È un vascello fantasma, un relitto che continua a restare a galla nonostante cada a pezzi. A bordo, un popolo di spettri disperati che convivono con topi, rottami, sporcizia: esseri umani a cui è stata negata ogni dignità. Nell’Italia incapace di fare i conti con l’immigrazione la storia della nave-lager di Crotone supera ogni classifica di vergogna. Il mercantile arrivò sulle coste calabresi quattro anni fa con un carico di “clandestini”. Sulla fiancata il nome turco che incuoteva terrore alla cristianità: Genzihan ossia Gengis Khan, il flagello di Dio. Era una nave-madre dei trafficanti di uomini, che trasbordava i nuovi schiavi gettandoli in mare a bordo di gommoni.Ennesimo racconto di un orrore evitabile (di Eduardo Meligrana, su l’Espresso del 29 luglio scorso).
Sessanta alla volta, su un pezzo di plastica lanciato verso il litorale ionico. Grazie a un aereo spia, la Guardia di finanza riuscì a individuarla e a far scattare l’abbordaggio: un’operazione da manuale, con gli scafisti turchi in manette e i loro passeggeri-vittime trasferiti nel vicino Centro di identificazione crotonese. Il mercantile catturato dalle Fiamme gialle venne condotto in porto e dimenticato dalle autorità: è diventato uno scheletro galleggiante. Poco alla volta, è caduto in rovina, saccheggiato, in parte incendiato: la torretta - completamente bruciata, come gli interni - sembra la metafora dell’impossibilità di guardare oltre.
mercoledì 10 agosto 2011
La nave dei disperati
domenica 28 novembre 2010
Favoreggiamento all’immigrazione clandestina
Milano, la questura denuncia il medico che ha curato l’immigrato sulla torre, Il Corriere della Sera, 28 novembre 2010.
mercoledì 29 settembre 2010
Arrivano i ratt!
Sarà pure una campagna infame, ma ci dovrebbe essere familiare no («Ci rubano lavoro». L’offesa svizzera
con quel topo anti italiano, Il Corriere della Sera, 29 settembre 2010)?
Ecco allora un esercizio utile: fa effetto sentirsi dire (o sentir dire a un proprio connazionale, per quanti hanno spirito patriottico) che gli italiani rubano il lavoro? Pensate a tutte le volte che è stato detto dagli italiani.
Bala i ratt. A me sembra quasi uno scherzo, ma spesso mi accade che mi sembrino scherzi affermazioni serissime.
domenica 29 agosto 2010
Grazie, Riccardo Staglianò
E se la servitù è sempre esistita, aggiunge Riccardo Staglianò, autore di Grazie (Chiarelettere, pp. 240, euro 14,60) prima era possibile solo per i ricchi. Ora c’è una servitù low cost. Il cambiamento sociale è profondo: quasi chiunque può avere il suo schiavo. Questo però è possibile grazie agli immigrati, privati dei diritti fondamentali e sottoposti a ritmi e condizioni di lavoro esasperanti.
Ci sono delle storie di virtuosa integrazione?
Vedelago è una di queste. È un caso di eccellenza, unico in Italia anzi in Europa, dove si ricicla il 90 percento dei rifiuti. San Francisco, che ha la reputazione di essere uno dei luoghi più ricicloni, arriva al 70 percento. Vedelago è diventato famoso di recente per la questione dell’inno di Mameli intonato dopo Va’ pensiero. Ma a Vedelago c’è una signora veneta, Carla Poli, che insieme ai suoi figli ha costruito una impresa da far invidia. In una zona leghistissima, con sistemi sofisticati e grazie alle braccia degli stranieri.
La tv svizzera ci ha fatto un documentario. L’attitudine laicissima della signora è stata vincente, non solo giusta. Adesso per la prima volta dopo 15 anni gli italiani sono venuti a bussare alla sua porta. E lei ha detto: “questo lavoro noi lo facciamo da sempre e gli italiani non si sono mai visti. Perché ora dovrei licenziare i miei uomini per assumere italiani? I miei sono stati formati e sono ottimi lavoratori. E poi magari gli italiani, passata la crisi, non ne vorranno sapere di stare tra i rifiuti!”. I suoi uomini fanno la cernita tra pvc, plastiche di vario tipo, vetro, selezionando nel mucchio di immondizia che scorre continuamente lungo un nastro. Bisogna essere precisi e veloci, chi si ferma rallenta il ciclo. Sono contenti di farlo, c’è una atmosfera splendida di rispetto e questo meccanismo virtuoso di legalità conviene anche economicamente.
Com’è possibile che ci siamo dimenticati di quanto è successo ai nostri nonni, di come venivano trattati? Com’è possibile che nessuno ricordi Pane e cioccolata?
Credo che questo Paese soffra di una specie di malattia neurodegenerativa.
Cancellare ricordi umilianti e dolorosi è anche un meccanismo psicologico e molto umano. È una strategia comprensibile, però c’è un salto ulteriore: questo accantonamento sembra diventare risentimento feroce verso chi ci ricorda come eravamo.
Stiamo compiendo una specie di bizzarra vendetta. Non tutti, naturalmente; ma pensiamo a come la Lega Nord investe e ingrassa la paura, a come trasforma il ricatto in strategia elettorale. Il vangelo del sospetto, ecco qual è il loro mantra politico.
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domenica 18 luglio 2010
Grazie
Stasera alle 21.30 ci sarà la presentazione di Grazie di Riccardo Staglianò. Ci sarà Antonio Pascale e ci sarò anche io.
Spazio Rinascita, a Caracalla.
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sabato 8 maggio 2010
Moderna schiavitù: Come un uomo sulla terra
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giovedì 14 gennaio 2010
L’esempio dei musulmani americani
Marilisa Palumbo ci offre qualche dato e qualche utile riferimento sulla condizione dei musulmani americani, che sembrano confutare quanti sostengono la non integrabilità degli islamici («Musulmani americani. Una storia di buona integrazione», Europa, 13 gennaio 2010, p. 5). Ho aggiunto i link ai documenti citati.
«Se si contasse il numero di musulmani americani, saremmo uno dei più grandi paesi musulmani al mondo». Così Barack Obama a giugno, intervistato dalla rete francese Canal Plus alla vigilia del discorso al mondo islamico pronunciato al Cairo.Non è facilissimo dire a che cosa si debba questa success story (che ovviamente, come nota la Palumbo nel seguito dell’articolo, ha anche qualche ombra: dopo l’11 settembre sarebbe stato un miracolo se non ce ne fossero state). Personalmente ritengo che la risposta vada cercata in buona parte nel classico American dream: la prospettiva del successo personale – prospettiva concreta, anche se non sempre raggiunta – costituisce un premio cospicuo allo sforzo di «giocare secondo le regole», di adeguarsi alle norme sociali. Allo stesso tempo, un paese composto di immigrati pone probabilmente di meno l’ostacolo del pregiudizio nei confronti delle minoranze, il che aiuta enormemente l’integrazione. Il problema dell’Europa è allora di riuscire a riprodurre queste condizioni; non è facile – e non per colpa dei musulmani.
Il presidente parlò in quell’occasione di sette milioni di cittadini americani di religione musulmana (la Casa Bianca disse di aver preso il dato dal Cia World Fact Book), ma in realtà non si hanno cifre esatte: il censo Usa non chiede ai suoi rispondenti la loro affiliazione religiosa.
Le stime, tutte approssimative, variano comunque tra i 2,3 e gli otto milioni (con oltre 1200 moschee sul territorio).
Al di là delle cifre, quel che colpisce a guardare gli islamici d’America – e che anche il primo presidente ad avere come middle name Hussein sottolineò – è il loro livello di integrazione nella società, di gran lunga superiore a quello dei musulmani in Europa (come conferma un sondaggio Gallup dell’anno scorso).
Secondo molte ricerche (tra le ultime e più affidabili una del Pew Research Center che risale al 2007), la maggioranza dei musulmani americani appartiene alla classe media, ha un buon livello di istruzione (il 60 per cento circa è laureato, contro il 30 circa della popolazione nel suo insieme), e dispone di un reddito medio superiore alla media nazionale.
mercoledì 13 gennaio 2010
Perché vivono in ghetti
Maurizio Ambrosini interviene su Lavoce.info a proposito della polemica sull’immigrazione ospitata dal Corriere della Sera, che ha visto contrapporsi Giovanni Sartori e Tito Boeri («Ma l’Italia è già multietnica», 12 gennaio 2010):
Si può convenire sul fatto che il presidio dei confini è una dimensione costitutiva della sovranità degli Stati moderni, per quanto democratici. Tutti dispongono di polizie di frontiera, richiedono passaporti, espellono all’occasione stranieri indesiderati. Nello stesso tempo, si obbligano a esaminare le istanze dei richiedenti asilo e ad accogliere quelli che ne hanno diritto, anche se arrivano, come in genere accade, violando le frontiere o usando documenti falsi. […]Da leggere tutto.
Altra cosa è una legge che definisce reato la permanenza sul territorio con un permesso turistico scaduto, da parte di persone che spesso lavorano. […] La legge è inapplicabile per mancanza di strutture e mezzi adeguati. Rischia di intasare la macchina della giustizia, di spingere gli immigrati irregolari verso condizioni ancora più marginali e contigue all’illegalità, di confermare alla fine il messaggio che in Italia le leggi sono severissime sulla carta, ma poco applicate nei fatti.
Qui si innesta un’altra questione. Gli immigrati irregolari non si insediano in Italia per colpa dei preti troppo accoglienti o degli intellettuali liberal, ma perché sono richiesti da molti datori di lavoro italiani, famiglie comprese, e non solo a Rosarno Calabro. […] La fermezza di facciata è contraddetta dall’inefficacia dei controlli sui luoghi di lavoro. In Francia sono stati arrestati in un anno 900 datori di lavoro di immigrati non autorizzati, in Italia questo non avviene.
Quanto ai mussulmani, il problema della penetrazione del fondamentalismo in queste comunità esiste. Ma vanno colti tre aspetti: 1) è un problema tipicamente europeo, negli Stati Uniti i circa 6 milioni di mussulmani non sono percepiti come una minoranza chiusa e ostile, non vivono in quartieri-ghetto, sono in gran parte istruiti e professionalmente qualificati. 2) Il fondamentalismo si nutre della discriminazione e dell’esclusione economica e sociale. I mussulmani in Europa non vivono in ghetti per loro scelta, ma perché non riescono a uscirne. E nei ghetti l’identità culturale e religiosa, l’unica risorsa accessibile a tutti, diventa facilmente un simbolo di opposizione a una società ostile ed escludente. In quei contesti la predicazione fondamentalista attecchisce più agevolmente. 3) Non è possibile, in un ordinamento democratico, né comprimere la libertà di culto, né impedire l’accesso alla cittadinanza per motivi religiosi, né indagare le opinioni di chi chiede di lavorare in Italia, di ricongiungersi con la famiglia o di diventarne cittadino. […]
Lascio da parte il problema dei giovani. Riesce difficile capire come si possa sperare di veder crescere lealtà e attaccamento al nostro paese a chi viene lasciato a lungo fuori della porta della cittadinanza, e costretto a lunghi e complicati procedimenti per accedervi, magari perché arrivato in Italia a due anni, o perché, nato qui, per un anno o due è stato accudito dai nonni al paese d’origine dei genitori.
La società italiana non sta diventando multietnica perché qualche scriteriato ha aperto le porte. Il cambiamento avviene per dinamiche ed esigenze che hanno origine all’interno della nostra società, e in modo specifico nel mercato del lavoro. In realtà noi produciamo ogni giorno la società multietnica, quali che siano le nostre opinioni al riguardo. Non è possibile utilizzare le braccia e rifiutare le persone, o negare loro di poter entrare un giorno a pieno diritto nella comunità dei cittadini di cui ormai, di fatto, fanno parte.
mercoledì 26 agosto 2009
La doppia etica della vita
Un articolo che vale la pena riportare integralmente: Chiara Saraceno, «La doppia etica della vita» (La Repubblica, 24 agosto 2009, p. 1).
Il Bossi che se la piglia con le parole di condanna del Vaticano sulla crudeltà dei respingimenti è lo stesso che parla di identità cristiana-cattolica e di valori cristiano-cattolici quando vuole contrapporre il “noi” italiano (e meglio ancora padano) al “loro” dei migranti. Il Giovanardi che dichiara che parlare di Shoah nel caso delle centinaia (migliaia) di migranti che muoiono lungo le vie della migrazione – nei deserti, nelle prigioni libiche, in mare – è lo stesso che non fa una piega quando papa e vescovi parlando dell’aborto come assassinio, che si è scatenato contro la pillola Ru486, che parla degli embrioni appena fecondati come fossero esseri umani da proteggere (purché italiani, ovviamente).
Insieme al governo e alla maggioranza di cui fanno parte, ed anche con l’attivo sostegno di una parte dei cattolici dell’opposizione, hanno sostenuto le posizioni della Chiesa in difesa della “vita nascente” e perché si continuino a mantenere artificialmente in vita corpi che hanno ormai perduto ogni traccia di vita umana. Hanno promosso leggi “in difesa della vita”. E sempre “in difesa della vita” si sono opposti e si oppongono fino allo spasimo vuoi a sentenze dei tribunali, vuoi a pareri dei medici e delle comunità scientifiche. Apparentemente va bene difendere gli embrioni (italiani) e accanirsi su corpi impotenti (italiani) in nome della vita e dell’etica cristiana, chiamando assassini coloro che invece cercano di distinguere tra esseri umani e esseri che non lo sono ancora o non più. Quando si tratta di immigrati invece cadono tutti i principi, tutte le norme di difesa della vita e della dignità della persona. Gli immigrati sono vite impunemente spendibili, senza valore, meno umani di un embrione al primo stadio e di un corpo da cui si è allontanato ogni barlume di coscienza e di capacità di vita (respirare, nutrirsi) autonoma. E questa siderale distanza nel valore attribuito alla vita umana che deve dare scandalo, non il fatto, in sé del tutto legittimo, di reagire anche duramente ad un giudizio della Chiesa cattolica. Non soccorrere chi è in pericolo, rimandare, come si sta facendo, chi arriva sulle nostre coste nei paesi da cui provengono senza contestualmente preoccuparsi dei rischi per la loro vita che in molti casi questo comporta – è uno scandalo in sé, a prescindere dalle idee che si hanno su aborto e fine vita.
Ma diventa intollerabile, inaccettabile, se queste azioni sono promosse da chi, quando si tratta di aborto, fecondazione assistita, fine vita e testamento biologico, dichiara di aderire al concetto di vita umana proposto dalla Chiesa cattolica e lo impone per legge a tutti. Per una volta, verrebbe da dire finalmente, la Chiesa cattolica ha usato nei confronti delle morti tra i migranti per mancanza di soccorso e solidarietà umana termini simili a quelli che normalmente riserva a chi decide di abortire o di porre fine a una vita solo artificiale. A mio parere si tratta di situazioni assolutamente incomparabili. E l’accusa di esagerazione, rivolta da Bossi e Giovanardi alle parole del vescovo Vegliò, presidente della pontificia opera per i migranti, dovrebbe riguardare piuttosto l’accusa ricorrente di assassinio per le donne che abortiscono e per chi pietosamente sospende le cure a chi non può vivere più. Non il fatto di denunciare le responsabilità politiche e umane di chi abbandona al proprio destino di morte i disperati delle migrazioni, impaurendo e minacciando di sanzioni anche chi vorrebbe aiutarli. Non è il laicismo che sta corrodendo le basi morali della nostra società. È piuttosto l’uso strumentale della religione per scatenare campagne amico-nemico, noi loro, buoni-cattivi, salvo poi rivendicare ogni possibile eccezione quando serve, nei comportamenti privati come nelle politiche pubbliche.
Postato da Giuseppe Regalzi alle 10:21 7 commenti
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lunedì 27 luglio 2009
Magari suona strano ma i cinesi in Italia non sputano per terra
Per costruire un pregiudizio spesso basta ascoltare e respirare l’aria che tira. Per demolirlo serve uno sforzo. Non ciclopico si intende, ma abbastanza impegnativo da scoraggiare i pigri affezionati del “si dice”. Se al pregiudizio si somma una paura il risultato può essere infausto.
“Vengono qua per fregare noi italiani in senso economico e morale”. “Prato è inquinata di tubercolosi perché i cinesi sputano per terra”. I cinesi, untori moderni, offrono una buona palestra di luoghi comuni. “Non si integrano”; “hanno la mafia alle spalle”. Fanno forse paura anche perché sono molti: erano 2.000 nel 1980; oggi sono circa 150.000.
Raffaele Oriani e Riccardo Staglianò demoliscono questi luoghi comuni e ci invitano a pensare a quanto siano simili a quelli che pesavano sugli italiani migranti di qualche tempo fa, quando erano costretti a lasciare famiglia e Paese per sopravvivere – basterebbe rivedere “Pane e cioccolato” o “Nuovo mondo” di Emanuele Crialese.
Ci raccontano la vita quotidiana dei cinesi in Italia partendo da un pretesto: Miss China in Italy, un concorso di bellezza per ragazze cinesi nato nel 2004. Dopo “I cinesi non muoiono mai” (altro luogo comune che va di gran moda) arriva per Chiarelettere “Miss little China”. Al libro è allegato un documentario scritto insieme a Riccardo Cremona e a Vincenzo De Cecco, che ne sono anche i registi.
Voci, testimonianze, paure. I debiti da saldare, perché un biglietto di sola andata per l’Italia può costare fino a 20.000 euro. Una instancabile attività che può farli diventare imprenditori nel giro di cinque anni, come racconta una giovane cinese, ma che crea anche l’astio di chi, da italiano, si sente defraudato. E poi le diversità della seconda generazione: molti sono arrivati da adulti; ma sono ormai molti anche quelli nati qui, quelli che parlano il dialetto locale e che dicono di non voler lavorare tutto il giorno e tutti i giorni come i genitori.
Oriani e Staglianò ci raccontano e ci mostrano tutto questo: e se anche leggere è troppo faticoso, i 60 minuti del documentario sono sufficienti per demolire un sacco di stupide idee.
(DNews, 27 luglio 2009)
Postato da Chiara Lalli alle 08:58 6 commenti
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mercoledì 4 febbraio 2009
Ufficio delazioni
L’ufficio delazioni è aperto ogni giovedì per due ore. Accetta segnalazioni, anche anonime, di tutti i turatesi che sospettano di avere come vicino di casa un irregolare. Non un inquilino abusivo tout court, ma proprio un extracomunitario senza permesso di soggiorno. Un’iniziativa del leghistissimo Comune di Turate per «invitare, senza razzismi, i cittadini ad autotutelarsi».Turate, nel Comune retto dalla Lega un ufficio per denunciare i clandestini, la Repubblica.
La decisione della giunta di Palazzo Pollini — un solido monocolore Lega Nord, con due sparuti consiglieri del centrodestra e tre soli colleghi all’opposizione del centrosinistra — è recentissima e pubblicizzata con apposito cartello all’ingresso della sede comunale. L’ufficio di controllo di polizia giudiziaria — a sinistra del portone — è aperto il giovedì dalle 12,30 alle 13,30 e dalle 14,30 alle 15,30. L’iniziativa, recita l’avviso, è nata “per accrescere la sicurezza urbana, contrastare la permanenza di stranieri irregolari sul territorio e verificare il rispetto della legalità”. Si accettano segnalazioni, firmate o “in forma riservata”.
martedì 28 ottobre 2008
La cattiva idea delle classi ponte
Un articolo informato e ragionevole sulla proposta delle classi-ponte per i bambini immigrati, sulla Voce (Maurizio Ambrosini, «Classi ponte? Un’invenzione italiana», 28 ottobre 2008):
Non si conoscono […], in epoca recente, precedenti nei paesi avanzati in cui si sia scelta la strada di classi separate per i bambini immigrati, anche se si danno molte esperienze di didattica speciale, volta al rafforzamento delle competenze linguistiche. Per esempio, in Australia o nel Regno Unito, i bambini sono inseriti nelle classi normali, ma inizialmente ricevono una formazione intensiva in lingua inglese, in gruppi separati e con insegnanti specializzati, mentre stanno in aula e lavorano con i compagni per materie come l’educazione fisica, l’educazione artistica, le attività manuali. Dopo qualche settimana, cominciano a diminuire le ore “speciali” e aumentano quelle “normali”, fino a giungere a una completa integrazione. Si tratta quindi di una soluzione diversa da quella delle classi “ponte” della mozione approvata dalla Camera, che istituisce contesti di apprendimento differenziati per gli alunni immigrati privi di adeguate competenze linguistiche.Da leggere tutto.
L’approccio francese tiene conto della concentrazione urbana dei bambini immigrati, così come di altre componenti sociali svantaggiate, aumentando il personale educativo e le risorse a disposizione delle scuole dei cosiddetti “quartieri sensibili”. All’investimento educativo si aggiunge un’attenzione più complessiva alla riqualificazione e allo sviluppo dei quartieri difficili, con la destinazione di risorse per l’animazione economica, sociale e culturale dei territori, in cui le scuole svolgono una funzione importante.
Gli unici esempi noti di classi separate sono quelli istituiti in passato da alcuni länder tedeschi: in quei casi però l’insegnamento si teneva nella lingua del paese d’origine dei genitori, principalmente turchi, e aveva l’obiettivo di favorire il ritorno in patria. Un obiettivo che si è rivelato illusorio, producendo disadattamento e mancata integrazione, con i costi sociali conseguenti.
Nel caso italiano, non siamo all’anno zero. In molte scuole, anche se su basi locali e volontaristiche, sono stati sviluppati laboratori di italiano come lingua seconda, sono stati introdotti facilitatori e mediatori, sono stati distaccati insegnanti con funzioni di sostegno dell’apprendimento. Il problema è semmai che già sotto la gestione di Letizia Moratti, il ministero aveva tagliato le risorse per queste attività. Il lieve incremento successivo è rimasto ben lontano dal compensare l’aumento della popolazione scolastica di origine immigrata. La percezione di un’emergenza educativa è drammatizzata dallo smantellamento delle risorse per fronteggiarla.
Le vistose concentrazioni in certe scuole e classi, inoltre, non sono un dato per così dire “naturale”. Spesso derivano da scelte organizzative che addensano in alcuni plessi e classi gli alunni di origine straniera. Il fatto stesso che alcune scuole abbiano investito maggiormente nella didattica interculturale non di rado diventa un pretesto per convogliare verso di esse gli alunni immigrati, “sgravando” le altre. Il volontarismo e l’attivazione locale hanno come contraltare il disimpegno e la resistenza passiva di altre istituzioni scolastiche. Un impegno per l’integrazione scolastica dovrebbe cominciare con il superamento di queste segregazioni di fatto, non giustificate da ragioni di concentrazione urbana.
lunedì 13 agosto 2007
Immigrati nel Luna Park del Mediterraneo (non è un parco giochi)
Luca Volontè (Immigrati ubriachi, rissa nel Cpa, Il Giornale, 13 agosto 2007) commenta a proposito di un tafferuglio – da tanto volevo usare questa parola – scoppiato in un centro di prima accoglienza a Foggia. Senza chiedersi le ragioni dello scambio poco cordiale di sassi tra immigrati e forze dell’ordine, ma forse Volontè condivide con il suo idolo l’onniscienza:
È l’ennesimo gesto che dimostra come l’Italia sia ormai considerata il Luna park del Mediterraneo, dove tutto è lecito e la violenza contro la polizia diviene un vanto […]. Se il premier Prodi […] si vanta nelle foto con gli ambulanti abusivi è chiaro che agli immigrati che sbarcano non si riesce a chiedere nessun rispetto delle leggi. Ci vogliono misure draconiane, altro che accoglienza [!].Non sapevo che Luna park (avrei scritto Luna Park, ma pazienza) avesse una accezione tanto negativa. Anche perché non è tutto lecito in un Luna Park (per esempio devi pagare il biglietto), a meno che Volontè non pensasse al paese dei balocchi pinocchiesco e si sia confuso. Magari da piccolo si sentiva in colpa quando mamma e papà lo portavano alla fiera paesana con le giostre, e quando gli hanno raccontato a grandi linee (già da piccolo mostrava insofferenza alla lettura) la storia di Pinocchio ha capito che tipo di punizione divina avrebbbe ricevuto se avesse continuato a frequentare tali luoghi di perdizione. Da altri racconti, poi, ha imparato che con le bestie non bisogna manifestare incertezze o debolezze, ma avere il polso fermo e nessuna pietà. Altrimenti se ne approfittano.