mercoledì 29 luglio 2009

Pillola abortiva: stop alle infezioni

È attesa per domani la decisione del consiglio di amministrazione dell’Agenzia italiana per il farmaco (Aifa), che dovrebbe dare il via libera all’ammissione della pillola abortiva, la RU-486, nel sistema sanitario italiano. Quella che dovrebbe essere una scelta dovuta appare ancora in forse, stante il fuoco di sbarramento del fronte integralista in queste ultime ore; si segnala fra l’altro una lettera che Carlo Casini, presidente del Movimento per la vita, ha inviato al presidente dell’Aifa, in cui si pretende che «il numero delle donne decedute a seguito dell’assunzione della Ru486 sarebbe salito a 29» (Casini confonde – spero involontariamente – le morti dovute all’uso come abortivo della RU-486 con quelle dovute all’uso compassionevole, che a parte tutte le considerazioni del caso, non sono necessariamente donne).
Si può sperare che nella sua decisione il Cda dell’Aifa tenga conto delle prove scientifiche disponibili, e in particolare di un tassello importante che si è aggiunto il 9 luglio scorso.
In quella data è apparso sull’autorevole New England Journal of Medicine uno studio condotto dalla Planned Parenthood Federation of America, il principale fornitore di servizi per la salute riproduttiva negli Stati Uniti (M. Fjerstad et al., «Rates of Serious Infection after Changes in Regimens for Medical Abortion», NEJM 361, 2009, pp. 145-51). Come si sa, la fonte maggiore di preoccupazione riguardo alla pillola abortiva consiste in un numero relativamente elevato di infezioni anche gravi, che in 7 casi accertati hanno portato alla morte delle pazienti per shock settico da infezione di batteri della famiglia Clostridium (in altri due casi, di cui uno mal documentato, lo shock settico si è manifestato in concomitanza di aborti farmacologici tardivi eseguiti con misoprostolo – un farmaco che viene usato per agevolare l’espulsione del prodotto del concepimento – ma senza la pillola abortiva vera e propria). Misteriosamente, tutte queste morti si sono verificate in America del Nord (sei negli Usa e una in Canada), mentre in Europa, dove pure la pillola abortiva è usata da più tempo e più estensivamente che in America, non si è verificato neppure un decesso di questo tipo. Questa strana circostanza ha suggerito che il fattore causale decisivo consistesse nel modo di somministrazione del misoprostolo, che negli Stati Uniti viene per lo più usato per via vaginale, mentre in Europa è somministrato spesso per via orale; inoltre nel Regno Unito e in Svezia, in occasione dell’aborto farmacologico vengono molto spesso somministrati preventivamente antibiotici. Planned Parenthood ha pertanto organizzato lo studio di cui stiamo parlando, che ha coinvolto 227.823 donne ed è durato tre anni e mezzo. Durante una prima fase è stata monitorata attentamente la salute delle donne che effettuavano l’aborto farmacologico secondo la modalità pre-esistente; il tasso di infezioni gravi rilevate è stato dello 0,093%, e si è verificata anche una delle morti attribuite a Clostridium. Il decesso – l’unico avvenuto durante lo studio – ha portato alla fase 2: la somministrazione vaginale del misoprostolo è stata sostituita da quella buccale (da non confondersi con orale: la compressa viene tenuta in bocca fino all’assorbimento, non ingoiata); contemporaneamente le pazienti sono state suddivise in due gruppi: al primo gruppo è stata somministrata routinariamente una dose dell’antibiotico doxiciclina, mentre il secondo è stato sottoposto a un esame per la presenza di clamidia ed eventualmente di gonorrea, e trattato in caso di esame positivo. Nella terza fase la dose preventiva di doxiciclina è stata estesa a tutte le pazienti, mentre in una quarta fase è stata riportato a 63 giorni il termine massimo dall’inizio della gravidanza ammissibile per l’aborto con RU-486 (che è inefficace ad età gestazionali più avanzate), come nella prima fase, mentre nella seconda e nella terza fase era stato ridotto a 56 giorni. Ebbene, la riduzione del tasso delle infezioni serie fra la prima e l’ultima fase è stata di uno spettacolare 93%, portando il tasso assoluto allo 0,007%.
Lo studio di Planned Parenthood soffre di qualche limitazione metodologica (che peraltro sarebbe difficile superare); per esempio non è in grado di stabilire se l’assunzione per via buccale sia da sola effettivamente più sicura di quella vaginale (in uno dei decessi per shock settico l’assunzione era stata buccale, senza somministrazione preventiva di antibiotici; negli altri sei casi la somministrazione era stata per via vaginale). Lascia inoltre non analizzati i possibili vantaggi della modalità di somministrazione orale (identificati in uno studio fondamentale apparso nel 2008 sul Journal of Immunology: D.M. Aronoff et al., «Misoprostol Impairs Female Reproductive Tract Innate Immunity against Clostridium sordellii», 180, pp. 8222-30), che d’altra parte è leggermente meno efficace delle altre e provoca più effetti collaterali. Ma lo studio costituisce certamente un passo importante per chiarire le cause dei decessi per shock settico collegati all’aborto farmacologico e per individuare un protocollo d’impiego alternativo che riduca il rischio a livelli comparabili a quelli dell’aborto per aspirazione (annullare il rischio è purtroppo impossibile, come per ogni altra pratica medica), contribuendo a dissipare le perplessità che ancora circondano la pillola abortiva – anche se, va ripetuto, il problema delle morti per shock settico ha finora riguardato soltanto il Nord America, dove appunto esisteva un differenziale di mortalità rispetto all’aborto chirurgico. Se la profilassi preventiva a base di antibiotici non è priva di qualche possibile controindicazione, va detto però che, come rivela lo stesso studio, almeno per quel che riguarda gli Stati Uniti essa è impiegata da anni anche per gli aborti chirurgici.

Un ultimo cenno alle morti non da shock settico (che lo studio qui presentato non tratta), verificatesi in concomitanza con un aborto eseguito con RU-486 entro la nona settimana di gestazione, cioè con modalità paragonabili a quelle che andranno in uso in Italia se l’Aifa darà il suo benestare. A oggi, i decessi accertati di questo tipo sono 6: due dovuti a cause già eliminate o facilmente evitabili (uno per infarto dovuto a un farmaco coadiuvante non più in uso, uno per gravidanza ectopica non diagnosticata); due la cui relazione causale con l’aborto è ignota o dubbia (uno per emorragia gastrica, uno per porpora trombotica trombocitopenica); due per emorragia uterina.
La RU-486 può non corrispondere all’idea di pillola-senza-problemi che alcuni si sono fatta: come tutti i farmaci può comportare effetti indesiderati anche importanti. Ma certo non merita – oggi meno che mai – l’odiosa etichetta di kill pill che alcuni vorrebbero imporle.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Eppoi è ridicolo tutto questo concentrarsi solosulla pillola abortiva quando ci sono decine di altri farmaci che tra gli effetti collaterali hanno quello di condurre alla morte

annarosa ha detto...

il "kill" della pillola è riferito a chi viene ucciso sempre: il figlio.

Giuseppe Regalzi ha detto...

@Annarosa:

Da Avvenire del 1 giugno 2006: «A chiarire una volta per tutte che di "kill pill" si tratta ci pensa l’1 dicembre la più importante rivista medica internazionale, il New England Journal of Medicine: dati alla mano, si dimostra che la mortalità per aborto chimico è 10 volte maggiore di quella per aborto chirurgico».

Una volta effettivamente il "kill" era riferito agli embrioni; poi, quando ci si è resi conto che trattare le donne da assassine non portava da nessuna parte, si è deciso di giocare la carta della salute femminile, e il riferimento è cambiato. La propaganda sa essere flessibile, a volte...