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venerdì 20 settembre 2013

Legge contro l’omofobia: una galleria degli orrori /1

Fin dal giorno in cui è stata presentata alla Camera, il 15 marzo 2013, la proposta di legge n. 245 di Scalfarotto ed altri sul «contrasto dell’omofobia e della transfobia» ha suscitato nel mondo integralista reazioni violentissime. Si è imputato alla futura norma di essere liberticida, in particolare perché – a detta dei critici – avrebbe trasformato in reato l’espressione dei tradizionali giudizi cattolici sull’innaturalità delle relazioni omosessuali e l’opposizione della Chiesa al matrimonio tra persone omosessuali. Si sono prospettate conseguenze apocalittiche; si sono promosse petizioni angosciate; si sono scritti articoli infuocati. Tanta virulenza non è nuova; ciò che in parte è nuovo è la sbalorditiva inconsistenza degli argomenti addotti a sostegno di accuse tanto spropositate – nelle rare occasioni in cui ci si preoccupati di addurre argomenti, e non di enunciare tesi apodittiche. Parzialmente inedita è stata anche l’intensità del sentimento vittimistico e della sindrome di accerchiamento che si sono percepiti in molti integralisti. Come definire questo atteggiamento? Isteria di massa? Paranoia religiosa? Moral panic? Complottismo? Quali sono le sue cause? Abbozzare ipotesi non è facile; per il momento, accontentiamoci di esaminare alcuni casi rappresentativi di questa peculiare reazione.

La norma che non c’è
L’autore del blog De libero arbitrio, Claudio LXXXI, ha dedicato tre degli ultimi otto post alle proposta di legge Scalfarotto («Parallele convergenti dentro una sfera troppo laica», 4 agosto; «Psicoreato», 16 agosto; «Omo-Matrix», 11 settembre); in coda a un altro post (che meriterebbe un commento a parte) c’è un ulteriore riferimento alla legge («Pari e dispari», 24 agosto). Un post su due, in media, dunque. Segno palese di un interesse profondo. Che implicherebbe una conoscenza adeguata del progetto di legge di cui si parla; tanto più che Claudio è – uso parole sue – un «giurist[a]», un «tecnic[o] della materia». Ecco però qual è per il blogger il testo della proposta di legge Scalfarotto («Omo-Matrix», cit.):

La proposta di legge cd. Scalfarotto-Leone intende inserire […] nell’art. 1 del decreto legge 26 aprile 1993, n. 122 la seguente norma:
«è punito con la reclusione sino a 3 anni chi diffonde in qualsiasi modo idee fondate sull’omofobia o transfobia».
Queste parole, a quanto sembra, non sono di Claudio, che le trae da un video di Youtube di autore ignoto; ma Claudio le fa palesemente sue, senza aggiungervi o correggervi nulla.

Peccato però che la proposta di legge Scafarotto non contenga affatto la norma citata. Nella forma in cui è approdata nell’aula della Camera (e che aveva nel momento in cui Claudio scriveva), propone tra le altre cose di modificare l’art. 3, comma 1, lettera a) della legge 13 ottobre 1975, n. 654 e successive modificazioni con il seguente testo:
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, anche ai fini dell’attuazione della disposizione dell’articolo 4 della convenzione, è punito con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi o fondati sull’omofobia o transfobia.
La proposta di legge originaria era in questo punto quasi identica:
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, anche ai fini dell’attuazione dell’articolo 4 della convenzione, è punito con la reclusione fino a un anno e sei mesi chiunque, in qualsiasi modo, diffonde idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi o motivati dall’identità sessuale della vittima.
La proposta di legge distingue quindi nettamente in questo comma due fattispecie di reato: la prima è la propaganda di idee, ma solo di quelle «fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico»; le idee fondate sulla superiorità (o persino sull’odio) nazionale o religiosa o sull’omofobia o la transfobia non costituiscono reato (almeno, non per la Legge Mancino). I motivi nazionali o religiosi o fondati sull’omofobia o la transfobia entrano in gioco solo nella seconda fattispecie, cioè l’istigazione a commettere o la commissione di atti di discriminazione. In pratica: se Giovanni va in giro a propagandare (non semplicemente a esprimere!) l’idea che i bianchi sono superiori per intelligenza ai neri, o che agli Ebrei sono da addebitare tutti i mali del mondo, commette un reato; ma se diffonde alacremente scritti in cui argomenta la superiorità della nazione italica su tutte le altre, o in cui ripete il tradizionale insegnamento cattolico extra ecclesiam nulla salus, o in cui sostiene che le famiglie eterosessuali sono incomparabilmente più felici di quelle omosessuali, nessun reato gli potrà essere imputato in base alla Legge Mancino, neppure se sarà approvata la proposta di legge Scalfarotto. Sarà invece punibile se, per esempio, rifiuta di servire un cliente del suo bar solo perché non è italiano o perché è protestante o perché omosessuale, o se istiga qualcun altro a commettere analoghi atti di discriminazione, o peggio (lettera successiva dello stesso comma) atti di violenza. È importante notare come si possa benissimo essere convinti della superiorità della propria nazione, fede od orientamento sessuale senza che questo spinga necessariamente a commettere atti discriminatori nei confronti degli altri.

Come si vede, la norma protegge con estrema chiarezza la mera espressione di idee, in accordo con l’esplicita intenzione del legislatore; uno dei relatori, Antonio Leone, infatti così argomentava nel suo intervento durante la seduta in Assemblea del 5 agosto:
Volutamente non si è voluto toccare la fattispecie alla propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico. Si è ritenuto che incidere anche su questa fattispecie avrebbe potuto comportare il rischio di formulare un reato di opinione.
Di tutto ciò Claudio sembra essere rimasto all’oscuro, o – interpretazione più benevola – sembra essersi presto dimenticato; il che è un po’ strano: da uno che considera una norma come un «pretesto per introdurre lo psicoreato» ci si aspetterebbe un’attenzione leggermente meno erratica. La cosa divertente è che nel corso della discussione seguita all’ultimo post il nostro blogger argomenta così:
È lecito esprimere qualunque opinione sul colore della pelle? Finché rimane un’opinione (cioè finché non è propedeutica ad atti concreti di discriminazione razziale), dovrebbe esserlo.
Ora, se sostituiamo opportunamente alcuni termini con altri, otteniamo la seguente riflessione:
È lecito esprimere qualunque opinione sull’orientamento sessuale? Finché rimane un’opinione (cioè finché non è propedeutica ad atti concreti di discriminazione fondata sull’omofobia), dovrebbe esserlo.
Il che è esattamente quello che implica la proposta di legge Scalfarotto.

Non dubito che Claudio saprà trovare altri motivi di critica alla proposta di legge contro l’omofobia (che è lungi dall’essere soddisfacente anche per molti che la pensano in modo opposto al suo); ma si spera che siano fondati, la prossima volta, su una conoscenza meno affrettata della legge e delle sue implicazioni.

(1 - continua)

lunedì 31 dicembre 2012

Roberto Volpi e le nozze civili

Ha destato una certa sensazione, qualche giorno fa, la notizia che, secondo gli ultimi dati Istat, le nozze civili avrebbero per la prima volta superato nell’Italia del Nord quelle religiose; molti commentatori hanno salutato l’evento come un segno della progressiva secolarizzazione della società italiana. Di diverso avviso è invece il demografo Roberto Volpi, che sul Foglio ha così commentato («L’Italia che non si sposa più dal parroco (ma nemmeno in municipio)», 28 dicembre 2012):

Nei giorni scorsi, l’Istat ha annunciato che i matrimoni civili, al nord, hanno superato quelli religiosi nella proporzione di 51,7 contro 48,3 ogni cento matrimoni. Ne sposa più il sindaco che il parroco, è stato detto. Risultato che allinea l’Italia agli altri paesi dell’Europa continentale e del nord, è stato aggiunto. E giù considerazioni sulle magnifiche sorti e progressive del matrimonio in municipio invece che in chiesa. Naturalmente la notizia è vera: l’Istat l’ha diffusa in occasione dell’uscita dell’edizione 2012 dell’“Annuario statistico italiano”. Ma è, al tempo stesso, ingannevole come poche altre, e sarebbe bastato consultare l’“Annuario” stesso, senza fermarsi alla nota diramata dal nostro Istituto di statistica, per capire in che senso.
Scopriamo così che i “trionfanti” matrimoni civili hanno perso in un anno oltre seimila unità, pari al 7,3 per cento del loro totale. Una perdita assai superiore a quella dei matrimoni religiosi, che sono scesi in percentuale del 4,6. Non basta. Dopo un lungo periodo di crescita ininterrotta, tra il 2008 e il 2010 (ultimo anno di disponibilità dei dati) i matrimoni civili sono arretrati di 11.100 unità e del 12,2 per cento. Una débâcle, altro che trionfo. Se poi si pensa che tra i matrimoni civili cresce la quota dei secondi matrimoni – quelli di quanti, per essere divorziati, non possono sposarsi in chiesa – si capisce bene come tra quanti si sposano per la prima volta il tonfo sia ancora più forte.
Che al nord i matrimoni civili abbiano superato quelli religiosi significa dunque assai poco, in questo quadro. La verità è che in Italia non ci si sposa più: né in chiesa né in comune. […]
Il lettore non può non notare un dato curioso: se nel Nord Italia i matrimoni civili hanno superato per la prima volta quelli religiosi e se allo stesso tempo, come dice Volpi, complessivamente in Italia i primi sono calati molto più dei secondi, sembra doversene dedurre che nel Centro e nel Sud le nozze civili abbiano subito un vero e proprio tracollo, per compensare la performance relativamente positiva del Nord. A cosa si dovrà questa disparità regionale? La prima cosa da fare è andare a controllare l’Annuario Statistico Italiano 2012, così come ha fatto Volpi. Quello che ci interessa è il capitolo 2 [pdf, 150 Kb], dedicato alla popolazione, e più precisamente la tavola 2.5, «Matrimoni della popolazione presente per rito e regione - Anno 2011». Qui ci attende una sorpresa. Nel 2011, infatti, i matrimoni celebrati in Comune sono stati in tutta Italia 83.088, pari al 39,8% del totale; nel 2010 erano stati 79.501, cioè il 36,5%. Le nozze civili, insomma, non sono affatto catastroficamente diminuite in Italia, come sostiene Volpi; al contrario, sono aumentate rispetto all’ultimo anno in termini sia assoluti sia relativi, invertendo parzialmente la discesa che si era verificata nel 2009 e nel 2010. I matrimoni religiosi, invece, sono stati nel 2011 125.614 (60,2%), contro i 138.199 (63,5%) dell’anno precedente; si conferma poi nell’Italia del Nord il sorpasso da parte delle nozzi civili.
Com’è possibile che Volpi parli allora di «débâcle» e di «tonfo» dei matrimoni civili? Il fatto è che per qualche motivo il demografo considera il 2010 l’«ultimo anno di disponibilità dei dati», ignorando i dati del 2011, che pure sono presenti in tabella – come del resto è detto chiaramente nell’intestazione della tabella stessa. Forse la struttura della tabella, con i dati del 2011 separati da quelli degli anni precedenti, avrà ingannato l’autore.

Non mi sento di trarre conclusioni particolari dai dati: nel mezzo di una crisi economica grave come l’attuale le tendenze sociali possono risultare alterate; quel che è certo è che le considerazioni di Volpi risultano come minimo un po’ dubbie. L’incidente in cui è incorso può naturalmente capitare a chiunque; meno giustificabile è che un giornale non effettui uno straccio di controllo sulle storie che pubblica. Ma quante volte lo abbiamo detto a proposito del Foglio?
Leggermente comica, infine, è la foga con cui i vari blog integralisti si sono buttati sull’articolo di Volpi: da Sandro Magister («Bilancio di un anno. E previsioni», www.chiesa, 30 dicembre) fino a Claudio LXXXI (Poscritto a «Vasi vuoti», De libero arbitrio, 31 dicembre), che chiosa così:
Un articolo del Foglio commenta la notizia con toni diversi dal trionfalismo laic(istic)o che ha imperversato altrove.
A differenza di molti suoi colleghi, l’autore ha spulciato l’Annuario ISTAT senza fermarsi ai dati superficiali buoni solo a tirate ideologiche (un buon esempio di giornalismo, bravo Roberto Volpi) e ne trae empiricamente la conclusione che i matrimoni civili in realtà soffrono ancor più di quelli religiosi.
La notizia ghiotta, che sembra smentire i «laicisti», viene accettata a scatola chiusa, senza compiere quel minimo controllo empirico per cui – ed è qui l’ironia – allo stesso tempo ne viene lodato l’autore.

Buon anno a tutti i lettori di Bioetica!

Aggiornamento 2/1/2013: Prontissima la correzione da parte di Claudio LXXXI, in calce all’articolo precedente. Aspettiamo adesso Roberto Volpi.