Il dibattito sui dati genetici è vivace quando si parla di un’eventuale discriminazione da parte dei datori di lavoro e delle assicurazioni sanitarie. Sull’uso a scopo investigativo e sulla creazione di una banca dati nazionale del DNA, invece, c’è silenzio. E già questo potrebbe essere preoccupante. Come è preoccupante che il Big Brother Award Italia 2008, sezione “Tecnologia più invasiva”, sia stato assegnato proprio alla banca (abusiva) del DNA del R.I.S. di Parma. La creazione di una banca dei profili del DNA pone non solo la questione dell’informazione genetica e del suo possibile abuso; ma quella delle modalità e delle ragioni per cui si preleva un campione di DNA. Invocare l’annientamento del crimine è pretestuoso – comunque non sufficiente a sgretolare la tutela della riservatezza di ogni cittadino.
Sebbene l’informazione dei profili del DNA di per sé potrebbe non costituire un danno, la prima domanda è se ci si può rifiutare di farsi prelevare un campione di DNA. Tanto più che le informazioni genetiche trascendono il singolo, coinvolgendo tutto il suo gruppo familiare: tutte le persone legate ad un “sospetto” sarebbero esposte ad una intollerabile intrusione.
Per quali ragioni si potrebbe giustificare la violazione di un domicilio tanto privato quale il nostro profilo del DNA?
Come potrebbero essere usate queste informazioni? Le garanzie contro i possibili abusi, offerte dal disegno di legge sulla Banca dati nazionale del DNA, sembrano poco rassicuranti. Come si può giustificare la violazione di un diritto tanto fondamentale quale la tutela dei propri dati personali?
Quale “sicurezza” può spingere a violare l’intimità e la privacy? La sicurezza non può essere ridotta ad un ideale astratto cui sacrificare la vita privata di alcuni cittadini in carne ed ossa. È paradossale invocare un principio per giustificarne la violazione. È una pessima e diffusa abitudine invocare la sicurezza per annientare la libertà e la giustizia.
Le domande sono troppe, e le risposte elusive o assenti.
Colpisce, poi, come l’antiscientismo diffuso in questo caso prenda le sembianze del suo alter ego: la fiducia cieca e smisurata per la dimostrazione assoluta di colpevolezza (la “certezza” della prova) tramite il DNA, ottenuta quasi magicamente – neanche si trattasse di un episodio di CSI, celebre telefilm americano che ha reso famosa la polizia scientifica (e in cui i colpevoli sono sempre incastrati dal DNA!).
l’Unità, 27 settembre 2008
domenica 28 settembre 2008
Ma sicurezza non vuol dire privacy
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4 commenti:
La privacy contrapposta alla sicurezza sociale, tema caldissimo da quando caddero le due torri a New York. Negli Usa hanno capitolato, riconoscendo la necessità e l'efficacia di un controllo più forte per il bene di tutti, e noi? Mah, difficile negare la crescente diffusione di forme di criminalità nuove, in cui la dubbia identità degli attori gioca un ruolo chiave, penso che ci dovremo adattare a sacrificare parte della nostra privacy.
D'altra parte viviamo in un periodo in cui ci viene chiesto da più parti di rinunciare alla difesa ad oltranza della nostra privacy, fino alla rinuncia alla nostra stessa integrità fisica, penso al dibattito complesso e delicatissimo sulla dichiarazione di morte cerebrale a scopo di espianto. Difficile affermare che in alcuni casi il diritto alla privacy e alla propria integrità deve decadere per il bene di tutti, mentre in altri casi no. Rimango della mia idea, sui temi della bioetica c'è troppa politica e poco uso di una ragione oggettiva
Mi attendo frotte di integralisti ribellarsi contro una pratica con potenziali ricadute eugenetiche da far impallidire la diagnosi preimpianto. Unite in un cor solo alle folle urlanti di creazionisti che contestereanno rabbiosamente la validità del metodo genetico per il riconoscimento della parentela, lo stesso identico metodo di indagine che dimostrerebbe la nostra parentela a diversi gradi col resto del mondo animale (ed è quindi da rigettare in toto come metodo).
P.S. per Annasamo: in questo momento a me riesce impossibile conciliare le due frasi "ci viene chiesto [...] di rinunciare alla difesa ad oltranza della nostra privacy, fino alla rinuncia alla nostra stessa integrità fisica, penso al dibattito [...] sulla dichiarazione di morte cerebrale a scopo di espianto" e l'altra: "sui temi della bioetica c'è [...] poco uso di una ragione oggettiva". Anche perché le due cose non hanno a che fare nulla l'una con l'altra, fatto che con la ragione oggettiva poco si accorda.
Colpisce, poi, come l’antiscientismo diffuso in questo caso prenda le sembianze del suo alter ego
Scusa, ma non credo di aver capito. L'antiscientismo sarebbe dove?
difficile negare la crescente diffusione di forme di criminalità nuove, in cui la dubbia identità degli attori gioca un ruolo chiave, penso che ci dovremo adattare a sacrificare parte della nostra privacy
Annasamo, guarda che anche la violazione della e la minaccia alla privacy è una "nuova forma di criminalità".
Prova a informarti su quello che succede nel Regno Unito, il paese europeo dell'iper-sorveglianza capillare (ovviamente a fini di "sicurezza"!), infòrmati su come, più e più volte, i dati personali di milioni di cittadini siano andati persi o rubati per la negligenza(?) di chi doveva controllare, dati finiti chissà dove e nelle mani di chissà chi, infòrmati sull'uso illecito che è stato fatto dei video registrati dalle telecamere di sorveglianza...
Magari dopo possiamo cominciare a discutere su cosa sia "sicurezza" e cosa sia "privacy".
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