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mercoledì 7 maggio 2008

Venga a vedere che cosa è il gay pride

La lettera che Cristiana Alicata ha scritto a Gianni Alemanno (ma che potrebbe essere inviata a tanti, tanti cittadini e politici) va letta tutta e riletta a voce alta.
Ho scelto, per il titolo, un invito che dovrebbe essere la condizione necessaria per parlare o giudicare (o come direbbe mia nonna: prima pensa, poi parla).
Grazie di cuore a Cristiana.

domenica 30 dicembre 2007

Paola Binetti ritratta. O no?

Le dichiarazioni di Paola Binetti sull’omosessualità come malattia hanno avuto addirittura, come si sa, il potere di spingere Walter Veltroni a una presa di posizione un po’ più coraggiosa del solito, espressa in una lettera alla StampaSui gay Binetti sbaglia», 27 dicembre 2007, p. 1). Del resto la senatrice l’aveva fatta grossa: commentando l’inchiesta di Davide Varì, fintosi omosessuale e penetrato in un sordido giro di ‘psicoterapeuti’ cattolici che si offrono di ‘curare’ i gay («Gli ho detto: “Sono gay”. Mi hanno risposto: “La sua è una malattia leggera, possiamo curarla bene...”», Liberazione, 23 dicembre, pp. 1.3), se n’era uscita in questo modo (Giacomo Galeazzi, «Si finge gay, lo curano come se fosse malato», La Stampa, 24 dicembre, p. 11):

Fino agli Anni Ottanta nei principali testi scientifici mondiali l’omosessualità era classificata come patologia, poi la lobby degli omosessuali è riuscita a farla cancellare. Ma le evidenze cliniche dimostrano il contrario.
La reprimenda di Veltroni non distoglieva la Binetti, anzi il contrario, dato che il giorno dopo la senatrice confermava tutto (Giacomo Galeazzi, «“Caro Walter, con i diktat non si costruisce il Pd”», La Stampa, 28 dicembre, p. 13), rincarando la dose:
Veltroni dice: io la penso così, io dico così e così si faccia. Ma come neuropsichiatra ho esperienza decennale di omosessuali che si fanno curare. Non sono andata a cercarli io, sono loro che sono venuti in terapia da me perché dalla loro esperienza ricavano disagio, sofferenza, ansia, depressione e incapacità di sentirsi integrati nel gruppo. Non sono io a sostenerlo, è un dato oggettivo. Fino a poco tempo fa il Dsm4, la “bibbia degli psichiatri” cui fanno riferimento il ministero della sanità, le Regioni e i principali manuali diagnostici, ha sempre inserito l’omosessualità tra le patologie del comportamento sessuale. Poi la lobby dei gay l’ha fatta cancellare. Ma noi specialisti continuiamo a collocarla tra i disturbi del comportamento sessuale.
E aggiungeva velenosamente: «Veltroni non parla a titolo personale, ma da segretario che ha dietro tutto il pressing degli omosessuali che lo vogliono obbligare a schierarsi a loro favore».
Il caro Walter non deve aver gradito, e dalle lettere sarà probabilmente passato alle telefonate. Così il giorno dopo ci ritroviamo davanti una Binetti più remissiva (Gian Guido Vecchi, «I gay: noi “malati”? La Binetti è nazista», Corriere della Sera, 29 dicembre, p. 12). Non è che la senatrice si trovi molto bene in questa veste, però; e l’attacco dell’intervista è ambiguo:
«Nazista a me? Guardi, io non muoverei un dito per far male a nessuno, non sopporto le discriminazioni né mi preoccupa chi scarica su di me la sua aggressività. Piuttosto mi preoccupano le persone più fragili, che magari vorrebbero andare in psicoterapia. Non vorrei che rinunciassero perché sennò ti prendono per malato o ti fanno il lavaggio del cervello: non è così».
Non «ti prendono per malato»? Alla luce delle dichiarazioni precedenti, uno sarebbe tentato di integrare così: «non ti prendono per malato, se non sei omosessuale»...
Nel seguito la senatrice tenta un po’ pateticamente di confondere le acque:
«Gli omosessuali, come tutti, possono andare incontro ad ansia, sofferenza, depressione, e il disagio sociale o interiore può renderle più accentuate. In questo senso possono desiderare una psicoterapia, come chiunque di noi».
Se un eterosessuale si rivolge a uno psicologo, però, non si dice che è malato in quanto eterosessuale, no? «Certo. Ma io non sto dicendo che l’omosessuale va in terapia per non esserlo più: magari arriva ad accettare la propria omosessualità. Lo scopo della terapia è di mettere una persona in condizione di vivere serenamente con se stessa e gli altri. Conosco diversi psicologi omosessuali che hanno creato gruppi di psicoterapia per aiutare chi ha condiviso la loro sofferenza».
Ma il giornalista è un osso duro, e la Binetti non può più eludere la questione:
Ma l’omosessualità, per la senatrice, è una malattia o no? «Si è omosessuali per tante ragioni diverse. Non parliamo di una classe di soggetti tutti uguali. Chi è omosessuale per così dire “strutturale” lo resterà tutta la vita. Per altri può essere stata una risposta a contesti esterni. Problemi troppo seri perché li si possa banalizzare».
Lo stesso discorso, dice, vale per le terapie, come quella «riparativa» e contestatissima di Joseph Nicolosi: «Ha un fondamento scientifico nella misura in cui considero l’orizzonte dell’omosessualità assai variegato. Nessuna terapia va bene per tutti. Ci sono situazioni e storie diverse». Insomma, per Binetti dipende dai singoli casi. «E comunque nessuno, mai, può essere curato se non lo vuole. È sorprendente che mi sia trovata spesso ad essere discriminata in modo violento da alcuni che si impegnano giustamente a difendere il loro diritto a non essere discriminati. Io esprimo una posizione scientifica, punto. Mi si può obiettare. Ma quando dico che un omosessuale può aver bisogno di psicoterapia per stare meglio con se stesso, non lo sto offendendo. L’aiuto è ciò che di più umano ci sia. Tutto qui».
Forse a qualcuno questo basterà (o dovrà necessariamente bastare); ma leggete attentamente queste frasi: non c’è un solo punto in cui la Binetti neghi che l’omosessualità sia una malattia. Tutto quello che dice è perfettamente coerente con la sua convinzione espressa in precedenza.

Lascio il commento su questa vicenda incredibile a Cristiana AlicataInsulti e silenzi: un brutto anno per la comunità gay», L’Unità, 28 dicembre 2007, p. 27):
Quanto affermato dalla senatrice Paola Binetti prima di Natale, relativamente all’inchiesta del giornalista di Liberazione che, dichiarando ad un prete la propria omosessualità è stato invitato e condotto a farsi curare, non può cadere nel dimenticatoio.
Dalle pagine di un giornale, la senatrice difendeva Cantelmi, presidente dell’associazione psicologi e terapisti cattolici, associazione che, in Italia, cura l’omosessualità e in cui era finito anche il reporter, affermando che egli svolge un ottimo lavoro, che l’omosessualità è uscita dalle malattie dell’OMS perché la lobby gay è potente e che le indicazioni terapeutiche affermano il contrario, cioè che gli omosessuali sono malati.
La censura mediatica intorno ad un reportage che avrebbe dovuto finire non solo su qualche pagina di giornale, ma persino nei titoli delle televisioni, ha fatto sì che anche le gravissime dichiarazioni di una senatrice della repubblica, le ennesime, non avessero risonanza. Non mi sembra questo uno di quei casi per cui per non dare pubblicità a colui a cui si vuole ribattere, non si debba rispondere.
Mi aspetto che il ministro della salute contraddica con forza queste aberrazioni che non trovano davvero alcun riscontro medico. Sarebbe anche opportuno verificare l’esistenza di queste strutture mediche e denunciarle pubblicamente, alla stregua di quanto si è fatto con le attività di Vanna Marchi, attività che approfittano di pregiudizi e dell’ignoranza di tante famiglie che non sanno gestire un figlio adolescente omosessuale, e lo portano in cura. E mi aspetto che l’Ordine dei medici espella Paola Binetti e insieme a lei tutti i medici implicati in questa brutta storia.
Aveva ragione qualcuno che nei giorni scorsi affermava che il problema della laicità del PD non è Paola Binetti, ma il PD stesso. C’è un limite a tutto: mi aspetto che il segretario del partito della Binetti, questo Partito Democratico che si richiama ai valori della Costituzione, prenda provvedimenti. La gravità e grettezza delle affermazioni di una senatrice della Repubblica nel resto d’Europa sarebbe confinato a qualche partito folcloristico di estrema destra. Sappiamo bene che cacciare Paola Binetti, significa, con molta probabilità, fare cadere il governo. Ma ci sono dei principi che non sono negoziabili. Se domani un senatore del PD si alza a dire che gli ebrei sono una razza inferiore o che i neri non possono prendere l’autobus, lo teniamo perché al Senato altrimenti andiamo sotto?