venerdì 7 settembre 2007

Vescovi contro gli ibridi

Sul Foglio di ieri Angelo Vescovi spiega perché, secondo lui, gli embrioni ibridi la cui creazione è stata appena ritenuta ammissibile da un’autorità regolatrice britannica sarebbero completamente inutili («Che la chimera possa servire a curare malattie umane resta una chimera», 6 settembre 2007, p. 1):

“Dobbiamo considerare – premette Vescovi – che la ricerca sulla clonazione terapeutica ha bisogno di grandi quantità di cellule uovo […] si parla di migliaia di ovociti necessari. Impossibile immaginare di ottenerli se non ricorrendo a quelli animali, ed è già un’ammissione della paurosa inefficienza di questa tecnica”.
Ci troviamo, come si vede, di fronte al solito Comma 22 di tutti gli oppositori degli studi sulle staminali embrionali: senza ricerca i risultati sono scarsi; ma i risultati sono scarsi, quindi la ricerca non deve partire...
E ora, aggiunge Vescovi, “si dice che gli embrioni ibridi (ammesso che si riesca davvero a ottenerli) serviranno a studiare i meccanismi di alcune gravi malattie umane, ed è un immenso controsenso scientifico”. Perché? “Ma perché sappiamo che spesso è sufficiente una minima alterazione di un enzima di una cellula o del rapporto bioenergetico tra alcuni organuli intracellulari, per produrre uno stato patologico in un organismo, e stiamo parlando di una situazione fisiologica, ovvero di una cellula interamente umana”. Che cosa può avvenire, allora, in embrioni ottenuti mediante fusione di una cellula somatica umana con un ovocita animale privato del proprio nucleo, ovvero “quando si andrà ad accoppiare un nucleo di origine umana con il Dna mitocondiale di cellule bovine? Come minimo, il rapporto bioenergetico tra il nucleo e il Dna della cellula umana e quello bovino sarà decine di volte più alterato di quanto accada in una cellula che di per sé è patologica anche per una lieve e unica alterazione”.
Ecco il punto: “Come è possibile pensare che quello così ottenuto possa essere considerato un modello affidabile per lo studio di patologie umane, come il diabete o il Parkinson, nelle quali plausibilmente la morte delle cellule è data da piccoli squilibri? La cosa non è scientificamente sostenibile”.
Cerchiamo di tradurre in termini comprensibili. I mitocondri sono piccoli componenti isolati che si trovano nel citoplasma della cellula, al di fuori del nucleo. La loro funzione principale è di fornire energia al resto della cellula. Negli ibridi citoplasmatici, di cui stiamo parlando, il nucleo della cellula è umano, mentre gran parte del citoplasma – e con esso dei mitocondri – è di origine animale. Il dubbio espresso da Vescovi è legittimo: saranno in grado i mitocondri di vacca o di coniglio di fornire energia in modo adeguato a una cellula umana? Alcune malattie che si vorrebbero studiare con le cellule staminali derivate da questi embrioni (come i morbi di Parkinson e di Alzheimer) sembrano dipendere almeno in parte proprio da anomalie nel funzionamento dei mitocondri: che credibilità avrebbero, allora, degli studi effettuati con cellule con mitocondri non umani? E prima ancora di questo: la struttura di un mitocondrio è formata in gran parte da proteine costruite in base al Dna del nucleo. Non è affatto certo (ed esistono prove sperimentali che sembrerebbero escludere questa possibilità) che essa possa lavorare con il Dna mitocondriale, se questo appartiene a una specie animale molto distante da quella umana.
Esistono, come si vede, parecchie incertezze; ma è proprio per questo che servono gli esperimenti. Dai commenti di Vescovi e di altri emerge una strana idea della scienza empirica, in cui l’esperienza di laboratorio si avvia solo quando si ha già la verità scientifica in tasca, dopo averla conquistata in qualche modo non specificato.
La situazione, del resto, non è priva di speranze. Il nucleo umano che viene inserito nella cellula animale non arriva perfettamente pulito e isolato: è accompagnato da una frazione del citoplasma umano, con i suoi propri mitocondri. È perlomeno concepibile che questa percentuale di mitocondri umani possa essere aumentata, e che sfruttando proprio la temuta incapacità dei mitocondri animali di funzionare a dovere possa prendere il sopravvento sulla frazione animale (cfr. Inter-species embryos: A report by the Academy of Medical Sciences, 2007, pp. 25-26).
Quanto agli studi sul Parkinson e sull’Alzheimer, essi costituiscono solo una parte delle proposte di ricerca (che dovranno comunque ricevere individualmente l’approvazione delle autorità britanniche); in effetti, gli embrioni ibridi dovrebbero servire in primo luogo a studiare i meccanismi del trasferimento di nucleo, in modo da migliorarne l’efficienza. In particolare, si potrebbe chiarire il funzionamento della riprogrammazione che rende nuovamente indifferenziato il nucleo di una cellula specializzata; in questo modo, sarebbe forse possibile riprodurre il fenomeno anche senza passare attraverso il trasferimento nucleare. Per queste ricerche è perlomeno concepibile che un imperfetto funzionamento dei mitocondri si riveli irrilevante.
Perché, allora, tanta enfasi sull’importanza della creazione di ibridi? Secondo Angelo Vescovi, nella decisione inglese “vince una certa visione anglosassone della ricerca come opera magna che nulla può arrestare. Ma la percezione è che gli interessi più forti in gioco siano solo in piccola parte scientifici. Sappiamo che i riflettori dei media sono accesi in permanenza sul capitolo clonazione, che suscita speranze di brevetti e di grandi guadagni”.
La visione che della scienza anglosassone ha il professor Vescovi necessita forse di qualche correzione. Il baconiano «realizzare tutto ciò che è possibile» ha sempre avuto un seguito sottinteso: «e che serva a qualcosa». Le risorse sono limitate anche in Inghilterra, e a nessuno piace sprecare soldi e anni di carriera inseguendo – per usare la non originalissima battuta del Foglio – chimere. Questi esperimenti potranno concludersi benissimo in un nulla di fatto (come tutti gli esperimenti scientifici che vengono iniziati), ma la speranza che portino a risultati importanti c’è.
Quanto agli interessi economici in ballo, ecco un nuovo paradosso: se le cellule staminali sono un vicolo cieco, com’è possibile che qualcuno speri di ricavarne una montagna di soldi? I soldi si fanno essenzialmente vendendo cure efficaci, non certo elemosinando fondi per la ricerca; questo vuol dire, di nuovo, che esiste una speranza concreta di arrivare a risultati utili. Vale anche la pena di sottolineare che, a differenza di quanto uno potrebbe capire dagli articoli di Vescovi e di altri come lui, anche le staminali adulte sono state oggetto di brevetti: alcuni dei quali registrati – sorpresa! – dal professor Vescovi in persona. L’illustre scienziato si trova insomma nella stessa barca con i suoi colleghi delle staminali embrionali – anche se, in effetti, una differenza c’è: questi ultimi non hanno mai tentato di mettere fuorilegge le ricerche della ‘concorrenza’, mentre Angelo Vescovi ha dato un contributo non esiguo a far fallire il referendum sulla legge 40, che avrebbe potuto rendere di nuovo pienamente legali gli studi sulle staminali embrionali in Italia...
“Forse qualcuno sogna di costruire in laboratorio un ‘buomo’, metà bue e metà uomo. Allora, per favore, non chiamiamola scienza”.
E su questo, infine, siamo d’accordo: questa non è scienza, e anche chi evoca questi fantasmi non è – mentre lo fa – scienziato.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

"Cognomen et nomen est omen"
eh?

Joe Silver ha detto...

Infatti io avevo capito "I vescovi contro gli ibridi".

E' un titolo "multipotente", da fantascienza anni '50. Meglio ancora: "I vescovi contro gli uomini-mucca"

Anonimo ha detto...

Da leggere oggi (e detto da me...:-)anche Flamigni sull' Unità. Ola per la frase "ammettiamo che questa ricerca produca davvero nuove conoscenze (è possibile, anche soltanto perchè Vescovi ha previsto il contrario) (..)"

Anonimo ha detto...

vescovi viene tirato fuori ogni voltain queste occasioni, senza che si spieghi mai il suo palese conflitto d'interessi.