Visualizzazione post con etichetta Feto. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Feto. Mostra tutti i post

giovedì 21 agosto 2014

«“Ogni feto è meno umano di un maiale adulto”. Così lo scienziato insulta la vita»


È bastata la domanda di una donna incinta di un bambino con sindrome di Down per scatenare in Richard Dawkins, famoso come biologo e per le sue battaglie contro la religione cattolica, una brutale disinvoltura dialettica sul tema dell’aborto. La donna su Twitter ha confidato allo scienziato inglese di vivere un “dilemma etico” da quando ha scoperto che il piccolo che porta in grembo è affetto da trisomia 21. Senza che richiedesse esplicitamente al biologo un consiglio sul da farsi, la potenziale madre si è vista rivolgere da Dawkins una sua massima, piuttosto perentoria e priva di ogni cautela, in merito alla questione: “Proceda all’aborto e riprovi di nuovo. Sarebbe immorale portarlo al mondo se si ha la possibilità di non farlo”.
E poco più giù.
Parole dure, che sferzano come una sciabola l’intima esperienza di una donna pronta a generare vita.
Peccato che la donna non avesse confidato di essere incinta, di aver fatto una diagnosi prenatale, di aver scoperto che il feto fosse affetto dalla sindrome di Down e di vivere un “dilemma etico”. Aveva fatto una domanda, anzi aveva commentato un articolo linkato da Richard Dawkins sulla chiesa, l’Irlanda e l’aborto e immediato controcommento: «I honestly don’t know what I would do if I were pregnant with a kid with Down Syndrome. Real ethical dilemma».


Cioè: non so cosa farei se. «Real» deve aver confuso Federico Cenci.
Nemmeno nessuna «intima esperienza di una donna pronta a generare vita» dunque. Lo ribadisce anche oggi.
A Cenci sarebbe bastato andare a leggere prima di scrivere (il suo articolo è di oggi), e magari - già che ci stava - approfittare e leggere anche la bio («Writer, artist, atheist, nerd, exercise fanatic. Yes, I’m a woman. Huge admirer of Richard Dawkins and Dr. Jack Kevorkian (1928-2011)»).

Certo, la difesa della vita è più importante della comprensione del testo e del contesto. Forse è anche più importante della comprensione delle parole, inglesi e italiane. Infatti nemmeno il significato di «vita» deve essere molto chiaro, considerando il titolo (didascalia: anche il maiale adulto è vivo, non si abortisce nessun bambino).
Il commento di InYourFaceNewYorker sulla vicenda potrebbe valere anche su questa pietosa prova di Zenit.


Aggiornamento

Chiedo a Federico Cenci se la donna sia proprio InYourFaceNewYorker (magari ne esiste un’altra che è davvero incinta, ma no, pare sia lei).
Ringrazia per la «precisazione» e apporta la «piccola modifica» (le parole giuste sarebbero state: «Ho completamente travisato, non so l’inglese, dovevo uscire e avevo fretta» o qualcosa di simile; aggiungerei che non è così che si corregge un pezzo - cancellando e riscrivendo, ma lasciando quello originario e mettendo un asterisco o una parentesi «ho sbagliato qui e qui, le cose stanno in questo altro modo»).


Il pezzo rimane comunque pieno di imprecisioni (sarebbe bastato usare google translate). «La persona, una donna, su Twitter ha confidato allo scienziato inglese che vivrebbe un “dilemma etico”», oppure «Poco prima dell’intervento della donna sulla questione relativa alla gravidanza di un piccolo con sindrome di Down». Poco prima dell’intervento?!

 



Nel frattempo stamattina Tempi riprende il pezzo di Cenci nella prima versione: «È bastata la domanda di una donna incinta di un bambino con sindrome di Down per scatenare in Richard Dawkins».

 

venerdì 22 novembre 2013

Funerale e sepoltura dei feti*


“Lo sapevo”, disse lei ridendo, “vivere è una cosa tanto sciocca
che ci si attacca persino alla sciocchezza di essere nati.”
Cesare Pavese, Tra donne sole

Però a me non sembrava che era il caso di prendere per il culo.
Per il culo, ci potevano prendere a tutti e quattro:
si può prendere per il culo chiunque è infelice,
basta che si è abbastanza crudeli.
Nick Hornby, Non buttiamoci giù

È passato quasi un anno dall’inaugurazione del giardino degli angeli, un’area destinata ai feti e agli embrioni nel cimitero Laurentino di Roma. Durante la cerimonia nel gennaio 2012 Sveva Belviso, vicesindaco, parlava di “corpicino” e di dignità. La camelia bianca piantata quel giorno non c’è più, al suo posto c’è qualche vaso con delle margherite bianche.
Allora ci furono entusiasti sostenitori e feroci oppositori. Nel giro di qualche giorno tutti se ne sono dimenticati, fino alla Marcia per la Vita del maggio seguente. Ho deciso di andarci, ho cercato su Google maps e ho telefonato per gli orari: via Laurentina al chilometro 13,500, dalle 7.30 alle 17.00.
È l’inizio di novembre, il fine settimana dei morti e dei santi e penso che non ci possa essere periodo migliore per andare in un cimitero. Telefono alla mia amica fotografa Francesca Leonardi, con cui da tempo sto lavorando sull’aborto, e prendiamo accordi per il giorno seguente, sabato 3 novembre.
Bisogna percorrere la via Laurentina, passare accanto a palazzoni alti e orribili, alcuni color verde militare e probabilmente partoriti dalla mente di un geometra frettoloso, oltrepassare il raccordo. Poi si cominciano a vedere i cartelli pubblicitari di marmi e lapidi e si intuisce che siamo nei dintorni. Ci sono molte rotonde e almeno un paio di volte rischio di girare prima del dovuto e di prendere la Pontina. Siamo quasi a Trigoria. Ci sono 3 o 4 cartelli con l’indicazione “cimitero Laurentino” e poi uno spiazzo con alcuni banchetti che vendono fiori.
Alcune persone aspettano il loro turno, carte colorate e retine, forbici e colori addossati gli uni agli altri. Me li lascio sulla destra e oltrepasso il cancello aperto. Oltre la soglia comincia una salita e non vedo che qualche cipresso e in lontananza la sagoma dei palazzoni che ora sembrano tutti grigi. C’è una cappella sulla sinistra, a destra la camera mortuaria e alcune costruzioni non finite, alcuni loculi vuoti e le scale per salire fino a quelli messi in alto. C’è una donna in bilico che manda baci al marmo freddo, il movimento veloce del braccio dalle sue labbra alla lapide, sta arrampicata su quella scala con le ruote e il terreno è in lieve pendenza.
Prato e croci bianche.
Dopo qualche decina di metri vedo la statua di un angelo – quella che ho visto nel video girato il giorno dell’inaugurazione. Poco più in là c’è una roccia con la scritta in stampatello IL GIARDINO DEGLI ANGELI e un’altra statua di un altro angelo, uguale alla prima. Al collo hanno qualche rosario. È un’area (ricordo di avere letto) di 600 metri quadrati, delimitata da una siepe e quasi vuota. Le piccole lapidi rettangolari bianche sono 12, su una non c’è scritto nulla, sulle altre ci sono alcuni nomi, le date, qualche riga di iscrizione. Sul lato opposto e separato dalla strada c’è un rettangolo di prato con le lapidi di bambini. Accanto ai nomi e alle date ci sono pupazzi, macchinette, fiori di plastica, collanine, bracciali, girandole e campanellini. Nel silenzio quasi assoluto si sentono più o meno intensamente a seconda del vento. Alcuni pupazzi e scacciaguai – che altro può succedere a un morto? – sono legati agli alberi esili che ondeggiano tra le lapidi e la strada.
Si ferma una macchina e scendono un uomo e una donna. Si avvicinano a una delle piccole lapidi bianche. Stanno lì per alcuni minuti. Io mi tengo a distanza di sicurezza perché il dolore mi imbarazza e perché sul dolore non ho nulla da dire. Mi domando se curare una piccola lapide possa lenirlo. Non lenirebbe il mio, ma per qualcuno magari funziona.
Guardando queste lapidi mi distraggo a pensare alle vite interrotte, a sinistra della strada, o mai cominciate, a destra. Queste tombe invase da giochi e colori sembrano inopportune, intollerabili. Magari perché penso che un morto sia morto e basta. Se invece credi che stia da qualche parte puoi anche credere che abbia bisogno dei suoi giocattoli, come facevano gli Egizi con i propri morti. Li metti in una bara con gli oggetti più cari e più utili per il viaggio. In questo caso però stanno fuori, e potrebbe essere anche più difficile per il morto accorgersene. Oppure è un rituale benefico e i pupazzi servono a chi è vivo. In entrambi i casi sono invidiosa: per me non sarebbe di alcuna consolazione. I cadaveri sono cadaveri, nulla di più. Quando l’uomo e la donna se ne vanno la piccola lapide è coperta di fiori, una girandola colorata, qualche pianta grassa, una luce incastrata dentro a una statuetta a forma di rana, alcuni cuoricini di pietra, una statuetta di un santo (forse padre Pio) e un angelo bianco che porta una rosa bianca come un tedoforo. Il marmo e le scritte sottostanti sono quasi scomparsi. Oltre alla sepoltura si può anche fare il funerale, come in The little death [stagione2, episodio 9]. La protagonista di The Big C è Cathy, dopo avere ricevuto una diagnosi di melanoma, un cancro aggressivo e terminale (C sta per Cancer). Cathy ha un fratello un po’ sciroccato, Sean, che ha una fidanzata, Rebecca. Rebecca rimane incinta, ma ha un aborto spontaneo alla diciottesima settimana. La reazione di Rebecca è inizialmente di ostentata indifferenza e di negazione. E di ostinata volontà di organizzare una celebrazione. “Ognuno elabora il lutto in modo diverso. Quando ho abortito, ho piantato un albero.” “Non voglio stare in lutto. Voglio celebrare la vita che ho portato dentro di me per 18 settimane. Questo feto merita di essere festeggiato.” E per celebrare il feto Rebecca vuole organizzare un funerale grandioso. Cathy prova a suggerirle che forse sta sublimando il suo dolore con il sushi e gli addobbi. Rebecca non ne vuole sapere, insiste nei suoi propositi e suggerisce all’amica di preoccuparsi del fratello che ha reagito molto male all’aborto. Fin dall’inizio il funerale per baby Cathy è una occasione in più per Cathy per pensare alla propria morte e, addirittura, per assistere al proprio funerale: nel necrologio c’è scritto infatti “per la morte di Cathy Tolke”. Il feto abortito e Cathy sono omonimi, e molte delle persone che arrivano sono convinte che sia morta Cathy senior. Paul, il marito di Cathy, avanza qualche protesta per il malinteso creato da Rebecca.

Rebecca intanto è impassibile e concentrata nell’organizzare e poi nel presenziare a questo “little festival of denial”, al contrario di Sean. “Voglio dire, guardati, Rebecca. Ti ho visto più agitata quando qualcuno ti ha rubato il parcheggio.”
Il giorno del funerale sono in molti ad essere sorpresi e contenti che Cathy non sia morta e dopo una serie di malintesi, condoglianze per una morte mai avvenuta e fotografie di come sarebbe potuta diventare la piccola Cathy se fosse nata, c’è la resa dei conti tra “big Cathy” e Rebecca, infastidita per l’attenzione che le persone manifestano alla non-morta e per la disattenzione verso baby Cathy.
In questa vicenda accade anche qualcosa che è abbastanza comune: dopo un aborto – volontario o spontaneo – i due si lasciano, come se avessero condiviso un segreto vergognoso che impedisce loro di guardarsi ancora in faccia. O un dolore troppo profondo. Lo spazio tra il dolore per un aborto spontaneo e la morte di un figlio può assottigliarsi fino a scomparire nella percezione soggettiva. Come ho già detto, il dolore è incontrovertibile, ma si offre a indagini e a riflessioni.

Gli angeli

Il cimitero di Roma non è l’unico spazio dedicato ai “bambini non nati”. Dal punto di vista giuridico il riferimento è il Decreto del presidente della Repubblica del 1990 n. 285, “Approvazione del regolamento di polizia mortuaria” secondo cui è possibile seppellire “prodotti abortivi” di età presunta tra le 20 e le 28 settimane. A richiesta anche quelli di età inferiore.
Il giardino degli angeli non è dunque una novità giuridica e la possibilità di seppellire i “prodotti abortivi” c’era già. Le inaugurazioni degli spazi dedicati non hanno dunque introdotto una possibilità prima inesistente, ma l’hanno sottolineata e forse usata politicamente. E hanno introdotto con prepotenza l’espressione “bambini non nati”, perché prodotti abortivi era irrispettoso.
Quando è stata la volta di Firenze gli animi erano già infiammati dalle pressioni dei movimenti conservatori e dalle alte percentuali di obiettori di coscienza negli ospedali. La discussione che ne è seguita si è trasformata – tanto per cambiare – in uno scontro feroce tra i sostenitori della necessità dei “cimiteri degli angeli” e i contrari, spesso in quanto si violerebbe la 194 e si offenderebbero le donne. Dimenticano che alcune donne scelgono di seppellire i propri bambini non nati e non si capisce come la possibilità di farlo le offenderebbe. Spesso si parla in nome di qualcuno cui non si è mai rivolto la parola.

Finché la sepoltura è volontaria non sembra avere molto senso impedire o urlare a sproposito. Diverso il caso della Lombardia: “Per la sepoltura del feto ci pensa lei o preferisce che lo faccia l’azienda sanitaria? Metta una croce e una firma qui”. Il regolamento regionale voluto da Roberto Formigoni obbliga a porre quella domanda, e in caso di declino, investe la struttura ospedaliera dell’obbligo di sepoltura per la dignità del feto. Rimane il dubbio se sia possibile compiere una scelta diversa dalla sepoltura, perché esistono anche religioni che prevedono altri rituali o la volontà di trattare il bambino non nato come un rifiuto ospedaliero. Lo slittamento dalla scelta all’obbligo e dal desiderio della donna all’ontologia dell’embrione fa la differenza.
È innegabile che chi appoggia i funerali o decide di farne una causa politica sta compiendo una precisa scelta simbolica, sta ammiccando a una precisa fazione. Ma non è con un divieto che si risponde a un eventuale abuso di una scelta individuale trasformata in battaglia politica.
Ci sono poi altre differenze profonde, determinate non solo dall’età gestazionale ma dalle modalità di morte dell’embrione o del feto. Un aborto spontaneo è diverso da uno volontario, e più si è in prossimità del parto più il senso di perdita può essere inconsolabile e l’aborto vissuto come una morte di una persona cara (anche se non ancora nata e anche se il termine persona è qui usato in senso colloquiale). E poi il dolore per la perdita di x non ci dice nulla sullo statuto ontologico di x. Si seppelliscono anche cani e gatti o altri animali amati e non è che si pretenda che questo li trasformi in persone. E per alcuni il dolore per la perdita o la distruzione di un oggetto può essere tanto intenso da essere paragonabile a un lutto – per la morte di una persona cara.

Secondo alcuni la sepoltura può aiutare a gestire il vissuto di un lutto: per un figlio desiderato e il cui futuro è negato da un evento imprevisto o da una decisione sofferta come nel caso di una patologia fetale. Per alcuni può essere una consolazione e non c’è ragione per cui si dovrebbe impedire o limitare una consolazione. Il panorama è molto diverso se pensiamo a una interruzione volontaria nel primo trimestre. Ma è diverso soprattutto a seconda delle persone.

In parte è questa ambiguità ad avere sollevato le polemiche sui regolamenti regionali o comunali: se seppellisci x, allora x è una persona e allora non far nascere x (abortire) è immorale e dovrebbe essere illegale. Ci sono molte fallacie dietro alle conclusioni che hanno spinto molti a credere che criticare il cimitero dei feti volesse dire difendere l’accesso legale e sicuro all’interruzione di gravidanza e viceversa. È ovvio che poi ci siano le intenzioni e i piani simbolici, ma questi sono terreni molto più sfumati. E soprattutto è l’intento di equiparare le esperienze e i vissuti che tende la trappola: tutte le donne vivono l’aborto come un lutto. Sarebbe necessario distinguere per ogni donna, o almeno distinguere gli aborti volontari e precoci da quelli tardivi e involontari.

Il cimitero di Firenze prevede una area dedicata ai feti, “ai prodotti abortivi e i prodotti del concepimento”. Anche chi si inalbera a condannare, scegliendo argomenti e parole inappropriati, fa più danni che se avesse taciuto. Vittoria Franco, senatrice Pd, avrebbe definito il regolamento fiorentino: “Una provocazione verso il dramma dell’aborto e del rapporto delle singole donne con la maternità” (il corsivo è mio). Claudia Livi: “Mi dissocio da un atto che mi offende profondamente come donna”. Più a fuoco Tea Albini, consigliera e parlamentare Pd, ma ancora sedotta dagli universali: “‘Molto ideologico e poco pratico [...] Anche perché già oggi la legge consente la sepoltura di feti e aborti e non c’era nessuna necessità di presentarlo. Si rischia una spaccatura forte all’interno del gruppo consiliare e nella sinistra. Ne valeva la pena? Io sono per la politica come arte della mediazione. Il sindaco, invece, cerca lo scontro. Spesso mediatico’”. Liberetutte di Firenze, un’associazione che nello statuto ha tra gli obiettivi la difesa della libertà e l’autodeterminazione delle donne, ha chiesto a tutte le consigliere comunali un incontro. “‘Vogliamo discutere quello che per noi è un attacco alla 194 – spiega la portavoce [di Liberetutte] Luisa Petrucci –. Il regolamento vuole trasformare feto ed embrione in una persona e non è questo lo spirito della legge. L’articolo del regolamento approvato ci pare una macabra trovata che lede la sfera privata delle donne e la loro dignità’.” Non riesco a non pensare che sarebbe più importante garantire le scelte di ogni persona che impantanarsi in discussioni in cui ognuno ha già deciso e non ha alcuna intenzione di concedere nulla: se una donna vuole seppellire o fare il funerale all’embrione o al feto deve avere la libertà di farlo. Se una donna vuole abortire anche. Il funerale e il seppellimento non hanno nulla a che fare con lo statuto dell’embrione e del feto, ma con i desideri delle persone.

*Capitolo 8 di A. La verità, vi prego, sull’aborto, 2012, Fandango.

domenica 12 maggio 2013

Chi ci marcia sulla Marcia per la Vita



Oggi a Roma si è svolta la terza edizione della Marcia per la Vita. Obiettivo: eliminare la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza.

L’appuntamento è per le 8 di questa mattina al Colosseo. Io arrivo verso le 9 e ci sono alcune persone davanti all’uscita della Metro B, lungo via dei Fori Imperiali e intorno all’Anfiteatro Flavio. Nei minuti successivi continueranno ad arrivare in tanti e da varie direzioni.
C’era chi distribuiva pettorine gialle per invitare a firmare la petizione “L’embrione è uno di noi”, chi offriva scarpine di maglia in vari colori e troppo piccole anche per il più minuto dei neonati in cambio di un’offerta libera, chi sventolava una bandiera, chi preparava gli striscioni che entro qualche minuto sarebbero stati innalzati su manici di scopa.
Un po’ più tardi del previsto (9.30) il corteo è partito incanalandosi lungo via dei Fori in direzione di Piazza Venezia. La via era ristretta da vari allestimenti sportivi – perlopiù reti da pallavolo – e fino all’angolo con via Cavour le persone sono passate sul lato sinistro per poi allargarsi nella parte finale. La Marcia è poi stata diretta verso via delle Botteghe Oscure, largo di Torre Argentina, corso Vittorio Emanuele per poi girare verso ponte Sant’Angelo e arrivare sullo spiazzo di fronte a via della Conciliazione. La destinazione finale era San Pietro e la fine dell’Angelus.

Oltre ai nomi delle associazioni o agli apodittici “No all’aborto”, le scritte andavano da “L’aborto non è un diritto ma un delitto!” a “Non sono un fatto politico. Non sono un’invenzione della Chiesa. Sono un bambino guardami!! (con un’immagine di un feto che si ciuccia il pollice)”, da “La vita inizia col concepimento” a “Salviamo le mamme e i bambini” – perché non è mica soltanto il nascituro a dover essere salvato, ma anche la donna, poco in grado di decidere e di capire che interrompere una gravidanza non è solo inammissibile moralmente ma è da autolesionista. Al richiamo ontologico si somma quello paternalistico: vogliamo impedirtelo per il tuo bene, non solo perché è sbagliato.


Camminando tra le persone e tra simili cartelli, si potevano sentire anche slogan simili urlati con o senza l’aiuto di un altoparlante, qualche volta coperti dalla banda in testa al corteo. “Ogni aborto è un bambino morto!”. Oppure: “Dal Colosseo dei martiri, ai papi di San Pietro! La marcia per la vita non torna indietro!”, “Ateo o credente non importa niente! A morire è sempre un innocente!”,Donna che hai abortito, per te non è finita. Vieni insieme a noi, e marcia per la vita!”.

La retorica “prolife” è fondata su malintesi e punta a suscitare reazioni immediate, poco importa se gli strumenti sono oppressi da fallacie e dalla disattenzione verso le conseguenze. Come l’identificazione tra “embrione” e “bambino”, o come il richiamo all’omicidio e al genocidio (coerente conseguenza ammessa la premessa, ma discutibile se la premessa rimane sospesa). È il caso di un cartello sorretto da una bambina con la scritta in stampatello: “Se fossi nata in Cina sarei morta piccolina. Sono felice di essere nata”. Sotto alla scritta dodici infanti con i fiocchi alternati rosa e azzurri. Oppure la scritta “Basta genocidi silenziosi” (mi auguro che anche eventuali genocidi non silenziosi non vadano bene).
Oltre agli slogan in tema, c’era anche un cartello su Eluana Englaro, “Vittima innocente dell’eutanasia. Voleva e doveva vivere”. Se avessimo ancora qualche dubbio, la questione non è tanto – o almeno non solo – la difesa degli embrioni, ma il controllo delle decisioni che le singole persone potrebbero esercitare. Per dirla con uno slogan: “Vogliamo difenderti dagli altri e poi da te stesso, dal concepimento alla morte naturale”. E non importa se non è chiaro perché qualcuno dovrebbe venirci a dire se e come morire, non importa se il richiamo al “naturale” non ha alcun senso (quale sarebbe una morte naturale?, e perché qualcosa che è naturale dovrebbe essere preferibile intrinsecamente e considerata moralmente benigna?), non importa se “vita” è un termine ambiguo e impreciso, non importa se l’alternativa all’autodeterminazione è il paternalismo legale o peggio l’imposizione – ciò che importa è che lo slogan funzioni: giù le mani da te stesso e giù le mani dall’embrione (che per ora è ancora così tanto legato a te da essere difficilmente separabile).

Non so quanti dei partecipanti fossero pienamente consapevoli per quale fine stessero marciando e che cosa comporterebbe l’abolizione della legge 194 sull’interruzione volontaria della gravidanza – obiettivo politico e morale della Marcia.
Tra le incoerenze più ricorrenti – non solo oggi tra i marciatori ma tra i tanti fautori del “no alla 194” – c’è la convivenza tra la richiesta di abolire la 194, riportando così l’interruzione di gravidanza nel dominio dei reati, e il rifiuto di condannare le donne (per strategia?, per misericordia?). La convivenza cioè tra un reato e l’assenza di pena – caso unico nel panorama penale, per cui non basterebbe invocare le attenuanti. È la stessa comoda incoerenza che caratterizzava la lista di Giuliano Ferrara “Aborto? No, grazie”: l’aborto è omicidio, le donne però non sono punibili e non le puoi nemmeno chiamare assassine. E non si capisce come si possa commettere un reato e contemporaneamente non essere rei, a meno che non si pensi che il reo sia intrinsecamente non in grado di intendere e di volere ma qui la situazione si complicherebbe ulteriormente.
Qualcuno ha la tentazione di pensare che in fondo potrebbe andare peggio, ma accontentarsi di questa “eccezione” è pericoloso almeno quanto giocare sulla difensiva sui diritti riproduttivi, ritrovandosi a dover sempre invocare circostanze eccezionali e speciali per giustificare la richiesta di ricorrere alle tecniche riproduttive, di interrompere una gravidanza, di non proseguire un trattamento sanitario.
Non so se questa incoerenza è un sintomo di un’adesione formale o di una disattenzione più strutturale. Il risultato è uno spettacolo un po’ buffo, un po’ triste, un po’ manieristico. E dopo qualche ora di marcia sotto al sole e sotto ai cartelli “prolife”, la convinzione che non esista possibilità di discussione è talmente assoluta da risultare banale. Come lo è chiedere a un creazionista di discutere con un evoluzionista, conservando l’ingenua convinzione che tutto possa funzionare come un dibattito televisivo indigeno: tu sei a favore o sei contro?


mercoledì 5 settembre 2012

Tecniche di riproduzione artificiale in Costa Rica

In Costa Rica c’è l’unica legge più restrittiva della nostra. Dalla premessa che un ovulo fecondato debba essere considerato una persona ne deriva che siano illegali le tecniche riproduttive.
Sono almeno coerenti, non come la legge 40 e i suoi difensori: dopo avere stabilito lo statuto di soggetto per il concepito (termine bizzarro e impreciso) ne hanno però auotrizzato il suo sacrificio.

Come riportava un articolo dell’Osservatore Romano nel giugno scorso (Il Costa Rica rigetta la fecondazione in vitro):
Con 26 voti favorevoli e 25 contrari la Camera dei Rappresentanti del Costa Rica ha respinto il disegno di legge che avrebbe permesso la fecondazione in vitro nel Paese. Il progetto è stato accantonato a causa di una serie di incongruenze ravvisate nel costrutto della norma, giudicata, tra l’altro, contraddittoria e confusa. Con questa decisione, anche se con un risultato di stretta misura, il Governo del Costa Rica non si piegherà alle ripetute pressioni della Corte interamericana dei diritti dell’uomo esercitate sullo Stato centroamericano perché approvasse la fecondazione in vitro, entro il 31 luglio. Il processo appena conclusosi con tale decisione è stato avviato nel mese di agosto dello scorso anno. I vescovi del Costa Rica, in diverse occasioni, hanno espresso le loro obiezioni e opposizioni al progetto di legge, presentando in Parlamento la loro posizione riguardo al disegno di legge sulla fecondazione in vitro e sul trasferimento di embrioni, nell’intento di contribuire alla discussione parlamentare dalla prospettiva dell’antropologia cristiana, dell’etica e del magistero ecclesiale.
Nel mese di ottobre 2010, il presidente della Conferenza episcopale e arcivescovo di San José, monsignor Hugo Barrantes Ureña sollecitò il Governo a non approvare la normativa, in quanto «è una tecnica che, per raggiungere le sue finalità, elimina, nel suo processo, un grande numero di embrioni fecondati, cioè vite umane nascenti». Il presule, nell’esprimere «comprensione per gli sposi che non possono appagare il legittimo desiderio di avere figli» ha ricordato però che «un bambino è sempre un dono» e, di conseguenza, non può costituire un mero mezzo per «soddisfare un bisogno o desiderio, ma la sua inviolabile dignità di persona richiede di essere trattato sempre come un fine».
Joseph Ratzinger ha espresso la sua opposizione nelle Lettere credenziali del nuovo ambasciatore del Costa Rica presso la Santa sede.
Gerardo Escalante López e Delia Ribas hanno raccontato che cosa vuol dire quel divieto:
qualche settimana fa il Costa Rica è stato sottoposto a un giudizio della Corte americana il quale ha riscontrato che il Paese ha violato i diritti riproduttivi dei propri cittadini. Speriamo che tra due anni la corte si potrà pronunciare a favore o contro la fecondazione in vitro. La cosa importante è che forse organismi di diritto internazionale per la prima volta giudicheranno questa materia e potranno determinare quali sono le responsabilità in capo ai governi in materia di riproduzione umana.
Oggi e domani la Corte interamericana dei diritti umani esaminerà il divieto della legge e ascolterà le ragioni giuridiche di chi considera quel divieto ingiustificabile, ingiusto e discriminatorio.
Caso Artavia Murillo y otros (Fecundación in vitro) vs. Costa Rica. L’udienza è pubblica e sarà possibile seguirla via streaming qui.

sabato 26 maggio 2012

Aborto, cosa significa obiezione di coscienza?


A 34 anni dalla promulgazione della legge 194 sulla interruzione volontaria di gravidanza (era il 22 maggio 1978), i dati del Ministero della Salute mettono bene in evidenza quanto la norma sia disattesa: la media nazionale di ginecologi obiettori supera il 70%, arriva in alcune regioni al 90, e rende estremamente difficile la garanzia del servizio.
In questi giorni, peraltro, in Parlamento si discute un testo ambiguo e pericoloso, un testo che gioca sull’ambiguità dei significati: che cosa intendiamo infatti per obiezione di coscienza e cosa c’entra con la libertà individuale e con la libertà di coscienza? Se ne è parlato durante il convegno “Obiezione di coscienza in Italia. Proposte giuridiche a garanzia della piena applicazione della legge 194 sullaborto” organizzato il 22 maggio a Roma dall’Associazione Luca Coscioni e l’Aied.
Nell’estate 2010 Christine McCafferty, parlamentare del partito laburista inglese, ha presentato al Consiglio dEuropa un report sulla regolamentazione dell’obiezione di coscienza, “Women’s access to lawful medical care: the problem of unregulated use of conscientious objection”. Il report fotografa la situazione europea e propone alcune linee guida per limitare i danni di un esercizio illegittimo dell’obiezione di coscienza. McCafferty non abbraccia una posizione estrema, non critica cioè la possibilità di ricorrere alla obiezione, ma sottolinea che i diritti delle donne e dei pazienti vengono prima della coscienza del personale medico. È necessario un bilanciamento tra la coscienza personale e la responsabilità professionale altrimenti si finisce per ledere lo stesso diritto dei pazienti di ricevere cure e assistenza, sostituite da una predica moralistica.

Quali sarebbero le condizioni per l’esercizio legittimo della obiezione di coscienza? Possono ricorrervi i singoli direttamente coinvolti nella procedura medica e non le strutture sanitarie. Il personale sanitario ha l’obbligo di fornire tutte le informazioni sui trattamenti previsti dalla legge, di informare tempestivamente il paziente della propria obiezione di coscienza, di metterlo in contatto con un altro medico e di assicurarsi che riceva il trattamento richiesto. Se è impossibile trovare un altro medico o in caso di emergenza non c’è coscienza che tenga: il personale sanitario è obbligato a eseguire il trattamento richiesto o necessario nonostante le proprie posizioni personali. Il documento si sofferma spesso sugli effetti discriminatori soprattutto per le donne più in difficoltà, perché vivono in condizioni economiche difficili o in aree isolate o per altre ragioni.

Le condizioni indicate da McCafferty sono in linea con l’articolo 9 della 194 - ma l’articolo 9 spesso rimane solo sulla carta. L’Italia è infatti tra i Paesi che regolamentano in modo inadeguato l’esercizio della obiezione di coscienza, avverte McCafferty, insieme alla Polonia e alla Slovacchia. Il report poi sottolinea che l’obiezione non può essere esercitata dal personale non medico, come amministrativi o portantini, e che l’assistenza precedente e successiva non possono essere oggetto di obiezione. Anche questo è in linea con l’articolo della legge italiana ed è utile per le discussioni sull’ampliamento dell’esercizio della obiezione ai farmacisti. A questo proposito ricordo il caso Pichon and Sapious vs. France (Corte europea dei diritti umani, 7 giugno 1999): la Corte stabilì che un farmacista che rifiuta di vendere i contraccettivi non può imporre la propria visione del mondo agli altri e che il diritto alla libertà religiosa - diritto individuale sacrosanto e strettamente intrecciato alla coscienza - non garantisce il diritto di comportarsi pubblicamente secondo le proprie credenze. Quando decido di fare il farmacista, o il medico o l’avvocato, la mia coscienza individuale non può essere quella cui tutti gli altri dovrebbero sottostare o conformarsi. La scelta di una professione implica dei doveri e la garanzia di un servizio.

Galileo, 25 maggio 2012.

venerdì 16 marzo 2012

A proposito di cimiteri per embrioni e feti


La proposta ha sollevato molte perlessità, critiche feroci, polemiche trite e ben note.

La vicenda mi colpisce per varie ragioni. La prima la sua ridondanza giuridica: è sempre stato possibile richiedere la sepoltura del materiale abortivo (in base al D.P.R. 10/09/1990 n. 285, in particolare articolo 7): Comma 2. Per la sepoltura dei prodotti abortivi di presunta età di gestazione dalle 20 alle 28 settimane complete e dei feti che abbiano presumibilmente compiuto 28 settimane di età intrauterina e che all’ufficiale di stato civile non siano stati dichiarati come nati morti, i permessi di trasporto e di seppellimento sono rilasciati dall’unità sanitaria locale.
Comma 3. A richiesta dei genitori, nel cimitero possono essere raccolti con la stessa procedura anche prodotti del concepimento di presunta età inferiore alle 20 settimane.
Comma 4. Nei casi previsti dai commi 2 e 3, i parenti o chi per essi sono tenuti a presentare, entro 24 ore dall’espulsione od estrazione del feto, domanda di seppellimento alla unità sanitaria locale accompagnata da certificato medico che indichi la presunta età di gestazione ed il peso del feto.

Poi per la scelta linguistica: bambini mai nati invece di embrioni e feti - e questa è una ben nota strategia antichoice (negli Stati Uniti è unborn children). Si vogliono trascinare tutte le caratteristiche dei bambini verso embrioni e feti: sono tutti bambini, questi ultimi non ancora nati, ma caratterizzati dallo stesso statuto. La mossa fa leva sulla pancia e sugli umori, e basterebbe poco per spazzarla via. Basti pensare che a nessuno viene in mente di fare il passo successivo (coerente e obbligato se seguiamo la suddetta logica): siamo tutti individui non ancora morti, tanto vale trattarci come tali?

Infine per il cattivo gusto - ma questo è un parere come un altro, non è che una espressione personale, un gusto estetico e che non ha alcuna pretesa di ostacolare la suddetta possibilità - già esistente, lo ribadisco.
E qui passiamo alle due considerazioni finali: che necessità poteva esserci di ribadire qualcosa che è già permesso? Che scopo si persegue nel mascherare qualcosa che si può già fare come una lotta di civiltà e umanità? Verso chi si inscena questo inchino metaforico?
Ultima: le proteste che si sono scatenate in nome delle donne e del sapore punitivo della proposta non rischiano di essere fuori fuoco?
Ciò che voglio dire è che la possibilità di fare un funerale a un embrione dovrebbe essere garantita - diversa è la situazione in Lombardia, dove la delibera regionale obbliga. Dovrebbero però essere garantite anche scelte diverse: non solo quella di non farlo, ma soprattutto quella di interrompere una gravidanza senza tutte le difficoltà che oggi quasi sempre una donna deve superare, in una gimkana assurda fatta di scuse e di abuso di obiezione di coscienza. Un abuso che ha ormai le fattezze della normalità. Basta entrare in un reparto di IVG per rendersene conto.
Domenica scorsa su la Repubblica di Firenze, una inchiesta di Michele Bocci raccontava un ennesimo scenario da invasione di obiettori. Una invasione che inizia nei consultori, luoghi in cui non si eseguono le interruzioni di gravidanza e per cui la possibilità di fare obiezione mi sembra illegittima.
Nei consultori è ormai difficile trovare un medico anche solo per fare un certificato. Cioè per attestare lo stato di gravidanza.

A questo proposito la vicenda della Puglia di due anni fa è illuminante. Dopo una delibera regionale per assumere alcuni non obiettori nei consultori, l’ordine dei medici pugliesi fa ricorso al TAR, che accusa la delibera di “scelta discriminatoria”.
I passaggi della sentenza più interessanti sottolineano ciò che dovrebbe essere scontato, ma che spesso è trascurato o ignorato. Il collegio ritiene “che la presenza o meno di medici obiettori ex art. 9 legge n. 194/1978 nei Consultori istituiti ai sensi della legge n. 405/1975 sia assolutamente irrilevante, posto che all’interno dei suddetti Consultori non si pratica materialmente l’interruzione volontaria della gravidanza per la quale unicamente opera l’obiezione ai sensi dell’art. 9”, comma 3 (l’I.V.G. può, infatti, avvenire esclusivamente nelle strutture a ciò autorizzate di cui all’art. 8 legge n. 194/1978 laddove la donna, convinta di procedere con l’I.V.G., decide di presentarsi), bensì soltanto attività di assistenza psicologica e di informazione/consulenza della gestante (cfr. artt. 2 e 5 legge n. 194/1978) ovvero vengono svolte funzioni di ginecologo (i.e. accertamenti e visite mediche di cui all’art. 5 legge n. 194/1978) che esulano dall’iter abortivo, per le quali non opera l’esonero ex art. 9, e quindi attività e funzioni che qualsiasi medico (obiettore e non) è in grado di svolgere ed è altresì tenuto ad espletare senza che possa invocare l’esonero di cui alla disposizione citata”.Il Tar sottolinea una ovvietà: non è nei consultori che si effettuano le interruzioni di gravidanza, perciò quella tra la Regione e gli oppositori sembrerebbe una conversazione tra sordi. E poi qualsiasi medico è tenuto a spiegare alle donne tutte le alternative, tra le quali l’interruzione di gravidanza, e a offrire informazioni corrette.
La corretta applicazione della 194 andrebbe senza dubbio nella direzione della corretta e completa informazione: “anche il medico obiettore legittimamente inserito nella struttura del Consultorio è comunque tenuto all’espletamento di quelle attività istruttorie e consultive (come ad esempio il rilascio del documento attestante lo stato di gravidanza di cui all’art. 5 legge n. 194/1978); per cui la presenza teorica di soli obiettori all’interno del Consultorio - ancora una volta - appare irrilevante ai fini di una corretta doverosa applicazione della legge n. 194/1978” (i corsivi sono miei).

giovedì 5 gennaio 2012


giovedì 14 aprile 2011

Feticidio

Bei Bei è quasi alla fine della gravidanza. Il compagno la lascia e le rivela che ha già una famiglia. Bei Bei tenta il suicidio ingerendo del veleno per topi. Non si sente subito male, è un amico cui confida cosa ha fatto a portarla in ospedale. Angel nasce il 31 dicembre, ma muore un paio di giorni dopo.
Bei Bei è accusata di omicidio e feticidio e dovrà affrontare un processo. Comunque la si pensi, la vicenda è sintomatica di un clima inferocito e presenta molti nodi difficili da sciogliere. La legalità della interruzione di gravidanza, l’attribuzione di diritti all’embrione, i diritti della donna, la possibilità di scegliere su se stesse e il proprio corpo (tenendo a mente Judith Jarvis Thomson), la considerazione delle condizioni psicologiche di Bei Bei, l’uso politico di casi umani, la legge federale Unborn Victims of Violence Act (e la simpatia verso questa legge soprattutto da parte di alcuni Stati ultraconservatori, come l’Indiana) - tutto questo e molto altro si intreccia in questa vicenda di cronaca. Come al solito, l’unica reazione da evitare è quella di fare finta di niente.

domenica 2 maggio 2010

Il sondaggio della settimana

A proporlo è Cremona on line dopo avere annunciato il funerale per i bambini non nati il prossimo 7 maggio. E dopo il 7 maggio ogni primo venerdì del mese.
Ne avevamo già parlato qui della sepoltura dei feti e del suo obbligo.

martedì 12 maggio 2009

Legge 40: una soddisfazione amara

Astigmatismo

Ecco le motivazioni della sentenza che ha sancito la parziale incostituzionalità della controversa normativa sulla fecondazione assistita.

Lo scorso 9 maggio è stata depositata la sentenza che dichiara in parte incostituzionale l’articolo 14 della legge 40. L’obbligo di produrre al massimo 3 embrioni e di impiantarli contemporaneamente viola l’articolo 3 della Costituzione nel duplice profilo del principio di ragionevolezza e di quello diuguaglianza, in quanto il legislatore riserva il medesimo trattamento a situazioni dissimili. Viola inoltre l’articolo 32 per il pregiudizio alla salute della donna “ed eventualmente [...] del feto ad esso connesso”. Questa decisione riafferma principi fondamentali, conquistati nel corso degli anni. Non può non tornare alla memoria, infatti, la sentenza n. 27 del 1975, che ha preceduto la legge sulla interruzione volontaria di gravidanza (194/1978): “Non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi già persona, come la madre, e la salvaguardia dell’embrione che persona deve ancora diventare”. Lo stesso bilanciamento di diritti viene affermato dalla legge 194: autorizzando una donna ad interrompere la gravidanza, la 194 sancisce che il diritto di non portare avanti la gravidanza è più forte del diritto dell’embrione a vivere e a nascere.

RISTABILIRE IL GIUSTO SENSO DI MARCIA - La Legge 40 ha tracciato una strada contromano: a cominciare dall’affermazione di principio dell’articolo 1, secondo cui devono essere assicurati i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito. Da questa affermazione di principio ha fatto derivare la maggior parte dei divieti contenuti negli articoli seguenti, incurante delle gravi violazioni conseguenti. Già tre procedimenti (del Tribunale di Firenze e del Tar Lazio) avevano anticipato la direzione di questa sentenza. La Corte ha riaffermato anche un principio di buon senso: non si può stabilire in modo tanto rigido il numero di embrioni da impiantare, perché questo dipende dalle condizioni di ogni singola donna. Proprio come sarebbe insensato stabilire come curare un mal di pancia in modo assoluto e aprioristico. Dipende dal mal di pancia, dalle ragioni della sua insorgenza e dalle condizioni generali del sofferente. L’obbligo di impiantare tutti e 3 gli embrioni ha causato un aumento delle gravidanze plurime: in seguito alla legge 40 in Italia esiste il 3,5% di rischio, mentre in Europa tale rischio è prossimo allo zero - proprio perché le modalità di impianto sono decise in base alla valutazione di ogni singolo caso. La conseguenza della bocciatura del comma 2 dell’articolo 14 è la “deroga al principio generale di divieto di crioconservazione”. Gli embrioni prodotti, ma non impiantati per ragioni mediche, potranno essere crioconservati e utilizzati per un successivo tentativo di impianto. La possibilità di crioconservare sottrae la donna alla necessità di sottoporsi inutilmente a più cicli di stimolazione ormonale e al prelievo chirurgico degli ovociti. Insomma i giudici costituzionali affermano che “in materia di pratica terapeutica la regola di fondo deve essere la autonomia e la responsabilità del medico, che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali”.

LES JEUX SOINT FAIT - Inoltre, in linea con la sentenza del 1975, stabiliscono che la tutela “dell’embrione non è comunque assoluta, ma limitata dalla necessità di individuare un giusto bilanciamento con la tutela della esigenza di procreazione”. I fautori della legge 40 si rassegnino: contro questa sentenza non si può nulla. Il parlamento non può legiferare in senso diverso. Le linee guida non hanno la forza, essendo amministrative, di contrastare la legge nella sua nuova veste. La soddisfazione per la decisione della Consulta ha un sapore bizzarro: assomiglia alla soddisfazione che avremmo se qualcuno ci avesse investito sulle strisce pedonali 5 anni fa causandoci molti danni e oggi ci chiedesse scusa per averci rovinato l’acconciatura e gli abiti. Pur concedendo che sia meglio di niente, le conseguenze più gravi di una legge insensata e coercitiva sono ancora in piedi. E condannano i cittadini italiani a essere discriminati in alcuni diritti fondamentali, come quello alla salute e all’equità di trattamenti, e a frustrare il legittimo desiderio di diventare genitori.

Su Giornalettismo, 11 maggio 2009.

venerdì 29 febbraio 2008

giovedì 18 gennaio 2007

Dai disegni all’ecografia

Su Galileo, 16 gennaio, recensione del libro di Claudia Pancino e Jean d’Yvoire Formato nel segreto. Nascituri e feti fra immagini e immaginario dal XVI al XXI secolo, Carocci, 2006.

“Disegnatori e incisori, anatomisti e medici, filosofi e dotti, e poi biologi e studiosi di embriologia, dall’inizio dell’Età moderna, ma con casi esemplari già nel Medioevo, si sono dedicati a rappresentare la vita prima della nascita, a produrre immagini di feti” (p. 11), quei feti prodotti nel segreto del ventre materno e inaccessibili per secoli, e poi disvelati attraverso la raffigurazione e il disegno, fino a giungere ai potenti mezzi fotografici di oggi. È questa storia che Claudia Pancino e Jean d’Yvoire raccontano: la storia della rappresentazione del nascituro che dalla fantasia e dall’approssimazione giunge fino alla verosimiglianza e alla riproduzione fedele della realtà. E la storia della ricaduta di queste rappresentazioni iconografiche sulla percezione sociale del feto e dell’embrione.

Oggi l’embrione è prepotentemente uno dei protagonisti dei dibattiti morali, perché lo sviluppo della biomedicina e delle biotecnologie hanno permesso di ‘vederlo’ molto prima del parto, anticipandone la presentazione al mondo. Lo statuto morale e giuridico dell’embrione suscita dibattiti feroci e inconciliabili: come deve essere considerato il nascituro? Senza dubbio vederlo suscita profonde reazioni emotive che interferiscono con il giudizio razionale. Il disvelamento dell’origine e dello sviluppo dell’embrione ha avuto come effetto, tra gli altri, quello di rendere esplicito un problema che riguarda ogni processo di sviluppo vitale: il suo carattere continuo, privo di salti moralmente significativi. Il suo scorrere senza barriere e divisioni. E la conseguente difficoltà di tracciare differenze, passaggi, cambiamenti discreti.
(Continua.)