giovedì 18 febbraio 2010

A rene donato non si guarda in...

Nei mesi scorsi tre persone, due in Lombardia e una in Piemonte, si sono offerte di donare un rene a uno sconosciuto che ne avesse bisogno. A quanto affermano le agenzie di stampa, «il Centro nazionale trapianti ha riunito ieri i rappresentanti delle tre reti interregionali dei trapianti per verificare la possibilità legale di questa modalità utilizzata già in altri paesi ma ancora mai in Italia. La legge nazionale regola infatti la donazione da vivente fra consanguinei o persone con legame affettivo, oltre a vietare ogni forma di vendita» (Ansa, 17 febbraio 2010, 18:20). E oggi si annuncia che «il sottosegretario alla Salute, Eugenia Roccella, chiederà al Comitato nazionale di Bioetica (CNB) un parere urgente sull’offerta di donazione di organi da parte dei donatori cosiddetti samaritani» (Ansa, 18 febbraio, 12:14).

Tanta prudenza è sorprendente. La donazione di rene da vivente è regolata in Italia dalla legge 26 giugno 1967, n. 458 (G.U. 27 giugno 1967, n. 160), che all’art. 1 recita:

In deroga al divieto di cui all’articolo 5 del Codice civile, è ammesso disporre a titolo gratuito del rene al fine del trapianto tra persone viventi.
La deroga è consentita ai genitori, ai figli, ai fratelli germani o non germani del paziente che siano maggiorenni, purché siano rispettate le modalità previste dalla presente legge.
Solo nel caso che il paziente non abbia i consanguinei di cui al precedente comma o nessuno di essi sia idoneo o disponibile, la deroga può essere consentita anche per altri parenti e per donatori estranei [corsivo mio].
Questa possibilità è stata estesa dalla legge 16 dicembre 1999, n. 483, al trapianto parziale di fegato, con le stesse modalità della 458/67.
È vero che esistono delle «Linee guida per il trapianto renale da donatore vivente e da cadavere» (G.U. 21 giugno 2002, n. 144), frutto di un accordo fra il Ministro della Salute, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, che nella parte relativa alla donazione da vivente, all’art. 6, sembrano più restrittive:
Sul donatore viene effettuato anche un accertamento che verifichi le motivazioni della donazione, la conoscenza di potenziali fattori di rischio e delle reali possibilità del trapianto in termini di sopravvivenza dell’organo e del paziente, l’esistenza di un legame affettivo con il ricevente (in assenza di consanguineità o di legame di legge) e la reale disponibilità di un consenso libero ed informato.
Fatto abbastanza stupefacente, nella parte introduttiva del provvedimento la legge 458/67 non viene nominata; eppure essa è sicuramente ancora in vigore, tant’è vero che la si considera espressamente tale nel decreto Milleproroghe approvato dal Senato il 12 febbraio scorso! Come che sia, un provvedimento amministrativo, quale sono queste linee guida, non può modificare una norma di legge; la situazione legislativa è dunque chiara. Ne prendeva atto lo stesso CNB, seppure a malincuore, quando il 17 ottobre 1997 consegnava un parere sul «problema bioetico del trapianto di rene da vivente non consanguineo», in cui auspicava una revisione della normativa vigente, limitando il prelievo da vivente non consanguineo a chi si trovi a essere «“affettivamente vicino” al ricevente (ad esempio il coniuge, il convivente stabile o un amico)» (fortunatamente neppure i pareri del CNB possono modificare le leggi esistenti).

Le prese di posizione odierne non sono tuttavia molto incoraggianti. La stessa Roccella dichiara, con la solita esibizione di spietatezza (Enrico Negrotti, «Reni in dono, ma la legge non lo prevede», Avvenire, 18 febbraio, inserto «È vita», p. 3; dal titolo e dal testo si vede che il giornale della CEI ignora la legge vigente, ma nel suo caso l’ignoranza ha cessato da tempo di sorprenderci):
Siamo molto cauti, perché sono possibili strumentalizzazioni di tutti i tipi. La nostra idea in ogni caso è che il corpo non è un bene a disposizione, e quindi non può neanche essere un bene da regalare. Valuteremo questi casi specifici, ma la questione è complessa.
Il sottosegretario non rinuncia per l’occasione a una delle sue consuete uscite stralunate: come riporta la succitata agenzia Ansa di oggi, «Personalmente sono molto cauta – ha concluso Roccella – perché credo che il corpo sia la persona». Non chiedetemi cosa voglia dire (suppongo che la Roccella conservi religiosamente tutte le unghie che si taglia, parte integrante della propria persona...).
Fa eco alla Roccella, sempre dalle colonne di Avvenire, il professor Francesco D’Agostino, non a caso presidente del CNB all’epoca del parere sul trapianto da vivente:
«Poiché il trapianto di rene da vivente implica una grave lesione al corpo del donatore e poiché esiste il dovere etico di tutelare la salute di ogni vivente, sono contrario alla possibilità di donatori samaritani». Tale lesione è giustificata nella donazione a un parente stretto, ma «non in casi diversi».
Dopo aver teorizzato l’espropriazione brutale del corpo altrui, D’Agostino prosegue, secondo la tecnica argomentativa che gli è propria, con il dubbio gettato sulla libertà del volere dell’espropriato:
Occorre inoltre investigare le motivazioni di chi intende donare il proprio organo, che possono essere sbagliate: «Ad esempio da una sorta di narcisismo o autoesaltazione del soggetto, non dunque pienamente consapevole della scelta fatta».
Ricordiamo i termini della vicenda: quelle tre persone si sono dette pronte a donare i loro organi senza condizioni, senza conoscere nemmeno chi beneficerà del loro atto. Ipotizzare a priori «strumentalizzazioni» o forme di «narcisismo» è un insulto a sangue freddo che colpisce chi meno di tutti lo merita. L’arroganza dell’integralismo non arretra evidentemente di fronte a nulla, pur di non deflettere dal proprio principio supremo: che l’uomo non è padrone del proprio corpo. Che dei malati possano essere sottratti grazie a quei donatori a una esistenza di tormenti o addirittura a una morte dolorosa è evidentemente per Roccella e D’Agostino irrilevante: l’ideologia trionfa sulla vita.

È con una certa gratitudine che si trovano – ancora su Avvenire – parole diverse, e da una fonte che non ti aspetteresti. Afferma il vescovo Elio Sgreccia, presidente onorario della Pontificia Accademia per la vita: «Dal punto di vista bioetico, se è considerata lecita e meritoria la donazione di organi tra viventi quando si tratta di un fratello, un figlio o un coniuge, altrettanto si deve ritenere se la donazione avviene per una persona verso la quale non ci sono vincoli di parentela».
Ma la riconoscenza maggiore va naturalmente ai tre anonimi aspiranti donatori:
Voglio donare un rene, non voglio sapere a chi. Mi basta essere certa che si tratta di una persona che ne ha bisogno. Diceva così il fax ricevuto qualche tempo fa dal primario di un grande ospedale del nord-ovest. La mittente è una giovane donna che in cambio chiede solo l’anonimato e la cui identità è protetta dai sanitari che già sono in contatto con lei. «La solidarietà è un bene raro, lo voglio fare per questo», ha spiegato nel primo incontro con i medici, aggiungendo di non essere spinta a questo gesto da motivi religiosi ma solo umanitari e di solidarietà: «La vita è stata buona con me. Adesso voglio contribuire a fare del bene anche agli altri». Dello stesso tenore sarebbero le motivazioni degli altri due «samaritani» che hanno espresso simili intenzioni nell’arco di pochi mesi (Ansa, 17 febbraio, 20:52).

4 commenti:

paolo de gregorio ha detto...

La cosa più ironica (penso alle posizioni tipo Roccella e D'Agostino) è che viene chiamata donazione samaritana. In nome di questo nuovo integralismo, tutto in nome del corpo, non tarderanno a dire che Gesù offese Dio perché tradì l'integrità sacra del proprio corpo.

Quasi trasecolavo nel leggere le parole di Sgreccia, nell'aver pensato allo stesso modo: solo un minuto prima stavo proprio pensando che senso avesse, allora, essere favorevoli nel caso di consanguinei, ai quali si applicherebbero pari pari gli stessi ragionamenti. Evidentemente giunge in superficie, da R e D'A, anche una visione della società fatta a clan: si deve sempre amare la propria famiglia più del proprio prossimo, ovvero non è condonabile il fatto che si possa amare uno sconosciuto come un familiare ami un consanguineo; egli va fermato, prima che un'epidemia di altriusmo e generosità pervada una società ben imperniata sul primato esclusivo (nel senso di escludente) della famiglia di sangue.

Magar ha detto...

Ama il prossimo tuo come te stesso.
Se è consanguineo, altrimenti sei un narcisista che si autoesalta, probabilmente.

Direi che in certi alfieri della Vita (con la maiuscola) un'ideologia nuova sta soppiantando quella vecchia.

paolo de gregorio ha detto...

A proposito di "sei un narcisista che si autoesalta", c'è una massima cui non ho mai deciso quanto credere, ma che certe volte mi tenta: si dice che si criticano negli altri i propri difetti ...

filippo ha detto...

"Il corpo non è un bene a disposizione, e quindi non può neanche essere un bene da regalare".

Ma non si diceva, una volta, che non c'è amore più grande di chi dona la vita per il suo prossimo?