giovedì 14 gennaio 2010

L’esempio dei musulmani americani

Marilisa Palumbo ci offre qualche dato e qualche utile riferimento sulla condizione dei musulmani americani, che sembrano confutare quanti sostengono la non integrabilità degli islamici («Musulmani americani. Una storia di buona integrazione», Europa, 13 gennaio 2010, p. 5). Ho aggiunto i link ai documenti citati.

«Se si contasse il numero di musulmani americani, saremmo uno dei più grandi paesi musulmani al mondo». Così Barack Obama a giugno, intervistato dalla rete francese Canal Plus alla vigilia del discorso al mondo islamico pronunciato al Cairo.
Il presidente parlò in quell’occasione di sette milioni di cittadini americani di religione musulmana (la Casa Bianca disse di aver preso il dato dal Cia World Fact Book), ma in realtà non si hanno cifre esatte: il censo Usa non chiede ai suoi rispondenti la loro affiliazione religiosa.
Le stime, tutte approssimative, variano comunque tra i 2,3 e gli otto milioni (con oltre 1200 moschee sul territorio).
Al di là delle cifre, quel che colpisce a guardare gli islamici d’America – e che anche il primo presidente ad avere come middle name Hussein sottolineò – è il loro livello di integrazione nella società, di gran lunga superiore a quello dei musulmani in Europa (come conferma un sondaggio Gallup dell’anno scorso).
Secondo molte ricerche (tra le ultime e più affidabili una del Pew Research Center che risale al 2007), la maggioranza dei musulmani americani appartiene alla classe media, ha un buon livello di istruzione (il 60 per cento circa è laureato, contro il 30 circa della popolazione nel suo insieme), e dispone di un reddito medio superiore alla media nazionale.
Non è facilissimo dire a che cosa si debba questa success story (che ovviamente, come nota la Palumbo nel seguito dell’articolo, ha anche qualche ombra: dopo l’11 settembre sarebbe stato un miracolo se non ce ne fossero state). Personalmente ritengo che la risposta vada cercata in buona parte nel classico American dream: la prospettiva del successo personale – prospettiva concreta, anche se non sempre raggiunta – costituisce un premio cospicuo allo sforzo di «giocare secondo le regole», di adeguarsi alle norme sociali. Allo stesso tempo, un paese composto di immigrati pone probabilmente di meno l’ostacolo del pregiudizio nei confronti delle minoranze, il che aiuta enormemente l’integrazione. Il problema dell’Europa è allora di riuscire a riprodurre queste condizioni; non è facile – e non per colpa dei musulmani.

9 commenti:

Stefano Vaj ha detto...

"Maggiore integrazione" dei musulmani americani rispetto a quelli europei è un modo di vedere la cosa. "Maggiore alienazione e déracinement" dei medesimi (che negli USA comunque più probabilmente immigrano sulla base di una previa adesione all'american way of life piuttosto che per disperazione o nella speranza di rendere gradualmente il paese parte di Dar-el-Islam) è un'altra.

In effetti, d'altronde, esiste anche l'Islam polemico di cittadini USA immigrati non sono affatto (es. spezzoni significativamente attivi della comunità afroamericana) e che si convertono proprio per marcare la propria volontà di rottura con il resto della società, percepita non a torto come intrinsecamente giudeocristiana.

Giuseppe Regalzi ha detto...

"Maggiore alienazione e déracinement": se si essenzializza l'identità culturale e religiosa, fino a farne sostanza della persona, allora le cose si possono considerare anche in questo modo, suppongo...

old ha detto...

Forse gli stati uniti d'america hanno radici storiche alla pari di quelle italiane? o Europee?

A me vien da pensare subito che se l'integrazione dei musulmani americani ha fruttato il crollo delle due torri, allora possiamo star freschi.

In ogni caso regalzi, se si essenzializza l'identità politica, fino a farne sostanza della persona, può accadere la stessa cosa.
Inevitabilmente le persone credono in qualcosa, non necessariamente di religioso.
Se non si ha ragionevolezza nella vita, questo qualcosa caratterizza inevitabilmente la persona.

paolo de gregorio ha detto...

Old, tra quelli che fecero crollare le torri nessuno era musulmano d'America. D'Europa sì, eccome. In che modo quindi le torri crollate smentirebbero l'articolo, me lo ridica un po'?

El Castigador ha detto...

-- l'integrazione dei musulmani americani ha fruttato il crollo delle due torri --

A voler essere precisi, le due torri sono crollate in seguito a un secolo di "integrazione" polito-militare del Medio Oriente nella sfera di interessi angloamericana, prima tramite il colonialismo, poi il neocolonialismo; quest'ultimo portato avanti negli ultimi trent'anni sostenendo alternativamente regimi fascio-dittatoriali (Saddam Hussein, Mubarak, Musharraf e altri) o medieval-integralisti (la famiglia regnante saudita, o i mujahiddin afghani in chiave antisovietica).

old ha detto...

Paolo de gregorio, appunto, secondo lei i musulmani sono gli stessi degli stati uniti o quelli nostri che vorremmo e dovremmo integrare!
In questo caso prendere d'esempio gli stati uniti, sempre che lo si possa fare, non ha utilità per noi.

paolo de gregorio ha detto...

Old: "In questo caso prendere d'esempio gli stati uniti, sempre che lo si possa fare, non ha utilità per noi".
Cioè, voglio capire: se è vero che in Europa l'integrazione dei musulmani è più difficile, vedere come si comporta la gente in USA, per scoprire come avviene questa integrazione, è del tutto inutile? Allora la conclusione è che non ci interessa proprio che ci si integri...
Bella scoperta, allora, che ci sono persone che non si integrano.

old ha detto...

Non si tratta di strade o ponti, de gregorio, si tratta di persone che fanno e che si comportano diversamente.
Dire che negli stati uniti gli americani sono stati bravi e i loro musulmani si sono integrati, per dire che noi siamo cattivi, razzisti e islamofobi è pura ipocrisia.
La realtà alla base è totalmente diffenrente.

paolo de gregorio ha detto...

Mi arrendo Old. Io non ho detto che siamo razzisti eccetera, stavo dicendo totalmente un'altra cosa. Ma lei non la comprende, o più probabilmente fa orecchie da mercante.