Evito in genere di leggere Camillo Langone, giornalista cattolico della redazione del Foglio e collaboratore di fogli consimili, da quando rivendicò di fronte a un omosessuale «il diritto a essere omofobo, a provare schifo dinanzi a due omosessuali, a sentirmi a disagio per il fatto che si parli con questa pacatezza di omosessualità» (a Otto e Mezzo, su La7, il 24 maggio 2006). Perché mettere a rischio la digestione con un personaggio del genere? Oggi però devo sospendere momentaneamente questa basilare regola igienica, viste le polemiche scatenate da un articolo di Langone apparso ieri su Libero («Togliete i libri alle donne e torneranno a far figli», 30 novembre 2011, p. 17). L’articolo non delude le aspettative suscitate dal titolo: dopo l’usuale allarme sulle culle vuote e sull’invasione straniera, conclude affermando che
gli studi più recenti denunciano lo stretto legame tra scolarizzazione femminile e declino demografico. La Harvard Kennedy School of Government ha messo nero su bianco che «le donne con più educazione e più competenze sono più facilmente nubili rispetto a donne che non dispongono di quella educazione e di quelle competenze». […]L’indignazione, come ci si poteva aspettare (e come in particolare si aspettava sicuramente Langone) è stata enorme – per adesso soprattutto su social networks e blog, dove i tempi di reazione sono più rapidi; ma forse, più che indignarsi, sarebbe produttivo andare a cercare la fonte di queste affermazioni. Cosa ha davvero messo «nero su bianco» la Harvard Kennedy School of Government?
Il vero fattore fertilizzante è, quindi, la bassa scolarizzazione e se vogliamo riaprire qualche reparto maternità bisognerà risolversi a chiudere qualche facoltà.
Così dicono i numeri: non prendetevela con me.
Langone non specifica – figuriamoci! – fonti più precise, ma una rapida ricerca ci rivela che si sta rifacendo a un commento apparso sul Sole 24 Ore dell’8 agosto 2010 («Se i continenti si dividono sulla moglie che lavora»). L’articolo informa brevemente su uno studio compiuto da Ina Ganguli, Ricardo Hausmann e Martina Viarengo, tre studiosi appunto della Harvard Kennedy School of Government, che hanno indagato la relazione fra livello di scolarizzazione delle donne e legami di coppia. Il Sole riassume una delle tendenze chiave individuate dallo studio con le stesse identiche parole usate da Langone: «le donne con più educazione e più competenze, utili a una professione all’infuori delle mura domestiche, sono più facilmente nubili, rispetto a donne che invece non dispongano di quelle competenze». Tutto bene, allora? Dobbiamo lasciar perdere Langone e prendercela con Harvard? Da qualche parte, però, una campanella di allarme sta squillando. Perché il titolo dell’articolo del Sole è «Se i continenti si dividono sulla moglie che lavora»? E perché a un certo punto lo stesso articolo attacca a parlare di «donne latinoamericane»? Di quali donne si occupa, esattamente, lo studio di Harvard? Ce n’è abbastanza per andare a controllare la fonte originale; ma Langone a quanto pare non l’ha fatto. Magari non ha avvertito nessuna incongruenza; ma non sarebbe comunque obbligatorio per un giornalista rifarsi alle fonti originali? E se non l’ha fatto lui, perché non ci ha pensato Libero? – ok, ok, non ridete, ritiro subito l’ultima domanda...
Il Sole ha un comodo link allo studio originale (I. Ganguli, R. Hausmann and M. Viarengo, «“Schooling Can’t Buy Me Love”: Marriage, Work, and the Gender Education Gap in Latin America», HKS Faculty Research Working Paper Series RWP10-032, June 2010, file pdf). A p. 6 troviamo la conferma di quello che già sospettavamo: lo studio ha preso in esame 43 paesi – di cui 10 latino-americani – e ha determinato che in 27 di questi paesi (9 dei quali latino-americani) effettivamente le donne meno istruite tra 30 e 55 anni di età hanno maggiori probabilità di sposarsi delle donne più istruite; ma nei rimanenti 16 paesi è vero il contrario: qui sono le donne più istruite a sposarsi più facilmente (i dati dovrebbero risalire al 2005 o agli anni immediatamente precedenti). Questo ci dice una prima cosa: che non c’è nessuna «legge di natura» che stabilisca che una donna istruita è meno propensa a sposarsi (ma anche se ci fosse, nessuno ovviamente sarebbe autorizzato a trarne le conclusioni di Langone); devono entrare in gioco fattori culturali e/o sociali propri di certi paesi, in linea di principio modificabili.
Qualche indicazione su quali siano questi fattori ce la dà l’elenco dei paesi, che trovate nel grafico qui sotto (fate clic sull’immagine per ingrandirla), in cui le nazioni si trovano tanto più in basso quanto più la probabilità di essere sposate delle donne istruite sopravanza quella delle donne meno istruite.
Come notano gli autori (p. 7), tra i paesi più ricchi sono Regno Unito, Canada, Paesi Bassi e USA (in ordine crescente) quelli in cui le donne istruite si sposano di più delle meno istruite, mentre «gli otto paesi [del campione] in cui più degli altri le donne istruite hanno meno probabilità di essere sposate sono cattolici» («The top eight countries where skilled women are less likely to be married are Catholic»). Ma lasciamo pure da parte quella che potrebbe essere solo una coincidenza.
Si potrebbe obiettare a questo punto che in questo gruppo di otto nazioni quella in cui è più marcato lo svantaggio delle donne istruite è, dopo Spagna e Bolivia, proprio l’Italia. Dato che difficilmente il nostro paese potrebbe trasformare in breve tempo le proprie strutture socio-culturali per assomigliare a Paesi Bassi e USA, ecco che la raccomandazione di Langone – meno libri alle donne – avrebbe, pur nel suo estremismo paradossale, una certa ragion d’essere. Senonché il nostro studio contiene una seconda classifica: quella dei paesi in cui sono gli uomini istruiti ad avere meno probabilità di essere sposati rispetto agli uomini meno istruiti... E indovinate qual è, dopo Ruanda e Cambogia, la disgraziata nazione che guida questa classifica? Bravi: è proprio l’Italia. Per cui la ricetta di Langone, per risultare massimamente efficace, dovrebbe essere: meno libri per tutti. E chissà, magari non sarebbe neanche sbagliata: di braccia rubate all’agricoltura, come si suol dire, se ne trovano parecchie fra i nostri intellettuali e giornalisti...
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