venerdì 24 settembre 2010

Mangiar bene?


Se Slow Food si limitasse a rappresentare i buongustai non ci sarebbe nulla da ridire: che c’è di male nel voler mangiare e bere bene? Ma se vuole porsi come soluzione alla fame nel mondo e ideologia salvifica, lo scenario cambia.
L’ideologia di Slow Food è il sottotitolo del libro di Luca Simonetti Mangi chi può. Meglio, meno e piano (Mauro Pagliai, pp. 120, euro 8,00), analisi impietosa e divertente di una associazione che è sintomo e interprete della condizione politica e dell’opinione pubblica italiane.

Che rapporto ha Slow Food con il linguaggio?
Ambiguo. È tipico del degrado culturale costruire trappole linguistiche. Faccio un esempio recente: Giorgio Fidenato, agricoltore friulano, decide di piantare mais geneticamente modificato in polemica con il Governo e la Regione (ma sostenuto da una sentenza del Consiglio di Stato e dalla normativa europea). Gli attivisti di Greenpeace gli devastano il campo. Il giorno dopo Slow Food costituisce un Presidio per la Legalità e contemporaneamente elogia l’azione, palesemente illegale, di Greenpeace. “Aspettiamo che il Ministero prenda provvedimenti” avvertono “altrimenti li prenderemo noi”. Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, scrive su la Repubblica del 3 agosto un pezzo intitolato Quei campi Ogm in Friuli sono un Far West da fermare, atteggiandosi a tutore della legalità. Fidenato è accusato di essere un cow boy e un delinquente perché non rispetta la legge: ma il Far West è proprio farsi giustizia da soli!

L’ignoranza è una condizione necessaria per sostenere tesi bizzarre, come quella che i fast food sarebbero figli dei tempi attuali e quindi da condannare?
Non sapere o fare finta di non sapere che il cibo “veloce” sia sempre esistito serve a giustificare la condanna della modernità e della tecnica, giudicate di per sé cattive. Slow Food ricostruisce il passato a suo piacimento ignorando la storia e occultando i reali processi di produzione: in un’inesistente età dell’oro tutti avrebbero assaporato i pasti con lentezza e in lieta compagnia, e tutti avrebbero avuto da mangiare. Ma in realtà anche i romani, i cinesi, gli aztechi mangiavano “fast food”, cioè cibi consumati rapidamente e a poco prezzo, e inoltre fino a tempi molto recenti la stragrande maggioranza della popolazione faticava a mettere insieme un pasto decente. Anche se poi fosse vero che i fast food sono innovazioni moderne, non sarebbe questa una ragione sufficiente per condannarli e per ricoprire di ingiurie i loro estimatori, da Slow Food definiti barbari, disumanizzati, stupidi e tristi.


Su Il Mucchio Selvaggio di ottobre.

3 commenti:

andrea ha detto...

Sono anni che in italia viene seminato mais e soia geneticamente modificato, solo non è stato scritto sui cartellini delle confezioni delle sementi!
Ora sembra uno scandalo se si palesa che un agricoltore semina ogm.
Ma per piacere! al mondo esiste il 90% della soia ogm e il 70% del mais, secondo questi di greenpeace e di slow food, le sementi da che piante di mais e di soia derivano??

Ma poi propio e solo in italia sarebbero stati seminati soia e mais non ogm per tutti questi anni!
Ma "mi facci il piacere" direbbe un celebre attore!

Circa i fast food, bè, in effetti sono un po' tristi, penso hai vari "mc" ma sono comodi e quindi giocano il loro ruolo nella ristorazione.
Poi se penso a "Walter" fa dei carrè in 2 minuti che sono da svenimento! altro che tristezza!
Sia ben chiaro però che a mio avviso è molto menglio la cenetta in tranquillità a casa, o nell'osteria, trattoria o locanda che si voglia!

Silvia ha detto...

non capisco molto il motivo per cui critichi in modo così aspro slow food
a me sembra che sia un movimento che intende valorizzare cibi e culture minoritarie nel mondo (vedi il prossimo Terra Madre a Torino) che c'è di male?

Mangiare piano è un bene, magari tutti potessero (sempre che ne abbiano voglia).

e poi: sarà anche che questo mondo bucolico fatto di pace e campagna non è mai esistito, ma non penso si possa negare che prima di questo cibo industriale che se lo conservi in frigo l'anno dopo è ancora lì pressappoco con lo stesso sapore di niente, esisteva (ed esiste ancora altrimenti non ne potrei parlare) un cibo fatto con una sapienza diversa, con un gusto diverso e con una consistenza diversa.
lo stesso dicasi per l'agricoltura e il modo di coltivare. c'è frutta e frutta, mele e mele, pomodori e pomodori, mi sembra abbastanza evidente. è un discorso di qualità e di tasche possono permettersela.

Slow food dovrebbe semmai essere per tutte le tasche e tutte le latitudini. se l'obiezione fosse questa sarei d'accordo.

Chiara Lalli ha detto...

Silvia, se avessi letto tutta l'intervista e il libro di Simonetti non mi faresti questa domanda.
Ti consiglio intanto questo: http://bioetiche.blogspot.com/2009/09/slow-food-non-lo-mando-giu.html
Buona lettura.