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lunedì 7 ottobre 2013

Legge contro l’omofobia: una galleria degli orrori /3

Pietra batte Carta
Proseguendo, dopo la seconda parte, nell’esame delle interpretazioni errate della proposta di legge contro l’omofobia, ci imbattiamo in quello che rappresenta il cuore delle obiezioni integraliste alla futura norma: il timore che, una volta approvata la legge, possa divenire un reato anche il semplice obiettare al matrimonio tra omosessuali; l’estensione della legge Mancino sarebbe insomma maliziosamente propedeutica – una volta imbavagliata l’opposizione – a una futura legge sulle nozze gay.
C’è anche chi si spinge più in là, come Paola Binetti, che sulla Nuova Bussola QuotidianaSi rischia di creare un reato di opinione», 18 luglio 2013) così argomenta:

Potrebbe ad esempio apparire come reato, in quanto giudicato segno e sintomo di omofobia, l’opporsi al matrimonio gay o alla adozione da parte delle coppie gay, cosa particolarmente rilevante se si tiene conto che proprio in questo momento al Senato si stanno discutendo questi disegni di legge. L’approvazione della legge in materia di “Discriminazioni motivate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere” limiterebbe la possibilità di discussione, perché il rischio di una potenziale incriminazione potrebbe essere tutt’altro che remoto, in potenziale contraddizione con l’art. 68 della stessa Costituzione, che afferma: “I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”.
La citazione dell’articolo 68 non lascia adito a dubbi: per la Binetti, a essere intimiditi sarebbero potenzialmente i membri stessi delle Camere; basterebbero un’opinione espressa durante i lavori parlamentari o un voto palese contro il matrimonio gay per ritrovarsi con il collo esposto alla mannaia della neomodificata Legge Mancino.
C’è però un piccolo problema: come osserva la stessa Binetti, un’interpretazione siffatta delle disposizioni di legge sarebbe incostituzionale. L’art. 68 della Costituzione può avere qualche punto dibattuto (lo vedremo tra poco), ma su una cosa è chiarissimo: opinioni e voti espresse e dati dai membri delle Camere nelle aule parlamentari sono insindacabili, come lo è ogni altra attività «di divulgazione, di critica e di denuncia politica, connessa alla funzione di parlamentare, espletata anche fuori del Parlamento» (legge 20 giugno 2003, n. 140, art. 3 c. 1), e in ogni caso l’azione dei magistrati è limitata da precise salvaguardie per il parlamentare. Per quanto creative possano essere le interpretazioni della legge date dal perfido magistrato laicista-massone-comunista di turno, ben difficilmente questi potrà avere l’improntitudine di leggere «nero» là dove c’è scritto «bianco»; e se per assurdo l’avesse, non avrebbe comunque bisogno della giustificazione di una semplice legge ordinaria. Si può poi facilmente immaginare l’esito di una simile iniziativa, e forse anche il destino personale di chi la prendesse.
Sembra quasi che per la Binetti la proposta di legge sull’omofobia possa divenire, una volta approvata, misteriosamente superiore alla Costituzione, che rimarrebbe per qualche motivo sospesa e priva di efficacia. Credo proprio che questo sia concedere un po’ troppo alle capacità di legislatore dell’onorevole Scalfarotto...

Di queste considerazioni di diritto spicciolo sembra consapevole un altro critico della proposta di legge, Mauro Ronco – il che non sorprende, visto che è professore ordinario di Diritto Penale all’Università di Padova. Scrive infatti Ronco, sempre sulla Nuova Bussola QuotidianaLegge contro l’omofobia è una violazione della libertà», 9 luglio):
La portata della norma è difficilmente percepibile da chi non sia esperto di cose giuridiche. Per esemplificarne il senso va detto che, alla stregua di tale proposta, potrebbero essere sottoposti a processo, in quanto incitanti a commettere atti di discriminazione per motivi di identità sessuale, tutti coloro che sollecitassero i parlamentari della Repubblica a non introdurre nella legislazione il “matrimonio” gay e, ancor più, tutti coloro che proponessero di escludere la facoltà di adottare un bambino a coppie omosessuali. […] Una campagna di opinione organizzata affinché i parlamentari si opponessero al “matrimonio” gay, costituirebbe, pertanto, incitamento a commettere atti di discriminazione penalmente punibili.
Come si vede, a differenza della Binetti, per Ronco a essere in pericolo non sarebbero i parlamentari (coperti dall’art. 68), ma chiunque li «incitasse» a non approvare il matrimonio tra omosessuali. A prima vista questo sembrerebbe un po’ paradossale: se il voto di un parlamentare non costituisce mai reato, come è possibile incriminare qualcuno per avere incitato lo stesso parlamentare a votare in un certo modo? In realtà il paradosso potrebbe essere solo apparente: nella giurisprudenza recente c’è una chiara tendenza a interpretare l’art. 68 come una causa di esclusione della punibilità del parlamentare, e non come una qualificazione di liceità del fatto; quest’ultimo rimane un reato, e anche se il membro del Parlamento non può essere punito per averlo commesso, chiunque altro vi concorra può subirne le conseguenze in sede penale o civile (cfr. Ugo Adamo, «La prerogativa dell’insindacabilità parlamentare ex art. 68 Cost. come causa soggettiva di esclusione della punibilità», Rivista dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, 2 luglio 2010).
Proseguendo, è importante capire cosa Mauro Ronco non sta dicendo. Anche se la proposta di legge sull’omofobia venisse approvata, non per questo diverrebbe un reato negare il matrimonio a una coppia di omosessuali. Gli articoli del Codice Civile che specificano che il matrimonio può avvenire solo tra un uomo e una donna non verrebbero abrogati dalla nuova versione della Legge Mancino: questa non parla per nulla di nozze, e l’idea che possa incidere sul Codice Civile è chiaramente estranea all’intenzione del legislatore. Se capisco bene, ciò che Ronco teme piuttosto è che qualcuno possa interpretare le nuove disposizioni di legge come se costituissero una metanorma, una norma cioè che disciplina altre norme. Più in particolare, in base alla nuova legge gli articoli in questione del Codice Civile potrebbero essere considerati come una norma discriminatrice, che sarebbe dovere del legislatore eliminare; venire meno a questo supposto obbligo di fare – sempre se capisco bene – potrebbe configurare insomma per qualche magistrato un reato omissivo.
Ci sono qui alcuni punti che mi lasciano perplesso; ma io sono un giurista della domenica, mentre Ronco insegna Diritto Penale all’università. Non mi avventurerò dunque in tentativi di confutazione, che lascio semmai ai più esperti di me. Non posso fare a meno di notare, tuttavia, che la futura legge sull’omofobia, se verrà approvata, sarà come tutte le leggi modificabile o abrogabile da una norma di pari grado (è vero che la Legge Mancino – o meglio la legge 13 ottobre 1975, n. 654, che la Mancino ha modificato e integrato – attua un trattato internazionale, ma solo per le parti riguardanti la discriminazione razziale ed etnica). Dato e non concesso che sollecitare «i parlamentari della Repubblica a non introdurre nella legislazione il “matrimonio” gay» possa essere considerato da qualcuno un reato, sarebbe per contro impossibile incriminare i fautori di una campagna di opinione che sollecitasse le Camere ad escludere per esempio l’applicabilità delle norme contro l’omofobia a questioni matrimoniali tramite una apposita legge di interpretazione autentica, come condizione dichiarata per non essere «costrette» a introdurre il matrimonio gay. La distinzione può apparire pedantesca, ma è la stessa distinzione che passa fra l’incitare il Parlamento ad approvare una legge incostituzionale (anche se questo – significativamente – non mi pare che costituisca un reato) e l’incitarlo a modificare la Costituzione allo scopo di approvare poi quella stessa identica legge. Per ripetere una massima lapidaria di Gustavo Zagrebelsky (Il sistema delle fonti del diritto, Torino 1991, p. 40), «la legge anteriore non può sottrarsi alla forza abrogativa delle leggi successive»; opporsi alle nozze gay non sarà mai illegale, ma solo sempre incivile.
È vero che qualche tempo fa qualcuno ha preteso che si perseguisse penalmente chi chiedeva solo di modificare una certa legge; ma la minaccia è stata accolta con indifferenza o, al massimo, un po’ di scherno. No, non si trattava di laicisti desiderosi di imbavagliare i poveri cattolici, ma di qualche integralista e clericale che aveva tentato di intimidire gli animatori di una campagna a favore dell’eutanasia (cfr. il mio «Se parlare di eutanasia è reato», Bioetica, 11 novembre 2010, e il post pressoché contemporaneo di Alessandro Gilioli, «Semplicemente fascisti», Piovono rane, 11 novembre 2010). Scommetto che adesso sono lì a torcersi le mani per la «gravissima minaccia» alla loro libertà di parola...

(3 - continua)

venerdì 27 settembre 2013

Legge contro l’omofobia: una galleria degli orrori /2

Quei privilegiati dei perseguitati
Abbiamo visto nella prima parte un esempio di come la lettera stessa della proposta di legge contro l’omofobia possa venire stravolta. Ma naturalmente sono gli errori di interpretazione delle disposizioni della legge a essere più frequenti. Uno in particolare sembra estremamente frequente, anche se è difficile capire come una incomprensione così grossolana abbia potuto diffondersi in questo modo. Ne troviamo un primo esempio nel blog di Assuntina Morresi («Papa Francesco, legge omofobia», Stranocristiano, 20 settembre 2013):

L’aggravante accettata [dai deputati], all’interno della legge Mancino, […] è un’aggravante legata a qualsiasi reato penale contro un omosessuale, non solo quelli di violenza (il pugno o l’insulto). Per esempio: io truffo un omosessuale? Si applica un’aggravante. Io scippo un omosessuale? Si applica un’aggravante. E così via.
L’aggravante di cui si parla è quella in forza della quale – se fosse approvata la proposta di legge di cui ci stiamo occupando – verrebbe aumentata fino alla metà la pena per i reati «fondati sull’omofobia o transfobia». Pare di capire che per la Morresi l’aggravante scatterebbe ogni qual volta la vittima è un omosessuale («qualsiasi reato penale contro un omosessuale»). Un’interpretazione identica a questa sembra anche quella espressa da Piero Ostellino («Gli errori della legge anti omofobia», Corriere della Sera, 3 agosto, p. 49):
non riesco a capire perché picchiare un omosessuale sarebbe un’aggravante, mentre picchiare me – che sono «solo» un essere umano senza particolari, selettive e distintive, qualificazioni sessuali – sarebbe meno grave.
Ancora, questo sembra essere il pensiero di una vecchia conoscenza dei lettori di Bioetica (Berlicche, commento a id., «Facciamolo!», Berlicche, 20 settembre, 10:19):
l’aggravante che la sinistra ha introdotto […] vuol dire che i giudici potranno perseguire autonomamente, senza denuncia, qualsiasi comportamento ritenuto omofobo, cosa di cui manca perlatro la definizione. Inoltre vuol dire anche che l’omofobia è una aggravante generica che può essere usata su ogni reato. Rubi ad un omosessuale? Hai l’aggravante. Litighi con un omosessuale? Hai l’aggravante. Di fatto gli omosessuali diventano cittadini di serie A, gli altri di serie B.
(In questo caso l’interpretazione della legge è particolarmente farraginosa: l’aggravante non si applicherebbe affatto a «qualsiasi comportamento ritenuto omofobo» ma solo ai reati già oggi previsti dal codice.)
Infine, già in passato, durante la scorsa legislatura, in occasione della discussione di una proposta di legge simile a quella odierna, avevano dato questa interpretazione dell’aggravante sia Carlo Lottieri sia Marcello Veneziani (cfr. su questo blog il mio «Carlo Lottieri e l’omofobia», 21 maggio 2011).

Inutile dire che la legge in discussione propone tutt’altro: a ricevere una pena aumentata non sarebbero affatto tutti i reati commessi a danno di omosessuali e transessuali, ma solo quelli motivati dall’odio contro gli omosessuali e i transessuali (per cui l’aggravante potrebbe benissimo venire inflitta a un omofobo che avesse commesso un reato contro un eterosessuale in quanto lo riteneva erroneamente omosessuale). È assolutamente ovvio che non c’è dunque nessun «privilegio» a favore degli omosessuali: chi truffa un omosessuale o lo scippa solo per ottenerne un illecito guadagno, chi lo picchia per una questione di precedenza stradale è trattato allo stesso modo di chi commette gli identici crimini contro un eterosessuale. E va notato che gli omosessuali, in media, sono vittime di reati non motivati dall’odio omofobico nella stessa misura degli eterosessuali; i reati omofobici si aggiungono a questi. Altro che «cittadini di serie A»!

Per concludere, è bene chiarire – anche se non ce ne dovrebbe essere bisogno – che i motivi di chi commette un reato hanno rilevanza penale solo in quanto e nella misura in cui si traducono in comportamenti osservabili e in seguito dimostrabili in base a concreti elementi di prova di fronte a un giudice. Non c’è dunque nessuno spazio per l’obiezione contenuta in un «manifesto» di Alleanza Cattolica («Unioni di fatto e omofobia: cinque punti fermi», Roma, 17 giugno 2013):
La previsione di nuovi reati o aggravanti di questo tipo è rischiosa per la libertà dei cittadini, poiché impone uno scandaglio dei moventi intimi, talora inconsci, che stanno alla base delle azioni umane.
Ben difficilmente si potrebbe parlare di «moventi intimi» o «inconsci» per chi, ad esempio, prendesse a sprangate una coppia di ragazze omosessuali gridando «Morte alle lesbiche!»; tali saranno i casi che cadranno nel raggio d’azione della legge, se sarà approvata. Ciò che risulta particolarmente incomprensibile è che poche righe più sopra, in questo pensoso manifesto, si sostenga che una legge è comunque inutile, dato che «il nostro ordinamento punisce già, senza distinzioni, ogni aggressione all’integrità della persona e alla sua sfera morale, e in più contiene le aggravanti dei “motivi abietti” e del profittare delle condizioni di debolezza della vittima». A quanto pare ai motivi abietti non si applica l’obiezione dell’intimità, a differenza dei motivi fondati sull’omofobia; viene quasi da chiedersi se è proprio vero che per gli estensori del manifesto i secondi siano interamente compresi nei primi, come proclamano. A volte i «motivi inconsci» fanno strani scherzi...

(2 - continua)

sabato 21 settembre 2013

Le leggi modificate dalla proposta di legge Scalfarotto

È forse utile riportare per esteso i testi delle leggi modificate dalla proposta di legge n. 245, così come apparirebbero se il Senato approvasse la norma senza ulteriori modifiche. (Il punto di partenza è il testo della proposta di legge uscito dalla Commissione, seguito dagli emendamenti approvati dall’Assemblea; il testo vigente delle leggi modificate si trova sul sito del Governo. In corsivo le parti aggiunte.)


Modifiche alla legge 13 ottobre 1975, n. 654, e successive modificazioni

Art. 3

1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, anche ai fini dell’attuazione della disposizione dell’articolo 4 della convenzione, è punito:
a) con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi o fondati sull’omofobia o transfobia;
b) con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi o fondati sull’omofobia o transfobia.

2. …

3. È vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi o fondati sull’omofobia o transfobia. Chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attività, è punito, per il solo fatto della partecipazione o dell’assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Coloro che promuovono o dirigono tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da uno a sei anni.

4. Ai sensi della presente legge, non costituiscono discriminazione, né istigazione alla discriminazione, la libera espressione e manifestazione di convincimenti od opinioni riconducibili al pluralismo delle idee, purché non istighino all’odio o alla violenza, né le condotte conformi al diritto vigente ovvero anche se assunte all’interno di organizzazioni che svolgono attività di natura politica, sindacale, culturale, sanitaria, di istruzione ovvero di religione o di culto, relative all’attuazione dei principi e dei valori di rilevanza costituzionale che connotano tali organizzazioni.


Modifiche al decreto legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito dalla legge 25 giugno 1993, n. 205 (cd. «Legge Mancino»), e successive modificazioni

Art. 3

1. Per i reati punibili con pena diversa da quella dell’ergastolo commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale, religioso o fondati sull’omofobia o transfobia, ovvero al fine di agevolare l’attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità, la pena è aumentata fino alla metà.

venerdì 20 settembre 2013

Legge contro l’omofobia: una galleria degli orrori /1

Fin dal giorno in cui è stata presentata alla Camera, il 15 marzo 2013, la proposta di legge n. 245 di Scalfarotto ed altri sul «contrasto dell’omofobia e della transfobia» ha suscitato nel mondo integralista reazioni violentissime. Si è imputato alla futura norma di essere liberticida, in particolare perché – a detta dei critici – avrebbe trasformato in reato l’espressione dei tradizionali giudizi cattolici sull’innaturalità delle relazioni omosessuali e l’opposizione della Chiesa al matrimonio tra persone omosessuali. Si sono prospettate conseguenze apocalittiche; si sono promosse petizioni angosciate; si sono scritti articoli infuocati. Tanta virulenza non è nuova; ciò che in parte è nuovo è la sbalorditiva inconsistenza degli argomenti addotti a sostegno di accuse tanto spropositate – nelle rare occasioni in cui ci si preoccupati di addurre argomenti, e non di enunciare tesi apodittiche. Parzialmente inedita è stata anche l’intensità del sentimento vittimistico e della sindrome di accerchiamento che si sono percepiti in molti integralisti. Come definire questo atteggiamento? Isteria di massa? Paranoia religiosa? Moral panic? Complottismo? Quali sono le sue cause? Abbozzare ipotesi non è facile; per il momento, accontentiamoci di esaminare alcuni casi rappresentativi di questa peculiare reazione.

La norma che non c’è
L’autore del blog De libero arbitrio, Claudio LXXXI, ha dedicato tre degli ultimi otto post alle proposta di legge Scalfarotto («Parallele convergenti dentro una sfera troppo laica», 4 agosto; «Psicoreato», 16 agosto; «Omo-Matrix», 11 settembre); in coda a un altro post (che meriterebbe un commento a parte) c’è un ulteriore riferimento alla legge («Pari e dispari», 24 agosto). Un post su due, in media, dunque. Segno palese di un interesse profondo. Che implicherebbe una conoscenza adeguata del progetto di legge di cui si parla; tanto più che Claudio è – uso parole sue – un «giurist[a]», un «tecnic[o] della materia». Ecco però qual è per il blogger il testo della proposta di legge Scalfarotto («Omo-Matrix», cit.):

La proposta di legge cd. Scalfarotto-Leone intende inserire […] nell’art. 1 del decreto legge 26 aprile 1993, n. 122 la seguente norma:
«è punito con la reclusione sino a 3 anni chi diffonde in qualsiasi modo idee fondate sull’omofobia o transfobia».
Queste parole, a quanto sembra, non sono di Claudio, che le trae da un video di Youtube di autore ignoto; ma Claudio le fa palesemente sue, senza aggiungervi o correggervi nulla.

Peccato però che la proposta di legge Scafarotto non contenga affatto la norma citata. Nella forma in cui è approdata nell’aula della Camera (e che aveva nel momento in cui Claudio scriveva), propone tra le altre cose di modificare l’art. 3, comma 1, lettera a) della legge 13 ottobre 1975, n. 654 e successive modificazioni con il seguente testo:
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, anche ai fini dell’attuazione della disposizione dell’articolo 4 della convenzione, è punito con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi o fondati sull’omofobia o transfobia.
La proposta di legge originaria era in questo punto quasi identica:
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, anche ai fini dell’attuazione dell’articolo 4 della convenzione, è punito con la reclusione fino a un anno e sei mesi chiunque, in qualsiasi modo, diffonde idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi o motivati dall’identità sessuale della vittima.
La proposta di legge distingue quindi nettamente in questo comma due fattispecie di reato: la prima è la propaganda di idee, ma solo di quelle «fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico»; le idee fondate sulla superiorità (o persino sull’odio) nazionale o religiosa o sull’omofobia o la transfobia non costituiscono reato (almeno, non per la Legge Mancino). I motivi nazionali o religiosi o fondati sull’omofobia o la transfobia entrano in gioco solo nella seconda fattispecie, cioè l’istigazione a commettere o la commissione di atti di discriminazione. In pratica: se Giovanni va in giro a propagandare (non semplicemente a esprimere!) l’idea che i bianchi sono superiori per intelligenza ai neri, o che agli Ebrei sono da addebitare tutti i mali del mondo, commette un reato; ma se diffonde alacremente scritti in cui argomenta la superiorità della nazione italica su tutte le altre, o in cui ripete il tradizionale insegnamento cattolico extra ecclesiam nulla salus, o in cui sostiene che le famiglie eterosessuali sono incomparabilmente più felici di quelle omosessuali, nessun reato gli potrà essere imputato in base alla Legge Mancino, neppure se sarà approvata la proposta di legge Scalfarotto. Sarà invece punibile se, per esempio, rifiuta di servire un cliente del suo bar solo perché non è italiano o perché è protestante o perché omosessuale, o se istiga qualcun altro a commettere analoghi atti di discriminazione, o peggio (lettera successiva dello stesso comma) atti di violenza. È importante notare come si possa benissimo essere convinti della superiorità della propria nazione, fede od orientamento sessuale senza che questo spinga necessariamente a commettere atti discriminatori nei confronti degli altri.

Come si vede, la norma protegge con estrema chiarezza la mera espressione di idee, in accordo con l’esplicita intenzione del legislatore; uno dei relatori, Antonio Leone, infatti così argomentava nel suo intervento durante la seduta in Assemblea del 5 agosto:
Volutamente non si è voluto toccare la fattispecie alla propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico. Si è ritenuto che incidere anche su questa fattispecie avrebbe potuto comportare il rischio di formulare un reato di opinione.
Di tutto ciò Claudio sembra essere rimasto all’oscuro, o – interpretazione più benevola – sembra essersi presto dimenticato; il che è un po’ strano: da uno che considera una norma come un «pretesto per introdurre lo psicoreato» ci si aspetterebbe un’attenzione leggermente meno erratica. La cosa divertente è che nel corso della discussione seguita all’ultimo post il nostro blogger argomenta così:
È lecito esprimere qualunque opinione sul colore della pelle? Finché rimane un’opinione (cioè finché non è propedeutica ad atti concreti di discriminazione razziale), dovrebbe esserlo.
Ora, se sostituiamo opportunamente alcuni termini con altri, otteniamo la seguente riflessione:
È lecito esprimere qualunque opinione sull’orientamento sessuale? Finché rimane un’opinione (cioè finché non è propedeutica ad atti concreti di discriminazione fondata sull’omofobia), dovrebbe esserlo.
Il che è esattamente quello che implica la proposta di legge Scalfarotto.

Non dubito che Claudio saprà trovare altri motivi di critica alla proposta di legge contro l’omofobia (che è lungi dall’essere soddisfacente anche per molti che la pensano in modo opposto al suo); ma si spera che siano fondati, la prossima volta, su una conoscenza meno affrettata della legge e delle sue implicazioni.

(1 - continua)