La notizia, pubblicata il 28 ottobre scorso su Nature, che da cellule staminali embrionali sarebbero state derivate cellule germinali, progenitrici di spermatozoi e ovociti, ha generato il prevedibile sciame di commenti, oscillanti fra l’allarmismo infondato e l’indignazione compiaciuta. Colpisce in particolare la sconfortante uniformità con cui nei giornali italiani di ieri si è cercato di far passare il concetto che la scoperta aprirebbe la strada alla nascita di bambini privi di genitori: anche trascurando le volgarità di Libero («Che disastro, non ci saranno più i figli “di buona donna”», p. 23), in cui si cerca come d’abitudine di titillare le sordide paranoie e l’infondato senso di superiorità della canaille microborghese che costituisce il pubblico naturale di quel giornale, l’idea trova ospitalità sulle colonne della Stampa («bambini concepibili […] senza mamma e papà»; il titolo – indegno – è «Il papà di Dolly e i dubbi sul seme di Frankenstein», p. 13) e del Corriere («procreare, estremizzando, senza padre o senza madre»; la sfumatura di prudenza si perde nel titolo: «Le nascite senza genitori. La vita dalle staminali», p. 29). Paradossalmente è più prudente Avvenire, che almeno pone i propri terrori in prospettiva («Un’altra possibile deriva verso la vita “artificiale”», p. 6), mentre col Giornale ritorniamo all’ossessione dominante («Generazione X: così i bimbi nasceranno senza genitori», pp. 16-17), aggravata dalle curiose concezioni dell’articolista («Spermatozoi artificiali […] e ovuli artificiali […] accoppiati in una provetta potrebbero arrivare a fare tutto da soli: creare un embrione, un futuro essere vivente senza l’intervento di mamma e papà»: perché, spermatozoi e ovuli naturali accoppiati in una provetta o anche in una tuba di Falloppio cosa fanno? Hanno bisogno di essere accompagnati per mano?) e da qualche metafora infelice («scienziati che masticano cellule staminali da una vita»). Ci vuole Carlo Flamigni, intervistato dalla Stampa per un soprassalto di sanità mentale («“Passo fondamentale per battere la sterilità”», p. 13), per far notare ciò che dovrebbe essere ovvio a chiunque sia in possesso della dotazione minima di buon senso (e di un diploma di scuola superiore):
Allora professore, ci saranno bambini concepiti già «orfani»?E naturalmente anche la prospettiva di generare bambini con gameti tratti da staminali è abbastanza remota; per adesso l’unica possibile applicazione della scoperta è lo studio dei fattori che influiscono su sperma e ovociti per determinare sterilità e infertilità.
«Assolutamente no, mi sono stupito quando ho sentito questa sciocchezza. I genitori ci sono eccome e sono le persone dalle quali sono state estratte le cellule staminali. I cromosomi sono i loro. La creazione di bambini senza genitori presuppone la creazione di materiale genetico e siamo mille miglia lontano. È fantascienza».
La cosa più grave, però, non sono le reazioni semi-pavloviane di cronisti fuori dal loro elemento, che cercano nel titolo ad effetto la maniera più spiccia per sbrigarsi e tornare a casa per la cena, ma bensì i commenti in teoria più meditati. In essi il legame con la realtà fattuale dell’annuncio degli scienziati di Stanford, già particolarmente esiguo nelle cronache passate in rassegna più sopra, viene del tutto abbandonato in favore di una sorta di associazione libera di parole e concetti, in cui a uno stimolo meramente verbale («bambini senza genitori») si risponde con ciò che per primo passa per la mente, in modo da far affiorare alla coscienza incubi e nevrosi personali. Così, sempre sul Giornale («Se la scienza ruba emozioni e incontri a uomini e donne», p. 17), per Annamaria Bernardini De Pace, celebre avvocato matrimonialista, la scoperta odierna «toglie definitivamente valore alla coppia»; inoltre, «qualche mamma sarà persino felice di non deformare il suo corpo; di non “partorire con dolore”, ma non potrà mai apprezzare la carezza dell’uomo amato al suo pancione e il primo strillo del bambino che si stacca da lei». Qui il lettore si ferma smarrito: cosa c’entra mai questo scenario da fantascienza con la produzione di gameti a partire da cellule staminali? Il fatto è che l’autrice s’è immaginata – Dio solo sa perché – che a Stanford abbiano tratto dalle cellule staminali, «per una sorta di autogerminazione, sperma e ovuli, tanto che non esisterebbero più né l’altro genitore biologico né, forse, l’utero formativo»; una sorta di partenogenesi combinata con utero artificiale, di cui non c’è ovviamente nessuna traccia nel lavoro degli scienziati (unire a caso gameti derivati da un solo individuo servirebbe oltretutto solo a ottenere embrioni affetti da malformazioni gravissime).
Ancora sul Giornale («Quei figli di nessuno condannati alla follia dal delirio dei medici», p. 17), Claudio Risé associa «la costruzione di figli di nessuno, di essere [sic] umani fabbricati in laboratorio […] senza nessun contributo né di un padre né di una madre» alla sua annosa personale battaglia in favore del ritorno alla figura del padre autoritario:
Quando la mamma non c’è, non guarda e non tocca il suo cucciolo, quello che gli psicologi chiamano Io non si costituisce […]. Quando il papà non è presente, e non aiuta i figli a uscire dalla fusione che si instaura con la madre nelle prime settimane di gravidanza e continua per anni, il soggetto umano non si forma […] Negli ultimi trent’anni, in cui i padri assenti, o espulsi dal matrimonio sono diventati fenomeno di massa, le statistiche hanno mostrato che questi figli senza padre rappresentano in ogni paese il gruppo di testa dei principali disagi psichici, dalle tossicomanie agli atti di violenza, dai disturbi alimentari alle depressioni.Di nuovo: cosa c’entra questo con la scoperta di cui parla Nature? L’unica possibilità di dare un senso a queste righe è che Risé abbia indebitamente generalizzato la notizia (già in partenza fasulla), interpretandola in maniera estensiva e passando quindi dal piano biologico a quello sociale: i bambini non sarebbero solo concepiti in laboratorio, ma – sembra di capire – vi verrebbero anche cresciuti.
La famiglia è spesso un problema, ma non averla per niente è peggio.
Risé, ad essere sinceri, conclude l’articolo con un appello condivisibile: «Tuttavia di fronte al sinistro circo Barnum tecnoscienza & mercato dei bambini, preoccupiamoci pure, ma non cadiamo nell’isteria»; ma l’esempio che subito dopo ci fornisce di reazione non isterica è questo:
È proprio ciò che gli scienziati pazzi vorrebbero, per poter dire che gli amanti della natura sono poveri matti retrogradi, e loro i sani. Per contrastare i loro scenari avidi, occorre lucidità e sangue freddo. In fondo, non sono passati neppure due secoli da quando, nel 1916 [sic], Mary Shelley, spinta da Lord Byron a scrivere un racconto gotico, vide in un incubo uno studente, Victor Frankenstein, che si inginocchiava di fianco ad una creatura che aveva costruito; e questa, grazie a qualche forza ancora sconosciuta, mostrava segni di vita. Era l’annuncio della tecnoscienza, ed il primo grido di allarme per i suoi futuri deliri. Non serve scandalizzarsi per le visioni umane, vanno però messe sotto controllo. O sono guai.Scienziati pazzi, «scenari avidi», il mostro di Frankestein e i deliri della tecnoscienza: non c’è che dire, una risposta proprio compassata...
Queste risposte, fra l’isterico e lo stralunato, a una scoperta che si sarebbe dovuta accogliere invece con interesse e apertura, ci mostrano ancora una volta come il sentimento antiscientifico dominante sia un segnale di grave pericolo per il progresso del nostro paese; progresso non solo civile ma anche materiale, non tanto perché la scienza costituisce il motore ultimo della crescita economica, ma perché là dove si reagisce con terrore inarticolato a ogni minima opportunità e a ogni minimo rischio, lo spirito di intraprendenza non può essere che morto da un pezzo.
Aggiornamento 1/11: da leggere la riflessione di Michele Serra (nell’«Amaca» di ieri) su come è stata data la notizia.