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venerdì 21 ottobre 2016

Quando un medico non può invocare l’obiezione di coscienza


“L’obiezione di coscienza non può essere invocata dal personale sanitario, ed esercente le attività ausiliarie quando, data la particolarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo”.

È questo il passaggio rilevante dell’articolo 9 della legge 194 rispetto alla morte di Valentina Milluzzo, 32 anni, incinta di due gemelli, alla diciannovesima settimana di gravidanza.

Cosa è davvero successo? È in corso un’inchiesta e nel frattempo possiamo solo fare delle ipotesi (secondo il direttore generale dell’ospedale, non risulta che il medico fosse un obiettore).

La donna era stata ricoverata all’ospedale Cannizzaro di Catania alla fine di settembre in seguito alla dilatazione dell’utero. Dopo un paio di settimane qualcosa non va. Ha forti dolori, ha la febbre alta, collassa. La temperatura corporea è di 34 gradi e la pressione arteriosa è bassa.

Internazionale, 20 ottobre 2016.

domenica 12 ottobre 2014

Medico nega pillola del giorno dopo. Ancora una volta.


Nonostante la pillola del giorno dopo non sia abortiva, nonostante il TAR, nonostante le giuste proteste della coppia. Continuano a mascherare una omissione di servizio da coscienza fina. L’obiezione di coscienza non c’entra nulla con il rifiuto di prescrivere la contraccezione d’emergenza. Ma perché non cambiano lavoro?

Next, 12 ottobre 2014.

martedì 24 giugno 2014

Obiezione di coscienza e aborto, la svolta del Lazio sui consultori

Nel decreto sul riordino dei consultori familiari della Regione Lazio c’è un allegato sorprendente: le Linee di indirizzo regionali per le attività dei Consultori Familiari. Le funzioni dei Consultori riguardano due aree: “prevenzione e promozione, sostegno e cura”. Tra le attività previste c’è anche l’assistenza alle donne che chiedono di interrompere volontariamente una gravidanza.

Sappiamo dall’ultima relazione annuale attuativa della legge 194 che la media nazionale di ginecologi obiettori è del 69,3%, anche se la realtà nelle singole regioni è ancora più sbilanciata, con percentuali che arrivano quasi al 90% di obiettori, strutture che non garantiscono mai il servizio di IVG, ancor meno sono gli ospedali che garantiscono gli aborti tardivi (cioè quelli dopo il primo trimestre), lunghe liste di attesa.

A questo si aggiunge uno scenario spesso nebuloso: alcuni medici si rifiutano di prescrivere la contraccezione d’emergenza, pur non esistendo alcuna legge specifica che permetta loro di farlo. Altri rifiutano la certificazione, non vogliono eseguire la visita di controllo o altre pratiche mediche giudicate contrarie alla loro morale, alla loro personale visione del mondo.

Le Linee di indirizzo regionali ribadiscono l’ovvio sulla contraccezione: non si può invocare l’obiezione di coscienza come pretesto per negare la prescrizione, sia ordinaria sia d’emergenza (che, ricordiamo, ha effetti contraccettivi e non abortivi). D’altra parte non c’è – come nel caso dell’IVG – una legge che permetta agli operatori sanitari di invocare la propria coscienza. “Il personale operante nel Consultorio è tenuto alla prescrizione di contraccettivi ormonali, sia routinaria che in fase post-coitale, nonché all’applicazione di sistemi contraccettivi meccanici, vedi I.U.D. (Intra Uterine Devices).

Pagina99.

lunedì 28 aprile 2014

Di obiezione di coscienza e tempismo

Con tempismo davvero singolare – che sia dovuto a recenti contestazioni? – l’ospedale di Niguarda scopre di avere un problema col servizio di Interruzione Volontaria di Gravidanza. A quanto emerge da un articolo comparso il 26 aprile su La Repubblica, l’ospedale sta fronteggiando una “emergenza aborti”: i medici non obiettori si sono ridotti a due, cosa che ha portato i vertici dell’ospedale a chiedere una collaborazione all’ospedale Sacco, in modo da “garantire” il servizio di IVG previsto dalla legge 194/78.

Dall’articolo, sembra che questa scarsità di medici non obiettori sia il frutto di contingenze non meglio specificate, regalandoci un’immagine della proverbiale caduta dal pero dei vertici dell’ospedale.

Caduta a cui noi non crediamo: da anni Niguarda, i cui vertici rispondono in maggioranza a Comunione e Liberazione, presenta una tra le più alte percentuali di obiettori di coscienza sul territorio milanese. Da anni, l’obiezione di coscienza – a Niguarda come in altri ospedali – è diventata un modo per fare carriera ed è un elemento di preferenza nel momento dell’assunzione. Da anni, l’obiezione di coscienza è consentita anche su prestazioni che non concernono l’atto di interruzione di gravidanza (prescrizione della pillola del giorno dopo, che non è un abortivo!, visite pre- e post-intervento), e la sua crescente percentuale mette a rischio la salute delle donne.

Da mesi ci sono proteste davanti a Niguarda – l’ospedale, infatti, ha dato spazio alle macabre performance del Comitato No194. A metà marzo, era stata occupata simbolicamente la Direzione Sanitaria, proprio per segnalare la condizione strutturale, e non emergenziale!, che interessa l’applicazione della legge 194 a Niguarda (e non solo).

Milano sarebbe una delle città “messe meglio”? Cosa vuol dire garantire “abbastanza” una legge? Le code, all’alba, delle donne davanti agli ospedali milanesi per far fronte al “numero chiuso” del servizio di IVG, le complicanze post-aborto in continuo aumento, il ricorso all’aborto clandestino, sono pratiche in atto da tempo, al di fuori del clamore sensazionalistico e dell’onda della difesa di una legge – la 194 – che è solo un compromesso, e che non rispecchia la nostra volontà di autodeterminazione dei nostri corpi. A proposito di stampa, ci chiediamo come mai la notizia, risalente all’ottobre 2013, di una donna morta proprio a Niguarda dopo un’interruzione di gravidanza sia passata totalmente sotto silenzio.

Interessante, infine, che tra i due medici non obiettori rimasti si sia scelto di dare voce a Maurizio Bini, il quale deve farsi perdonare una a dir poco infelice partecipazione ad un programma radiofonico in cui sono state sbeffeggiate con battute sessiste e misogine le donne malate di endometriosi. Insomma, se a Niguarda cercano di passare come “attenti” alla salute delle donne, la strada è ancora lunga.

L’ospedale di Niguarda da tempo rende inattuabile il servizio di Interruzione Volontaria di Gravidanza: questa non è un’emergenza, ma la norma. Quindi, non ci vengano a raccontare di essere spiazzati davanti a quest’emergenza: l’hanno creata consapevolmente, anno dopo anno, sulla nostra pelle.
Ma tu guarda, Niguarda!

mercoledì 23 aprile 2014

«Sono obiettore»

È il sabato prima di Pasqua. L’unico medico presente (Salvatore Felis, 57 anni) è quello di guardia, che però è un obiettore di coscienza e non ha alcuna intenzione di prendersi carico della paziente. Il primario Claudio Gustavino viene informato del problema per tempo, ma sottovaluta la situazione: pensa (non si sa su quali basi*) che il ginecologo, al di là delle sue idee in merito alle interruzioni di gravidanza, eseguirà comunque gli accertamenti previsti. E che la paziente sarà dunque dimessa. Ma, come era prevedibile visto che il dottor Felis è un obiettore di coscienza, succede tutto il contrario: passano le ore e la giovane donna viene abbandonata in corsia. Da sola, in compagnia delle infermiere che però non sanno nulla e non possono aiutarla. Nessuno si prende la briga di spiegarle quello che sta accadendo. Così, a un certo punto, in preda allo sconforto e alla disperazione, non le rimane altro da fare che chiamare la polizia. Arrivano gli agenti e solo a quel punto, poco prima delle 18, i vertici dell’ospedale, compreso Gustavino, si muovono (di corsa) per trovare una soluzione. Risultato? Viene trovato un dottore disposto a visitare la ragazza. Ma, nel frattempo, sono le 19.30 e lei può finalmente lasciare l’ospedale. Quello che è accaduto sabato scorso non è solo un corto circuito, una falla nel sistema organizzativo del reparto. Non dal punto di vista della giovane donna che ha vissuto un’esperienza traumatica.
 Rifiuta esame dopo l’aborto: «Sono obiettore», interviene la polizia, Il Secolo XIX, 23 aprile 2014.
*Sulla base della legge 194, articolo 9?

domenica 9 marzo 2014

L’obiezione di coscienza non può impedire la corretta applicazione della legge 194

Oggi, a seguito di un reclamo collettivo dell’associazione non governativa International Planned Parenthood Federation European Network (IPPF E N che dagli anni 50 si batte in 172 paesi per potenziare l’accesso ai programmi di salute delle fasce più vulnerabili) assistita dall’Avv. Prof. Marilisa D’Amico, Ordinario di Diritto costituzionale, Università degli Studi di Milano, e dall’Avv. Benedetta Liberali, il Comitato Europeo dei Diritti Sociali del Consiglio d'Europa ha ufficialmente riconosciuto che l'Italia viola i diritti delle donne che - alle condizioni prescritte dalla legge 194/1978 - intendono interrompere la gravidanza, a causa dell'elevato e crescente numero di medici obiettori di coscienza. Il ricorso è stato presentato contro l’Italia al fine di accertare lo stato di disapplicazione della legge 194/1978 e il Comitato Europeo ha accolto tutti i profili di violazione prospettati. La legge 194/1978 prevede che, indipendentemente dalla dichiarazione di obiezione di coscienza dei medici, ogni singolo ospedale debba poter garantire sempre il diritto all’interruzione di gravidanza delle donne. Oggi purtroppo, a causa dell’elevato numero, sempre crescente come dimostrano i dati forniti da IPPF EN nell’ambito del giudizio davanti al Comitato Europeo (documentazione reperibile in www.coe.int/socialcharter), di medici obiettori, alcune strutture si trovano a non avere all’interno del proprio organico medici che possono garantire l’effettiva e corretta applicazione della legge. Questo riconoscimento di violazione può essere riconosciuto come una vittoria per le donne, e per l’Italia, e mira a garantire la piena applicazione di una legge dello Stato, la 194, che la Corte costituzionale ha definito irrinunciabile. “La vittoria di oggi è un successo importante perché l’obiezione di coscienza non è un problema solo in Italia ma in molti altri paesi europei. IPPF, che da più di 60 anni lotta nel mondo per garantire a tutte le donne i loro diritti e l’accesso alla salute sessuale e riproduttiva, vuol fare emergere la mancanza di misure adeguate da parte dello Stato italiano a garantire il diritto fondamentale alla salute e all’autodeterminazione delle donne. Siamo molto felici che il Comitato Europeo abbia stabilito che l’Italia debba risolvere una volta per tutte questo problema” - così dichiara Vicky Claeys, Regional Director di IPPF EN.
Qui i dettagli e qui il testo completo del reclamo.

sabato 8 marzo 2014

Aborto: l’obiezione di coscienza e il diritto negato


L’obiezione di coscienza ha avuto negli anni un profondo slittamento semantico: da scelta individuale e libertaria di chi rifiutava la leva militare, è diventata un’imposizione della propria visione morale prossima all’omissione di servizio pubblico, come nel caso dei medici obiettori che si rifiutano di praticare le interruzioni di gravidanza. I numeri ufficiali riportano un aumento costante del fenomeno, ma quelli reali sono ancora più allarmanti.

Chi sono gli obiettori di coscienza?

Oggi la risposta più frequente sarebbe: i ginecologi che non vogliono eseguire interruzioni di gravidanza (Ivg) per ragioni «di coscienza». Alcuni anni fa sarebbe stata diversa: l’incarnazione più genuina dell’obiettore di coscienza era il ragazzo che riceveva la cartolina precetto e rifiutava di fare il servizio di leva obbligatorio, finendo in carcere. A lungo questa scelta è stata oggetto di riprovazione morale, condannata dai tribunali e dalle gerarchie cattoliche in nome di una «difesa della patria» che non poteva che passare per le armi. Ci sono stati molti casi di persone processate e mandate in carcere per aver strappato la cartolina, e persone accusate di apologie di reato per aver difeso pubblicamente quella scelta (tra i casi più noti quelli di Pietro Pinna, Aldo Capitini, padre Ernesto Balducci, Giuseppe Gozzini, don Lorenzo Milani).
Che cosa è successo all’obiezione di coscienza?
Nel corso di alcuni anni c’è stato un profondo slittamento semantico che ha trasformato una scelta individuale e libertaria in un’imposizione della propria visione morale, a volte moralista e ipocrita, prossima all’omissione di servizio, e che ha spinto una pratica sanitaria in un terreno di scontro di coscienze.
Come possiamo chiamare nello stesso modo il ginecologo che non vuole eseguire aborti e chi rifiutava l’obbligo di leva armata?
Le differenze sono enormi e impediscono paragoni affrettati: la cartolina ti arrivava senza che tu avessi compiuto alcuna scelta, il prezzo da pagare era altissimo (condanna sociale, processi, galera). La tua scelta non ricadeva sulle spalle di nessun altro, non entrava in conflitto con i diritti di un altro individuo ma con un obbligo generale e astratto.
Il ginecologo obiettore ha deciso liberamente di fare il ginecologo e di esercitare la sua professione nel pubblico. Essere obiettore non è una scelta che comporta una qualche conseguenza, ma è anzi una scelta comoda. Si lavora anche di meno. La 194 non prevede nemmeno alcun servizio alternativo, com’era stato per l’obbligo di leva quando negli anni Settanta era stata riconosciuta la possibilità del servizio alternativo alla leva armata. La garanzia del servizio di Ivg sarebbe un obbliuno dei doveri professionali di chi ha scelto di lavorare nell’ambito della riproduzione umana – conseguente a una libera scelta professionale, e nulla ha a che fare con l’obbligo di leva.
Per alcuni, è anche una scelta ipocrita: molti obiettori continuano a suggerire e a eseguire diagnosi prenatali, tirandosi però poi indietro se la decisione della donna è di interrompere la gravidanza. Spesso senza nemmeno indicare loro un medico non obiettore – 7 come la legge impone e come la coscienza medica e personale dovrebbe suggerire – ma dicendo: «Sono obiettore, non posso intervenire». È bene sapere che le donne che chiedono o accettano di eseguire indagini prenatali sono in genere donne che vogliono poter scegliere. Quelle che invece sono convinte che non interromperebbero mai una gravidanza, anche in presenza di patologie fetali importanti, non vogliono sapere. Non vogliono eseguire diagnosi prenatali, non solo perché presentano un rischio di aborto, ma soprattutto perché quell’informazione non ha senso, e non la vogliono. «Sapremo al parto», dicono.
Se è indubitabile che l’obiezione di coscienza sia un diritto, è altrettanto indubitabile che la suddetta affermazione abbia un significato ambiguo, strettamente vincolato al contesto. Cosa intendiamo per obiezione di coscienza? Quella contra legem del militare, o quella intra legem del ginecologo? Quella che rivendicava una scelta individuale, o quella addomesticata e risucchiata dalla legge? E perché è stata usata la stessa espressione, perché non chiamare opzione o facoltà l’esonero concesso dalla 194, visto che non si oppone ad alcun obbligo, ma è anzi regolata dalla norma stessa?
Inoltre dobbiamo ricordare che nessun diritto è assoluto, ma dipende dagli altri diritti con cui può entrare in conflitto – in questo caso la garanzia del servizio di Ivg – e con i doveri professionali. La 194, pur prevedendo la possibilità di ricorrere all’obiezione, traccia confini abbastanza chiari e stabilisce la gerarchia da seguire: prima la richiesta della donna, poi la coscienza dell’operatore sanitario. Tuttavia, questi confini sono violati sempre più spesso e con un’inspiegabile strapotenza.
C’è infine un’altra conseguenza: isolare l’Ivg, allontanarla dal dominio della salute riproduttiva. Renderla un’eccezione, una questione più morale che medica, una questione di coscienza – come se solo i ginecologi ne avessero una.

[...]

Che fare?

Per arginare gli effetti attuali si potrebbe cominciare applicando l’articolo 9. La questione della legittimità dell’obiezione di coscienza oggi, a tanti anni di distanza dalla legge, impone invece una risposta diversa. Perché mantenere il privilegio di non eseguire un’interruzione di gravidanza per chi ha scelto liberamente di esercitare una certa professione? Come risolvere quella contraddi- zione interna della 194 che stabilisce un servizio e, allo stesso tempo, la possibilità di sottrarvisi? La soluzione meno contraddittoria sembra essere la fine della possibilità di ottenere l’esonero da alcune pratiche, cioè la fine della possibilità di invocare l’obiezione di coscienza per l’interruzione volontaria di gravidanza. Non solo hai scelto una professione medica, ma hai scelto di lavorare in una struttura pubblica: anche la garanzia dell’Ivg rientra nei tuoi compiti professionali (non è certo solo la professione medica a scontrarsi con questioni «di coscienza»: si pensi agli avvocati, ai giudici o a molti altri mestieri. Se non vuoi correre il rischio di difendere uno stupratore, eviti di fare l’avvocato d’ufficio). Non significa che sarebbe una strada facilmente percorribile, soprattutto se la discussione rimane impantanata in un conflitto di coscienze e non si sposta su quella dei doveri professionali e dei mezzi necessari per garantire alcuni servizi pubblici. Sarebbe però l’unico modo per evitare che la legittima richiesta della donna rischi di rimanere schiacciata dalla visione personale e paternalistica del medico.

Micromega, 9/2013 (pdf).

mercoledì 18 dicembre 2013

Di aborto, minorenni, diritti riproduttivi, astensioni e distrazioni

A proposito della relazione Sulla salute e i diritti sessuali e riproduttivi avevo già scritto lo scorso ottobre.
Nei giorni passati se n’è parlato di nuovo in occasione della bocciatura: «Con soli 7 voti di scarto è stata cancellata la risoluzione sulla salute e i diritti sessuali e riproduttivi, presentata dalla socialista portoghese Edite Estrela, in cui si chiedevano tra l’altro “servizi di qualità per l’aborto legali, sicuri e accessibili a tutti” e “regolamentazione e monitoraggio” della obiezione di coscienza, esprimendo preoccupazione perché i medici sono “costretti a praticarla nelle cliniche religiose. La relatrice, subito dopo il voto (334 sì, 327 no, 35 astenuti) che ha sostituito il suo testo con una versione - sostenuta dai popolari del Ppe e dai conservatori dello Ecr - di fatto senza alcun contenuto, ha “deplorato” la “ipocrisia e l’oscurantismo” dell’aula».

Il rituale dei commenti un po’ a caso si è ripetuto (vedi alla voce “Reazioni” nel primo link; qui il comunicato stampa del Center for Reproductive Rights; qui il processo verbale dello scorso 11 dicembre).

Ci sono state molte polemiche sia sul risultato finale sia sul comportamento del PD (i cui membri astenuti sono: Silvia Costa, Franco Frigo, Mario Pirillo, Vittorio Prodi, David Sassoli e Patrizia Toia). Alcuni di loro hanno spiegato le ragioni dell’astensione.

Silvia Costa si è giustificata dicendo (Rapporto Estrela. Costa (Pd): «Non l’ho votato perché faceva dell’aborto un totem. Ma è presto per cantare vittoria», 13 dicembre 2013, Tempi): «Innanzitutto perché la relazione Estrela non bilanciava l’aborto con il diritto del nascituro e perché il diritto alla vita veniva completamente ignorato. Inoltre perché eliminava l’obiezione di coscienza, promuoveva l’accesso diretto delle minorenni all’aborto senza il consenso dei genitori e la procreazione assistita per single omosessuali. La relazione inoltre non poneva alcuna attenzione sul diritto alla maternità e alla paternità, e accresceva la responsabilità delle donne, con il rischio di accentuarne la solitudine».

La questione “minorenni senza genitori” torna anche nella giustificazione di David Sassoli, capo delegazione PD.
Sassoli risponde così a Marco Zatterin (Sassoli: “Mozione Pse inaccettabile. L’aborto non è competenza Ue, 15 dicembre 2013, la Stampa): «Una cosa era positiva: l’invito rivolto a tutti gli Stati che non hanno una legge sull’aborto a darsene una. Ma altre erano inaccettabili per me. Come l’idea di concedere ai giovanissimi, sotto i 16 anni, l’opzione di interrompere la gravidanza senza consenso parentale. O considerare l’obiezione di coscienza come un ostacolo per il ricorso all’aborto».

L’argomento gli sta proprio a cuore e il dibattito prosegue su Twitter. Il 12 dicembre domanda:




Qualcuno gli suggerisce di leggere la legge 194 al riguardo. Mica tutta, basta legge l’articolo 12 che stabilisce: «La richiesta di interruzione della gravidanza secondo le procedure della presente legge è fatta personalmente dalla donna. 
Se la donna è di età inferiore ai diciotto anni, per l’interruzione della gravidanza è richiesto lo assenso di chi esercita sulla donna stessa la potestà o la tutela. Tuttavia, nei primi novanta giorni, quando vi siano seri motivi che impediscano o sconsiglino la consultazione delle persone esercenti la potestà o la tutela, oppure queste, interpellate, rifiutino il loro assenso o esprimano pareri tra loro difformi, il consultorio o la struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, espleta i compiti e le procedure di cui all’articolo 5 e rimette entro sette giorni dalla richiesta una relazione, corredata del proprio parere, al giudice tutelare del luogo in cui esso opera. Il giudice tutelare, entro cinque giorni, sentita la donna e tenuto conto della sua volontà, delle ragioni che adduce e della relazione trasmessagli, può autorizzare la donna, con atto non soggetto a reclamo, a decidere la interruzione della gravidanza. 
Qualora il medico accerti l’urgenza dell’intervento a causa di un grave pericolo per la salute della minore di diciotto anni, indipendentemente dall’assenso di chi esercita la potestà o la tutela e senza adire il giudice tutelare, certifica l’esistenza delle condizioni che giustificano l’interruzione della gravidanza. Tale certificazione costituisce titolo per ottenere in via d’urgenza l’intervento e, se necessario, il ricovero. Ai fini dell’interruzione della gravidanza dopo i primi novanta giorni, si applicano anche alla minore di diciotto anni le procedure di cui all’articolo 7, indipendentemente dall’assenso di chi esercita la potestà o la tutela».

Il giorno dopo sottolinea che lui vuole difendere la 194 (nelle parti che si ricorda):


Qualcuno allora gli suggerisce che la famiglia non è mica sempre quell’aggregazione bucolica ove tutti si vogliono bene. Ma Sassoli insiste (è sempre il 13 dicembre e c’è un reply sbagliato a un tweet).











La discussione sembra essere finita qui, ma stamattina ecco Sassoli ribadire che la 194 dice quello che dice lui:



Non sarebbero dovuti essere i genitori a decidere? A essere resi consapevoli e informati?
In conclusione, suggerisco di leggere anche la Corte Costituzionale (ordinanza 196) dello scorso anno, soprattutto il seguente passaggio (i corsivi sono miei): «anche di recente, è stato ancora una volta riaffermato, nella ordinanza n. 126 del 2012, come, conformemente alla sopra identificata funzione del procedimento dinanzi al giudice tutelare, sia «attribuito a tale giudice – in tutti i casi in cui l’assenso dei genitori o degli esercenti la tutela non sia o non possa essere espresso – il compito di “autorizzazione a decidere”, un compito che (alla stregua della stessa espressione usata per indicarlo dall’art. 12, secondo comma, della legge n. 194 del 1978) non può configurarsi come potestà co-decisionale, la decisione essendo rimessa – alle condizioni ivi previste – soltanto alla responsabilità della donna» (ordinanza n. 76 del 1996); e che «il provvedimento del giudice tutelare risponde ad una funzione di verifica in ordine alla esistenza delle condizioni nelle quali la decisione della minore possa essere presa in piena libertà morale» (ordinanza n. 514 del 2002)».

Aggiornamento:
Sassoli continua a parlare da solo.



L’articolo 44 (al paragrafo Educazione sessuale completa e servizi su misura per gli adolescenti: «invita gli Stati membri a fornire servizi per la salute sessuale e riproduttiva adatti agli adolescenti e che tengano conto dell'età, della maturità e delle capacità che evolvono, che non siano discriminatori rispetto al genere, allo stato civile, alla disabilità, allorientamento/identità sessuale, e che siano accessibili senza il consenso dei genitori e dei tutori») è qui.

domenica 15 settembre 2013

Legge 194: gli aborti diminuiscono mentre gli obiettori aumentano


Il 13 settembre 2013 il Ministero della Salute ha trasmesso al Parlamento la Relazione annuale sull’applicazione della Legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza. I dati preliminari riguardano il 2012, quelli definitivi il 2011. Dalla Relazione emerge una fotografia che è ormai familiare: da un lato diminuiscono le interruzioni di gravidanza, dall’altro aumentano gli operatori sanitari obiettori di coscienza.

La diminuzione appare più netta se il termine di paragone è il 1982, anno in cui è stato registrato il numero più alto di IVG: 234.801, con un decremento del 54,9%. Il tasso di abortività, cioè il numero di IVG per 1.000 donne tra i 15 e i 49 anni, nel 2012 è di 7,8 per 1.000, un decremento dell’1,8% rispetto al 2011 e del 54,7% rispetto al 1982. È uno dei valori più bassi dei paesi industrializzati. Dal 1983 la diminuzione del ricorso alla IVG è stata continua e relativa a tutti i gruppi di età, minorenni comprese. Diminuiscono anche le interruzioni ripetute e quelle dopo i primi 90 giorni (quante donne vanno all’estero, soprattutto per gli aborti tardivi, e non compaiono in questi numeri?). Le donne straniere costituiscono un terzo delle IVG totali, ma la diminuzione si comincia a osservare anche in questo dominio. Volgendo l’attenzione all’obiezione di coscienza, regolata dall’articolo 9 della legge 194, si osserva, invece, il fenomeno opposto: i numeri aumentano.

La 27esima Ora, 15 settembre 2013.

venerdì 21 giugno 2013

Ospedali fuorilegge


L’applicazione della legge 194 non è garantita e in moltissimi ospedali non si eseguono interruzioni volontarie di gravidanza, nonostante non esista la possibilità dell’obiezione di struttura.

L’articolo 9 della legge sull’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) specifica chiaramente che il servizio debba essere garantito e che ogni struttura sia obbligata a offrirlo. Nonostante questo, moltissime strutture ignorano tale obbligo e a nessuno sembra interessare.
LAIGA – La Laiga è la Libera associazione italiana ginecologi per l’applicazione della legge 194/1978. Il suo intento è di garantire i diritti delle donne e quelli degli operatori della 194. I dati che hanno raccolto sul numero di obiettori di coscienza sono diversi dai numeri ufficiali, presentati dal Ministero della Salute nella relazione annuale sull’applicazione della 194. Sono numeri impressionanti, raccolti tra mille difficoltà e che ci rimandano una fotografia drammatica del fenomeno. Mi faccio raccontare da Anna Pompili, ginecologa della Laiga, quali ostacoli hanno incontrato e che cosa implicano numeri tanto alti.
NON CI SONO I REPARTI IVG – “I dati ufficiali del Ministero sono già drammatici: 7 ginecologi su 10 sono obiettori di coscienza e quindi non garantiscono il servizio IVG. Ma il quadro è ancora più drammatico di così, i numeri sono più alti e in molte strutture manca proprio il reparto di IVG”. Non solo: il primo ostacolo è stato il reperimento. La Laiga ha incontrato mille difficoltà nell’avere una risposta sui numeri degli obiettori in ciascuna struttura, dato ben più utile della generica percentuale regionale se vuoi decidere a quale struttura rivolgerti e calcolare dove il servizio dovrebbe essere garantito meglio. “I dati presentati dalla relazione ministeriale – continua Pompili – non corrispondevano alla nostra sensazione di operatori. Abbiamo allora cercato di capire. Rintracciare i numeri per struttura è stato impossibile. La scusa è stata: si tratta di dati sensibili. Naturalmente non volevamo sapere i nomi degli operatori sanitari, ma soltanto il numero di obiettori in modo da valutare il funzionamento del servizio IVG”. Si tratta di dati sensibili è stata la risposta dell’Istat e quella delle direzioni sanitarie. “Abbiamo chiamato ospedale per ospedale, ma è stato altrettanto inutile”.
LA FORMAZIONE – La Laiga allora ha raccolto i dati con uno sforzo capillare e “ufficioso”. “Chiedendo ai nostri colleghi, uno per uno – mi racconta Pompili. Ecco il risultato. Primo: c’è un dato non considerato dalla relazione parlamentare, ovvero che un gran numero di ospedali sembra ignorare l’esistenza della legge. Nel Lazio, in 10 ospedali su 31 non esiste il servizio IVG. In Lombardia, in 37 su 64. La cosa più grave è che il Sant’Andrea di Roma, per esempio, è un ospedale universitario. Disattende il dettato della legge non solo per l’articolo 9 – e pretendendo l’obiezione di struttura – ma anche l’articolo 15, cioè quello sulla formazione dei giovani medici”. Il Sant’Andrea non insegna cioè ai futuri ginecologi né la legge né la pratica medica. Questo significa che gli specializzandi e i futuri medici non sapranno come ci si comporta di fronte a un aborto, nemmeno agli aborti spontanei. “Si usa una tecnica vecchia invece che l’isterosuzione. Siccome è identificata come tecnica per l’IVG non viene usata, è stigmatizzata anche la procedura medica. E allora si ricorre al raschiamento, che è una modalità più invasiva e aggressiva, e gravata da complicazioni”.

giovedì 22 novembre 2012

A come Aborto

Non ricordo nemmeno come ci sono finita ma leggo questo post e ci trovo alcune cose che non vorrei leggere sull’aborto e il pietoso stato della 194: Renzi, l’aborto e il cimitero dei non-nati. Il corpo delle donne, che rimanda al post di Marina Terragni, aggiunge 3 righe iniziali. Comincio da qui.

Vorrei che gli uomini stessero fuori dalla questione aborto. Vorrei che chiedessero a noi. Vorrei rispetto per questa dolorosissima questione. Vorrei che le donne non fossero giornalmente umiliate. Vorrei che il dolor non fosse la costante di molte vite.
Fuori? Perché fuori e in che senso? Se in senso giuridico nulla da dire. Sono le donne che devono poter decidere (e coinvolgere chi desiderano - emotivamente è molto più complciato, ma io sto parlando della legge). Se invece non è in senso giuridico ma in assoluto, perché dovrebbero starne fuori? Molti uomini hanno scritto e detto parole interessanti sull’aborto, e hanno vissuto emotivamente un aborto. E ci sono molte donne che non rispettano e ignorano le altre donne, che vorrebbero eliminare l’accesso sicuro e legale all’aborto - qui e negli Stati Uniti (e anche altrove). Ma davvero dobbiamo discutere di questo? (Per sicurezza ribadisco l’ovvio: nessuno dovrebbe obbligare, ricattare o imporre un aborto, ma cose del genere vanno nelle premesse implicite). Il dolore passa anche per la ripetizione ossessiva dell’essere, l’aborto, una "dolorosissima questione". In questo caso sembra che non si sia chiesto alle donne, perché alcune di loro non descrivono così le interruzioni di gravidanza (parlo di quelle precoci, non di quelle tardive e seguenti a una patologia fetale per esempio). Perché c’è sempre la necessità di sottolineare il dolore necessario di ogni aborto, di tutti gli aborti? Non è un caso che sono poche le donne che parlano del proprio aborto, forse anche per evitare la reazione pavoloviana, o di condanna, o di sguardo obliquo mentre si abbassa la voce perché di aborto non si può parlare senza un carico di colpa.
Poi segue il post, che dopo avere introdotto l’aborto, la 194 e l’indifferenza di cui è circondata l’applicazione faticosa della legge arriva a Renzi (è vero che nessuno ne voglia parlare, verissimo).
D’altro canto nel marzo scorso la giunta Renzi ha deliberato la realizzazione di un nuovo spazio nel cimitero fiorentino di Trespiano destinato al ricevimento di “di prodotti abortivi e di prodotti del concepimento” (quindi non di bambini nati morti, la cui sepoltura è già consentita da un decreto Presidenziale), consentendo anche “l’installazione di coprifossa, monumentini e altri ricordi”. Un vero e proprio “cimiterino degli Angeli” -non esattamente “obamiano”- simile a quello istituito a Roma dal sindaco Alemanno.

Firenze è la prima città amministrata dal centrosinistra a deliberare la creazione di un camposanto dei non-nati. Come ha osservato la consigliera di perUnaltracittà, Ornella De Zordo “questa norma  contrasta nettamente con la legge 194… e finisce inevitabilmente per colpevolizzare chi già affronta una scelta dolorosissima e abortendo compie una scelta legittima ma molto sofferta”.
Non è proprio così, in base al D.P.R. 10/09/1990 n. 285, in particolare articolo 7. Comma 2. Per la sepoltura dei prodotti abortivi di presunta età di gestazione dalle 20 alle 28 settimane complete e dei feti che abbiano presumibilmente compiuto 28 settimane di età intrauterina e che all’ufficiale di stato civile non siano stati dichiarati come nati morti, i permessi di trasporto e di seppellimento sono rilasciati dall’unità sanitaria locale.
Comma 3. A richiesta dei genitori, nel cimitero possono essere raccolti con la stessa procedura anche prodotti del concepimento di presunta età inferiore alle 20 settimane.
Comma 4. Nei casi previsti dai commi 2 e 3, i parenti o chi per essi sono tenuti a presentare, entro 24 ore dall’espulsione od estrazione del feto, domanda di seppellimento alla unità sanitaria locale accompagnata da certificato medico che indichi la presunta età di gestazione ed il peso del feto.
Non è nemmeno che ci sia un contrasto con la 194 (leggetevi come si chiama la legge 194 e come comincia). Sui cimiteri avevo già scritto qui e qui.
Sulla colpa il discorso si complica ovviamente, ma la colpa non si radica anche nel voler giudicare tutti gli aborti (volontari e precoci) di tutte le donne come "scelte dolorosissime" e "molto sofferte"?
La prima strada per intervenire sulla colpa sarebbe quella di garantire il servizio di IVG, oggi messo a rischio dalle altissime percentuali di obiezioni di coscienza. La prima strada per limitare la colpevolizzazione sta nel cominciare a chiedere alle donne, evitando di parlare in loro nome (era questo il consiglio iniziale rivolto agli uomini "chiedessero a noi" - dovrebbe valere anche tra chi condivide il genere sessuale). Il carico di dolore evitabile è a volte insopportabile, come nel caso di Margherita. L’obiezione di coscienza rende alle donne spesso difficile abortire. Nel Lazio la LAIGA ha dato dei numeri spaventosi. L’ultima relazione ministeriale sull’applicazione della 194 ha sollevato molti dubbi, oltre alla preoccupazione sull’obiezione. Insomma prima di scaldarsi per i cimiteri bisognerebbe davvero parlare di tutto questo. Si può non essere d’accordo con i cimiteri e i funerali degli embrioni, si può (magari giustamente) prendersela con il significato politico e il ricatto morale, ma se dovessimo elencare una gerarchia di importanza la garanzia del servizio IVG sta al primo posto. Se rimane tempo parliamo anche del resto.

In conclusione:
Matteo Renzi ha liquidato come “ideologiche” le proteste, ma ha anche ritenuto di rinviare il dibattito in consiglio comunale, calendarizzato proprio in coincidenza con l’inizio del gran tour in camper, chiudendo la delibera in un cassetto. Meglio non parlarne “adesso”, onde evitare contrapposizioni e polemiche. Tanto chi doveva cogliere il segnale -la destra, i cattolici oltranzisti- l’ha colto. Ma la norma resta, pronta a essere attuata.

Il tema è sensibile. Sensibilissimo e qualificante. Lo è per un candidato premier italiano non meno di quanto lo sia per un candidato Presidente americano. Non vi è ragione di sottrarlo all’attenzione degli elettori, e in particolare delle elettrici di primarie e secondarie, che hanno il diritto di poter scegliere consapevolmente, disponendo di tutte le informazioni sui candidati, in perfetta trasparenza e senza omissis.
Sulla difficoltà e inopportunità politica è facile essere d’accordo. Nessuno vuole sporcarsi le mani con l’aborto.

martedì 23 ottobre 2012

Aborto: ricorso Ong su legge 194, troppi medici obiettori

(ANSA) - STRASBURGO, 23 OTT - In Italia non ci sono sufficienti medici non obiettori di coscienza per assicurare il diritto delle donne all'interruzione di gravidanza. Questa la tesi sostenuta nel ricorso presentato dall'Ong International Planned Parenthood Federation European Network (Ippf En) contro l'Italia al Comitato europo dei diritti sociali del Consiglio d'Europa, che entro questa settimana deve pronunciarsi sulla sua ammissibilita'. Secondo l'organizzazione non governativa la legge 194 del 1978 non garantisce, come dovrebbe, il diritto all'interruzione di gravidanza, e quindi viola il diritto delle donne alla salute, e quello a non essere discriminate, sanciti dalla Carta sociale europea. L'Ippn En sostiene che la violazione della Carta sociale e' dovuta alla formulazione dell'articolo 9 della legge. Nel regolare l'obiezione di coscienza degli operatori sanitari, l'articolo 9 non indica le misure concrete che gli ospedali e le regioni devono attuare per garantire un'adeguata presenza di personale non obiettore in tutte le strutture sanitarie pubbliche, in modo da assicurare l'accesso alla procedure per l'interruzione di gravidanza. Il numero insufficiente di medici non obiettori, soprattutto in alcune regioni, mina, sostiene l'ong, il diritto delle donne alla salute e discrimina quelle che per motivi finanziari non possono recarsi in un'altra regione o in strutture private. (ANSA)

domenica 21 ottobre 2012

La Laiga sulla Relazione ministeriale (194)

La Laiga ha scritto questa lettera aperta in seguito alla pubblicazione della Relazione ministeriale sulla applicazione della legge 194.

Gentile Signor Ministro,
Le scriviamo certi di meritare tutta la Sua attenzione, dal momento che la nostra associazione, LAIGA (Libera Associazione Italiana dei Ginecologi per l’Applicazione della legge 194), raccoglie quella esigua parte dei ginecologi italiani, cosiddetti “non obiettori”, cioè quegli operatori che, pur fra mille difficoltà, si fanno carico di applicare una legge dello Stato.
Abbiamo finalmente potuto leggere la Sua relazione al Parlamento sullo stato di applicazione della legge 194, ed abbiamo notato come questa si differenzi significativamente da quelle che l’hanno preceduta, sganciandosi dal rigido tecnicismo della comunicazione e dell’interpretazione dei dati, per fare un ragionamento più generale sugli obiettivi e le finalità della legge.
Obiettivo primario, Lei ci dice, è la prevenzione dell’aborto; in quest’ottica, Lei inserisce la legge 194 in un contesto più ampio, che comprende la legge 405 sui consultori familiari, la sentenza n. 27 del 1975 della Corte Costituzionale, e il documento del Comitato Nazionale di Bioetica del 2005 intitolato “Aiuto alle donne in gravidanza e depressione post-partum”. Il nesso tra aborto e depressione post-partum non è così immediato, ma intuiamo che la chiave di interpretazione sia la supposta fragilità psicologica delle donne, una fragilità “esistenziale”, che si accentua drammaticamente in gravidanza e che sarebbe la causa di gran parte (se non di tutte) le interruzioni di gravidanza. Sarebbe dunque possibile prevenire gli aborti con un adeguato sostegno psicologico e “spirituale” alle donne: allora, ci suggerisce Lei, i medici obiettori (certamente i più qualificati e certamente spinti da più alti principi etici) potrebbero essere utilizzati nei consultori, per convincere le donne a non abortire.
Gentile Signor Ministro, Le ricordiamo che le leggi da lei citate, la 194 e la 405 sui consultori familiari, sono nate proprio grazie alla determinazione, alle lotte e all’impegno civile di quelle donne, cittadine del Suo Paese, che Lei ritiene meritevoli di “tutela” perché incapaci di fare autonomamente una scelta che riguarda la loro vita e la loro salute.
D’altra parte, gentile Signor Ministro, ci sembra che questa, sotto altra veste, sia la stessa logica che portava taluni ad osteggiare l’aborto medico in quanto “aborto facile”: l’idea, in questo caso, era che, vista la maggiore facilità, le donne sarebbero corse ad abortire senza pensarci tanto, e che dunque il numero degli aborti sarebbe sicuramente aumentato. E’ l’idea che sostanzia il parere del Consiglio Superiore di Sanità, acriticamente seguito dalla quasi totalità delle amministrazioni delle nostre Regioni: ignorando i dati riportati dalla letteratura scientifica internazionale e le esperienze sanitarie degli altri Paesi, si è perseguito il fine di rendere più difficile l’accesso all’aborto farmacologico, consigliando il regime di ricovero ordinario con tre giorni di ospedalizzazione! Eppure, gentile Signor Ministro, i dati contenuti nella Sua relazione, seppur frammentari ed incompleti, smentiscono questa logica: nonostante infatti il crescente ricorso all’aborto farmacologico, il numero totale degli aborti è ulteriormente diminuito, e non si sono avute maggiori complicazioni, in accordo con i dati degli altri Paesi, in molti dei quali la pillola per abortire viene addirittura dispensata in consultorio. D’altra parte, poiché l’aborto farmacologico viene praticato in epoche gestazionali precoci, e poiché l’incidenza di complicazioni è tanto minore quanto più precoce è l’epoca gestazionale, facilitare l’accesso a questa metodica non può che essere un’azione per la salute delle donne.
Gentile Signor Ministro, a tal proposito le facciamo notare che, in tempi di crisi economica e di “spending review”, la scelta di eseguire l’aborto farmacologico in regime di Day Hospital permetterebbe di ridurre notevolmente sia i costi per il nostro Sistema Sanitario Nazionale, grazie ad un più razionale utilizzo dei posti letto, sia i rischi di complicazioni legati ai lunghi tempi di attesa.
A Lei, che con questa relazione ha voluto essere non solo “tecnico”, chiediamo di allargare lo sguardo e di muoversi nella logica non della semplice prevenzione dell’aborto, ma in quella della prevenzione delle gravidanze indesiderate, promuovendo in primo luogo un più facile accesso alla contraccezione sicura. Siamo certi che i ginecologi obiettori sarebbero felici di essere impiegati a tal fine nei nostri consultori.
Gentile signor Ministro, siamo convinti che anche Lei ritenga la legge 194 una delle migliori del nostro Paese, il che è peraltro sottolineato dal dato, riportato anche dalla Sua relazione, che in poco più di trent’anni dalla sua approvazione il numero di aborti in Italia è più che dimezzato. Tuttavia, la Sua stessa relazione sottolinea le numerose criticità per la piena applicazione della legge; fra queste, a nostro avviso merita una considerazione particolare il problema dell’obiezione di coscienza, o, per meglio dire, dell’uso strumentale dell’obiezione di coscienza. Nel nostro Paese, caso unico tra quelli che si sono dati una legge per regolamentare il ricorso all’aborto, la percentuale di ginecologi obiettori è altissima, tanto da ostacolare in molti casi la possibilità per le donne di esercitare appieno un loro diritto.
Nella Sua relazione Lei ci parla di una stabilizzazione generale del fenomeno dell’obiezione di coscienza, che nel 2010 è stata sollevata dal 69,3% dei ginecologi italiani; i dati in nostro possesso, nati dalla necessità di verificare la sensazione dell’esistenza di uno “scollamento” fra i dati ufficiali e quelli reali, fotografano una situazione molto più grave: la percentuale di obiettori nel Lazio è pari al 91,3% del totale dei ginecologi delle strutture ospedaliere pubbliche; sempre nel Lazio, su 31 strutture pubbliche, ben 9 non dispongono di un servizio di pianificazione familiare e non praticano aborti, e in ben tre provincie del Lazio non si eseguono aborti terapeutici, in assoluta inadempienza proprio di quell’art.9 della legge che disciplina la possibilità di sollevare obiezione di coscienza. Questi i numeri, gentile Signor Ministro. Sono inquietanti, ma sono numeri. Sono importanti, ma al tempo stesso non sono sufficienti a descrivere e definire la realtà, perché non raccontano le condizioni di lavoro dei non obiettori, costretti a sobbarcarsi un carico di lavoro considerato generalmente “bassa manovalanza” ma che non lascia spazio ad altro, non raccontano l’esasperazione, la stanchezza, i rischi personali e professionali, la voglia, a volte, di gettare la spugna. Ne’ parlano dell’impegno civile, dell’ostinazione, della passione per la nostra professione, che, invece, ci spingono a continuare a lavorare per la tutela della salute riproduttiva.
A Lei, Ministro “tecnico” chiediamo dunque di incontrare noi “tecnici”, perché l’azione di governo per migliorare l’applicazione di una legge miliare del nostro Paese possa sostanziarsi dell’esperienza e dei suggerimenti di chi realmente lavora “sul campo”.

mercoledì 10 ottobre 2012

giovedì 21 giugno 2012

Chiedi al tuo ginecologo se è obiettore di coscienza


Ieri la consulta ha rigettato il dubbio di costituzionalità sull’articolo 4 della legge 194. La decisione della Corte era una decisione prevedibile ma non scontata.
La 194, però, deve vedersela con ben altri guai. Primo tra tutti le altissime percentuali di obiettori di coscienza. Gli ultimi dati nel Lazio a cura della Laiga sono tali da trasformare un servizio sanitario nazionale nelle sua caricatura (qui i dati sulla Lombardia presentati da Sel e qui la relazione attuativa della 194). E come potrebbe funzionare se meno di 1 medico su 10 è disposto a eseguire aborti?
Le ragioni di queste altissime percentuali sono varie e anche l’interpretazione della liceità dell’obiezione dipende da diversi fattori e le domande sono numerose. Quali sono i doveri professionali dei medici? Ha senso chiamare “obiezione di coscienza” qualcosa che la legge prevede (ovvero la versione intra legem)? Perché una scelta individuale e libertaria si è trasformata in un privilegio? Perché la Ru486 è disponibile in una sola struttura in tutta Roma? Perché anche i farmacisti reclamano la possibilità di dirsi obiettori? A 34 anni dalla legge avrebbe senso eliminare la possibilità di essere obiettori dal momento che si sceglie liberamente di fare i ginecologi e di farlo nel servizio pubblico - come è stata eliminata da quando la leva è diventata volontaria? In che clima vivono i medici che eseguono aborti?
Ciò che è certo è che le conseguenze di percentuali tanto alte sono le lunghe attese che le donne sono costrette a fare sia per l’accettazione che per l’intervento; difficoltà logistiche di vario genere; a volte un clima di condanna per chi decide di abortire e per chi decide di garantire il servizio. La legge 194 è svuotata dall’interno e quell’obiezione personale sta diventando una obiezione strutturale (sebbene l’articolo 9 affermi che il servizio debba essere sempre garantito: tuttavia solo nel Lazio in 10 strutture pubbliche su 31 non si eseguono interruzioni di gravidanza).
Molte donne non sanno - se non prima di scoprirsi con una gravidanza che non vogliono o non possono portare avanti - quante difficoltà evitabili rischieranno di dover aggirare in una gimkana di coscienze.
Da dove cominciare? Da una semplice domanda: chiedi al tuo ginecologo se è obiettore di coscienza.

Notizie e proposte da:
Associazione Luca Coscioni e Aied
Il buon medico non obietta.

#Apply194 e #Save194.

Foto di Tano D’Amico.

Tabella 28, obiezione di coscienza, 2009

giovedì 14 giugno 2012

La 194 nel Lazio

Comunicato conferenza stampa


Il 14 giugno, presso l’ordine dei Medici di Roma si è svolta una Conferenza Stampa a cura di LAIGA (Libera Associazione Italiana dei Ginecologi per l’Applicazione della legge 194).

In un clima di attacco su più fronti alla legge 194 e in generale al diritto alla piena salute riproduttiva, che mette in campo l’uso strumentale dell’obiezione di coscienza, la presentazione in Parlamento di mozioni “bipartisan” che considerano prevalente e non bilanciabile il diritto all’obiezione di coscienza del medico, fino ad iniziative quali quella del Giudice Tutelare di Spoleto che interroga la Corte Costituzionale sulla liceità della legge, i ginecologi di LAIGA hanno deciso di denunciare l’estrema gravità della situazione attuale, sia per le donne che decidono di interrompere una gravidanza indesiderata, sia per gli operatori che le assistono in questa scelta.

Nella conferenza stampa sono stati resi noti i risultati di un attento monitoraggio dello stato di attuazione della legge nella Regione Lazio, emblematico della drammaticità della situazione in cui versa la gran parte delle Regioni italiane. È così emerso che la situazione reale è ben più grave di quanto riportato nella relazione annuale presentata in Parlamento dal Ministro della Salute:
  1. Nel Lazio in 10 strutture pubbliche su 31 (esclusi gli ospedali religiosi e le cliniche accreditate) non si eseguono interruzioni di gravidanza. Tra queste, 2 sono strutture universitarie (il Policlinico di Tor Vergata e l’Azienda Ospedaliera S. Andrea), che dunque disattendono anche il compito della formazione dei nuovi ginecologi, sancito dall’art.15 della legge 194.
  1. Nel Lazio ha posto obiezione di coscienza il 91,3% dei ginecologi ospedalieri. Se per gli aborti del I trimestre si può fare in parte fronte alla situazione ricorrendo a medici convenzionati esterni o a medici gettonati, così non è per gli aborti terapeutici, sui quali quel 91,3% pesa come piombo. Con il ricorso a medici convenzionati esterni e medici “a gettone” l’obiezione scende all’84%, dato comunque più grave dell’80,2% riferito dal ministro, che non considera nella sua relazione il fatto che una parte dei non obiettori in realtà non esegue IVG.
  1. In 3 Province su 5 (Frosinone, Rieti, Viterbo) non è possibile eseguire aborti terapeutici, che costringe le donne alla triste migrazione verso i pochi centri della capitale, sempre più congestionati, o all’estero. Gli stessi centri romani che assorbono anche la gran parte delle IVG entro il 90° giorno provenienti dal resto della Regione
  1. La drammaticità della situazione va considerata anche in rapporto al dato dell’età media dei medici non obiettori, molti dei quali sono alla soglia della pensione e non verranno rimpiazzati da nuovi ginecologi, per la totale assenza di formazione professionale, sia sul piano pratico che scientifico.

Considerata la gravità e la insostenibilità della situazione attuale, LAIGA:

  1. Chiede di poter incontrare in tempi brevissimi i rappresentanti della Regione Lazio, anche in considerazione dell’emergenza estate che vedrà molti degli ospedali che attualmente forniscono il servizio ridurre la propria attività.
  1. Comunica di stare studiando la possibilità di agire legalmente nei confronti delle direzioni sanitarie delle strutture inadempienti.
  1. Chiede che tutte le strutture, nell’obiettivo di assicurare tempi certi e di accorciare i tempi di attesa, applichino l’alternativa dell’aborto medico.
  1. Chiede che Università e Regioni si impegnino per la formazione dei giovani ginecologi e per l’aggiornamento di tutto il personale sanitario. Si impegna in tal senso a fornire le proprie competenze, promuovendo corsi ed incontri.

martedì 12 giugno 2012

L’AIED sezione di Roma a difesa della legge 194 #Save194

Ancora una volta torniamo a discutere della legge 194 e ancora una volta, tra polemiche e confusione, si cerca di minare un diritto conquistato con fatica ben 34 anni fa.
Pare proprio che l’Italia, invece di progredire lungo un cammino di crescita ed evoluzione culturale, soprattutto negli ultimi tempi, stia scivolando in una buia crisi dei valori sociali.

Si sta cercando di riaprire vecchi dibattiti e tentare in tutti i modi di cancellarla, con attenzione nulla nei confronti della donna e della sua salute, malgrado, dopo la sua entrata in vigore, gli aborti in Italia si siano ampiamente ridotti.

Il prossimo 20 giugno l’articolo 4 sarà all’esame della Corte Costituzionale, che dovrà esaminarne nuovamente la legittimità. Ciò che si valuterà è se va contro i diritti inviolabili dell’uomo e la tutela della salute, se pregiudica il diritto alla vita dell’embrione, in quanto uomo in divenire.

Ma noi dell’AIED sezione di Roma ci chiediamo: se non ci fosse più la legge 194 i diritti umani e alla salute sarebbero invece tutelati o si verificherebbe un grande passo indietro che riporterebbe agli aborti clandestini, ai ricorsi all’estero, alla clinica privata, al mercato nero delle pillole abortive? All'esasperazione di donne che vivono sulla loro pelle le storie più diverse e che vedrebbero negata la libertà di scelta, già in parte messa in discussione dall’altissimo numero di medici obiettori.

L’AIED – Associazione Italiana per l’Educazione Demografica, in prima linea nelle battaglie politiche e giudiziarie da quasi 60 anni, ribadisce l’importanza della legge 194 e si pone ancora una volta a difesa dei fondamentali diritti civili della donna e della coppia, confermando l’impegno per la modernizzazione e lo sviluppo sociale, civile e culturale del nostro Paese.

L’AIED non è un’Associazione abortista e proprio con tale finalità promuove la contraccezione, ma riteniamo che le donne debbano essere libere di fare le proprie scelte nella legalità, senza alcun tipo di ostacolo o giudizio.

(Il corsivo è mio).

Comunicato stampa #Save194


Il *14 giugno* dalle ore 15 alle ore 17 presso l’Ordine dei Medici e degli Odontoiatri di Roma* (*Via G. B. De Rossi, 9 a Roma.*) si terrà una conferenza stampa a cura dei ginecologi di *LAIGA*, Libera Associazione dei Ginecologi per la applicazione della Legge 194.
L’evento si inserisce in un clima generale di attacco alla legge 194, che vede in campo l’uso strumentale dellobiezione di coscienza, la presentazione in Parlamento di mozioni "bipartisan" che vogliono affermare il diritto all’obiezione di coscienza del medico come diritto prevalente, fino ad iniziative quali quella del giudice tutelare che interroga la Corte Costituzionale sulla "liceità" della legge. La conferenza stampa di LAIGA, che si svolgerà all’indomani del Convegno sull’obiezione di coscienza in Italia , organizzato il 22 Maggio scorso dall’Associazione Luca Coscioni e dall’AIED (Associazione Italiana per l’Educazione Demografica) e della campagna della Consulta di Bioetica contro l’obiezione di coscienza, ha come scopo lillustrazione dei dati risultanti da un attento e mirato monitoraggio dello stato di applicazione della legge 194 nella Regione Lazio.
Da tempo i ginecologi di LAIGA avvertivano l’esistenza di uno "scollamento" fra i dati della relazione annuale del Ministro della Salute e la realtà vissuta quotidianamente dagli operatori e dalle donne; la ricerca ha permesso di rendere oggettivi i dati, analizzando anche elementi che la relazione del Ministro non prende in considerazione.
I ginecologi di LAIGA lanciano un grido di allarme sulla situazione attuale, ben più grave di quanto riferito dal Ministro, e sul futuro: in assenza di unadeguata formazione e sensibilizzazione dei nuovi ginecologi, infatti, si rischierà una impossibilità di fatto di applicazione della legge per mancanza di operatori.
LAIGA si propone di intraprendere iniziative per la piena attuazione della legge nel Lazio e in tutte le regioni italiane, per la difesa del diritto alla salute riproduttiva delle donne, e per la difesa dei diritti e della professionalità degli operatori.

(Vedi alla voce Aborto).

sabato 26 maggio 2012

Articolo 9, comma 4

È amareggiata, la dottoressa Miriam Valentini, lettrice del giornale dei vescovi italiani, al cui direttore scrive una lettera accorata («Liberticida attacco agli obiettori», Avvenire, 24 maggio 2012, p. 37). Cosa ha turbato la signora? Alcune recenti letture l’hanno resa consapevole

del fatto che associazioni che si rifanno all’area del Partito radicale stanno chiedendo che nei concorsi venga riservata una quota ai medici ginecologi non obiettori, mentre esponenti del Pd hanno chiesto di evitare che nei presidi sanitari ci sia più del 50% di medici obiettori. Addirittura un magistrato presentato come «esperto di diritto di famiglia» è arrivato a suggerire la possibilità di denunciare una struttura sanitaria per «omissione di atti d’ufficio» e «interruzione di pubblico servizio» nel caso in cui una donna non possa abortire in quello stesso presidio a motivo del fatto che «non ci sono medici non obiettori».
E conclude sgomenta:
Mettere addirittura la corsia preferenziale nei concorsi per i non obiettori mi sembra veramente un colpo basso alla libertà di coscienza delle persone. Quanto potrebbe dirsi “civile” una società del genere?
Il direttore Marco Tarquinio condivide «totalmente il suo amarissimo ragionamento e il suo allarme», e soprattutto condivide
lo spirito della sua vibrante domanda finale. I paladini di “libertà” che si fanno arbitrio gettano definitivamente la maschera (o, meglio, quel che ne resta) e si rivelano per quel che sono: vorrebbero negare persino la libertà di coscienza, e premono per ottenere regole liberticide, tese a discriminare e penalizzare i medici che rifiutano di farsi somministratori di morte.
A dire il vero, qui non si tratta di ottenere nuove regole, ma di rispettare quelle che già esistono. Andiamo a leggere – leggere per intero – l’art. 9 della legge 22 maggio 1978, n. 194 («Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza»), che come è noto sancisce il diritto all’obiezione di coscienza. Ebbene, al comma 4, la legge recita testualmente:
Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l’espletamento delle procedure previste dall’articolo 7 e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale.
Non importa, in altre parole, che un ente ospedaliero o una casa di cura si trovino a corto di medici non obiettori: essi sono in ogni caso obbligati a fornire il servizio di interruzione della gravidanza. Non si vede dunque come direttori sanitari, primari e/o responsabili regionali della sanità negligenti possano sfuggire all’imputazione di omissione d’atti d’ufficio (art. 328 c. 2 del Codice Penale) e di interruzione di pubblico servizio (art. 340 C.P.). Quello che stupisce, in effetti, è che non si siano finora moltiplicate le denunce di questo tipo, visto che sono oramai molti gli ospedali che non offrono più il servizio di IVG (anche se bisogna poi vedere quali siano gli strumenti effettivi – mobilità del personale, concorsi riservati, incentivi economici? – a disposizione per combattere la proliferazione degli obiettori).

Nella retorica degli attivisti italiani anti-choice è diventata da tempo comune la pretesa di presentarsi come paladini della legge 194, che – così ci viene detto – va applicata «per intero», lasciando intendere che se rispettata alla lettera essa avrebbe un effetto dissuasivo sugli aborti. Bene, non chiediamo di meglio: si applichi per intero anche l’art. 9 della 194. O dobbiamo scoprire che per certuni – caro direttore Tarquinio – le leggi si applicano solo là dove fanno comodo?

Aborto, cosa significa obiezione di coscienza?


A 34 anni dalla promulgazione della legge 194 sulla interruzione volontaria di gravidanza (era il 22 maggio 1978), i dati del Ministero della Salute mettono bene in evidenza quanto la norma sia disattesa: la media nazionale di ginecologi obiettori supera il 70%, arriva in alcune regioni al 90, e rende estremamente difficile la garanzia del servizio.
In questi giorni, peraltro, in Parlamento si discute un testo ambiguo e pericoloso, un testo che gioca sull’ambiguità dei significati: che cosa intendiamo infatti per obiezione di coscienza e cosa c’entra con la libertà individuale e con la libertà di coscienza? Se ne è parlato durante il convegno “Obiezione di coscienza in Italia. Proposte giuridiche a garanzia della piena applicazione della legge 194 sullaborto” organizzato il 22 maggio a Roma dall’Associazione Luca Coscioni e l’Aied.
Nell’estate 2010 Christine McCafferty, parlamentare del partito laburista inglese, ha presentato al Consiglio dEuropa un report sulla regolamentazione dell’obiezione di coscienza, “Women’s access to lawful medical care: the problem of unregulated use of conscientious objection”. Il report fotografa la situazione europea e propone alcune linee guida per limitare i danni di un esercizio illegittimo dell’obiezione di coscienza. McCafferty non abbraccia una posizione estrema, non critica cioè la possibilità di ricorrere alla obiezione, ma sottolinea che i diritti delle donne e dei pazienti vengono prima della coscienza del personale medico. È necessario un bilanciamento tra la coscienza personale e la responsabilità professionale altrimenti si finisce per ledere lo stesso diritto dei pazienti di ricevere cure e assistenza, sostituite da una predica moralistica.

Quali sarebbero le condizioni per l’esercizio legittimo della obiezione di coscienza? Possono ricorrervi i singoli direttamente coinvolti nella procedura medica e non le strutture sanitarie. Il personale sanitario ha l’obbligo di fornire tutte le informazioni sui trattamenti previsti dalla legge, di informare tempestivamente il paziente della propria obiezione di coscienza, di metterlo in contatto con un altro medico e di assicurarsi che riceva il trattamento richiesto. Se è impossibile trovare un altro medico o in caso di emergenza non c’è coscienza che tenga: il personale sanitario è obbligato a eseguire il trattamento richiesto o necessario nonostante le proprie posizioni personali. Il documento si sofferma spesso sugli effetti discriminatori soprattutto per le donne più in difficoltà, perché vivono in condizioni economiche difficili o in aree isolate o per altre ragioni.

Le condizioni indicate da McCafferty sono in linea con l’articolo 9 della 194 - ma l’articolo 9 spesso rimane solo sulla carta. L’Italia è infatti tra i Paesi che regolamentano in modo inadeguato l’esercizio della obiezione di coscienza, avverte McCafferty, insieme alla Polonia e alla Slovacchia. Il report poi sottolinea che l’obiezione non può essere esercitata dal personale non medico, come amministrativi o portantini, e che l’assistenza precedente e successiva non possono essere oggetto di obiezione. Anche questo è in linea con l’articolo della legge italiana ed è utile per le discussioni sull’ampliamento dell’esercizio della obiezione ai farmacisti. A questo proposito ricordo il caso Pichon and Sapious vs. France (Corte europea dei diritti umani, 7 giugno 1999): la Corte stabilì che un farmacista che rifiuta di vendere i contraccettivi non può imporre la propria visione del mondo agli altri e che il diritto alla libertà religiosa - diritto individuale sacrosanto e strettamente intrecciato alla coscienza - non garantisce il diritto di comportarsi pubblicamente secondo le proprie credenze. Quando decido di fare il farmacista, o il medico o l’avvocato, la mia coscienza individuale non può essere quella cui tutti gli altri dovrebbero sottostare o conformarsi. La scelta di una professione implica dei doveri e la garanzia di un servizio.

Galileo, 25 maggio 2012.