venerdì 5 settembre 2014

Le unioni civili all’italiana


«Unioni civili alla tedesca», aveva promesso Matteo Renzi. In Senato stagnano alcuni disegni di legge, ché i diritti civili sono spesso rimandati perché l’economia e la disoccupazione sono questioni più importanti e più urgenti. Eccoli: Disciplina delle unioni civili (Manconi e Corsini); Modifiche al codice civile in materia di disciplina del patto di convivenza (Maria Elisabetta Alberti Casellati ed altri); Introduzione nel codice civile del contratto di convivenza e solidarietà (Giovanardi ed altri); Disciplina dei diritti e dei doveri di reciprocità dei conviventi (Barani e Alessandra Mussolini); Normativa sulle unioni civili e sulle unioni di mutuo aiuto (Alessia Petraglia ed altri); Modifiche al codice civile in materia di disciplina delle unioni civili e dei patti di convivenza (Marcucci ed altri) e Unione civile tra persone dello stesso sesso (Lumia ed altri). L’articolo 1 della prima, per esempio, stabilisce che: «1. Due persone maggiorenni, anche dello stesso sesso, di seguito denominate «parti dell’unione civile», possono contrarre tra loro un’unione civile per organizzare la loro vita in comune. 2. La registrazione dell’unione civile è effettuata, su istanza delle parti della stessa unione, e in presenza di due testimoni maggiorenni, dai soggetti di cui all’articolo 3». In tutti i casi, ovviamente, sono disegni di legge che mirano a istituire le unioni civili. A cosa servirebbero le unioni civili? «A creare diritti che oggi non ci sono, a rimediare alla presente ingiustizia» è la risposta.


Non sei uguale a me ma siamo pari
Leggendo la relazione introduttiva di Carlo Giovanardi si ha però la sensazione opposta. «La Corte costituzionale ha ribadito in una recente sentenza che la famiglia, come scolpita nell’articolo 29 della Costituzione, è «società naturale fondata sul matrimonio» fra un uomo ed una donna, come la stessa Corte ha più volte avuto modo di precisare. La Costituzione, all’articolo 31, pone tale famiglia, in particolare in presenza dei figli, in una situazione privilegiata fermo restando il principio fondamentale dell’articolo 3 che recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Tutti i cittadini sono uguali ma alcuni sono più uguali di altri. È un dubbio intrinseco in qualunque istituzione x che vale per alcuni cittadini z e non per altri. «Il matrimonio è un’altra cosa! Diritti singoli, ma non esageriamo».

Next, 5 settembre 2014.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Molto, molto sommessamente farei notare al docente che la Corte non ha affatto recuperato l'orginal intent dell'art. 29 Cost. (recuperare l'original intent è un procedimento interpretativo di diritto anglosassone finalizzato al notwithstanding della norma stessa, notwithstanding che, come è fin troppo chiaro, non è avvenuto).

Anonimo ha detto...

La Corte (in 138/10), con l'espresso riferimento ai lavori preparatori, sembra avere piuttosto utilizzato il c.d. Argomento psicologico (ricorso alla volontà del legislatore concreto), teoria interpretativa che promuove "la fissità dell'applicazione normativa, richiede per ogni mutamento l'azione dell'organo legislativo (da http://www.dircost.unito.it/SentNet1.01/def/sn_descrizione_argomenti.shtml)

Anonimo ha detto...

Adesso partecipo costruttivamente.
Chiarito che servirebbe una legge che non c'è, io dico che c'è invece un solido orientamento della Cassazione in materia di convivenza more uxorio che attribuisce ai conviventi il nucleo essenziale dei diritti dei coniugi (e forse anche una tutela più ampia di quella di alcuni progetti normativi suindicati).
L'estensione dei diritti garantiti da tale orientamento giurisprudenziale ai conviventi more uxorio omosessuali potrebbe essere obbligata in base a principi antidiscriminatori e, nel contempo, potrebbe evitare di scontrarsi con il limite costituito dall'interpretazione restrittiva dell'art. 29 cost.
(Un precedente in tal senso è Corte d'Appello di Milano, 31-08-2012 che, ad es., ha esteso all'omoconvivente le prestazioni di una pensione privata, riconosciuta contrattualmente al convivente).
Il maggior limite di questa giurisprudenza è che però non regola i rapporti tra i conviventi ed i componenti delle loro "famiglie" originarie.