sabato 9 gennaio 2010

Ad Avvenire non piace il Consiglio d’Europa

Avvenire, il giornale della Conferenza Episcopale Italiana, è tornato ad occuparsi della Corte europea dei diritti dell’uomo (Gianfranco Amato, «I consueti bersagli “cattolici” dell’ormai solita Corte», 7 gennaio 2010, p. 2). Questa volta la materia del contendere non è il crocifisso ma l’aborto: tre donne irlandesi, costrette ad andare ad abortire in Gran Bretagna, hanno fatto ricorso alla Corte contro il loro paese, che non consente l’interruzione volontaria di gravidanza se non in caso di grave pericolo per la vita della donna (e anche qui solo in teoria: la legge che dovrebbe regolare questi casi ancora non esiste).

A prescindere dal merito dei singoli casi pendenti avanti la Corte (prima il crocifisso, ora l’aborto), la questione più generale che si pone è di capire se sia ammissibile che la cultura, la tradizione, i valori e persino le norme approvate in Parlamento attraverso un processo democratico possano essere messe in discussione da un organismo internazionale artificialmente creato e del tutto avulso dal contesto che è chiamato a giudicare. Il paradosso si ingigantisce se si considera che quella cultura, quelle tradizioni, quei valori e quelle leggi appartengono a uno Stato membro dell’Unione Europea e possono essere smantellate da un organismo che con l’Unione non ha nulla a che vedere. Sì, perché la «Corte europea dei diritti dell’uomo», non è un’istituzione della Ue e non va confusa, come spesso accade, con la Corte di giustizia europea, che invece è, a tutti gli effetti, un’importante componente dell’architettura istituzionale comunitaria.
Gli strenui difensori dei princìpi liberali e democratici si dovrebbero porre il problema se sia giusto consegnare la sovranità popolare di un Paese membro della Ue nelle mani di 17 uomini delle più disparate estrazioni, visto che fanno attualmente parte della Corte anche giudici provenienti da Turchia, Macedonia, Albania, Montenegro, Moldavia, Georgia e persino dall’Azerbaigian. Sono costoro che hanno la facoltà di giudicare cultura, tradizioni, valori e leggi di Paesi civili e democratici del Vecchio Continente come l’Irlanda e l’Italia, accomunati – guarda caso – dal «difetto» di essere entrambi di tradizione cattolica.
A leggere queste righe, sembra quasi che l’Irlanda sia stata invasa in un recente passato da un esercito di Turchi, Albanesi e persino Azerbaigiani, che l’avrebbero costretta a sottostare a un iniquo trattato. E invece la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali è stata liberamente ratificata il 25 febbraio 1953 dalla Repubblica Irlandese, sesto stato a farlo. Si tratta di un trattato internazionale che vincola chi l’ha firmato, e che può comunque essere denunciato in qualsiasi momento, secondo le modalità previste dal suo stesso articolo 58.
Incomprensibile appare poi l’osservazione sul fatto che la Corte europea dei diritti dell’uomo non è un’istituzione dell’Unione Europea. Giusto correggere la confusione che molti (soprattutto integralisti cattolici) continuano a fare; ma l’autore sembra trarne per conseguenza una qualche mancanza di legittimità. Sì, la Corte è un’istituzione del Consiglio d’Europa (di cui l’Irlanda è, al pari dell’Italia, uno degli stati fondatori), non dell’Unione; e con ciò? Forse il problema è la presenza di stati non sufficientemente «civili» e «democratici», i cui giudici sono chiamati a giudicare modelli di virtù come l’Italia e l’Irlanda? Lasciamo stare il politicamente corretto: in effetti alcuni membri del Consiglio d’Europa, e quindi della Corte, non hanno tutte le credenziali democratiche a posto (solo alla Bielorussia, l’ultima vera e propria dittatura del continente, è stato impedito di aderire; un altro stato europeo ha scelto autonomamente di non entrare a farne parte). Ma ad Amato sembra sfuggire l’enorme importanza di quella presenza: i cittadini di quei paesi hanno la possibilità di adire la Corte per la difesa dei propri diritti fondamentali. Sarebbe difficile garantire questa possibilità senza trattare allo stesso tempo quegli stati da pari; del resto, la Corte offre sufficienti garanzie, mi pare, di un giusto processo. E ovviamente a finire sul banco degli imputati non ci sono solo sempre i poveri paesi cattolici...

Si consoli comunque Gianfranco Amato: coi tempi che corrono, è del tutto possibile che – almeno nel nostro paese – qualcuno decida che la Tradizione e i Valori e le Leggi non debbano più sottostare a questa strana invenzione nordica che sono i diritti umani, e che l’Italia abbandoni di conseguenza il Consiglio d’Europa. Per decisione autonoma, o perché buttata fuori a calci.

25 commenti:

Marco ha detto...

Ma la cosa più divertente, è vedere come prima tutti avevano taciuto sul fatto che la Corte dei diritti del l'uomo non fosse un organismo dell'UE, per alimentare l'idea di un'Europa anticristiana perché disconoscente le fantomatiche "radici cristiane"; mentre ora sottolineano bene l'estraneità della Corte per far passare l'idea che non l'Europa, bensì i turchi, i macedoni, gli albanesi, i montenegrini, i moldavi e i giorgiani stiano lavorando per distruggere la "Tradizione" e i "Valori" europei che vogliono far passare per cattolici attribuendole alle suddette radici.
Insomma, non gli è riuscito prima di far trovare il Nemico nell'Europa; ora tentano di identificarlo nel turco.

old ha detto...

Sig marco, per lei la corte europea dei diritti dell'uomo è asiatica? americana? africana, forse?
Chi ha fatto riferimento alla corte, ha citato l'appartenenza dei suoi componenti, per indicare che un organismo non cattolico sicuramente non va a giudicare pro cattolici.
come se Berlusconi chiedesse di giudicare il suo operato al partito democratico e in base a questo giudizio muoversi di conseguenza!
o come se per giudicare la bontà di una legge nel mio paese, mi affido alla giurisdizione di un altro paese in cui quella legge non vale!
Queste sono solo polemiche che non portano da nessuna parte.

Stefano Vaj ha detto...

Non credo di essere sospettabile di tenerezze verso la religione dei diritti dell'uomo, su cui ho anche scritto un libro (cfr. http://www.dirittidelluomo.org), esattamente a favore della libertà dei popoli di darsi gli ordinamenti che credono.

Ma come può un cattolico, che dell'universalismo giusnaturalista fa necessariamente la propria bandiera, ad invocare la sovranità democratica contro una corte che è chiamata ad applicarlo al di là degli "errori" dei legislatori umani, e una corte la cui giurisdizione è stata riconosciuta e creata, per ciò che riguarda il nostro paese, da governi cattolici che le hanno deliberatamente delegato parte della propria sovranità?

Direi che queste contestazioni sono uno dei peggiori esempi di bispensiero e di gesuitismo che il fronte clericale possa mai produrre...

Anonimo ha detto...

Certo che è strano che questo Dio dei cattolici, pur essendo onnipotente e onnisciente, debba a tutti i costi essere difeso da leggi e obblighi e divieti imposti dagli uomini... Forse che senza obblighi e imposizioni, tutta questa magnificenza della Chiesa finirebbe nel dimenticatoio? Proviamo ad abrogare l'8x1000, e lasciamo alla libera scelta dei cattolici l'onere di contribuire alla grandezza della loro Chiesa... vogliamo vedere in quanti mesi (o in quante ore...) il potere della Chiesa tornerebbe a livello di movimento marginale?

marco ha detto...

Old forse non ha letto bene il mio commento, perché vedo che non ha colto minimamente il succo, ma glielo rispiego. Quando la Corte ha detto - semplifico - "non al crocifisso per legge in classe", diversi commentatori, e sopratutto cattolici, hanno ben taciuto il fatto che la suddetta "Corte dei diritti dell'uomo" fosse europea solo per quanto riguarda la sede fisica, ma non per quanto riguarda la sua giurisdizione che in realtà è mondiale.
Ora invece hanno messo bene i puntini sulle i specificando che la Corte non fa parte degli organi dell'UE (cosa che prima invece hanno lasciato credere), ma l'attaccano, cercando di delegittimarla, puntando sulle nazionalità di parte dei suoi membri, nell'evidente tentativo di far percepire la Corte come una lunga manus dell'islam che tenta di distruggere i valori cristiani.
Evidentemente si sono resi conto che la prima strategia demonizzatrice non funzionava e hanno cambiato rotta giocando la carta del mamma li turchi.
Non mi pare di aver fatto alcuna polemica, cosa che invece ha fatto sia l'autore dell'articolo e lei, e mi permetta di dirle che le vostre sono sì polemiche delegittimatrici che non portano da nessuna parte.

old ha detto...

Ho capito benissimo quello che vuol dire Marco, forse non ha capito lei cosa io dicevo.
Certo che la mia diventa polemica, quando risponde ad una polemica!
Infatti ho concluso dicendo che sono solo polemiche!

All'anonimo che ha scritto prima di lei, e se si desse un nome sarebbe meglio per tutti, rispondo semplicemente.
L'8permille è facoltà di ognuno nella dichiarazione dei redditi già da parecchi anni.
Quindi non si capisce in che epoca viva questo soggetto.
La polemica sollevata poi sugli obblighi divieti (??) onnipotenza divina...le ricordo che se per ipotesi, sicuramente non esisterà dio, ma se esistesse e mettesse in pratica la sua onnipotenza, sarebbe costretto ad inginocchiarsi a vita!
Quindi fortunati tutti al mondo che siamo liberi di credere o meno, caro anonimo!
Così lei si tiene la sua libertà di non credere ed io di credere!
Non so se mi sono spiegato!

Ma poi scusate, cosa pretendete, un paese di cattolici che non difende ciò in cui crede?
Allo stesso modo un paese di laici, non è libero di farlo?

Sono proprio tutte polemiche!

Stefano Vaj ha detto...

No, per la verità la CEDU non è un organo né della Unione Europea, né tanto meno "mondiale", ma del Consiglio d'Europa, i cui membri sono elencati qui: http://www.coe.int.

Al di fuori di tale ambito la stessa non ha ovviamente alcuna giurisdizione.

Magar ha detto...

Ma poi scusate, cosa pretendete, un paese di cattolici che non difende ciò in cui crede?
Allo stesso modo un paese di laici, non è libero di farlo?


Veramente non esistono "paesi di cattolici" e "paesi di atei" (suppongo che per "laici" intendessi non credenti): le credenze in materia di religione sono individuali, non collettive.
E in Irlanda al più c'è una maggioranza cattolica che difende le leggi che le consentono di opprimere le minoranze religiose (o semplicemente i cattolici poco praticanti).

Tra parentesi noto come l'argomento di Avvenire, se applicato con coerenza, neghi ad un osservatore cattolico il diritto di criticare le violazioni dei diritti umani compiute dal regime islamico sciita di Teheran o da quello ateo di Pechino...

Stefano Vaj ha detto...

@Magar:
<>

Io veramente ho un altro angolo su tale aspetto (in realtà le credenze collettive esistono eccome, e quella nella libertà di parola è una di queste).

E sta nel fatto che io non sono clericale, non penso e non voglio che l'Italia lo sia, e trovo ipocrita e gesuitico da parte di chi non manca occasione per strombazzare la sua opinione che i valori siano oggettivi, eterni ed universali richiamarsi ad un "relativismo democratico" di cui filosoficamente rappresentano la negazione.

Magar ha detto...

La credenza nella libertà di parola, per l'appunto, non è una credenza in materia di religione.
Non è nemmeno qualcosa che sia legittimo scegliere o meno a livello di "popolo", in realtà, dato che l'individuo, con il suo diritto all'autodeterminazione, precede la comunità di appartenenza (concetto quanto mai vago e ambiguo).

Stefano Vaj ha detto...

@Magar:
<>

Cosa impedisce a qualcuno pensare che, che so, il monopolio religioso islamico è altrettanto non negoziabile e sottratto a qualsiasi discussione democratica, sulla base dell'idea che la volontà di Dio o la Verità precede la comunità di appartenenza (e del resto anche l'autodeterminazione individuale)? Nulla, e sospetto che tale ipotetica opinione non sia così lontana da quello che davvero pensa un wahabita.

Significa semplicemente che tu e lui appartenete a due "religioni" diverse...

Rendersene conto non vuol dire pensare che "tutti i punti di vista sono uguali" - versione travisata del relativismo, che dice al contrario che tra tutti i punti di vista possibili il mio è diverso proprio perché... è il mio - ma forse rendere più facile la comprensione reciproca e il dialogo.

Magar ha detto...

Lo impedisce il fatto che se io nego a Tizio il diritto di autodeterminarsi, allora legittimo implicitamente Tizio a negare altrettanto a me.

In pratica il wahhabita, se escludesse l'argomento chiave che ricorre all'autorità divina ("Agisci così perché Allah lo vuole"), dovrebbe autorizzare moralmente una maggioranza, diciamo brevemente così, "leghista" a negargli il diritto di espressione o di culto, a calpestare la sua volontà anche quando essa non calpestasse quella altrui. Tanto l'autodeterminazione individuale non conta, no?
Dubito che il wahhabita lo accetterebbe di buon grado.

Stefano Vaj ha detto...

"Lo impedisce il fatto che se io nego a Tizio il diritto di autodeterminarsi, allora legittimo implicitamente Tizio a negare altrettanto a me."

Di fatto questo non gli impedisce affatto di pensarla come si diceva, tanto è vero che... lo fa.

Ciò che in fondo avete in comune è pensare che vi sono cose di per sé evidenti al di fuori di cui non vi sono scelte di valori diverse (o magari opposte), ma semplicemente l'"errore".

Stefano Vaj ha detto...

Lupus in fabula...

'Bioetica, l'appello del Papa a politica e scienza
"La legge morale vale anche per non credenti"'.

a http://www.repubblica.it/esteri/2010/01/15/news/bioetica_papa_credenti-1956411/

Io penso sia giusto un pochetto contraddittorio immaginare che qualcosa in cui non credo valga anche per me, se non eventualmente nel senso che in quanto "giusta" mi deve essere imposta a tutti i costi...

Giuseppe Regalzi ha detto...

Ammettiamo per un attimo che "sia giusto un pochetto contraddittorio" immaginare che qualcosa in cui non credi valga anche per te; ma questo non vale come argomento per bloccare chi te la vuole imporre, giusto?, dato che non gli impedirebbe affatto di agire ai tuoi danni.

Magar ha detto...

Sì, ma lo impedirebbe ad un agente razionale, quale il wahhabita evidentemente non è.
Il suo errore sta proprio nell'accettare il presupposto fideistico che la sua intangibile divinità gli abbia ordinato di agire in una certa maniera, e che l'autorità divina conti più di qualunque opinione umana. E chiaramente se agisci sulla base della tua fede personale stai rifuggendo dal confronto razionale con gli altri individui.

E questo risolve anche il paradosso dell'"errore": la Verità assoluta cui il wahhabita fa riferimento è quella rivelata da un sedicente testo sacro, le evidenze su cui si basano i sostenitori dell'autodeterminazione individuale sono quelle di ragione, come tali discutibili su base razionale.

Stefano Vaj ha detto...

"Ammettiamo per un attimo che 'sia giusto un pochetto contraddittorio' immaginare che qualcosa in cui non credi valga anche per te; ma questo non vale come argomento per bloccare chi te la vuole imporre, giusto?, dato che non gli impedirebbe affatto di agire ai tuoi danni."

No, non credo che questo argomento gli impedisca di *tentare* di impormela, o di agire ai miei danni. Penso invece, in questo del tutto marxianamente,che glielo possa impedire la *resistenza concreta* che io sia in grado di esercitare e mobilitare... ;-)

paolo de gregorio ha detto...

Quindi, da una parte, chi è abbastanza numeroso e forte da essere fascisticamente libero di fare come vuole e tentare, spesso riuscendo, di imporlo agli altri. Dall'altra, chi è abbastanza forte o numeroso da essere capace di resistere "marxianamente". In mezzo, la moltitudine "normale" destinata alla cancellazione.

Comunque non tutti hanno in comune di "pensare che vi sono cose di per sé evidenti al di fuori di cui non vi sono scelte di valori diverse (o magari opposte), ma semplicemente l'errore". Per esempio per me i diritti non sono una religione (può darsi che io mi sbagli) ma parte di un patto. Se le persone con cui vivo lo stracciano dalla sera alla mattina vorrei che mi fosse detto, così ho il tempo di andarmene dove le persone la pensano ancora diversamente.

Magar ha detto...

Paolo, resta però il problema di capire se un "patto" in cui la maggioranza può calpestare la volontà di un individuo isolato (o appartenente ad una minoranza) su se stesso sia egualmente legittimo rispetto ad un "patto" in cui sia rispettata l'autodeterminazione individuale.

I patti di cui stiamo parlando sono alquanto sui generis, visto che non solo (come ricordavi tu) non possono identificarsi con l'attuale volontà della maggioranza (pena il rischio di poter essere iniquamente modificati da un giorno all'altro), ma difettano pure del consenso di chi si ritrova a a nascere in una comunità senza aver mai sottoscritto in prima persona clausole capestro (per esempio una che limiti la libertà di parola).

Stefano Vaj ha detto...

@paolo de gregorio:
In realtà, il patto presuppone un consenso. E ci sono persone che non tanto lo infrangono, quanto non si sono mai sognate di accettarlo, cosa che la finzione del "contratto sociale" alla Hobbes tende ad ignorare.

Ma su un punto siamo certamente d'accordo, ed è il fatto che la possibilità di "votare con i propri piedi" - finché dura e sino a che il sogno di una fine della storia, di un sistema mondiale, di un governo alla Brave New World capace di vanificare ogni residuo di sovranità popolari plurali, non si sarà davvero realizzato - da un lato è confortante per ciascuno di noi, dall'altro tende anche a porre alcuni limiti "darwiniani" e "concorrenziali" alla libertà d'azione dei governi.

paolo de gregorio ha detto...

@ Magar

Il mio patto non è con la democrazia in sé e per sé, ma con la Costituzione e con le convenzioni sui diritti. Se il paese dove vivo diventasse una democrazia non costituzionale (di nome o di fatto) me ne riparerei altrove. Ovviamente se al mondo sparissero del tutto queste forme di tutela non ci potrei fare nulla, ma finché qualcuna di esse (pur imperfetta) in giro vi restasse, ritengo di doverci provare.

@ Stefano Vaj

Sono sensibile anche io al fatto che ci sono sempre persone che non hanno sottoscritto nessun patto. A me piacerebbe per esempio che al mondo esistesse un isola, o penisola, o continente dove potessero riparare tutte le persone che non vogliono sottoscrivere nessun patto. La formula non mi concince, ma può convincere altri.

Ma una volta che il patto pur non sottoscritto è noto, non si può far finta che non esista, "quando si mangia nello stesso piatto": credo infatti che in giro per il mondo ci siano ordinamenti a palate dove cui almeno "tentare" di riparare se non si è soddisfatti. L'Est europeo è stata l'ultima grande frontiera quasi invalicabile.
E tutto ciò non vuol dire affatto che non si possa sempre mettere in discussione tutto, dal primo all'ultimo diritto, nella dialettica delle idee: dico solo che è bene parlare chiaro sugli obiettivi reali quando alcune persone, foss'anche la maggioranza, decidesse di stravolgere tutto con la propria forza (fisica o numerica).

Magar ha detto...

@Paolo

Il punto, a mio avviso, è che il tuo argomento non sfugge alla critica alla "religione dei diritti", se il patto non può essere definito dal popolo in totale autonomia, ma deve rispettare, ad esempio, le "convenzioni sui diritti". Se il 90% della popolazione desidera un patto sociale totalitario (in cui, poniamo, l'omosessualità è un crimine), seguendo plurisecolari tradizioni che privilegiano la comunità all'individuo, è legittimo criticare tale patto per mancato rispetto dell'autodeterminazione individuale? Oppure chi lo fa è una sorta di talebano che vuole imporre la sua personale "religione" dell'individuo a chi non la condivide?

(In realtà la risposta a questa domanda dipende, mi pare, da quanto sia realistica l'ipotesi che ogni individuo riesca a "scegliersi" il paese con il regime più soddisfacente.)

paolo de gregorio ha detto...

@ Magar

Il discorso diventa complesso e spero di riuscire ad essere sufficientemente sintetico.

Ovviamente non guardo ai diritti come ad una "religione". D'altro conto non do tutti i torti a Stefano Vaj nell'osservare che gli ordinamenti non possano essere imposti con la forza. Come se ne esce?

Io ritengo che la cosa che distingue effettivamente l'essere umano dalle altre specie animali sia l'accumulo di conoscenza, l'informazione acquisita. Se nel corso di una generazione disintegrassimo le conoscenze cumulate, la nostra specie sarebbe con ogni probabilità votata all'estinzione: priva ormai dell'adattamento naturale al proprio ambiente, plausibilmente non avrebbe tempo per riscrivere il libro umano prima di soccombere alle forze naturali.

La conoscenza include la storia sociale. Io ritengo che con elevata probabilità la maggior parte degli uomini a conoscenza del maggior numero di fatti sceglierebbe la via dei diritti, a maggioranza. Con la conoscenza, probabilmente, non ci sarebbe bisogno di imporre nulla. Non a caso l'autorità di un sistema è direttamente proporzionale alla censura o manipolazione che è necessario operare per nascondere alle persone parte della conoscenza ipoteticamente accessibile: questo vale per i regimi totalitari come per quelli teocratici.

In tali condizioni di censura della conoscenza acquisita è senz'altro preventivabile che le maggioranze stesse scelgano talvolta per la negazione dei propri diritti. Vale a dire che gli ordinamenti illiberali consensuali resistono soprattutto grazie alla manipolazione di quella parte della natura umana che rende proprio l'essere umano distinto dagli altri animali.

Il discorso di Stefano Vaj, quindi, secondo me ha il punto debole di doversi reggere sull'accettazione implicita della censura almeno di una parte della conoscenza acquisita. Come controprova dovremmo consentire ai popoli di avere accesso alla maggiore quantità di informazione possibile e poi vedere se essi continueranno a scegliere a maggioranza di non riconoscere i diritti. Eppure io non conosco un luogo della Terra, in tempi relativamente recenti (da quando cioè sono stati sperimentati i primi regimi liberali e ne abbiamo valutato i risultati), dove ciò sia accaduto: dove la maggioranza sia stata dalla parte opposta a quella dei diritti, senza che sia stato esercitato al contempo stretto controllo sull'informazione.

Quindi - a farla breve - la mia fiducia nella validità del paradigma liberale mi porterebbe ad aver fiducia nella non necessità di imporlo con la forza, purché la conoscenza non venga censurata: perché ritengo che esso sia, tra quelli sperimentati dall'Uomo sinora, oggettivamente il più desiderabile. Rimane la libertà di censurare, che io però paragono alla libertà di depauperare l'aria di ossigeno: la libertà stupida e sterile di togliere ossigeno alla specie umana.

Magar ha detto...

Beh, qui però il dibattito non era sulla necessità/opportunità di imporre un regime liberale con la forza, ma semplicemente sulla sua maggiore legittimità morale rispetto ad un regime popolar-totalitario. Quindi sulla legittimità degli argomenti usati dai gruppi di pressione pro-diritti.
(Ricordo che questa parte della discussione ha preso il la dalla definizione dell'Irlanda come "paese di cattolici", argomento usato per rintuzzare le richieste di tre donne laiche irlandesi e biasimare il loro pacifico ricorso alla CEDU.)

Sono poi d'accordo che la censura della conoscenza sia un fattore determinante nell'esistenza di regimi illiberali consensuali. Specie se vi comprendiamo la "censura preventiva" costituita da un precoce indottrinamento ideologico dell'individuo.
Però allora ritorniamo a pensare che quel consenso sia frutto di un "errore": lo vedi, che sei anche tu wahhabita come me! :p

Stefano Vaj ha detto...

"Sono poi d'accordo che la censura della conoscenza sia un fattore determinante nell'esistenza di regimi illiberali consensuali. "

In realtà, nessuno vieta di essere contro la censura (o anche di avere posizioni molto più "di merito" su una infinità di problemi). Io per esempio lo sono, e in forma molto più incondizionata e radicale di quanto preveda il quadro normativo oggi vigente in Europa.

La sovranità popolare deve infatti pur esercitarsi in una direzione o in un altra, e non che è chi attribuisce una rilevanza a tale sovranità cessi automaticamente di avere opinioni al riguardo, o di lottare perché questa si esprima in un modo conforme alle sue idee.

La questione è appunto se l'attività legislativa si riduca ad una mera attività "notarile" o "tecnica" di norme "naturali" o comunque a contenuto prefissato; o se invece un popolo abbia il potere di autodeterminarsi con riguardo agli ordinamenti che lo reggono.