Sta girando in questi giorni nella blogosfera di lingua inglese una storia apparentemente incredibile (il centro recente di questa diffusione sembra essere «True Story: How To Get Pregnant via Oral Sex», Standard Madness, 25 gennaio 2010; la storia ha preso le ali dopo essere stata riproposta il 1 febbraio da Discover, «NCBI ROFL: That’s one miraculous conception», che riporta gran parte della fonte originale, risalente in realtà al lontano 1988).
Una ragazza quindicenne del Lesotho viene ricoverata in ospedale dopo che il suo ex fidanzato ha accoltellato lei e il suo attuale boyfriend. La donna presenta due fori allo stomaco, che vengono prontamente medicati. Nove mesi dopo, la stessa ragazza torna in ospedale, questa volta per una gravidanza giunta ormai a termine. Il parto però, come scoprono presto i medici, si presenta complicato: la donna, infatti, è priva di vagina. Dopo il parto cesareo e la nascita di un bambino di 2,8 kilogrammi giunge inevitabilmente il momento di porre alcune domande. Con l’aiuto di un’infermiera e di un po’ di tatto la storia emerge gradualmente: la ragazza sapeva di essere priva di vagina e, dopo qualche tentativo assai insoddisfacente di portare a termine un rapporto di tipo tradizionale, aveva ripiegato sulla pratica del sesso orale. Ed è proprio nell’atto di compiere quest’ultimo che l’aveva colta il suo ex; ne era seguito l’accoltellamento. Una volta chiarita la dinamica dell’avventuroso concepimento, ha luogo il tradizionale scambio di bestiame e la donna va a vivere col padre del bambino. I medici intanto concludono che la fecondazione sarebbe stata causata dal seme dell’uomo, scivolato attraverso il foro dello stomaco fino a raggiungere gli organi riproduttivi.
Cosa pensare di questa storia? Diciamo subito che i fatti sono riportati in una comunicazione scientifica autentica, apparsa su una rivista peer-reviewed: Douwe A.A. Verkuyl, «Oral conception. Impregnation via the proximal gastrointestinal tract in a patient with an aplastic distal vagina. Case report», British Journal of Obstetrics and Gynaecology (ora BJOG: An International Journal of Obstetrics & Gynaecology) 95 (1988), pp. 933-34. L’articolo è accessibile solo agli abbonati, ma una copia è disponibile qui (o qui). Il tono generale dell’articolo, a parte alcuni passi comprensibilmente coloriti, è inappuntabilmente scientifico.
Questa però non è una prova conclusiva di autenticità. Non è chiaro se la rivista abbia effettuato dei controlli, resi peraltro difficili dalla lontananza geografica; si può supporre che abbiano contato le credenziali professionali di Verkuyl, all’epoca primario di ostetricia e ginecologia degli United Bulawayo Hospitals di Bulawayo, Zimbabwe, e autore di almeno altri due studi scientifici (da allora il curriculum dell’autore si è arricchito, e conta ora 38 titoli, molti dei quali in riviste di primo piano).
Dall’altro lato, però, ci viene chiesto di credere a una serie inaudita di improbabilità concatenate. Abbiamo a che fare, nell’ordine, con una malformazione di per sé rara; con spermatozoi che riescono a sopravvivere nell’ambiente acido dello stomaco per più di alcuni secondi (anche se l’autore propone alcuni possibili meccanismi per questa circostanza); con un accoltellamento che si verifica proprio attorno ai giorni dell’ovulazione; con una ferita che interessa con precisione lo stomaco. Come se non bastasse, l’autore ritiene, per certe ragioni, che l’evento si sia verificato proprio intorno alla prima ovulazione della ragazza!
In breve: su un piatto della bilancia abbiamo la probabilità abissalmente bassa di una concezione che possiamo ben definire miracolosa; sull’altro, la probabilità che un professionista metta a repentaglio la propria reputazione per ordire uno scherzo ai danni di una prestigiosa rivista. Il David Hume del saggio sui miracoli non avrebbe avuto molti dubbi nel giudicare... (Esistono anche due altre possibilità: 1) che Verkuyl non abbia riportato il caso di prima mano e che sia stato a sua volta vittima di un inganno; ma questo equivale di nuovo a mettere in questione la professionalità dell’autore, che andrebbe contro la prassi propria di un case study e che comunque non cita nessun altro nell’articolo; il fatto, a prima vista un po’ sospetto, che il Lesotho sia abbastanza distante dallo Zimbabwe può facilmente spiegarsi in altro modo; 2) che esista un’altra spiegazione per l’accaduto; ma questo – visto anche che la paziente era stata sottoposta in seguito a un tentativo di ricostruzione della vagina, descritto con dovizia di particolari nell’articolo, e che non ci si poteva dunque ingannare sul suo stato – sembra equivalere a un altro miracolo.)
Ma esiste forse un modo per risolvere il caso, senza ricorrere a principi generali. Nel 1989 la stessa rivista (vol. 96, p. 501) pubblicava una lettera del dottor D.A. Hicks, a proposito dell’articolo di Verkuyl. Il testo non mi è accessibile (e sarò grato a chiunque me lo vorrà inviare), ma da alcuni accenni trovati altrove appare che Hicks avesse fatto notare le somiglianze del caso con un altro avvenuto durante la guerra civile americana, narrato da un certo L.G. Capers («Notes from the Diary of a Field and Hospital Surgeon, C.S.A.», The American Medical Weekly 1, 1874, pp. 233-34). Ecco la storia.
Siamo nel 1863. Una brigata dell’esercito confederato sta sostenendo l’urto dell’esercito nordista presso un villaggio, non lontano da un’abitazione la cui padrona di casa, assieme alle due giovani figlie, serve da infermiera. Nel corso dello scontro un soldato del sud cade improvvisamente, colpito da una palla vagante; quasi nello stesso istante, si ode un grido provenire dalla direzione della casa. Il chirurgo, autore dell’articolo, soccorre subito il giovane ferito. Il proiettile ha colpito la tibia e, rimbalzando, ha trapassato lo scroto portando via con sé il testicolo sinistro. Il medico ha appena finito di medicare la ferita, quando ecco giunge la padrona di casa: pochi minuti prima una delle sue figlie è rimasta gravemente ferita, trapassata al ventre da una pallottola che è rimasta nella cavità addominale. Nonostante la gravità delle lesioni, la ragazza riesce a sopravvivere e a riprendersi.
Il chirurgo, ripassando dallo stesso villaggio otto mesi dopo l’accaduto, trova la giovane in ottime condizioni, salvo per un inspiegabile ingrossamento del ventre. Un mese dopo, con grande costernazione della famiglia, nasce un bel bambino. La giovane protesta la propria virtù, ma il chirurgo non le crede, nonostante il fatto che durante il travaglio le abbia trovato l’imene ancora intatto.
Passano tre settimane, e il chirurgo viene chiamato dalla nonna del bambino: c’è qualcosa che non va nei genitali del neonato. Nello scroto è presente un corpo estraneo; e grande è la meraviglia del medico quando, estrattolo, si rende conto che si tratta di una pallottola, deformata per aver urtato contro qualche materiale solido. Lentamente la verità si fa strada nella mente del medico: una stessa pallottola, passando per lo scroto del soldato, aveva trascinato con sé il seme, per depositarlo nell’utero della ragazza, che era rimasta in questo modo incinta. Si rintraccia il giovane che, inizialmente scettico, acconsente a rendere visita alla ragazza; dopo qualche tempo, convinto o meno che sia dell’accaduto, la sposa.
Questa storia è, ovviamente, una bufala, come è dimostrato sul sito Snopes.com («Son of a Gun»). A parte la somma improbabilità degli eventi, il ritrovamento del proiettile nello scroto del neonato è una chiara impossibilità medica; inoltre, in una «Editor’s Note» apparsa poco tempo dopo sullo stesso volume dello stesso giornale (pp. 263-64), si prendono le distanze dal racconto. Nonostante ciò la storia ha continuato a circolare, venendo presentata talvolta come un resoconto di un caso realmente accaduto.
Le analogie generali con i fatti del Lesotho sono evidenti; ma esistono almeno due collegamenti più specifici. Il primo è l’insistenza che si fa in entrambi i racconti sulla somiglianza del bambino con il padre: «I may mention having received a letter during the past year, reporting a happy married state and three children, but neither resembling, to the same marked degree, as the first – our hero – Pater familias!» (1874); «the son looked very much like the legal father», «The fact that the son resembled the father excludes an even more miraculous conception» (1988). Si potrebbe sostenere che si tratta di un espediente – a dire il vero più retorico che scientifico – per assicurare il lettore della realtà di quella peculiare paternità, e che come tale sia suscettibile di sviluppi paralleli ma autonomi. Più interessante un’altra coincidenza sospetta (segnalata già da qualche commentatore). Quand’è che le due ragazze partoriscono? «Just two hundred and seventy-eight days from the date of the receipt of the wound» l’americana; l’africana «Precisely 278 days later», anche se il termine di riferimento sembra essere qui non l’incidente ma le prime dimissioni dall’ospedale, 10 giorni dopo la ferita.
Dobbiamo chiederci a questo punto cosa ci sia di particolare in questa cifra. Fin da Aristotele la durata media della gravidanza umana è ritenuta ammontare a 280 giorni. Nella seconda metà del XIX secolo si era diffusa per qualche tempo la media alternativa di 278 (cfr. James Matthews Duncan, Fecundity, fertility, sterility, and allied topics, Edinburgh, Black, 1866, p. 337), ma ai giorni nostri si è tornati alla vecchia media di 280 (278 giorni sembra essere la gravidanza media delle donne giapponesi; per le africane la durata sembra ancora inferiore, mentre per le primipare è leggermente superiore), che casomai dovrebbe essere riveduta all’insù. Ecco spiegata la notazione dell’autore del 1874 («Just 278 days»), che avrà usato per la sua finzione la media ritenuta esatta all’epoca. Ma come spiegare la coincidenza con il resoconto del 1988? La si potrebbe addebitare all’ennesimo caso: in fondo, si potrebbe dire, la durata media di una gravidanza è più o meno quella, giorno più giorno meno. È vero che in questo caso ai 278 giorni vanno sommati, come abbiamo visto, i 10 del primo ricovero; ma 288 giorni sono ancora una durata nella media. Qui, però, il proverbiale asino fa un capitombolo. Quando si dice che una gravidanza dura in media 280 giorni, si intende che il computo inizia dall’ultima mestruazione. La fecondazione vera e propria si verifica in realtà in media 14 giorni dopo, intorno al momento dell’ovulazione (la cosa era ancora relativamente oscura nel XIX secolo). Ma nel caso in esame la ferita corrisponderebbe proprio alla fecondazione; la gravidanza quindi sarebbe equivalente a una di 278 + 10 + 14 = 302 giorni, che non è impossibile ma è assai inusuale (e molto pericolosa per la madre). Anche ammettendo che lo sperma sia sopravvissuto per qualche tempo nel corpo della donna, il totale si può abbassare non più di 4-5 giorni. Avremmo insomma altre due ulteriori improbabilità da aggiungere alla nostra già cospicua lista: una gravidanza di durata anomala, e un autore che comunica una cifra «casualmente» analoga (e arbitraria: qui 278 giorni sono solo il periodo intercorso tra un ricovero e l’altro) a quella presente nell’unico resoconto analogo presente (abusivamente) nella storia della medicina.
Tutto, naturalmente, è possibile; ma la sensazione è che il dottor Verkuyl abbia voluto indirizzare ai suoi lettori una poderosa, ancorché in tralice, strizzata d’occhio.
Aggiornamento 3/2/2010: nei commenti un lettore propone un’affascinante ipotesi alternativa.