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martedì 10 marzo 2015

La fecondazione assistita ha ancora troppi limiti in Italia

Sono nati i primi bambini italiani concepiti grazie alla cosiddetta fecondazione eterologa, una delle tecniche di fecondazione assistita. O meglio, i primi da donatrice italiana, perché, in questi anni, chi aveva bisogno di un gamete andava nei paesi dove l’eterologa non era illegale oppure ricorreva a una donazione “fai da te”. E questo accadeva solo nel caso di gameti maschili, poiché per quelli femminili c’è bisogno di ricorrere a un centro specializzato: il prelievo degli ovociti è tecnicamente molto più complicato di quello di spermatozoi.

Il divieto risale al 2004 e alla legge 40 sulle tecniche riproduttive, ed era forse il più bizzarro tra i tanti presenti nella legge: perché dovrebbe essere vietato ricorrere a un gamete altrui? E perché sarebbe immorale?

Internazionale, 10 marzo 2015.

lunedì 9 marzo 2015

Nati i primi bambini in Italia dopo l'ok della Consulta all'eterologa

Due gemelli, un maschio e una femmina. Sono i primi bambini italiani nati da fecondazione assistita eterologa, con donazione di ovociti da parte di donatrice volontaria italiana. Un evento reso possibile dalla sentenza del 9 aprile scorso che dichiarato legittima questa tecnica.

I bambini sono nati all’Alma Res Fertility di Roma, diretto da Pasquale Bilotta, dove sin dal mese di giugno “sono state ottenute le prime gravidanze eterologhe”, spiega Bilotta all’Adnkronos Salute. Nei primi mesi del 2014 i genitori dei gemellini appena nati si sono rivolti a Bilotta dopo un lungo periodo di infertilità, durato circa 15 anni. “La fertilità della donna era risultata del tutto compromessa oltre che dall’età, 47 anni, anche da una riserva ovarica (produzione di ovociti) drasticamente ed irrimediabilmente danneggiata da una patologia a carico delle ovaie, l’endometriosi, responsabile del 45% dei casi di infertilità femminile”, spiega Bilotta. 
AdnKronos.

mercoledì 24 settembre 2014

Quattro buone ragioni per la selezione dei donatori di gameti

È uno dei punti più controversi nel dibattito che si è sviluppato dopo la sentenza n. 162/2014, con cui la Corte Costituzionale ha fatto cadere il divieto di fecondazione eterologa: mi riferisco alla possibilità di selezionare (nei limiti del possibile) il donatore e/o la donatrice di gameti in base alla somiglianza fisica con il genitore o i genitori inabili a contribuire alla fecondazione con il proprio sperma o i propri ovociti (più sinteticamente, ma un po’ inesattamente, si parla spesso di garantire la compatibilità delle caratteristiche fisiche del nascituro con quelle della coppia che riceverà i gameti donati). Il Ministro della Sanità Beatrice Lorenzin dichiarava così alcune settimane fa (Mario Pappagallo, «Eterologa, la linea del ministro: “Non si sceglie il colore della pelle”», Corriere.it, 6 agosto 2014):

Il discorso della compatibilità se vuole farlo, lo introduca il Parlamento. Per quanto mi riguarda sono contraria: questa si chiama discriminazione razziale. Non se ne parla, sarebbe anticostituzionale. È come se chi adotta un bambino lo potesse scegliere. Lo impedisce la legge. Mica siamo al supermercato.
Con l’usuale grossolanità è intervenuta anche Eugenia Roccella, vicepresidente della commissione Affari Sociali della Camera:
Questa si chiama selezione della razza e dei canoni estetici. Insomma, c’è stato detto che, come per l’adozione, ricorrere all’eterologa era un gesto d’amore, e che al bambino serve solo l’amore dei genitori. Un amore, però, condizionato al colore della pelle: lo amiamo solo se è bianco, se è nero non lo vogliamo?
Questi sono due esempi molto chiari di una tendenza tipica dell’integralismo cattolico: quella di attribuire a chi la pensa diversamente le peggiori intenzioni possibili. Se qualcuno desidera che il proprio figlio abbia il suo stesso colore della pelle non può che essere perché disprezza le persone di colore diverso; ogni altra ipotesi non viene non dico esaminata, ma neppure nominata.
Eppure altre ragioni per desiderare la compatibilità delle caratteristiche fisiche esistono, e non sono neppure cattive ragioni. Vediamole.

1. Proteggere la privacy

L’Italia è un paese mediamente ancora molto conservatore, e la fecondazione eterologa non è una pratica medica ancora del tutto accettata. In particolari realtà sociali (si pensi a certa vita di provincia) o familiari (in cui per esempio sia presente una componente integralista) la forza dell’altrui disapprovazione può rendere la vita difficile. Ciò che ci protegge dalla pressione sociale è il diritto alla privacy, cioè a tenere nascosti quegli aspetti della nostra esistenza che riguardano soltanto noi e a delimitare perciò un cerchio intimo di vita riparato da sguardi indiscreti. Le nostre condizioni di salute, e quindi anche le terapie ricevute, rientrano sicuramente in questo ambito (tranne ovviamente quando non sia possibile in nessun modo occultarle allo sguardo del pubblico), tanto più quando a essere interessata è la sfera culturalmente cruciale della riproduzione. È evidente però che la nascita di un bambino dalle caratteristiche fisiche incompatibili con quelle dei genitori putativi tradirebbe immediatamente l’avvenuto ricorso alla fecondazione eterologa. Naturalmente, in questo come in altri campi il coming out è da lodare incondizionatamente: i costumi alla fine cambiano proprio grazie ai coraggiosi che vanno orgogliosi di quello che sono e di quello che fanno e non lo nascondono; ma il coraggio non si può prescrivere per legge.

2. Accogliere un figlio come proprio

Il problema principale della fecondazione eterologa è psicologico: il genitore che non ha potuto contribuire alla fecondazione con un suo gamete può avere in certi casi difficoltà a sentire il figlio come proprio, e può arrivare a forme di rifiuto più o meno dirette. La legge 40/2004, in una delle sue pochissime norme ragionevoli, ha reso impossibile il disconoscimento da parte del padre non biologico in caso di fecondazione eterologa (nell’art. 9 comma 1; ovviamente all’epoca ci si riferiva a casi di fecondazione effettuata all’estero o in violazione della legge); ma il problema psicologico rimane. La soluzione consiste principalmente in un’adeguata informazione e preparazione, ma sembra ragionevole supporre che la somiglianza fisica possa contribuire a rendere le cose più facili (anche eventualmente per i familiari meno prossimi del bambino).

3. Rivelarlo al momento giusto

Sembra che nel progetto di decreto del Ministro della Salute (poi abortito) fosse previsto l’obbligo di informare la persona nata in seguito all’applicazione di tecniche di fecondazione eterologa del modo del suo concepimento una volta raggiunta la maggiore età. Il Ministro non sembrava rendersi conto che con la proibizione di selezionare i donatori molti dei nati avrebbero indovinato le proprie origini ben prima della maggiore età, semplicemente guardandosi allo specchio e paragonandosi ai propri genitori. In questo modo si sottrarrebbe ai genitori la decisione sul momento più adatto per rivelare al figlio le sue origini (non esaminerò qui se questa rivelazione sia davvero sempre desiderabile). Naturalmente è del tutto possibile che questo momento arrivi anche molto precocemente senza problemi (in situazioni particolari del resto non ci sono alternative), ma non c’è dubbio che là dove si può la flessibilità possa rivelarsi utile per facilitare le cose.

4. Evitare i razzismi inconsapevoli

Dire che esistono buone ragioni perché una persona cerchi di ottenere un figlio simile a sé non significa negare che possano esisterne anche di cattive e pessime. Se fosse imposta la proibizione di selezionare i donatori, è probabile che chi sottoscrive un’ideologia razzista sarebbe dissuaso dal tentare in caso di bisogno la fecondazione eterologa – ma va detto che questo genere di individui ha quasi sempre idee estremamente conservatrici sull’importanza della «stirpe», tale da renderlo comunque contrario a questa tecnica. Ma cosa succederebbe ai razzisti meno consapevoli, a chi proclama sinceramente di non disprezzare le persone di etnia diversa, salvo poi mostrare nei fatti dei pregiudizi inconsci ben radicati? Nel caso dell’adozione si perviene inevitabilmente al momento della verità, quando alla coppia viene presentato un bambino di un colore diverso dal suo; un momento dal quale si può fare vergognosamente marcia indietro. Ma nel caso della fecondazione eterologa – complici la bassissima probabilità di incappare in Italia nei gameti di persone di altra razza, il desiderio ardente di genitorialità e appunto la non consapevolezza dei propri pregiudizi – il momento della verità può arrivare quando ormai non si può più tornare indietro. Per i più l’esperienza di allevare un bambino basterebbe probabilmente a guarire da ogni pregiudizio; per altri le cose possono andare diversamente, e a rimetterci sarebbe in primo luogo chi non ha colpe. Con la selezione dei gameti il problema non si pone. Si può restare perplessi di fronte a una soluzione che alla fine asseconda un pregiudizio; ma trattandosi di un pregiudizio pressoché invisibile (persino a chi lo nutre) e quindi non identificabile con sicurezza in anticipo, non vedo alternative a questa.

Conclusione

Queste dunque le buone ragioni a favore della possibilità – non dell’obbligo, ovviamente – di assicurare un fenotipo simile a quello del genitore non biologico. Non so se chi si oppone le abbia mai prese in considerazione; ma viene spontaneo sospettare che qui non si tratti soltanto dell’abitudine inveterata degli integralisti a giudicare e condannare il prossimo con la massima ferocia possibile, ma anche di un tentativo estremo, sorto nell’ambiente dei consulenti del Ministro, di creare difficoltà e di perpetuare de facto la situazione precedente, pur mutata de jure, costringendo ancora le coppie a onerosi viaggi all’estero.
L’accordo tra le Regioni siglato a Roma il 4 settembre prevede che ogni «centro deve ragionevolmente assicurare la compatibilità delle principali caratteristiche fenotipiche del donatore con quelle della coppia ricevente». Speriamo che nessuno cambi questa disposizione ragionevole.

mercoledì 10 settembre 2014

Mani in alto! Siamo l’Anonima eterologa


Pure i laici si svegliano contro la follia dell’Anonima eterologa, titola oggi Il Foglio. Come se l’essere laico fosse la garanzia di saper argomentare. Come se la distinzione rilevante fosse questa: laici e non laici. Come se la descrizione di un’appartenenza, spesso autocertificata, bastasse per non rendersi ridicoli. «Emilia Costantini sul blog 27° ora e Marco Politi attaccano la finzione che nega il diritto a conoscere le proprie origini», avverte minacciosamente l’occhiello.
Ieri avevo assistito al risveglio di Marco Politi; oggi è la volta di Emilia Costantini (il suo post è del 7 settembre, La fecondazione eterologa. E i diritti del «soggetto nato», e la 27esima ora è femmina).
È quanto hanno decretato le Regioni (in attesa che il Parlamento emani una legge nazionale), sentenziando così la condanna del figlio in provetta a non poter scoprire la propria identità. In altre parole, mentre si nega il principale diritto dell’essere umano, cioè quello di sapere chi è veramente e da dove viene. Si riconosce il diritto al genitore biologico di rivelare o meno il proprio nome e cognome. Un’aberrazione.
La mia identità? Sapere chi sono e da dove vengo? Mettiamo che mi abbiano adottato infante o che i miei genitori abbiano fatto ricorso a un gamete (sono geneticamente mezza figlia loro) o a un embrione (geneticamente non sono affatto figlia loro). Mettiamo cioè, in tutti e tre i casi, che io non abbia ricordi o esperienze dei miei «veri» genitori. La mia identità sarebbe mutilata? Sarebbe forse determinata più da uno spermatozoo o da un ovocita di quanto non lo sia dall’essere stata cresciuta, amata (o no), coccolata (o no), portata al mare (o no)? Certo, è verosimile che a un certo punto io mi senta incompleta, infelice, mancante di qualcosa – soprattutto durante l’adolescenza (durante l’infanzia sono molti a pensare di essere stati adottati: «non siete voi i mie veri genitori, i miei veri genitori mi avrebbero mandato a quella festa!»). È anche verosimile che questo vuoto possa essere colmato solo sapendo il cognome e il nome di chi ha fornito materiale genetico. Un gamete contro il resto del mondo. Certo.
A essere aberrante è che si possa essere convinti di una cosa del genere, che si decida di innalzare un pensiero discutibile e bizzarro a Verità Assoluta e che si chieda la complicità di una legge.

Next, 10 settembre 2014.

martedì 9 settembre 2014

La fecondazione eterologa come finzione?


Marco Politi su Il Fatto quotidiano ha deciso di «analizzare laicamente i problemi». Se questo è il risultato forse è meglio sfidare la sorte.

«L’eterologa nasce da una finzione». I titolisti si lasciano prendere facilmente dall’entusiasmo e quindi non mi soffermo sul titolo. Non suona nemmeno male. E allora procedo. «Senza una legge del Parlamento», comincia così il pezzo sul Fatto di Marco Politi, ex vaticanista di Repubblica. Caduto il divieto dell’eterologa ci rimane la legge 40 senza quel divieto. Non ne servono altre. Sarebbe bene anche evitare di ricominciare tutto dall’inizio: dai torniamo in Parlamento, così possiamo inserire qualche altro divieto incostituzionale e ubriaco che in una decina d’anni la Corte costituzionale poi potrà rimuovere. Una prospettiva molto attraente. «Troppi sintomi di improvvisazione stanno investendo la definizione dei rapporti familiari». Improvvisazione, signora mia, come faremo? Che ne sarà delle nostre esistenze? Dei nostri valori d’una volta?
La sentenza con cui il Tribunale dei Minori di Roma ha concesso l’adozione di una bimba alla convivente della madre è un altro di questi. Non sta giuridicamente né in cielo né in terra. La bimba ha una madre, non era in stato di abbandono o disagio sociale e nulla impediva il rapporto affettivo tra lei e la partner della madre.
E chi l’avrebbe mai detto che non serva una legge per voler bene a qualcuno? Non mi sarebbe mai venuto in mente. Mai. Le ragioni della sentenza sono ovviamente altre, ma capisco che leggersela sia noioso. Con quel linguaggio da azzeccagarbugli, manco a parlarne. Ma poi perché dovresti rivolgerti al Tribunale per portare tua figlia in piscina? «Sarebbe paradossale che la legislazione sulla famiglia fosse lasciata a una ingegneria priva di chiarezza su ciò che conta». Questo processo è iniziato da lontano. Dalla fine del matrimonio riparatore e del reato di adulterio. Dall’equivalenza tra bastardi e figli legittimi. Che vergogna! Indebolire così la legislazione sulla famiglia. Poi non stupitevi se siamo finiti dove siamo finiti! «Fecondazione eterologa e omologa sono equivalenti? I figli nati nelle coppie, che fanno uso di un metodo o l’altro, hanno la medesima identità?». Ogni figlio ha una identità diversa dall’altro. Che peccato però, chissà che identità hanno i figli nati nelle coppie che guardano molta tv. Meglio quelli che vanno ai concerti? O a messa? Che implicazione caratteriale c’è tra il mangiare troppa carbonara e il liceo che sceglierà nostro figlio? «In una coppia che attua la fecondazione omologa si ha veramente una “procreazione assistita”, poiché la tecnica elimina semplicemente un impedimento al loro naturale incontro».

La fecondazione eterologa come finzione?, Next, 9 settembre 2014.

martedì 2 settembre 2014

La fecondazione eterologa? Si può fare!

Nel 2004 la legge 40 ha vietato la fecondazione di tipo eterologo, ovvero il ricorso a un gamete altrui nell’uso della fecondazione assistita. Si può aver bisogno di un gamete altrui in diverse circostanze. Nel caso di patologie come l’azospermia e la menopausa precoce, oppure dopo una chemioterapia. Se si vuole avere un figlio si deve ricorrere allo sperma o all’ovocita di un donatore. Non ci sono alternative. No, l’adozione non lo è, l’adozione è una cosa diversa e ricordarsi solo in questo caso di gridare indignati “potreste adottare invece di ostinarvi!” è sbagliato. Dovreste ricordarvelo sempre, almeno: quando non si vogliono figli, quando si sceglie di averne senza aver bisogno di ricorrere alle tecniche riproduttive. “Potreste adottare!”. L’invito sarebbe comunque bizzarro e non attinente, ma sarebbe equo. E no, nemmeno la rinuncia sembra porsi come valida alternativa.

Perché il divieto?
Ovvero: ci sono abbastanza ragioni per giustificare una coercizione legale? Non sembra, e anzi appare difficile anche giustificare una condanna morale. Le strampalate invocazioni alla “identità genetica” tra genitori e figli, l’ombra del “terzo incomodo” o dell’“adulterio genetico”, l’egoismo intrinseco nel ricorrere a un gamete altrui (egoismo mai spiegato, tanto è evidente per i detrattori), gli avvertimenti “il figlio non è un diritto!” non dovrebbero andare oltre un pensiero privato, uno di quelli che ci limitiamo a ripetere a bassa voce. Non dovrebbero cioè essere presentate come argomenti razionali e, soprattutto, sarebbero del tutto insufficienti per giustificare un divieto (il sacrosanto “io non lo farei” non può diventare una legge universale: “nessuno dovrebbe farlo”). Chi sarebbe danneggiato? Quali disastri verosimilmente e intrinsecamente ne deriverebbero? (qui e qui una raccolta di commenti dissennati all’indomani della sentenza; a cercare se ne trovano di molto fantasiosi, come il lattaio; se avete bisogno di una storia, ecco quella di Ilaria). Nonostante questo la legge 40 ha vietato il ricorso a un gamete altrui e chi non ha voluto rassegnarsi ha provato – in questi 10 anni – ad andare in un alto paese (l’hanno chiamato “turismo procreativo”).

Next, 2 settembre 2014.

mercoledì 11 giugno 2014

Il diritto di avere un figlio

La sentenza n. 162/2014, con cui la Consulta ha dichiarato incostituzionale l’art. 4, comma 3, della legge 19 febbraio 2004, n. 40, che vietava la cosiddetta fecondazione eterologa, è stata finalmente depositata e il suo testo reso noto. Esaminamo dunque insieme i punti fondamentali della sentenza.

Secondo la Corte, la scelta della coppia «di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei figli costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi, libertà che […] è riconducibile agli artt. 2, 3 e 31 Cost., poiché concerne la sfera privata e familiare». Ancora, «la determinazione di avere o meno un figlio, anche per la coppia assolutamente sterile o infertile, concernendo la sfera più intima ed intangibile della persona umana, non può che essere incoercibile, qualora non vulneri altri valori costituzionali, e ciò anche quando sia esercitata mediante la scelta di ricorrere a questo scopo alla tecnica di PMA di tipo eterologo, perché anch’essa attiene a questa sfera». La Corte ricorda insomma che esiste un vero e proprio diritto a diventare genitori, diritto che in prima istanza è negativo, e che in questo caso consiste dunque nella protezione dall’interferenza dello Stato e di chiunque altro nel libero accordo tra genitori e medici disposti a fornire loro i servizi della procreazione assistita. Ovviamente, come nota ripetutamente la Corte, questo diritto – come moltissimi altri – non è assoluto, ma va contemperato con la tutela di «altri interessi di rango costituzionale», nella ricerca di «un ragionevole bilanciamento tra gli stessi».
Il fatto che con la fecondazione artificiale di tipo eterologo i figli siano solo parzialmente (o anche per nulla) figli genetici della coppia, non muta sostanzialmente le cose, in quanto «il progetto di formazione di una famiglia caratterizzata dalla presenza di figli, anche indipendentemente dal dato genetico, è favorevolmente considerato dall’ordinamento giuridico, in applicazione di principi costituzionali, come dimostra la regolamentazione dell’istituto dell’adozione». La sentenza prosegue, con una mossa argomentativa particolarmente felice: «La considerazione che quest’ultimo mira prevalentemente a garantire una famiglia ai minori […] rende, comunque, evidente che il dato della provenienza genetica non costituisce un imprescindibile requisito della famiglia stessa». Provo a parafrasare: è vero che nell’adozione, a differenza che nella fecondazione eterologa, si vuole dare una famiglia al bambino e non un bambino alla famiglia; ma poiché appunto all’adottato si dà una famiglia, vuol dire che la famiglia prescinde dal legame genetico; se gli adottanti sono pur sempre genitori e l’adottato pur sempre figlio, ecco allora che il diritto alla filiazione può benissimo essere soddisfatto con un figlio geneticamente non proprio.

La Corte, nel seguito, afferma che la «disciplina in esame incide, inoltre, sul diritto alla salute, che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, va inteso “nel significato, proprio dell’art. 32 Cost., comprensivo anche della salute psichica oltre che fisica” […] e “la cui tutela deve essere di grado pari a quello della salute fisica” […]. Peraltro, questa nozione corrisponde a quella sancita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, secondo la quale “Il possesso del migliore stato di sanità possibile costituisce un diritto fondamentale di ogni essere umano” (Atto di costituzione dell’OMS, firmato a New York il 22 luglio 1946) […] è, infatti, certo che l’impossibilità di formare una famiglia con figli insieme al proprio partner, mediante il ricorso alla PMA di tipo eterologo, possa incidere negativamente, in misura anche rilevante, sulla salute della coppia, nell’accezione che al relativo diritto deve essere data, secondo quanto sopra esposto». Questa è, in un certo senso, l’altra faccia dello stesso diritto alla filiazione di cui parlavamo sopra; diritto che, se insoddisfatto, conduce per la Corte a una perdita di salute psichica. Qui, forse, insito nel ragionamento della Corte, si potrebbe intravvedere il pericolo di una «medicalizzazione» dei diritti, per cui ogni diritto negato – all’istruzione, al lavoro, al giusto processo, etc. – si trasformerebbe in elemento stressante e quindi in problema potenzialmente sanitario (cosa che, naturalmente, di fatto spesso finisce per essere, ma non in via principale). Certamente la dimensione medica della questione è più che ovvia, ma solo per il fatto che, secondo la parte rimasta in piedi della legge, all’eterologa si potrà ricorrere solo in presenza del problema medico della sterilità e dell’infertilità, e perché la fecondazione eterologa, che a questo problema vuole ovviare, è una tecnica a carattere squisitamente medico. Poco male, comunque, perché anche partendo da questa seconda prospettiva le conclusioni non sarebbero differenti da quelle tratte dalla Corte: «In coerenza con questa nozione di diritto alla salute, deve essere, quindi, ribadito che, “per giurisprudenza costante, gli atti dispositivi del proprio corpo, quando rivolti alla tutela della salute, devono ritenersi leciti”»; «Un intervento sul merito delle scelte terapeutiche, in relazione alla loro appropriatezza, non può nascere da valutazioni di pura discrezionalità politica del legislatore, ma deve tenere conto anche degli indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni e organismi a ciò deputati».
Un punto importante è che, ponendo l’accento sull’aspetto sanitario, il diritto alla filiazione acquista ora anche la natura di diritto positivo, cioè implica un dovere di intervento attivo da parte di qualcuno – in questo caso, lo Stato e i medici, stante l’esistenza riconosciuta nel nostro paese di un diritto alla salute che viene declinato in gran parte proprio come diritto positivo a ricevere cure mediche. (Non meriterebbe di essere confutato lo sciocco sofisma che nega all’eterologa la qualità di terapia, in quanto incapace di curare la sterilità o l’infertilità; con questo ‘ragionamento’ non costituirebbe terapia neppure la dialisi o l’applicazione di un pacemaker.)

Per il resto la sentenza dimostra come il tanto paventato «vuoto normativo», che si sarebbe venuto a creare in seguito a una dichiarazione di illegittimità costituzionale, in realtà non esiste; le norme necessarie sono infatti in parte già contenute in ciò che resta della legge 40, in parte desumibili da altre norme «mediante gli ordinari strumenti interpretativi». Rimane fuori la questione del numero delle donazioni (che per ogni singolo donatore non può superare un limite ragionevole), per cui la Corte invoca «un aggiornamento delle Linee guida», cui si potrà provvedere senza problemi e speditamente. Sembra rimanere anche fuori la questione, assai più delicata, del diritto delle persone nate in seguito all’applicazione della fecondazione eterologa a conoscere i propri genitori genetici. Qui la Corte fa riferimento alle norme analoghe esistenti per i figli adottivi, ma non mi è chiaro se il ricorso agli «ordinari strumenti interpretativi» possa valere anche in questo caso. La norma in questione, ad ogni modo, è l’art. 28 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (e successive modifiche), «Diritto del minore ad una famiglia», che recita nei commi rilevanti:

4. Le informazioni concernenti l’identità dei genitori biologici possono essere fornite ai genitori adottivi, quali esercenti la responsabilità genitoriale, su autorizzazione del tribunale per i minorenni, solo se sussistono gravi e comprovati motivi. Il tribunale accerta che l’informazione sia preceduta e accompagnata da adeguata preparazione e assistenza del minore. Le informazioni possono essere fornite anche al responsabile di una struttura ospedaliera o di un presidio sanitario, ove ricorrano i presupposti della necessità e della urgenza e vi sia grave pericolo per la salute del minore.
5. L’adottato, raggiunta l’età di venticinque anni, può accedere a informazioni che riguardano la sua origine e l’identità dei propri genitori biologici. Può farlo anche raggiunta la maggiore età, se sussistono gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica. L’istanza deve essere presentata al tribunale per i minorenni del luogo di residenza.
7. L’accesso alle informazioni non è consentito nei confronti della madre che abbia dichiarato alla nascita di non volere essere nominata ai sensi dell’articolo 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 [«La dichiarazione di nascita è resa da uno dei genitori, da un procuratore speciale, ovvero dal medico o dalla ostetrica o da altra persona che ha assistito al parto, rispettando l’eventuale volontà della madre di non essere nominata»].
Se trasponessimo questa norma al caso dell’eterologa, l’esito sembrerebbe scontato: se il donatore non vuole essere nominato, la sua identità dovrà rimanere ignota anche al figlio biologico. Ho la sensazione che la Corte, in modo purtroppo un po’ ellittico, voglia suggerire proprio questa strada: si noti come il §. 12 della sentenza si chiuda con il ricordo dell’invito che la Corte stessa rivolgeva al legislatore «a cautelare in termini rigorosi il […] diritto all’anonimato» in occasione della recente sentenza n. 278 del 2013, che ha sì dichiarato incostituzionale proprio il comma 7 della legge 184/1983, ma solo «nella parte in cui non prevede […] la possibilità per il giudice di interpellare la madre – che abbia dichiarato di non voler essere nominata […] – su richiesta del figlio, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione» (corsivo mio). Il diritto all’anonimato ha – come ricordava in quell’occasione la Corte – una precisa e fondamentale finalità: «quella di assicurare, da un lato, che il parto avvenisse nelle condizioni ottimali tanto per la madre che per il figlio, e, dall’altro lato, di “distogliere la donna da decisioni irreparabili, per quest’ultimo ben più gravi”». Ovviamente nel caso della donazione di gameti non si correrebbero rischi paragonabili all’abbandono in luoghi malsani o addirittura dell’infanticidio; eppure l’analogia – a mio parere – in una certa misura tiene. È un fatto empirico ben accertato che là dove l’anonimato è stato proibito ai donatori di gameti, le donazioni siano precipitosamente diminuite, e con esse le nascite. Si arriva così al paradosso che per garantire un diritto ai figli, quegli stessi figli non possano più nascere. È proprio questo che si dimentica sistematicamente quando si parla (o straparla) di eterologa: i ragazzi che lamentano – o che ci vengono detti lamentare – la mancata conoscenza del genitore biologico, come se qualcuno avesse loro sottratto questa vitale informazione, non sembrano rendersi conto che è stata proprio nella maggior parte dei casi questa assenza di informazione ad avere reso possibile la loro nascita; che non si dà il caso in cui avrebbero potuto contemporaneamente conoscere il nome del loro genitore biologico ed essere nati. Non so se è questo il ragionamento implicito compiuto dai giudici; ma potrebbe esserlo. Rimane poi il fatto che la rinuncia totale all’anonimato, e il conseguente calo drastico delle nascite, riprodurrebbero quel turismo procreativo che la Corte esplicitamente condanna, là dove denuncia l’ultimo «elemento di irrazionalità della censurata disciplina», che determina «un ingiustificato, diverso trattamento delle coppie affette dalla più grave patologia, in base alla capacità economica delle stesse, che assurge intollerabilmente a requisito dell’esercizio di un diritto fondamentale, negato solo a quelle prive delle risorse finanziarie necessarie per potere fare ricorso a tale tecnica recandosi in altri Paesi».

È sulla questione dell’anonimato dei donatori che si giocherà l’ultima partita. Gli avversari dell’eterologa tenteranno con ogni mezzo di introdurre una disciplina draconiana, che in larga parte neutralizzi la decisione della Corte; già oggi su Avvenire Francesco Ognibene falsifica o fraintende gravemente su questo punto la lettera della sentenza («“Eterologa solo per gli sterili. E ora il legislatore sia saggio”», 11 giugno 2014, p. 11), arrivando a scrivere che «nessun anonimato è possibile per i donatori di gameti, alla cui identità i genitori e il figlio dell’eterologa avranno il diritto di accedere». Ognibene è seguito da Alberto Gambino, che in un’intervista (Viviana Daloiso, «“Il vuoto normativo resta. Donatori, niente anonimato”», ibidem) sostiene analogamente che «Rispetto al diritto del figlio nato da eterologa di conoscere le sue origini genetiche la Corte conferma il suo orientamento positivo, cristallizzando la responsabilità del donatore e il diritto del figlio a ricostruire la sua identità biologica. Il riferimento degli ermellini anzi è proprio alla normativa già vigente per i figli adottati. Nessun diritto all’anonimato, dunque». Gambino afferma anche che «Il vuoto normativo […] viene in parte ammesso dalla stessa Consulta e per garantire la piena operatività dei centri ora servirà che qualcuno lo colmi, o il ministro o il legislatore». In realtà, come scrivevo poco tempo fa, l’eterologa tornerà a essere del tutto lecita al momento della pubblicazione della sentenza sulla Gazzetta Ufficiale; i centri non hanno bisogno d’altro per operare. Un eventuale, improvvido decreto del governo che cedendo alle pretese di qualche alleato vietasse loro di procedere, riprodurrebbe di fatto la normativa appena cassata e sarebbe pertanto manifestamente incostituzionale (a meno di prevedere una sospensiva con scadenza estremamente ravvicinata); il Presidente della Repubblica lo rispedirebbe certamente al mittente.

giovedì 5 giugno 2014

Tre genitori per un bebè, la nuova genetica e l’ordine naturale inesistente

Tre genitori per un embrione: ovvero, usare il DNA di 3 individui per evitare la trasmissione di patologie genetiche incurabili. Le patologie dei mitocondri – organelli che si trovano nelle cellule, dotati di un proprio genoma – passano dalla madre al figlio e i mitocondri di un’altra donna andrebbero a sostituire quelli materni responsabili della trasmissione. Potremmo chiamarla una donazione genetica o mitocondriale.

Se ne parla da un po’ di tempo e martedì è stato pubblicato un report della “Human Fertilisation and Embryology Authority” (Hfea) commissionato dal governo inglese. La ricerca procede bene e verosimilmente potrebbe essere utilizzata nel giro di un paio d’anni. Ma non mancano gli ostacoli morali e normativi. Gli ostacoli morali sono uguali ovunque, quelli normativi dipendono dai singoli paesi. In Gran Bretagna il no verrebbe dal divieto di modificare il dna. In Italia, lo scorso febbraio, lo scenario era il seguente: “La tecnica, l’unica che può evitare la trasmissione della malattia che è incurabile e spesso letale, in Italia non sarebbe applicabile per la legge 40”.

Pagina99.

venerdì 2 maggio 2014

Procreazione assistita, le contraddizioni della proposta Gigli/Binetti: “dare voce” al nascituro

«Norme sulla attuazione del principio del contraddittorio nei procedimenti civili in materia di PMA». Si chiama così la proposta di legge presentata da Gian Luigi Gigli e Paola Binetti.
I due partono dal “principio del contraddittorio” stabilito dal codice penale “come principio essenziale per garantire che il processo raggiunga il massimo possibile di verità e di giustizia”. Il loro intento è rimediare a un’intollerabile ingiustizia, cioè che “la voce del nascituro è totalmente assente nelle vicende giudiziarie”. Bisognerebbe spiegare loro che la voce del nascituro è assente perché il nascituro non ha voce. Ma non è certo il caso di rassegnarsi, basta trovare qualcuno che faccia le sue veci e che faccia valere i suoi interessi – che ovviamente solo Gigli e Binetti conoscono.

La proposta è interessante per due ragioni. La prima: prendere sul serio l’articolo 1 della legge 40 e mostrarne ulteriormente l’assurdità. La seconda – e più importante – è mostrare le insanabili contraddizioni che animano il mondo prolife, in precario equilibrio tra chi è disposto al compromesso ma è destinato a inciampare in gravi contraddizioni e chi invoca la coerenza ma è guardato con sospetto anche dai prolife che hanno una posizione più morbida ma, appunto, incoerente.

L’articolo 1 della legge 40 è quello che stabilisce la necessità di “garantire i diritti di tutte le persone coinvolte compreso il concepito”, che però rimane una garanzia non chiara e a rischio di incoerenza, che si rivela ogni volta che qualcuno stabilisce un principio che suona bene (siamo a difesa della vita!) ma poi scarta alcune conseguenze perché sono scomode.

Se prendessimo sul serio il diritto a nascere del concepito, la legge 40 sarebbe infatti troppo permissiva e non un buon compromesso come da anni sostengono i prolife più accomodanti (leggi contraddittori).

Come fin dal tempo della promulgazione e del referendum, alcuni hanno provato a dirlo (come il Comitato Verità e Vita): se il concepito è una persona, nessuna tecnica deve essere permessa. E hanno ragione: non si può giustificare l’uccisione di alcun embrione, né accettare quella soglia massima dei 3 embrioni da produrre e impiantare – limite poi eliminato dalla Corte costituzionale nel 2009. Non lo faremmo nel caso di omicidio – e se l’embrione è una persona di questo stiamo parlando. Mentre Scienza & Vita e lo stesso Movimento per la Vita sono disposti a scendere a patti e a barattare la “vita” con un consenso politico.

Wired.

mercoledì 23 aprile 2014

The Day After (sequel)

Un primo giro di commenti lo avevo raccolto qui. Ecco la seconda puntata (9-11 aprile).


Luigi Amicone.


Educazione civica.


Disarticolazione.


Buon senso.

Commercio di esseri umani.


#fintitonti #nonciprovate



Compravendita di bambini.


La storia genetica.


Un dono o un prodotto?

Ancora educazione civica.


La Consulta eversiva, il cancro della democrazia liberale e la terza figura genitoriale.


Eugenetica hitleriana.


...


Fecondazione selvaggia per tutti.


Scambiamoci gli ovociti.


Genitore3!


 Mercimonio. Porcata. Separazione apocalittica.



E non solo.


Le mani sulla culla.


Il suffragio universale.



 Il suffragio universale/2.



Si impiantano di tutto.


Sconcertante sentenza in parlamento.


...


Nati da una sega di uno sconosciuto.



Babele procreativa.

giovedì 10 aprile 2014

Dopo la legge 40

Con la sentenza di ieri della Corte Costituzionale si chiude di fatto, se non ancora di diritto, la vicenda della legge 40 sulla procreazione assistita. Rimangono ancora spuntoni pericolanti da abbattere, ma il grosso dell’edificio è ormai venuto giù. Concepita come la prima risposta integralista alle grandi leggi laiche sul divorzio e l’aborto, è sembrata segnare per un poco una svolta e l’avvio di una reconquista cattolica; ma con il senno di poi, erano evidenti fin dal principio i suoi punti deboli. Il primo è l’estraneità totale del pensiero integralista rispetto allo Stato laico. Un’ideologia che pretende di imporre a tutti, volenti o nolenti, il suo concetto – per giunta assai idiosincratico – di bene, e che minimizza o nega sfrontatamente i diritti delle minoranze (tranne, naturalmente, quando in minoranza si ritrovino i suoi sostenitori), rappresenta un corpo estraneo in uno Stato che, nonostante i mille inquinamenti, le mille inadempienze e i mille tradimenti rimane, nella sua struttura fondamentale se non nella pratica quotidiana, ancora liberale. Un corpo estraneo che prima o poi sarà rigettato. Facendo un giro per i blog e i giornali integralisti che in queste ore danno sfogo a tutta la loro rabbia impotente, colpisce che la stragrande maggioranza dei commentatori lamenti una presunta ferita alla democrazia: «Ci avete confermato che la volontà del popolo, in questa che passa per essere una democrazia, non conta una beata cippa»; «questa sentenza è un ennesimo attacco alla democrazia rappresentativa»; «In Italia i giudici, che non sono eletti da alcuno, non rispettano i limiti delle proprie funzioni, cioè perseguire chi non rispetta le leggi, ma agiscono come legislatori, imponendo nuove leggi o modificando le leggi esistenti»; «Sono sconcertata […] per il metodo, profondamente antidemocratico, che si sta utilizzando per cancellare leggi invise ad alcuni: i giudici ribaltano leggi votate da un parlamento e confermate da un referendum»; «Bisognerà forse riscrivere la costituzione e aggiornarla sancendo che in Italia il potere giudiziario non applica solo la legge ma ha assunto un ruolo a tutti gli effetti legislativo che sovrasta anche la volontà del Parlamento e di un voto popolare». Credo che qui non sia solo questione di banale ignoranza dei compiti e dei poteri della Consulta: questa gente sembra profondamente, irrevocabilmente estranea a ogni concetto di garanzia costituzionale e di limitazione del potere della maggioranza; vive da straniera in uno Stato di cui non riconosce i principi. (Si avverte, è vero, anche l’eco di vent’anni di devastante propaganda berlusconiana, che però presuppone per la sua ricezione un comune sentire.)
Il secondo punto debole è che gli integralisti sono divenuti vittime della loro stessa propaganda. Tutti ricordiamo l’assurda pretesa che fosse stato il 75% degli Italiani a bocciare il referendum abrogativo della legge 40 – pretesa che ha cominciato a circolare quasi subito dopo il voto, e che da allora è stata ripetuta innumerevoli volte. Questa sembrava all’inizio propaganda buona solo per spiriti molto, molto semplici; ma ben presto è apparso chiaro che gli stessi integralisti cominciavano sorprendentemente a darle credito; in più di una discussione ho notato come l’interlocutore sembrasse incapace di comprendere il concetto di astensione dal voto. Ancora stamattina, per esempio, nell’editoriale apparso su Tempi.itLa sentenza della Consulta sulla legge 40 è assurda in democrazia, ma non in uno stato di polizia», 10 aprile 2014) Luigi Amicone sembra convinto che nel referendum del 2005 la maggioranza dei votanti si sia espressa a favore della legge 40 («nessuna Corte, neppure la più alta, è legittimata a sentenziare lo svuotamento e il pratico annullamento dei risultati di un referendum popolare»), quando nella realtà, com’è noto a chiunque abbia un minimo di memoria storica, furono i contrari alla legge a vincere il referendum, il cui risultato fu però annullato per il mancato raggiungimento del quorum (la Corte, checché ne pensi il confuso Amicone, non ha abrogato l’esito del referendum ma alcuni articoli della legge stessa). Sommare il voto degli astensionisti per disinteresse al voto degli astensionisti per astuzia è totalmente arbitrario; qui però quello che ci interessa è notare come, giungendo a credere alle proprie stesse menzogne, gli integralisti abbiano iniziato a nutrire una pericolosa fiducia in un ampio consenso popolare, di fatto mai esistito.
Il terzo punto debole della legge è stata la scarsissima caratura intellettuale del ceto politico che l’ha imposta e sostenuta. La legge 40 è stata notoriamente una delle leggi peggio scritte della storia della Repubblica; mi limito qui a ricordare il divieto di diagnosi preimpianto, rubricato incongruamente sotto il titolo «Sperimentazione sugli embrioni umani». Svarioni di questo genere hanno indubbiamente facilitato la graduale erosione della legge. Il dilettantismo e l’approssimazione personali, le gaffe dei politici, della stampa e dei giuristi integralisti e clericali hanno anche impedito, credo, l’accreditamento delle loro idee (di per sé già improbo, come abbiamo visto) presso un’élite giuridica che avrà certo mille difetti, ma che alla fine si è trovata quasi da sola, vista la viltà della stragrande maggioranza dei politici, a difendere la natura liberale della Repubblica.

Cosa accadrà adesso? Credo che il primo effetto della caduta della legge 40 sarà una netta radicalizzazione dell’integralismo. Già alla sua approvazione la legge aveva causato una divisione nel cosiddetto movimento pro-life: la dottrina cattolica vieterebbe in realtà anche la fecondazione artificiale omologa, non da ultimo perché causa inevitabilmente la perdita di numerosi embrioni. La 40 era ritenuta un compromesso politico accettabile (anche e soprattutto dal clero ruiniano), ma una parte dei pro-lifer rifiutò qualsiasi forma di cedimento al «male minore», fino a fondare – in polemica con lo storico Movimento per la Vita di Carlo Casini, ritenuto troppo accomodante – l’organizzazione della Marcia per la Vita (alla secessione contribuirono anche contrasti personali e di gestione del potere). Oggi, di fronte al fallimento totale della strategia di compromesso, che sembra paradossalmente aver fruttato solo la convinzione del pubblico che la fecondazione artificiale omologa sia considerata lecita dalla Chiesa, gli intransigenti possono vantare di avere avuto ragione, come fa per esempio Tommaso Scandroglio sul sito della Nuova Bussola QuotidianaLegge 40, come volevasi dimostrare»):

una volta che abbiamo accettato il principio che la vita può essere prodotta in provetta, il fatto che i gameti provengano o meno dalla coppia è aspetto secondario. Diventa tutto e solo una questione di limiti ad un male ormai legalizzato. Ingoiato il cammello come stupirsi che possiamo ora ingoiare anche il moscerino? Questa sentenza è insomma figlia della stessa legge 40.
[…] la sentenza è frutto della difesa strenua di alcuni ambienti cattolici della stessa legge. Se tuteli il male, questo non potrà che svilupparsi e portare frutto. La male pianta non può che essere sradicata al più presto. Detto in soldoni, il compromesso è la porta d’ingresso a mali ben peggiori.
(Per una squisita ironia della Storia, in queste settimane la Marcia per la Vita è scossa al suo interno dalle critiche violentissime mosse da una minoranza ancora più intransigente: si sa come si finisce, quando si fa a gara a fare i puri...)
Questo atteggiamento però comporta quasi inevitabilmente una perdita di presa sulla politica, che molto difficilmente può fare a meno di cercare compromessi. Con il tramonto del berlusconismo, d’altra parte, e soprattutto con lo spostamento d’accento del nuovo papa – con la nuova «dottrina percepita» della Chiesa, potremmo dire, pur nella invariabilità della dottrina effettiva – nonché con l’esempio del fallimento di chi ha dedicato lunghi anni alla lotta per la legge 40, la politica è destinata col tempo a perdere relativamente interesse per l’agenda integralista. Potremmo assistere dunque alla formazione di un extraparlamentarismo integralista, di cui oggi già appaiono i primi esempi; anche la sempre più evidente deriva complottistica, con la creazione di nemici inesistenti (la fantomatica «ideologia del gender»), il preannuncio tanto angosciato quanto grottesco di persecuzioni imminenti, il diffuso vittimismo aggressivo, gli episodi di vera e propria ideazione paranoide nei soggetti più deboli, sono segni di uno stress psicosociale che deriva dalla percezione di un abbandono da parte dei tradizionali referenti politici. Ma è possibile allo stesso tempo anche una deriva settaria, con l’accento posto sulla purificazione del gruppo, magari propedeutica a una vagheggiata palingenesi futura, e con l’abbandono dell’impegno propriamente politico.

Il futuro resta come sempre oscuro. Nel frattempo, già si profilano all’orizzonte possibili progressi tecnologici di fronte ai quali le discussioni attuali ci sembreranno litigi di bambini. Ci aspettano tempi interessanti in cui vivere.

mercoledì 9 aprile 2014

The Day After



La Corte ha dichiarato incostituzionale la cosiddetta eterologa.

Ecco la prima puntata dei commenti fantasiosi.

$$$

«Adottate!»


«Adottate!»/2



«Democracy is so overrated»,


Sconcerto sulla decisione dei cittadini.



Andrebbero controllati i movimenti del 2004 e del 2005.


La futura psicologia.



Famiglia Cristiana.


Far West.



Farsi un bambino.



Il referendum non ha raggiunto il quorum.


«Dite al popolo».


La schiavitù.


Lo-tengo-se-mi-va.


Vuoto legislativo.


Un colpo.



Senza vergogna.


La perdita di senso.


Dissociazione.



Eugenia Roccella.


?



Tavella sulla notizia del giorno prima (ma è sempre sul pezzo).



Cosa?