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mercoledì 1 aprile 2015

Tutti pazzi per il gender

Barcellona, Spagna, 16 luglio 2011. Simona Pampallona

“La teoria del gender è un’ideologia a sfondo utopistico basata sull’idea, già propria delle ideologie socio-comuniste e fallita miseramente, che l’eguaglianza costituisca la via maestra verso la realizzazione della felicità. Negare che l’umanità è divisa tra maschi e femmine è sembrato un modo per garantire la più totale e assoluta eguaglianza – e quindi possibilità di felicità – a tutti gli esseri umani. Nel caso della teoria del gender, all’aspetto negativo costituito dalla negazione della differenza sessuale, si accompagnava un aspetto positivo: la totale libertà di scelta individuale, mito fondante della società moderna, che può arrivare anche a cancellare quello che veniva considerato, fino a poco tempo fa, come un dato di costrizione naturale ineludibile”. A scriverlo è la storica Lucetta Scaraffia (”La teoria del ‘gender’ nega che l’umanità sia divisa tra maschi e femmine”, L’Osservatore Romano, 10 febbraio 2011).

Chi è che vuole negare l’esistenza e la differenza tra maschi e femmine? E quando sarebbe successo? Rispondere è facile: nessuno e mai. Tuttavia da qualche tempo è emersa questa strana e inesistente creatura, metà fantasia, metà film dell’orrore: è l’“ideologia del gender”. Non è facile individuarne la data di nascita, ma quello che è certo è che nelle ultime settimane la sua ombra minacciosa è molto invadente.

È buffo vedere quanta paura faccia il riflesso di quest’essere mostruoso (ma allucinatorio come Nessie), nato in ambienti angustamente cattolici, conservatori e ossessionati dalla perdita del controllo. Il controllo sulla morale, sul comportamento, sull’educazione e sul rigore feroce con cui si elencano le categorie del reale con la pretesa che siano immutabili e incontestabili in base a un argomento d’autorità: “È così perché lo diciamo noi”.

Questa perfida chimera che vorrebbe annientare le differenze sessuali si nutre della continua e intenzionale confusione tra il piano biologico (“per fare un figlio servono un uomo e una donna”) e quello sociale e culturale (“per allevare un figlio o per essere buoni genitori bisogna essere un uomo e una donna”). Come vedremo, perfino il piano biologico è meno rigido e, no, non significa che “non ci sono differenze biologiche tra uomo e donna” – nessuno lo ha mai detto.

Ma le Cassandre della “ideologia del gender” combattono contro un nemico che hanno immaginato, o che hanno costruito, stravolgendo il reale, per renderlo irriconoscibile e poterlo così additare come un mostro temibile (si chiama straw man ed è una fallacia molto comune: si prende un docile cane di piccola taglia e lo si trasforma in un leone famelico; poi si litiga con il padrone del cane e lo si accusa di irresponsabilità: “Girare con una bestia feroce in luoghi affollati e con tanti bambini!”). Perché essere tanto spaventati da esseri che non esistono e da ombre sulle pareti? Perché non girarsi per rendersi conto, finalmente, che va tutto bene?

Se state poco sui social network e scegliete bene le vostre letture forse non ne avete mai sentito parlare. Ma è sempre più improbabile che non ne sappiate nulla visto che lo scorso 21 marzo Jorge Maria Bergoglio ha detto che la “teoria del gender” fa confusione, è uno sbaglio della mente umana e minaccia la famiglia. “Come si può fare con queste colonizzazioni ideologiche?”, ha domandato.

Internazionale, 31 marzo 2015.

mercoledì 2 ottobre 2013

Assalto al Mulino Bianco


“Sacrale”, “tradizionale”, “classica”: sono questi i tre aggettivi usati da Guido Barilla per descrivere la sua famiglia ideale, ovvero una famiglia vuota di contenuti.
Quei tre aggettivi, infatti, non hanno alcun significato se non in un contesto temporale e storico e, in virtù della loro dipendenza, non sono intrinsecamente né buoni né cattivi.
La tradizione è un’abitudine che nel tempo è durata, è stata tramandata, ma non è detto che sia qualcosa da rivendicare e di cui andare fieri. Il tempo di per sé non è garanzia di nulla. Ci sono molti esempi di tradizioni odiose e moralmente ripugnanti: la schiavitù, il razzismo, l’esposizione del lenzuolo dopo la prima notte di nozze a testimonianza dell’illibatezza della sposa, la castità come condizione necessaria di un quanto mai vago “rispetto”. Se vogliamo rimanere nel dominio della famiglia non bisogna nemmeno andare molto indietro nel tempo per trovare tradizioni disgustose: il matrimonio riparatore, cioè la possibilità di estinguere l’abuso sessuale con le nozze, la dote, il reato di adulterio per la moglie e di abbandono del tetto coniugale, l’attenuante dell’onore nei delitti cosiddetti passionali.
Tradizioni tutte indigene, incardinate in un codice penale aggrappato a una società fortemente ingiusta e patriarcale, con la benedizione del fascismo e della sua idea di nucleo familiare e sacralità dei doveri domestici, i cui principi andati sono ancora oggetto di rimpianto per qualcuno.
Considerazioni simili si potrebbero fare per “sacrale” e “classica”.
Ma il più bello deve ancora arrivare. Barilla infatti, incalzato dai conduttori de La Zanzara, dice massì facessero quello che vogliono [gli omosessuali], però «senza disturbare gli altri». Che è un concetto o superfluo o bizzarro. Buttato lì somiglia terribilmente a quei discorsi delle zie beghine rivolti a qualsiasi gruppo “estraneo” al proprio angusto panorama (per etnia, nascita, o per appartenenza a una città diversa da quella del proprio nipote che è tanto un caro ragazzo): «Che vengano pure in casa mia, basta che si lavino».
Mi viene in mente un giudice di pace statunitense che, rifiutandosi di celebrare un matrimonio tra una donna e un uomo di etnie diverse, si giustificò scivolando ancora più in basso: «Mica sono razzista io, ho tanti amici [ricorda qualcosa?] neri e vengono a casa mia e usano il mio bagno». Il tipo si chiamava Keith Bardwell. Era il 2009, mica il 1950. Ma il matrimonio no, fossi matto, chissà poi cosa succede ai bambini – stesso “argomento” di Barilla e di molti contro le adozioni gay e la genitorialità senza discriminazione.
Che Barilla pensi quello che vuole – ovviamente – ma ciò che è sorprendente è l’aver candidamente elencato abbastanza aggettivi da far innervosire moltissime persone. E far innervosire moltissime persone non è una geniale scelta di marketing. Nel giro di poche ore si sono moltiplicate le iniziative di boicottaggio, il cui effetto è per ora difficile da valutare anche se è verosimile pensare che nessun presidente aziendale consiglierebbe una strada del genere. Ingenuità? Un calcolo sbagliato? Ci vorrebbe un mago per capirlo, così come ci vorrebbe un allenato interprete di auspici per capire perché ha accettato di essere intervistato in quel contesto in cui – ormai lo sanno tutti – il minimo che può capitarti è di dire idiozie. Se non sei abbastanza sfortunato o di malumore per avere voglia di spaccare una sedia in testa al tuo interlocutore.
Soprattutto in un momento come questo, in cui ancora non si è sopito il clamore sollevato dalla discussione sulla legge sull’omofobia, sull’emendamento e sul subemendamento. Quel clamore in cui tutti hanno sentito l’urgenza improrogabile di intervenire, anche prima di leggere il testo, anche prima di capire, anche senza avere intrinsecamente la capacità di capire.
La parola d’ordine è: riempire un silenzio necessario. E allora, forse, anche Barilla è caduto in questa trappola – da lui stesso costruita eh, mica è una povera vittima di un complotto ordito alle sue spalle. Comunque Barilla è a favore del matrimonio, magari non entusiasta («facessero quello che vogliono»), tuttavia più avanzato di tanti altri. L’adozione no, non esageriamo, che poi lui è padre e conosce le complessità già da padre etero. Non aggiungiamo ulteriori complicazioni. Quali sarebbero le complessità da padre non etero rimane un mistero.
Peggio degli insensati aggettivi di Guido Barilla? Le sue scuse tardive – «sono stato malinteso», «volevo semplicemente sottolineare la centralità del ruolo della donna all’interno della famiglia» (come?!) – e chi lo difende, come il Moige – che è a favore della famiglia “naturale”, altro nonsense galattico – e Eugenia Roccella, secondo la quale Barilla è addirittura coraggioso nel difendere la famiglia “formata da un uomo e una donna”, come se qualcuno la stia minacciando. Come se l’uguaglianza fosse rischiosa. Il punto dolente, infatti, non è avere «un’idea del matrimonio diversa da quella dei militanti gay» ma ricordarsi che il matrimonio in Italia è discriminatorio. Se tutti potessero sposarsi, sarebbe quasi divertente ascoltare queste farneticazioni da finti tonti. Circondati come siamo da disparità e ingiustizia, è un po’ più facile prenderli sul serio. Ma è comunque un errore gravissimo, come quando rispondiamo a uno che parla nel sonno.

Il Secolo XIX, 27 settembre 2013.

mercoledì 5 settembre 2012

Tecniche di riproduzione artificiale in Costa Rica

In Costa Rica c’è l’unica legge più restrittiva della nostra. Dalla premessa che un ovulo fecondato debba essere considerato una persona ne deriva che siano illegali le tecniche riproduttive.
Sono almeno coerenti, non come la legge 40 e i suoi difensori: dopo avere stabilito lo statuto di soggetto per il concepito (termine bizzarro e impreciso) ne hanno però auotrizzato il suo sacrificio.

Come riportava un articolo dell’Osservatore Romano nel giugno scorso (Il Costa Rica rigetta la fecondazione in vitro):
Con 26 voti favorevoli e 25 contrari la Camera dei Rappresentanti del Costa Rica ha respinto il disegno di legge che avrebbe permesso la fecondazione in vitro nel Paese. Il progetto è stato accantonato a causa di una serie di incongruenze ravvisate nel costrutto della norma, giudicata, tra l’altro, contraddittoria e confusa. Con questa decisione, anche se con un risultato di stretta misura, il Governo del Costa Rica non si piegherà alle ripetute pressioni della Corte interamericana dei diritti dell’uomo esercitate sullo Stato centroamericano perché approvasse la fecondazione in vitro, entro il 31 luglio. Il processo appena conclusosi con tale decisione è stato avviato nel mese di agosto dello scorso anno. I vescovi del Costa Rica, in diverse occasioni, hanno espresso le loro obiezioni e opposizioni al progetto di legge, presentando in Parlamento la loro posizione riguardo al disegno di legge sulla fecondazione in vitro e sul trasferimento di embrioni, nell’intento di contribuire alla discussione parlamentare dalla prospettiva dell’antropologia cristiana, dell’etica e del magistero ecclesiale.
Nel mese di ottobre 2010, il presidente della Conferenza episcopale e arcivescovo di San José, monsignor Hugo Barrantes Ureña sollecitò il Governo a non approvare la normativa, in quanto «è una tecnica che, per raggiungere le sue finalità, elimina, nel suo processo, un grande numero di embrioni fecondati, cioè vite umane nascenti». Il presule, nell’esprimere «comprensione per gli sposi che non possono appagare il legittimo desiderio di avere figli» ha ricordato però che «un bambino è sempre un dono» e, di conseguenza, non può costituire un mero mezzo per «soddisfare un bisogno o desiderio, ma la sua inviolabile dignità di persona richiede di essere trattato sempre come un fine».
Joseph Ratzinger ha espresso la sua opposizione nelle Lettere credenziali del nuovo ambasciatore del Costa Rica presso la Santa sede.
Gerardo Escalante López e Delia Ribas hanno raccontato che cosa vuol dire quel divieto:
qualche settimana fa il Costa Rica è stato sottoposto a un giudizio della Corte americana il quale ha riscontrato che il Paese ha violato i diritti riproduttivi dei propri cittadini. Speriamo che tra due anni la corte si potrà pronunciare a favore o contro la fecondazione in vitro. La cosa importante è che forse organismi di diritto internazionale per la prima volta giudicheranno questa materia e potranno determinare quali sono le responsabilità in capo ai governi in materia di riproduzione umana.
Oggi e domani la Corte interamericana dei diritti umani esaminerà il divieto della legge e ascolterà le ragioni giuridiche di chi considera quel divieto ingiustificabile, ingiusto e discriminatorio.
Caso Artavia Murillo y otros (Fecundación in vitro) vs. Costa Rica. L’udienza è pubblica e sarà possibile seguirla via streaming qui.

sabato 26 maggio 2012

Aborto, cosa significa obiezione di coscienza?


A 34 anni dalla promulgazione della legge 194 sulla interruzione volontaria di gravidanza (era il 22 maggio 1978), i dati del Ministero della Salute mettono bene in evidenza quanto la norma sia disattesa: la media nazionale di ginecologi obiettori supera il 70%, arriva in alcune regioni al 90, e rende estremamente difficile la garanzia del servizio.
In questi giorni, peraltro, in Parlamento si discute un testo ambiguo e pericoloso, un testo che gioca sull’ambiguità dei significati: che cosa intendiamo infatti per obiezione di coscienza e cosa c’entra con la libertà individuale e con la libertà di coscienza? Se ne è parlato durante il convegno “Obiezione di coscienza in Italia. Proposte giuridiche a garanzia della piena applicazione della legge 194 sullaborto” organizzato il 22 maggio a Roma dall’Associazione Luca Coscioni e l’Aied.
Nell’estate 2010 Christine McCafferty, parlamentare del partito laburista inglese, ha presentato al Consiglio dEuropa un report sulla regolamentazione dell’obiezione di coscienza, “Women’s access to lawful medical care: the problem of unregulated use of conscientious objection”. Il report fotografa la situazione europea e propone alcune linee guida per limitare i danni di un esercizio illegittimo dell’obiezione di coscienza. McCafferty non abbraccia una posizione estrema, non critica cioè la possibilità di ricorrere alla obiezione, ma sottolinea che i diritti delle donne e dei pazienti vengono prima della coscienza del personale medico. È necessario un bilanciamento tra la coscienza personale e la responsabilità professionale altrimenti si finisce per ledere lo stesso diritto dei pazienti di ricevere cure e assistenza, sostituite da una predica moralistica.

Quali sarebbero le condizioni per l’esercizio legittimo della obiezione di coscienza? Possono ricorrervi i singoli direttamente coinvolti nella procedura medica e non le strutture sanitarie. Il personale sanitario ha l’obbligo di fornire tutte le informazioni sui trattamenti previsti dalla legge, di informare tempestivamente il paziente della propria obiezione di coscienza, di metterlo in contatto con un altro medico e di assicurarsi che riceva il trattamento richiesto. Se è impossibile trovare un altro medico o in caso di emergenza non c’è coscienza che tenga: il personale sanitario è obbligato a eseguire il trattamento richiesto o necessario nonostante le proprie posizioni personali. Il documento si sofferma spesso sugli effetti discriminatori soprattutto per le donne più in difficoltà, perché vivono in condizioni economiche difficili o in aree isolate o per altre ragioni.

Le condizioni indicate da McCafferty sono in linea con l’articolo 9 della 194 - ma l’articolo 9 spesso rimane solo sulla carta. L’Italia è infatti tra i Paesi che regolamentano in modo inadeguato l’esercizio della obiezione di coscienza, avverte McCafferty, insieme alla Polonia e alla Slovacchia. Il report poi sottolinea che l’obiezione non può essere esercitata dal personale non medico, come amministrativi o portantini, e che l’assistenza precedente e successiva non possono essere oggetto di obiezione. Anche questo è in linea con l’articolo della legge italiana ed è utile per le discussioni sull’ampliamento dell’esercizio della obiezione ai farmacisti. A questo proposito ricordo il caso Pichon and Sapious vs. France (Corte europea dei diritti umani, 7 giugno 1999): la Corte stabilì che un farmacista che rifiuta di vendere i contraccettivi non può imporre la propria visione del mondo agli altri e che il diritto alla libertà religiosa - diritto individuale sacrosanto e strettamente intrecciato alla coscienza - non garantisce il diritto di comportarsi pubblicamente secondo le proprie credenze. Quando decido di fare il farmacista, o il medico o l’avvocato, la mia coscienza individuale non può essere quella cui tutti gli altri dovrebbero sottostare o conformarsi. La scelta di una professione implica dei doveri e la garanzia di un servizio.

Galileo, 25 maggio 2012.

venerdì 23 marzo 2012

«Vi racconto i buoni genitori gay»

In che modo oggi In Italia una coppia gay può diventare genitore?
Andando all’estero! In Italia non è permesso adottare, non è permesso accedere alle tecniche riproduttive – la legge 40 permette l’accesso solo a coppie eterosessuali e non ai single – e la donazione dei gameti è vietata (la cosiddetta fecondazione eterologa). Per le donne si sta diffondendo una fecondazione “fai da te”, magari con un amico. Per gli uomini è ancora più difficile. Insomma il percorso è ostacolato dalle leggi italiane e segnato dalla discriminazione economica, perché non tutti possono permettersi di andare in Spagna o più lontano ancora per cercare di avere un figlio.
Cosa succede concretamente nel momento in cui il genitore biologico partorisce in ospedale? Che tipo di “assetto” giuridico si viene a creare?
Per la legge italiana il genitore “vero” è quello biologico. Se sono io a partorire sarò madre a tutti gli effetti, ma la mia compagna? Una estranea. Si dovrebbe permettere di adottare il figlio del proprio compagno, in modo da proteggere il figlio prima di tutto. Quel figlio pensato e desiderato in due, e invece considerato figlio di una madre single.
Elisabetta Ambrosi, Sex and (the) stress, 22 marzo 2012.

martedì 20 marzo 2012

Di obiezione di coscienza

ABORTO. MOZIONE BIPARTISAN, PIENA ATTUAZIONE OBIEZIONE COSCIENZA
(DIRE) Roma, 20 mar. - Mozione bipartisan alla Camera "per dare piena attuazione al diritto all'obiezione di coscienza in campo medico e paramedico e garantire la sua completa fruizione senza alcuna discriminazione o penalizzazione, in linea con l'invito del Consiglio d'Europa". L'iniziativa dei deputati Volonte' (Udc), Fioroni (Pd), Roccella (Pdl), Polledri (Lega), Buttiglione (Udc), Binetti (Udc), Capitanio Santolini (Udc), Calgaro (Udc), Di Virgilio (Pdl) e Mantovano (Pdl) mira a tutelare l'obiezione di coscienza non solo di coloro che sono impegnati a vario titolo nelle strutture ospedaliere, ma anche quella dei farmacisti.
"Il diritto all'obiezione di coscienza - si legge nella mozione - non puo' essere in nessun modo 'bilanciato' con altri inesistenti diritti e rappresenta il simbolo, oltre che il diritto umano, della liberta' nei confronti degli Stati e delle decisioni ingiuste".

Per quanto riguarda il Consiglio d'Europa. Sulla obiezione di coscienza abbiamo già scritto molte volte. Sui farmacisti. Poco da aggiungere.

lunedì 6 febbraio 2012

Obiezione di coscienza e diritti negati



Aborto e obiezione di coscienza negli ospedali lombardi


Alcuni giorni fa Sinistra Ecologia Libertà ha presentato i dati relativi all’obiezione di coscienza in Lombardia per il biennio 2009/2010: sono obiettori il 64% dei ginecologi-ostetrici, il 42 degli anestesisti e il 43 del personale sanitario. Chiara Cremonesi, consigliere regionale, li riporta nei dettagli e così commenta: “Questi numeri mettono innanzitutto in discussione la libertà delle donne e la loro salute, rendendo inesigibile un diritto garantito dalla legge, in un percorso che è già di per sé psicologicamente complicato. Ma non andrebbero trascurate nemmeno le ricadute negative sui pochi medici non obiettori che spesso si ritrovano relegati a occuparsi soltanto di interruzioni di gravidanza, senza alcuna possibilità di carriera. Anche perché è legittimo credere che un’adesione così alta all’obiezione non possa essere giustificata da convinzioni personali, ma in molti casi determinata da scelte di convenienza professionale.” Le considerazioni riguardanti la Lombardia potrebbero valere per tutta Italia: secondo l’ultima relazione sull’applicazione della 194 la media nazionale è di circa il 70% (parliamo dei ginecologi), con punte che superano il 90%. L’effetto di queste percentuali dipende da alcune variabili. Dalla città in cui vivi e dalla facilità con cui puoi scegliere una struttura invece che un’altra: Milano ha 10 ospedali; al Mangiagalli ci sono 62 ginecologi (dei quali 25 obiettori), al Sacco 20 (dei quali 8 obiettori) e al Niguarda 24 (di cui 20 obiettori) - tutti i dati su Milano e sulla Lombardia sono qui. A Sondrio c’è soltanto una struttura, l’AO Valtellina, e 16 ginecologi su 19 sono obiettori di coscienza. Oppure a Como: all’AO Sant’Anna, unica in città, 23 ginecologi su 26 sono obiettori. Da quanto sei a conoscenza dei tuoi diritti e degli effetti della obiezione sulla reale garanzia del servizio: l’obiezione di coscienza sulla contraccezione d’emergenza, per esempio, è illegale; l’assistenza ti è dovuta e in ogni ospedale l’interruzione di gravidanza dovrebbe essere garantita. Da quanti soldi hai: se te lo puoi permettere potresti scegliere di andare a Londra, come si faceva prima che in Italia esistesse la legge 194. All’estremo opposto ci sono alcuni casi di donne che hanno preso il Cytotec, un farmaco destinato alle ulcere ma tra i cui effetti collaterali è presente l’interruzione di gravidanza (il misoprostol, principio attivo del Cytotec, è usato per interrompere le gravidanze, ma usarlo come rimedio fai da te può comportare dei rischi, dovuti al luogo in cui lo assumi e alla posologia sbagliata). Da quante e quali persone conosci: se il tuo ginecologo non è obiettore è più facile che possa aiutarti a districarti tra le percentuali di obiettori. È indubbio comunque che qualsiasi servizio sarebbe verosimilmente minacciato da simili percentuali.
[...] Il nodo principale non è tanto lo statuto morale dell’aborto, ma il profilo dei doveri professionali. In un contesto in cui fare il militare è una scelta non avrebbe senso prevedere l’obiezione di coscienza per l’uso delle armi. In cosa sarebbe diversa la scelta di svolgere una professione che include le interruzioni di gravidanza? Per quale ragione si dovrebbe prevedere una clausola che ti esonera?

Su iMille, 5 febbraio 2012.

lunedì 14 novembre 2011

Sulla mia vita scelgo io. Giornata Nazionale del Testamento Biologico

Il programma completo. Sulla mia vita scelgo io. Giornata Nazionale del Testamento Biologico, Udine, Teatro Palamostre, 19 novembre 2011, dalle 8.30 in poi.

giovedì 27 ottobre 2011

All Children Matter: How Legal and Social Inequalities Hurt LGBT Families

More than 2 million children in the United States have, to varying degrees, become collateral damage after decades of ideology, laws, and policies that hurt lesbian, gay, bisexual, and transgender, or LGBT, people and families. To shine a light on this issue, LGBT, allied, and child welfare-focused organizations are, for the first time, releasing a comprehensive report that profiles and documents the experiences of the 2 million children with LGBT parents, the many ways that state and federal laws hurt and exclude them, and the common-sense policy solutions that can make things better.
Continua.
Su Slate, Why Kids with Same-Sex Parents Need Legal Protections di J. Bryan Lowder.

venerdì 15 luglio 2011

Biotestamento, io dico no al referendum


In queste settimane di accese discussioni (vedi Galileo: Perché la legge sul biotestamento è brutta e arrogante) sulle direttive anticipate c’è chi propone il referendum come rimedio alla violazione della nostra libertà compiuta dall’intrusivo disegno di legge prossimo all’approvazione.

Questa proposta potrebbe sembrare di primo acchito una soluzione, senz’altro in extremis ma pur sempre una soluzione. E invece rischia di costituire un ulteriore passo verso il baratro della violazione di un principio cardine di ogni Stato liberale: esiste una sfera privata e individuale in cui nessuno può permettersi di entrare. Quella sfera è la nostra libertà, intesa come assenza di interventi esterni, intesa come assenza di coercizione legale. Certo, si dirà, una volta approvata una legge liberticida, come potremmo difenderci? Affermare che non si sarebbe dovuti arrivare a questo punto non cambierebbe il panorama. Probabilmente però sarebbe preferibile l’intervento della Corte Costituzionale, proprio come accaduto per la legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita (vedi Galileo: Eterologa: un’altra ordinanza alla Corte Costituzionale), come estrema difesa e come mezzo per riaffermare quanto è stato messo in discussione. Nemmeno la Corte Costituzionale sarebbe una risposta ideale, ma forse sarebbe meno rischiosa.

Continua su Galileo.

mercoledì 13 luglio 2011

Il paese che dimentica l’Aids

Ieri si è svolto il Forum Italiano della società civile sull’Hiv/Aids in attesa della Sesta Conferenza IAS su Patogenesi, Trattamento e Prevenzione (6th Conference on HIV Pathogenesis, Treatment and Prevention IAS2011) che si terrà a Roma dal 17 al 20 luglio prossimi.
Organizzato da numerose associazioni (Actionaid, ANLAIDS, Arcigay, Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli, Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute, Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza, Gruppo Abele, LILA, Nadir, NPS Italia Onlus, Osservatorio Italiano sull’Azione Globale contro l’AIDS, Movimento Identità Transessuale, Villa Maraini), il Forum si inserisce nel progetto Verso Roma 2011 dell’Istituto Superiore di Sanità e denuncia il non mantenimento delle promesse del governo italiano in materia di lotta all’Hiv/Aids e le molte altre carenze che ancora oggi affliggono i tentativi di contrastare il diffondersi dell’infezione e di garantire una qualità di vita decente alle persone con Hiv/Aids.

L’ITALIA PEGGIO DI 30 ANNI FA - In Italia i problemi sono molti e sembrano essere peggiorati rispetto ad alcuni anni fa, a cominciare dal mancato versamento della quota annuale al Global Fund dal 2007/2008.
Le criticità e le proposte per affrontare una situazione tanto difficile sono sintetizzate da un documento che il Forum ha stilato e discusso: la Dichiarazione di Roma, che si può sottoscrivere ancora per qualche giorno e che sarà presentata allo IAS e poi inviato alle istituzioni italiane.
Ora più di allora!, è forse la parola chiave della dichiarazione. Ora, cioè, più di 30 anni fa è necessario incentivare la ricerca, la prevenzione, la cura e i diritti. Perché ora, dopo 30 anni, non esiste ancora una cura definitiva per l’infezione da HIV e la ricetta per arrestare e gestire questa epidemia deve passare da consolidate politiche di prevenzione, da un’assistenza socio-sanitaria adeguata, dalla disponibilità dei farmaci e della diagnostica per tutti, dalla difesa dei diritti e la lotta contro lo stigma in ogni contesto” - così comincia la Dichiarazione di Roma.
Il documento propone una fotografia del fenomeno e poi elenca le mosse necessarie alla lotta alla infezione e alle implicazioni sanitarie e sociali. Discriminazione, violazione della privacy, stigma sociale sono piaghe ancora diffusissime e che vanno ad esasperare una condizione già gravata dalla patologia.

Continua su Giornalettismo.

sabato 8 gennaio 2011

Parent One, Parent Two

Nel passaporto statunitense ci sarà genitore uno e genitore due e non più madre e padre. Qui se sei il parent two devi fare i salti mortali per portare in vacanza il pargolo.

venerdì 29 ottobre 2010

Divieto di saluto allusivo

Prostituta precaria!
“L’ordinanza - spiega [il sindaco di Genova] Marta Vincenzi - non ha contenuti moralistici e vuole mettere a disposizione della polizia urbana uno strumento più efficace che permetta ai vigili di non girarsi dall’altra parte e di intervenire”.
L’ordinanza cui fa riferimento Marta Vincenzi ha per oggetto il “divieto di esercizio della prostituzione in luoghi pubblici, aperti al pubblico o visibili al pubblico, con abbigliamento indecoroso e modalità che possono offendere la pubblica decenza ed il libero esercizio degli spazi” (ordinanza n. 31, 26 ottobre 2010).
Già questo basterebbe a far rizzare i capelli, non foss’altro per la difficoltà di intendersi sulla “pubblica decenza” e per l’ossimoro della protezione del “libero esercizio degli spazi” che compare dopo una serie di gravi violazioni delle libertà individuali.
L’offesa alla pubblica decenza, poi, riesuma un cadavere che tale dovrebbe rimanere: il reato senza vittime, tipico delle tradizioni istituzionali illiberali e moralistiche - nonostante il parere di Vincenzi.
Non serve nemmeno entrare nel merito delle questioni per rilevare l’assurdità dell’ordinanza dunque. E se vi fosse ancora qualche dubbio basta soffermarsi sull’articolo 1: “Nel territorio comunale è fatto divieto in luogo pubblico, aperto al pubblico o visibile al pubblico 1. di porre in essere comportamenti diretti in modo non equivoco ad offrire prestazioni sessuali, consistenti nell’assunzione di atteggiamenti di richiamo, di invito, di saluto allusivo, ovvero nel mantenere abbigliamento indecoroso o indecente in relazione al luogo, ovvero nel mostrare nudità”.
Basta cioè immaginarsi di essere colui investito di eseguire l’ordinanza per infilarsi in un cul de sac degno degli incubi burocratici più tetri.
Come riconoscere comportamenti volti inequivocabilmente ad offrire prestazioni sessuali? Come superare la barriera della privatezza delle nostre intenzioni? Come individuare un saluto equivoco da uno magari formulato per educazione oppure senza fini equivoci?
Per non parlare della difficoltà di barcamenarsi sul fronte abbigliamento: è vero che a Castellamare hanno deciso di vietare le minigonne e chi fa sesso in macchina finisce in galera (quindi l’ordinanza genovese è in buona compagnia!), ma almeno “minigonne” e “fare sesso in macchina” hanno la virtù di essere comprensibili, mentre “nudità” lascia il povero vigile in una incertezza irrisolvibile. Pretendere di stabilire quali siano gli abbigliamenti consoni a seconda dei luoghi è più difficile di quanto potrebbe sembrare.
Anche il “visibile al pubblico” delinea scenari grotteschi: dalle finestre di casa propria potrebbe essere visibile al pubblico una nostra nudità o un nostro comportamento equivoco.
I vigili d’ora in poi potranno anche non voltarsi dall’altra parte per merito di questa ordinanza, ma non c’è dubbio che si troveranno di fronte a difficoltà interpretative insuperabili, oltre che davanti a una ordinanza lesiva di alcuni diritti fondamentali, a cominciare dalla libertà di parola e di vestizione. La regolamentazione dello spazio pubblico è una questione seria e complessa. Questa ordinanza, invece, sarebbe un bel canovaccio per una commedia dell’arte tutta italiana.

Giornalettismo, 29 ottobre 2010.

venerdì 1 ottobre 2010

Women’s access to lawful medical care: the problem of unregulated use of conscientious objection

Il report è del 20 luglio scorso e merita tutta la nostra attenzione. Qui sotto incollo il riassunto ma consiglio la lettura integrale.

Summary

The practice of conscientious objection arises in the field of health care when healthcare providers refuse to provide certain health services based on religious, moral or philosophical objections. While recognising the right of an individual to conscientiously object to performing a certain medical procedure, the Social, Health and Family Affairs Committee is deeply concerned about the increasing and largely unregulated occurrence of this practice, especially in the field of reproductive health care, in many Council of Europe member states.

There is a need to balance the right of conscientious objection of an individual not to perform a certain medical procedure with the responsibility of the profession and the right of each patient to access lawful medical care in a timely manner.

The Parliamentary Assembly should thus invite member states to develop comprehensive and clear regulations that define and regulate conscientious objection with regard to health and medical services, including reproductive health services, as well as to provide oversight and monitoring, including an effective complaint mechanism, of the practice of conscientious objection.

The Assembly should also recommend that the Committee of Ministers instruct the competent Steering Committees and/or other competent Council of Europe bodies to assist member states in the development of such regulations and the setting up of such oversight and monitoring mechanisms.

mercoledì 1 settembre 2010

Cosa sono i diritti

Kent Pitman, «Original Intent 2.0», Speaking Out in the Open, 23 agosto 2010:

I diritti non sono altro che promesse che facciamo a noi stessi nei nostri giorni migliori, impegnandoci a seguire la condotta cui aspiriamo, sperando che nei nostri giorni peggiori non saremo tanto precipitosi e tanto potenti da rimangiarcele prima di riguadagnare la sanità mentale.
Speriamo di non trovare la chiave per annullarle in un attimo – perché quella chiave apre qualsiasi serratura.
Nell’originale:
Rights are just promises we make to ourselves on our better days, binding us to the conduct we aspire to, hoping that on our worse days we will not be quick enough or powerful enough to undo them before we regain our sanity.
Let’s hope we don’t learn the key to undoing them quickly – because that key opens any lock.

domenica 29 agosto 2010

Grazie, Riccardo Staglianò


“Il titolo sembra una provocazione, ma dovrebbe essere lo standard.
Ringraziarli è l’unica reazione possibile.
Se le le badanti e le babysitter
incrociassero le braccia l’Italia crollerebbe.
Queste persone hanno permesso e permettono alle donne italiane di essere libere.
Di lavorare. Di non essere più schiave”.

E se la servitù è sempre esistita, aggiunge Riccardo Staglianò, autore di Grazie (Chiarelettere, pp. 240, euro 14,60) prima era possibile solo per i ricchi. Ora c’è una servitù low cost. Il cambiamento sociale è profondo: quasi chiunque può avere il suo schiavo. Questo però è possibile grazie agli immigrati, privati dei diritti fondamentali e sottoposti a ritmi e condizioni di lavoro esasperanti.

Ci sono delle storie di virtuosa integrazione?
Vedelago è una di queste. È un caso di eccellenza, unico in Italia anzi in Europa, dove si ricicla il 90 percento dei rifiuti. San Francisco, che ha la reputazione di essere uno dei luoghi più ricicloni, arriva al 70 percento. Vedelago è diventato famoso di recente per la questione dell’inno di Mameli intonato dopo Va’ pensiero. Ma a Vedelago c’è una signora veneta, Carla Poli, che insieme ai suoi figli ha costruito una impresa da far invidia. In una zona leghistissima, con sistemi sofisticati e grazie alle braccia degli stranieri.
La tv svizzera ci ha fatto un documentario. L’attitudine laicissima della signora è stata vincente, non solo giusta. Adesso per la prima volta dopo 15 anni gli italiani sono venuti a bussare alla sua porta. E lei ha detto: “questo lavoro noi lo facciamo da sempre e gli italiani non si sono mai visti. Perché ora dovrei licenziare i miei uomini per assumere italiani? I miei sono stati formati e sono ottimi lavoratori. E poi magari gli italiani, passata la crisi, non ne vorranno sapere di stare tra i rifiuti!”. I suoi uomini fanno la cernita tra pvc, plastiche di vario tipo, vetro, selezionando nel mucchio di immondizia che scorre continuamente lungo un nastro. Bisogna essere precisi e veloci, chi si ferma rallenta il ciclo. Sono contenti di farlo, c’è una atmosfera splendida di rispetto e questo meccanismo virtuoso di legalità conviene anche economicamente.

Com’è possibile che ci siamo dimenticati di quanto è successo ai nostri nonni, di come venivano trattati? Com’è possibile che nessuno ricordi Pane e cioccolata?
Credo che questo Paese soffra di una specie di malattia neurodegenerativa.
Cancellare ricordi umilianti e dolorosi è anche un meccanismo psicologico e molto umano. È una strategia comprensibile, però c’è un salto ulteriore: questo accantonamento sembra diventare risentimento feroce verso chi ci ricorda come eravamo.
Stiamo compiendo una specie di bizzarra vendetta. Non tutti, naturalmente; ma pensiamo a come la Lega Nord investe e ingrassa la paura, a come trasforma il ricatto in strategia elettorale. Il vangelo del sospetto, ecco qual è il loro mantra politico.

(Continua).

Il Mucchio Selvaggio, 674, settembre 2010.

lunedì 21 giugno 2010

Affetti e diritti a Palazzo Ducale

Venerdì 25 giugno 2010 / Sala del Minor Consiglio, ore 17.45

AFFETTI E DIRITTI

Chiara LALLI, autrice di “Buoni genitori. Storie di mamme e di papà gay”, Il Saggiatore, 2009, docente di Epistemologia delle scienze umane, Università di Cassino

Vittorio LINGIARDI, autore di “Citizen gay. Famiglie, diritti negati e salute mentale”, Il Saggiatore, 2007, psichiatra e psicoanalista, professore ordinario, Università la «Sapienza» di Roma

Ivan SCALFAROTTO, vice presidente del Partito Democratico

Nicla VASSALLO, professore ordinario di Filosofia Teoretica, Università di Genova

venerdì 18 giugno 2010

Doppi incarichi

Abituati come siamo che nessuno molla nemmeno la tessera scaduta della palestra, le dimissioni di Mara Carfagna dal consiglio regionale campano sembrano eroiche.
Ma cosa è cambiato in due mesi? Non è che ci volesse molto a capirlo che se fai il ministro non puoi fare anche il consigliere.
A questo si aggiunge la perplessità per i commenti entusiasitici sotto al suo post e una delle frasi nel post stesso.

Se c’è una cosa di cui sono felice, dopo avere scritto e spedito la lettera di dimissioni, è che al mio posto, in Consiglio, siederà da domani una donna.
Ci si sarebbe aspettati di leggere un’altra donna, altrimenti sorgono dei sospetti.
Ormai avventuratami nel suo blog leggo uno dei più recenti: Grazie Polizia per limpegno di prevenzione e lotta contro violenza e discriminazione.
Scrive il ministro per le pari opportunità:
La prima risposta alle violenze commesse contro gli omosessuali, i gravissimi episodi che la cronaca ha registrato nelle scorse settimane, dev’essere ed è quella della sicurezza. Sicurezza che il governo vuole garantire a tutti i cittadini, senza alcuna distinzione.
Peccato che dimentichi che non è vero che tutti i cittadini abbiano lo stesso trattamento, che tralasci il fatto che sicurezza è il nuovo tormentone e che non significa nulla se non se ne chiarisce il significato. Sarebbe troppo banale concordare che nessuno debba essere assalito e picchiato. Sarebbe però doveroso aggiungere che combattere il razzismo, per esempio, passa necessariamente attraverso leggi che eliminano qualunque differenza di trattamento giuridico (pensiamo al divieto di contrarre matrimoni misti). Ecco, arriviamo al punto: le distinzioni in Italia ci sono eccome, perché se sei omosessuale non ti puoi sposare e non hai gli stessi diritti familiari degli eterosessuali.
Mantenere queste discriminazioni giuridiche significa alimentare quella schifezza che per capirci chiamiamo omofobia. Purtroppo il ministro, insieme a tanti altri, è una perfetta rappresentante della omofobia, magari più educata di altri, più perbene, ma altrettanto discriminatoria, violenta e razzista.
La sua recente dichiarazione sui matrimoni gay, moralistica e condiscendente, la trovate qui sotto.