sabato 7 gennaio 2012

A Dog’s Right to Life?

I am a veterinarian, and one of my clients is an elderly woman who loves her 8-year-old Pomeranian dearly but has no family or friends who might inherit it. She wants me to sign a legal document stating that I will euthanize it if she dies before the dog does. What should I do? NAME WITHHELD, BOSTON

Many readers — like the horrified pet owners to whom I mentioned your letter — will find your client’s request simply unthinkable.

Though I’m not entirely sure why.

Dogs have no special expectation of longevity. Death doesn’t rob them of the retirement they had been looking forward to or the long-awaited chance to dance at their daughter’s wedding. So though it would be barbaric to cause the Pomeranian needless pain, ending its life gently seems no worse than things that most people do every day — like eating a hamburger. And I say that as both a dog lover and a hamburger eater.

Our culture draws a distinction between house pets and farm animals. We raise the former to be cosseted and kissed; we raise the latter to be killed and eaten. But that distinction is largely one of convenience. Our convenience, that is. It’s not based on any zoological facts, and the animals sure didn’t consent to it.

So if, like everyone who eats meat or wears leather, you believe that it’s sometimes O.K. to kill animals for our own needs, then why not in this case, when dying would at least be painless but losing its owner would not be?
Da leggere tutto (The New York Times, january 6, 2012).

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Cave consequetiaribus, diceva il buon Liebniz che con la deduzione non se la cavava mica male (e per questo ne coglieva i limiti).
Il fatto che una distinzione sia convenzionale e non fondata su fatti zoologici non la rende per questo priva di rilevanza.
Le aspettative di pensionamento non sono l'unica ragione per permanere in vita (a battuta, sipotrebbe dire che la 335/95 ha ridotto le ragioni per rimanere in vita???) ed è davvero contraddittorio preoccuparsi della "felicità" di un animale e contemporaneamente negare che un animale possa essere felice nel futuro (perché non può andare in pensione...)
Insomma, il vizio di ragionamenti come questi è di voler semplificare le premesse al punto di sostanzialmente falsificarle.
E' perfettamente comprensibile e pure doveroso che un ragionamento ordinato debba normalizzare le prorpie premesse: ma, allorché la normalizzazione comporta una tale perdita di dati da diventare sostanzailmente falsa è meglio affidarsi al vecchio, meno preciso, sistema della discrezione.
Ed è per questo che la prudenza (in senso medievale di saggezza e in senso moderno di cautela) in questi temi deve essere massima.
etienne64

paolo de gregorio ha detto...

@ Etienne64

Pensione credo che qui andasse inteso più generalmente come momento del ritiro, come "serena vecchiaia", ed inoltre a me pareva chiaro che non fosse da prendere alla lettera: c'erano due esempi, quasi ironici, che simboleggiavano quella lunga lista di cose che noi immaginiamo sempre popolare il nostro futuro, anche quando saremo vecchi e un po' più sofferenti fisicamente. L'articolista presume che tutte queste aspettative proiettate siano tipiche solo di noi esseri umani.

Resta il dubbio del perché la prudenza che invochi non sia massima anche con gli animali destinati alle nostre tavole: questa obiezione non mi pare che abbia premesse false, ma nel tuo commento non è stata minimamente toccata.

Anonimo ha detto...

Vero, non ho toccatola faccenda della contraddizione bue da bistecca/cane da compagnia.
Tuttavia, anche qui, la supposta "contraddizione" è frutto di una semplificazione un po' spinta (non troppo, ma un po' si).
E' vero che sia il bue che il cane sono "animali" e, per di più mammiferi.
Però va considerato che
1. nella nostra cultura il cane da compagnia (e genericamente l'animale da compagnia) ha uno status diverso da quello da carne; sviluppare un discorso "etico" assoluto è decisamente opinabile; essendo le convenzioni morali variabili, il discorso deve essere condotto all'interno di un certo sistema, altrimenti non si fa più un discorso, ma un guazzabuglio;
2. Il fatto che taluno (io ad esempio) abbia dei comportamenti non lineari con certi assunti "etici" non è un argomento per negare la validità dell'assunto etico. Anzi, per certi versi, per pèoter parlare di etica o morale è necessario postulare che vi sia la possibilità di comportamenti difformi. Sicché, il fatto che io mangi una fettina (al di là delgli sgradevoli dubbi che sovente mi assalgono) non implica che il mio assunto "Bisogna amare i cani" sia da rifiutare. Al più si potrà dire che sono poco conseguente rispetto ai miei assunti (blandamente) animalisti.
3. Il meccanismo di generalizzare per categorie è tanto indispensabile, quanto pericoloso.
E' facile osservare che fondare una equiparazione tra un pet e un bue sul fatto che sono entrambi animali, rischia di far ricomprendere nella categoria anche gli uomini; assunta, in ipotesi, la legittimità di mangiare carne di animale, a questo punto si potrebbe fondare la liceità del cannibalismo, il che appare folle.
Sia chiaro: niente generalizzazioni, niente astrazioni = nessun discorso su nulla possibile.
Sicché, senz'altro le generalizzazioni sono necessarie.
Ma vanno fatte con prudenza, tanta prudenza. E sopratutto stando attenti a non entusiasmarsi per ogni insieme che riusciamo a creare.
etienne64
2.

paolo de gregorio ha detto...

@ Etienne64

1. Anche io istintivamente resto perplesso di fronte alla proposta, ma ciò non toglie che sarebbe utile argomentare razionalmente, perché da questo punto di vista a me la questione pare effettivamente spinosa. E non credo affatto che etica e morale possano mai separarsi nettamente da questa classe di argomentazioni, se non vogliamo che si tramutino in arbitrio.

Per ora mi sono detto che potrebbe forse avanzarsi un principio utilitaristico, ma in questo caso si dovrebbe essere -almeno almeno- contrari alle corride, pur da carnivori quali si è.

2. In effetti nessuno credo che stesse contestando la valutabilità dell'assunto che "bisogna amare i cani", pur nella stranezza della pretesa imposizione di un "amore". Casomai, ci si chiede perché per converso si può non amare i bovini. Finora mi sembra che le argomentazioni 1 e 2 suonino più o meno: perché è possibile farlo. Un po' poco, per me.

3. Credo che la legittimità dell'equiparazione si basi in buona parte sulla valutazione della similarità degli animali in questione, anche da un punto di vista percettivo della realtà. Non a caso, voglio dire, non si è fatto il confronto dei cani con le vongole. Anche in questo caso, come in 1, per il momento mi fermo a scorgere come unico fattore dirimente e non contraddittorio quello utilitaristico, che forse più o meno consciamente molti assumiamo. A meno, ripeto, di equiparare l'etica all'arbitrio o all'indefinibile.

Gabriele ha detto...

Da vegano, penso l'articolo abbia un senso e che abbia senso ciò che scrive Peter Singer (nonostante non sia d'accordo con lui su molte questioni: non sono arrivato al veganismo da una riflessione utilitaristica).

La distinzione tra specie animali con caratteristiche simili (si tratta di esseri senzienti con somiglianze che sono palesi) in animali da affetto e da affettato è arbitraria e ingiustificabile; è basata su un ragionamento specista.

Come nel caso di razzismo e sessismo, si attribuisce alle differenze un'importanza tale da sostenere un sistema di sfruttamento che non si potrebbe giustificare se non appunto in modo arbitrario (appunto, non si può giustificare).

Ho apprezzato il post, può mandare in cortocircuito un modo di pensare alla questione dato per scontato e che non viene messo in dubbio abbastanza.
Un saluto!