giovedì 17 novembre 2011
Medici obiettori: un problema italiano
Postato da Chiara Lalli alle 10:48 0 commenti
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sabato 4 giugno 2011
Kevorkian
“I’m trying to knock the medical profession into accepting its responsibilities, and those responsibilities include assisting their patients with death”, aveva dichiarato nel 1990.
Un lungo articolo di ieri su The New York Times ricorda la storia di Jack Kevorkian (Dr. Jack Kevorkian Dies at 83; A Doctor Who Helped End Lives).
Comunque la si pensi, Kevorkian ha avuto il merito di rompere il silenzio ipocrita sulla morte e sulla sofferenza, sulla malattia terminale e sul legittimo desiderio - da parte di alcuni - di non sopravvivere in condizioni penose e senza prospettive di miglioramento.
In più ha avuto il merito di non arretrare di fronte alle conseguenze delle sue scelte scontando 8 anni di carcere.
Mi vengono in mente i tanti che strepitano sulla immoralità di qualche atto standosene comodamente in poltrona e limitandosi a far finta di niente. Non so perché mi vengono in mente molti obiettori di coscienza sulla 194 o sulla contraccezione di emergenza. Mi vengono in mente anche i tanti che strepitano di morte naturale e di diritto sacro alla vita. Ma poi mi fermo qui perché il panorama è troppo desolante.
Postato da Chiara Lalli alle 14:51 89 commenti
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mercoledì 3 giugno 2009
Giuliano Ferrara e la «coscienza solitaria»
Il Foglio non poteva sottrarsi dal commentare l’omicidio di George Tiller, il medico che praticava aborti freddato da un fanatico pro-life domenica scorsa; ma l’editoriale anonimo – e quindi da ascrivere al direttore Giuliano Ferrara – non si chiude in difesa e parte anzi all’attacco. O almeno ci prova («Delitto di coscienza», 2 giugno 2009, p. 3).
[S]econdo i parametri e gli stilemi morali della cultura abortista, questo delitto dovrebbe essere ascritto alla coscienza solitaria di chi lo ha compiuto pensando di fermare una strage e alla sua insopprimibile vocazione ad esprimersi nella libertà; dovrebbe essere perdonato seduta stante, se non lodato, osannato come espressione della libertà e autonomia di una coscienza volta al bene. Infatti è con queste indulgenti e vischiose ragioni che oggi l’aborto viene giustificato, serialmente praticato, considerato un atto di autonomia della persona senza conseguenze troppo serie sulla vittima dell’atto. È con l’appello alla coscienza, trascurando e per cosi dire nascondendo la parola “delitto” o “peccato”, che si convive moralmente con il fatto indifferente dell’abolizione chirurgica di milioni di esseri umani, soprattutto donne (in Asia). Un antiabortista serio non si appella alla coscienza per giustificare un assassinio. Dovrebbero precludersi questa via facile e spregevole anche gli abortisti, questi idealisti.Per comprendere appieno la logica alla base dell’articolo bisogna leggere anche il resto, là dove Ferrara parla dell’«impronta della coscienza personale, di quel dialogo o contatto diretto con il Dio moderno che autorizza ogni atto frutto di profonda convinzione, di chiamata, di vocazione dell’individuo solitario», e conclude che «non si uccide un uomo per ragioni morali personali».
Io non so se Scott Roeder, l’assassino di Tiller, possa essere considerato o meno «un antiabortista serio»; ma posso immaginare che respingerebbe con foga l’accusa di aver ucciso Tiller «per ragioni morali personali». È facile ipotizzare che Roeder si sia mosso in base alla credenza, condivisa da migliaia di persone in tutto il mondo che l’aborto sia un «delitto» e che l’assassinio di innocenti – una volta ammesso che di questo si tratta – vada impedito in tutti i modi. Cosa c’è di «personale» in tutto ciò? Roeder si è mosso in base ai valori di una comunità, che ha coerentemente interpretato; sembrerebbe quasi che per Ferrara l’unico comportamento morale ammesso sia quello che ha ricevuto il bollo di approvazione dell’autorità costituita...
L’argomentazione del direttore del Foglio vale almeno per gli «abortisti»? Nemmeno. È vero che si fa spesso riferimento alla libertà di coscienza delle donne per giustificare il loro diritto all’aborto, nel senso che spetta alla coscienza individuale della donna – e non a quella del marito e dei membri della famiglia, della Chiesa o dello Stato – determinare se una gravidanza debba essere portata avanti o no, se avere un figlio sia o meno un bene per la donna; ma la premessa, implicita solo perché ovvia, è sempre che l’embrione o feto non gode di un diritto alla vita concorrente con quello all’autodeterminazione della donna. E questa non è materia di coscienza individuale: che l’embrione non abbia un diritto alla vita paragonabile ai diritti della donna (o che non ce l’abbia per niente) è stabilito dalle leggi ed è un ovvio corollario delle concezioni morali condivise da milioni di persone. Condivise forse persino dallo stesso Ferrara, che se pensasse veramente che l’embrione ha un diritto ineliminabile alla vita dovrebbe – sia pur malvolentieri – giustificare il gesto omicida di Scott Roeder, invece di arrampicarsi sugli specchi di una condanna incoerente con le sue stesse premesse.
Postato da Giuseppe Regalzi alle 13:09 2 commenti
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giovedì 26 febbraio 2009
Riferisce Franceschini
Dalla Lettera aperta all’onorevole Franceschini di Umberto Veronesi, Andrea Camilleri, Stefano Rodotà e Paolo Flores d’Arcais (il corsivo è mio):
Abbiamo letto che il suo partito sarebbe comunque orientato a dare ai suoi parlamentari “libertà di coscienza” al momento del voto. Ci sembra che tale atteggiamento sia frutto di un fraintendimento molto grave.Dichiarazione rilasciata poco fa dall’onorevole Franceschini, dopo aver incontrato Umberto Veronesi (Ansa; corsivo sempre mio):
Se venisse presentato un disegno di legge che stabilisce la religione cattolica come religione di Stato, proibisce il culto ai protestanti valdesi e obbliga gli ebrei a battezzare i propri figli, sarebbe pensabile – per un partito politico che prenda sul serio la Costituzione – lasciare i propri parlamentari liberi di “votare secondo coscienza”, a favore, contro, astenendosi? O non sarebbe un elementare dovere, vincolante, opporsi a una legge tanto liberticida?
La legge ora in discussione sulle volontà di fine vita è, se possibile, ancora più liberticida (e disumana) di quella sopra evocata. Non costringe al battesimo forzato, costringe al sondino forzato, al respiratore forzato, a qualsiasi accanimento che prolunghi artificialmente una vita che, per la persona che la vive, non è più vita ma solo tortura. Peggiore quindi della morte.
In ogni caso la libertà di coscienza del parlamentare non può essere invocata per violare e cancellare la libertà di coscienza delle persone.
«Veronesi – ha riferito Franceschini ai cronisti – ha parlato in modo franco e diretto e si è detto stupito della lettura che ha dato qualche giornale del contenuto della lettera, e ha ribadito il convincimento dell’assoluta libertà di scelta dei parlamentari in materia di testamento biologico».Adesso sono davvero curioso di leggere la versione di Veronesi dell’incontro...
Postato da Giuseppe Regalzi alle 13:50 8 commenti
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martedì 17 febbraio 2009
Libertà di coscienza non è abdicare
Fabrizio Rondolino, «Libertà di coscienza non è abdicare» (La Stampa, 17 febbraio 2009, p. 28):
Veltroni e altri dirigenti del Pd sostengono che sulle questioni «etiche» la libertà di coscienza è doverosa. Ma la legge sul testamento biologico, proprio perché è una legge e non un catechismo o un manuale di filosofia morale, non è affatto un «tema etico», ma un atto politico. Etica è la scelta che ciascuno di noi, liberamente e privatamente, deve poter compiere sulla propria vita e sulla propria morte. Negare questo diritto è una scelta politica e culturale, non etica. Ed è una scelta regressiva che una forza di centrosinistra non può né condividere, né avallare, né accettare una volta che fosse compiuta. D’altro canto, l’obiezione di coscienza può e deve valere per chi è oggetto di una legge, non per chi è costituzionalmente chiamato a redigerla. Il medico obiettore può astenersi dal praticare un aborto, se la coscienza glielo vieta, ma i partiti hanno il dovere di assumere una posizione e di regolamentare per legge il diritto all’interruzione di gravidanza. Un parlamentare che fa del proprio credo religioso una legge dello Stato non esercita nessuna libertà di coscienza: si batte per lo stato teocratico. Se la libertà di coscienza è libertà di scelta, non può contemplare la libertà di votare una legge (come la Calabrò) che cancella il diritto di scelta.Che i dirigenti del Pd non riescano a vedere quest’ovvia verità dimostra tutta la loro miseria intellettuale. Le sconfitte recenti e recentissime sono solo la scontata conferma di questa totale incapacità di comprendere.
[…] La modernità nasce come definizione e tutela d’uno spazio in cui l’individuo – con la sua coscienza, le sue scelte, i suoi principi e stili di vita – sia e resti inviolabile. «Nessuno può decidere per me» è il motto della modernità. Un partito che si dica di centrosinistra non può abdicare su una questione così cruciale. I diritti inviolabili dell’individuo sono il perno su cui ruota ogni possibile sinistra del XXI secolo, e i dirigenti del Pd non possono non saperlo né ignorarne le conseguenze. Se il Pd rinuncia a questo principio, lascia senza rappresentanza la sinistra italiana. Rifiutandosi di assumere una posizione sul testamento biologico il Pd si salva forse dalla scissione, ma rischia l’autoscioglimento.
Postato da Giuseppe Regalzi alle 11:01 6 commenti
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sabato 1 novembre 2008
Perché non possono più dirsi cattolici
Roberta De Monticelli su Europa di ieri («Sono ancora cattolica?», 31 ottobre 2008, p. 1):
Kant avrebbe detto: criterio per “essere cattolici” è riconoscere un’autorità anche morale, sopra la propria coscienza e i propri più vagliati sentimenti, alla Chiesa. Se così fosse, ancora una volta, sarebbe facilissimo non essere cattolici, non appena si sia raggiunta la maggiore età morale e anagrafica. Ma – mi chiedevo – c’è forse un solo pensatore “cattolico” che non abbia metabolizzato questo po’ di kantismo, espressione dell’età adulta in morale, e ancora pretenda che sia degna del nome di morale una scelta fondata sull’autorità e non nell’intimità della propria coscienza? Purtroppo oggi vediamo meglio che c’è: e come [Vito] Mancuso ci mostra non è uno solo né pochi.
[…] La grande, veramente rivoluzionaria novità del Concilio Vaticano II […] era stata appunto il riconoscimento di questa competenza morale ultima della coscienza personale da parte della Chiesa […].
Questa sola ammissione comunque poteva significare la completa conciliazione del cattolicesimo e con la modernità, cioè (con parole di Kant) con la coscienza dell’età adulta che l’uomo ha raggiunto. […]
Perché decisivo oggi è un sì o un no sulla questione: l’appartenenza alla Chiesa cattolica è o no definita dall’accettare la soggezione della propria coscienza in materia morale all’autorità magisteriale, in tutti i casi in cui la propria coscienza (morale) si trovi in conflitto con quell’autorità sulla questione di quale sia effettivamente il bene e il dovere? A me pareva che quella grande innovazione del Concilio comportasse la risposta: no. Non più. Perché questo è tanto importante? Perché diventa la sola garanzia che non sia mai più confuso ciò che una persona deve a tutte le altre in assoluto, con ciò che obbliga soltanto un credente, vale a dire ciò che non è evidentemente universalmente ammesso dalla coscienza morale. Così ad esempio sulla propria (non altrui) vita e sulla propria (non altrui) morte non è evidente a tutti, non credenti compresi, che debba decidere qualcun altro, e non noi stessi. Una scelta, ad esempio, di completo e fiducioso abbandono, che mi porti, in una situazione come quella in cui era Welby, addirittura a prescindere da ogni desiderio di affermare la propria dignità e di morire in pace, può ben essere la scelta sublime di un uomo di fede, può ben essere una scelta d’amore.
Ma c’è cosa più abominevole dell’ipotesi che questo amore sia imposto (per via di legge) da un uomo a un altro uomo? Non è appunto l’abissalità di questi consensi, di questi affidamenti supremi, come ogni atto di fede (il sacrificio di Abramo, per esempio, o quello di Cristo!), a esigere la più gelosa, la più imprescrittibile, la più silenziosa ultima libertà che una coscienza ha di consentirvi o no? Ecco: è la maturità della nostra età adulta, che ci ha resi consapevoli, di fronte a questo terribile rischio, della necessità di distinguere fra morale, religione e diritto. Questa distinzione è lo strumento che gli uomini hanno trovato per evitare che le coscienze possano cadere soggette all’arbitrio del potere, cioè in sostanza a forme di teopolitica, di sharia. Ma alla sua base, ancora una volta, c’è un’esigenza morale assoluta: che a ciascuno, ateo o credente, sia garantita l’ultima libertà di determinarsi (salva assenza di reato) in quei comportamenti che siano prescritti da una fede, e non dalla ordinaria coscienza morale umana. Quell’esigenza appunto che gli ultimi pronunciamenti della Cei sconfessano.
Postato da Giuseppe Regalzi alle 13:12 1 commenti
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