio io di oggi non potrebbe decidere per il mio io di domani perché sarà diverso? Quanto sono diversi, loro, da me?
Quando affermano che la volontà di Eluana, espressa in condizioni di salute (perciò diverse da oggi) non vale perché non è più in salute, non si rendono conto che rischiano di vanificare tutte le confessioni in punto di morte? Perché vale abbracciare la loro religione (solo mentre si sta per morire, magari per una malattia, ma comunque pur sempre in punto di morte quindi non in condizioni ideali) e non esprimere una volontà su altre questioni? Inoltre Eluana, oggi, non ha più la possibilità di esprimere una volontà, perché non ce l’ha più una volontà. E allora sembra ragionevole seguire quella che aveva espresso, seppure in condizioni diverse, perché era pur sempre la sua volontà, e non quella di persone che non ci hanno nemmeno mai parlato con Eluana.
Non serve una intelligenza sopraffina, basterebbe un minimo di senso estetico.
Come direbbe l’ispettore Bloch a Dylan Dog: serve un antiemetico!

Ps
Questo invito al silenzio non è propriamente un appello o una petizione: è l’espressione di un senso di ripugnanza. Chi ha voglia di condividerlo e di diffonderlo è benvenuto (potete scriverci a bioetiche@gmail.com o lasciare un commento).
Per evitare una possibile contraddizione dello scrivere per invitare al silenzio (perciò rompendo quel silenzio stesso) aggiungiamo che il silenzio di cui parliamo è l’alternativa a parole oscene, offensive, intrise di crudeltà. Quelle che chiedono l’esposizione di Eluana e l’ostentazione pubblica della sua morte. Ecco: di fronte a tutto questo è meglio tacere. E permettere alla famiglia Englaro di vivere il proprio dolore senza aggiungere la vergogna di condividere la cittadinanza italiana con questa gente.

Pps
Desidero aggiungere un link a Lasciamo che Eluana riposi in pace (Noi Siamo Chiesa).

mercoledì 14 novembre 2007

Consultori familiari: meglio tacere

In un articolo di ieri (Consultori familiari. Urgente pronunciarsi, Avvenire) Giuseppe Della Torre ci illumina sui consultori familiari, e su molte altre questioni.

Agli inizi degli anni Settanta, quando la crisi della famiglia cominciava a manifestarsi in maniera preoccupante anche da noi e il divorzio, per la prima volta nella storia d’Italia, era entrato nell’ordinamento giuridico, il legislatore ritenne di dover intervenire con importanti provvedimenti. Si trattava in sostanza di attuare pienamente le disposizioni costituzionali su matrimonio e famiglia, sia nella prospettiva, più propriamente tuzioristica, di garantire la famiglia fondata sul matrimonio nei diritti inalienabili e naturali che sono suoi propri, sia nella prospettiva, più chiaramente promozionale, di favorire la costituzione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi. Videro così la luce nello stesso anno, il 1975, sia la legge di riforma del diritto di famiglia, che novellò il codice civile del 1942, sia la legge che istituiva i consultori familiari.
A sentire lui, “famiglia” sarebbe un modello unico e universale (nonché assoluto e immodificabile), e sarebbe quello che dicono i cattolici (notoriamente rappresentanti di tutte le culture e di tutte i momenti storici). Da notare poi come l’accento sul divorzio sia messo per farci sentire in colpa, noi, dissolutori di famiglie!
Il nostro ha le idee confuse, o quantomeno molto parziali. I consultori non sono nati come cintura di sicurezza del matrimonio. Non parliamo della famiglia prima della riforma del diritto di famiglia: padre padrone cattolico, certo, ma padre padrone con donna, metà angelo del focolare, metà imbecille da cornificare – senza divorziare, si capisce. Perché la famiglia è sacra, ma il sesso è pur sempre una esigenza maschile da soddisfare, mica ci si può reprimere, che fa male sia all’umore che al fisico. L’idea più potente (e purtroppo tradita) dei consultori consiste nello spostamento dalla cura alla prevenzione della salute. I consultori nascono su basi molto complesse e aspiravano ad essere molto più di un certificatificio per andare ad abortire. Purtroppo tagli e disattenzioni politiche (e non solo) hanno contribuito a svuotarli del significato complesso iniziale, rendendoli inadatti e inefficaci nel rispondere (mettici spesso una carenza del personale, una riduzione delle ore, e così via).
L’idea che mosse questi interventi riformatori, in gran parte condivisa trasversalmente tra le varie forze politiche, fu di rafforzare l’istituzione familiare con una normativa più moderna, per rispondere alle nuove sfide poste dall’evoluzione sociale, nonché di sostenerla nei diversi momenti e nelle differenti vicissitudini che in concreto può incontrare. Insomma: riforma del diritto di famiglia e legge sui consultori familiari furono pensate insieme per stare insieme, in una visione che guardava al futuro. Due leggi non perfette, come spesso accade nelle cose umane, e tuttavia animate delle migliori intenzioni e con elementi certamente apprezzabili.
Insieme chi? Ho un vago ricordo (me lo raccontava mia nonna, non vanto ricordi solidamente fondati) che ci fu qualche referendum in quegli anni, e se ben ricordo due posizioni si scontravano (mi sembra una per il “sì” e una per il “no”). Insieme? Per stare insieme?
Dopo una sdolcinata e falsa descrizione della famigliola nostrana, resistente a molte traversie, Giuseppe Della Torre si avvia verso la conclusione, vibrante di indignazione e carica di speranze:
In questo contesto, diciamolo francamente, le attese sollevate dalla legge del 1975 sui consultori familiari sono state sostanzialmente deluse. Se si tolgono le solite lodevoli eccezioni, e fra queste sono senz’altro i consultori di ispirazione cristiana, la funzione consultoriale si è banalizzata e ridotta ad una sanitarizzazione; i consultori si sono ridotti a luoghi per l’aborto e per la contraccezione, tra l’altro con le conseguenze in termini di squilibrio demografico che oggi vengono drammaticamente emergendo. La funzione di formazione dei giovani al matrimonio, la consulenza nelle difficoltà di coppia, l’opera di mediazione per la prevenzione di separazioni e divorzi, la salvaguardia della vita nascente, il sostegno ai nuclei familiari con persone in difficoltà, la consulenza psicologica e pedagogica: tutto ciò è in buona parte mancato. Non sarebbe ora di riaprire la discussione sul tema?
Certo, i consultori cristiani. O quelli piantonati dal MPV. Quelli in cui ti dicono che abortire ti fa venire il cancro all’utero, o che prendere la pillola riduce drasticamente la fertilità. Un gran contributo, nell’ottica che ciò che non ti ammazza ti fortifica.
La situazione dei consultori familiari è penosa, ma di certo non per le ragioni invocate da Della Torre. E soprattutto, prima di invocare discussioni (con l’intento di modificare la legge, e chissà come mai ho il presentimento che la direzione non sia quella da me sperata) sarebbe opportuno invocare l’applicazione di una legge esistente, che è ancora una gran legge e che costituisce ancora oggi un solido riferimento per la libertà di cura e di scelta, che ha segnato un passo importante nella critica del paternalismo (morale e medico).

martedì 24 luglio 2007

Undicesimo comandamento: non disporrai della tua vita

Marziano: Vorrei sapere qualcosa di come la pensate voi sulla vita.
Carlo Casini: Certo, è semplice. La vita umana è un bene non disponibile.
M.: Perché, di chi è? O meglio, chi ne può disporre?
C.C.: Soltanto Dio, dona e toglie, dona e toglie.
M.: Ho capito, e forse ha a che fare con la condanna del suicidio. Ma se invece volessi non sottopormi ad un intervento, avrei il diritto di farlo?
C.C.: Non direi, no. Non esiste un diritto umano a rifiutare le cure.
M.: Forse però esiste un diritto marziano a rifiutare le cure?
C.C.: Non faccia lo spiritoso, questi sono discorsi seri. Esiste un diritto alla cura che è garantito dall’articolo 32 della Costituzione che viene tanto invocato a sproposito a sostegno del diritto di fare come vi pare! Analogamente dubito che si possa parlare di un dovere di sospendere le cure al di fuori dell’accanimento terapeutico.
M.: Ma chi stabilisce quando si può parlare di accanimento terapeutico? Se ho capito bene, se ci fosse accanimento si potrebbero sospendere le cure… Ci sarebbe il dovere di sospendere le cure.
C.C.: Esiste solo il dovere di non usare prepotenze di nessun tipo nei confronti del malato, che è cosa diversa dal dovere di non curare.
M.: Ma non aveva detto che c’era il dovere di sospendere le cure se...
C.C.: Non mi attribuisca cose che non penso e non ho mai detto! Vogliamo dimenticare forse che nel caso di Welby non si è trattato di omettere l’inizio delle cure, ma di compiere un’azione positiva per interromperle? Si è così determinata deliberatamente l’immediata e inevitabile morte del malato che avrebbe potuto sopravvivere a lungo.
M.: Ma se Welby non voleva più vivere in quel modo?
C.C.: Le ho già spiegato che la vita è indisponibile e che è Dio che dona e toglie.
M.: E il recente caso di Nuvoli?
C.C.: Una morte orribile e che suscita il giusto raccapriccio nella pubblica opinione.
M.: Allora sarebbe stato meglio che Nuvoli fosse morto come Welby?
C.C.: Non scherziamo, giovanotto. La morte data a Welby e richiesta per Nuvoli non è migliore, visto che spegnere il respiratore significa far morire il paziente per mancanza d’aria, cioè per soffocamento.
M.: Mi sembrava di avere sentito che la sedazione serviva proprio a questo, a non far morire per soffocamento un povero cristo.
C.C.: Non nomini il nome di Dio invano, né del suo figliolo. E comunque meglio come è morto Nuvoli, di fame e di sete, almeno non c’è stato l’atto deliberato di un medico intervenuto per uccidere.
M.: Ma scusi, Welby (e anche Nuvoli) avevano chiesto di morire, avevano espresso le proprie volontà.
C.C.: Questo modo di esprimersi non fa che oscurare la complessità e l’umanità del caso con l’ideologia e la strumentalizzazione. E questo sarebbe come uccidere una seconda volta Welby e Nuvoli.
M.: Ho capito, anzi non capito nulla. Me ne torno su Marte.

(Nuvoli/Mov. per la Vita: l’esistenza non è un bene disponibile, Alice notizie, 24 luglio 2004).

lunedì 27 novembre 2006

Volontari del Movimento per la Vita entrano alla Mangiagalli di Milano

“Il Centro di aiuto alla vita sarà ospitato all’interno del reparto di interruzione volontaria della gravidanza della clinica Mangiagalli di Milano e tutti i medici del reparto, prima di eseguire l’intervento, suggeriranno alle donne di incontrare gli operatori del Cav per tentare di rimuovere le cause dell’aborto”. È l’annuncio dato nei giorni scorsi, in occasione del XXVI Convegno nazionale dei Centri di aiuto alla vita (CAV) svolto a Bari, da Giorgio Pardi, primario della “Mangiagalli” di Milano, la prima clinica ad effettuare aborti in Italia e quella dove se ne praticano di più ogni anno. L’annuncio rappresenta un risultato dell’impegno da parte del Movimento per la vita (Mpv) per trovare – come ha detto il suo presidente Carlo Casini – “possibilità vecchie e nuove di collaborazione tra istituzioni e società civile nella difesa del diritto alla vita e, in particolare, la presenza dei volontari pro life nei consultori familiari”. L’accordo di Milano non è il primo del genere in Italia e – secondo Casini – dovrebbe far riflettere sulla riforma della legge che regola i consultori per tentare di rendere pienamente libera la donna di non abortire”.
Aborto: i volontari Pro Life alla Clinica “Mangiagalli” di Milano, Servizio di Informazione Religiosa, 27 novembre 2006.

Tentare di rimuovere le cause dell’aborto partendo dalle seguenti premesse (da parte del Movimento per la Vita): “molte donne ricorrono all’aborto per motivi di solitudine, di incomprensioni parentali e di povertà” e che “la vita è un dono irrepetibile di Dio, che ogni concepito è unico e fratello di Cristo ed è destinato all’eterna visione di Dio, e che, quindi, l’aborto è un crimine che ammorba l’intera società”.

Mi è oscuro il passaggio che la riforma (quella del Movimento per la Vita) della legge che regola i consultori familiari renderebbe pienamente libera la donna di non abortire.
Renderebbe la donna pienamente libera (punto). Perché solo di non abortire? Anche libera di abortire.
No, certo che no. Perché l’aborto è una forma di costrizione (determinata dalle condizioni economiche o dalla paura o dall’egoismo), e basta rimuovere gli impedimenti materiali con una chiacchierata e qualche dollaro e il problema è risolto.

venerdì 10 novembre 2006

Legge 40, articolo 13: le motivazioni della Corte Costituzionale sulla questione di legittimità


Non è oggetto di discussione il divieto di fare ricorso alla diagnosi genetica di preimpianto perché il Tribunale di Cagliari, nel sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 13, sarebbe caduto in una contraddizione evidente e insolubile.
Queste più o meno sono le motivazioni dell’inammissibilità del ricorso (presentato e discusso alla Corte Costituzionale il 24 ottobre scorso).
Sarà possibile capirne qualcosa di più leggendo l’ordinanza depositata ieri in cancelleria. Ad oggi quanto sono riuscita a sapere è angusto e poco incoraggiante (ma non è, di certo, una sorpresa).

In quale contraddizione è inciampato il Tribunale di Cagliari, qual è la base della decisione della Corte Costituzionale?
Il Tribunale non avrebbe considerato che il divieto di sottoporre l’embrione ad indagine genetica prima di essere impiantato sarebbe desumibile non solo dall’articolo incriminato, bensì da altri e addirittura dall’intera Legge 40. Alla luce (luce?) dei criteri ispiratori della legge sulla procreazione medicalmente assistita l’embrione non può essere oggetto di esame.
In effetti, l’intera Legge 40 è permeata dalla delirante idea che il concepito (quell’organismo risultante dalla fusione di gamete maschile e gamete femminile, invisibile ad occhio umano, privo di cellule differenziate e privo di una pur minima e primordiale capacità di provare dolore e piacere) sia una persona e goda dei diritti fondamentale di cui godono le persone. Questo basta e non basta. Basta perché attribuire un diritto alla vita esclude la ‘facile’ possibilità di liberarsi del soggetto detentore del diritto alla vita (eseguo la diagnosi, scopro che l’embrione è affetto da malattia genetica, decido di non procedere all’impianto = decido di ucciderlo). Non basta perché permane la possibilità di ricorrere all’interruzione di gravidanza e di eseguire diagnosi prenatali. Non basta perché l’idea che il concepito sia una persona è una idea insensata e fallace.

Sembra che la decisione della Corte non sia stata presa all’unanimità e che l’estensore non sia stato Alfio Finocchiaro (quello del bambino…), ma Romano Vaccarella.

Luigi Concas, legale della coppia da cui aveva preso avvio la richiesta di incostituzionalità, è ottimista: “la questione resta aperta, ma la decisione della Corte costituzionale è molto interessante per ciò che dice e per ciò che non dice. La Corte non si pronuncia sulla possibilità di un’autorizzazione in sede legislativa della diagnosi preimpianto e sulla questione molto delicata della sopravvivenza dell’embrione. Adesso dobbiamo valutare la possibilità di impugnare tutto l’impianto normativo e non solo l’articolo13 della legge 40 del 2004. Mi chiedo però, e sto ancora studiando questo punto se la Consulta non avrebbe potuto estendere d’ufficio la questione di legittimità dall’articolo 13 a tutta la legge”.

Intanto i mesi passano, e la Legge 40 gode di ottima salute…

PS
Nella foto il concepito è quello senza barba.

Fecondazione assistita: Consulta, resta divieto test su embrioni, Sardegna oggi, 9 novembre 2006.
«Embrioni, ricorso contraddittorio», Il Gazzettino, 10 novembre 2006 dalle Notizie dell’Associazione Luca Coscioni.

Avevo trascurato: Comunicato Stampa del Movimento per la Vita, 9 novembre 2006:

Chi all’epoca dell’approvazione della legge e del successivo referendum proclamava la incostituzionalità della legge è servito. Ed è servito anche chi medita altri processi su tutta o parte della legge 40. La Corte ha messo la prima pietra di una consolidata resistenza costituzionale che non potrà più essere ignorata.

martedì 26 settembre 2006

Eutanasia: la vita è un dono di cui non possiamo disfarci

«LA VITA non è una proprietà privata dell’uomo ma è un dono ricevuto e un dono che deve essere vissuto in pienezza, nell’offerta di sé agli altri». Il teologo monsignor Bruno Forte, vescovo di Chieti spiega perché per la Chiesa l’eutanasia non è ammissibile. «La libertà della persona non è mai identificabile con la possibilità o la volontà di disporre arbitrariamente di tutto. Ci sono dei valori assoluti a cui chiunque, credente o non credente, è chiamato ad attenersi» aggiunte il prelato che precisa: «come vale per tutti il principio non uccidere, nei confronti della vita altrui, vale anche nei confronti della propria vita perché quella vita è il valore assoluto su cui la convivenza umana si costruisce come una convivenza civile, capace di costruire legami autentici. Compromettere questo principio, anche per chi non crede, significa minare alla base il valore e la convivenza umana». Sul tema dell’eutanasia «non c’è nulla di peggio dell’avviare dibattiti sotto l’effetto di un’onda emotiva». A dirlo è Carlo Casini, presidente del Movimento per la vita, che spiega: «Non è una questione religiosa. Ancora una volta è in gioco la ragione». «Sarebbe folle – continua Casini – arrivare in Parlamento avendo negli occhi le immagini di Piergiorgio Welby che le televisioni hanno profuso in questi giorni. La presentazione di un caso particolarmente coinvolgente e capace di commuovere l’opinione pubblica è un metodo di azione Radicale ben noto e ripetutamente sperimentato in cui è presente una venatura di violenza perché intende cancellare con il fascino dell’emozione la lucidità della ragione». «Un dibattito serio e costruttivo – aggiunge inoltre – che consideriamo senz’altro utile, non può non prendere le mosse dal lavoro fatto dal Comitato Nazionale per la Bioetica che più volte si è pronunciato in materia di eutanasia attiva e passiva».
Movimento per la vita in allarme, Il Tempo, 26 settembre 2006.

Andiamo per ordine. Il fatto che la vita sia un dono non è universalmente condivisibile. Ma anche se la vita fosse un dono, non si capisce per quale ragione saremmo vincolati a tenercelo. Questioni di educazione a parte, è frequente che un dono si ricicli (spesso nelle cene di Natale…) o che non sia usato o apprezzato o che semplicemente venga ‘abbandonato’. I valori assoluti non esistono, sarebbero obblighi, imposizioni illegittime. E soprattutto non dovrebbero avere potere di decidere della nostra vita. Secondo Bruno Forte probabilmente anche la fede è un valore assoluto. Ma la parola chiave è secondo (Bruno Forte). In una discussione seria e ponderata non c’è spazio per i valori assoluti. La legge, poi, non si costruisce sui valori personali (di questo alla fine si tratta: pensare che la fede o la vita siano valori assoluti è una questione soggettiva).
Tanto per essere puntigliosa, suggerirei anche che nemmeno il principio ‘non uccidere’ è assoluto: devo fare degli esempi o ci arrivate da soli? (Legittima difesa vi dice qualcosa?).
Il valore e la convivenza umana non possono basarsi su muri costruiti dall’ideologia e dalla certezza di essere in possesso della Verità.
Ma veniamo a Carlo Casini. Inappuntabile la premessa: “non c’è nulla di peggio dell’avviare dibattiti sotto l’effetto di un’onda emotiva”. Ma la conseguenza non è necessaria: è possibile lasciare al ‘caso umano’ il giusto spazio: il pretesto per avviare un confronto su un tema tanto scomodo qual è l’eutanasia e tutto quanto la circonda. La ragione non è per forza cancellata dall’emozione. E soprattutto la ragione non è (purtroppo) presente in assenza del caso umano. Quante idiozie abbiamo sentito anche senza lo spunto di una storia particolare?
E perché un dibattito serio e costruttivo dovrebbe prendere le mosse dai pareri del CNB? Il CNB non è che un organo consultivo, e i suoi pareri possono essere criticabili. In particolare, il CNB non ha brillato sulla questioni attinenti all’eutanasia: basti ricordare il parere sull’idratazione e l’alimentazione forzati, fregandosene del diritto di ognuno di noi di rifiutare le cure e della nostra libertà (costituzionalmente stabilita) di autodeterminarci. E perché non smettere una volta per tutte di usare distinzione insulse e infondate come quella tra eutanasia passiva ed eutanasia attiva? Sarebbe ora.

Not Talking, Natalie Dee, january 2006.