Questa volta a dire la sua sugli ibridi citoplasmatici (la cui creazione è stata approvata in linea di principio tre giorni fa dall’Autorità britannica che regola la fecondazione assistita) è il professor Francesco D’Agostino, ex presidente della Commissione Nazionale per la Bioetica («Perché distruggere un embrione “prevalentemente umano” se è utile?», Il Foglio, 7 settembre 2007, p. 2):
“Lo stesso fatto che gli organismi prodotti verranno distrutti dopo quattordici giorni indica che l’Hfea e gli stessi scienziati sono perfettamente consapevoli della mostruosità. Se non ci fosse ‘niente di male’, perché distruggerli?”.A dire il vero, lo scopo della creazione degli embrioni ibridi è dichiaratamente la produzione di cellule staminali embrionali, che si estraggono dall’embrione quando questo raggiunge lo stadio della blastocisti (una sfera cava di cellule), a partire dal quinto giorno dopo la fecondazione. Com’è noto, l’estrazione delle staminali comporta la distruzione dell’embrione; e questo dovrebbe bastare a rispondere alla domanda del professor D’Agostino.
Ma ammettiamo pure che per qualche motivo uno degli embrioni ibridi si riveli inadatto allo scopo per cui è stato prodotto; perché – potrebbe ribattere D’Agostino – distruggerlo anche in questo caso, e non lasciarlo sviluppare fino al termine? Il problema è che non sappiamo di quali squilibri metabolici potrebbe soffrire un organismo i cui mitocondri (i corpuscoli che producono energia nella cellula) provengono da una specie non umana. Tutto lascia pensare che un embrione siffatto non riuscirebbe a svilupparsi oltre i primissimi stadi, e in ogni caso lo stato di salute di un individuo nato da questo processo rimarrebbe un’incognita. Sono dunque banali considerazioni etiche a proibire un esperimento di questo genere – si vogliono evitare inutili sofferenze future – e non la paura del «mostro».
Se poi in qualche modo si verificasse comunque una nascita, la persona generata in questo modo non avrebbe assolutamente di mostruoso – almeno, per chi non calcola l’umanità in base alle percentuali di Dna, ma in base a caratteristiche un poco più significative. Sono certo che verrebbe accolta senza problemi da tutti – compreso il professor D’Agostino – così come oggi nessuno ha nulla da dire su una persona a cui sia stata trapiantata una valvola cardiaca di suino (e che dopo un po’ si ritrova con cellule animali sparse dappertutto per il corpo).
Gli scienziati e i fautori delle “chimere” sostengono che si tratti solo di uno studio a scopo terapeutico. “Invece no. La terapia non c’entra. Qui siamo di fronte a una ricerca di tipo palesemente eugenetico: non curare, ma costruire una specie umana migliore. Dunque con un’identità diversa, modificata. Per ora, si dice, è solo sperimentazione. Ma una volta accettata la manipolabilità, il problema è la sua ricaduta nella pratica sociale. Che riguarderà tutti, perché metterà in gioco l’identità degli esseri umani anche in quanto ‘uguali’. Perché in futuro alcuni uomini, quelli che potranno permettersi questa tecno-scienza, potranno dire: ‘noi siamo geneticamente diversi dagli altri’. Ma questa è una prospettiva eugenetica, non certo terapeutica”.Qui è difficile capire di che cosa D’Agostino stia parlando. A parte la contraddizione flagrante con quanto diceva poco prima (gli scienziati sono consapevoli che si tratta di mostri a cui non fare vedere la luce – anzi no, stanno progettando superuomini migliori di noi), non esiste assolutamente nessun indizio che possa far pensare a una ‘superiorità’ di qualsiasi tipo degli organismi che saranno prodotti in questo modo; casomai è vero il contrario, come abbiamo visto: squilibri metabolici anche gravi sarebbero molto probabili. Quella di D’Agostino è dunque un’illazione destituita di fondamento: si ha la nettisssima sensazione che il professore si sia trovato a corto di argomenti (o che il Foglio l’abbia contattato in un momento poco opportuno...), e che abbia riciclato un discorso pensato per tutt’altre circostanze, in particolare per la cosiddetta ingegneria genetica migliorativa.
Un ribaltamento grave, secondo D’Agostino, anche perché “questo è anche un caso conclamato del fatto che oggi viene difesa di più l’identità dell’animale che quella dell’uomo: nel 2009 nell’Ue entrerà in vigore una direttiva che vieta ogni sperimentazione sugli animali. Ma non esiste un divieto analogo per l’embrione umano”.Proviamo a ripetere le ragioni di questa ‘scandalosa’ disparità (anche se il divieto del 2009 riguarda in realtà solo la sperimentazione dei cosmetici): gli animali – in particolare uccelli e mammiferi – sono esseri sensibili, che è intuitivamente sbagliato sottoporre al dolore per motivi che non siano assolutamente necessari. Un embrione, invece, non è certamente un essere sensibile, né tantomeno una persona dotata di coscienza; questo, almeno, di nuovo, per chi non attribuisce valore solo alle percentuali di Dna ma guarda a qualcosa di più sostanziale. Per chi la pensa a questo modo il dolore di una singola creatura innocente vale e varrà sempre molto di più di miliardi di embrioni di «purissima specie umana».
Inoltre, se si accetta non solo che l’embrione è materia manipolabile, ma che il genoma umano può essere modificato, allora in futuro si potrebbe scambiare il patrimonio genetico tra uomo e donna, ibridare un androgino. E sarebbe ancora il concetto di identità umana a essere violato.Come già l’articolo che registrava le opinioni di Angelo Vescovi, anche questo si chiude su questa bizzarra evocazione, out of the blue, di una minaccia stravagante e ovviamente del tutto inventata: lì era il «buomo», l’ibrido vivente tra uomo e bue, qui l’androgino. Ti immagini il redattore del Foglio che sollecita l’intervistato: «ora, professore, per la chiusura, mi servirebbe qualcosa di impressionante. No, il minotauro l’abbiamo usato ieri...».
Si potrebbe rispondere a D’Agostino che siamo tutti ibridi, con un patrimonio genetico che è frutto dello scambio fra quello di un uomo e quello di una donna; ma immagino che il professore già lo sappia. Cosa avrà voluto dire? L’unica possibilità è che pensasse a esseri umani dotati di due cromosomi X e di un cromosoma Y... Ma questi esistono già: sono le persone affette dalla sindrome di Klinefelter, o sindrome XXY. Sono maschi (non androgini) con ridotta fertilità e, talvolta, altri sintomi. Nessun bisogno di riprodurre in laboratorio embrioni con questa sfortunata caratteristica, se non – forse – per studiare una cura. Ah, ma già, dimenticavo, questa sarebbe eugenetica, non si può fare...
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