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mercoledì 27 agosto 2014

Una suora e un aborto clandestino, la serie tv che fa arrabbiare i pro-life Usa


The Knick è una serie tv diretta da Steven Soderbergh. Clive Owen è John Thackery, chirurgo all’inizio del ventesimo secolo. The Knick sta per Knickerbocker Hospital (The Real “Knick”, How Accurate Is The Knick’s Take on Medical History?). La prima puntata è andata in onda lo scorso 8 agosto. La seconda, “Mr. Paris Shoes”, ha già fatto arrabbiare i pro-life americani. Avrebbe sicuramente fatto scandalizzare anche i nostri.

Sister Harriet dirige l’orfanatrofio di The Knick e ha un carattere ben poco remissivo. All’energumeno che guida l’ambulanza e che la provoca più o meno ogni volta che la vede, Harriet aveva risposto nella prima puntata: “Il tuo brutto muso è responsabile della verginità di molte più ragazze di una cintura di castità”.

Alla fine della seconda la vediamo camminare lungo vicoli bui e poi bussare a una porta. Harriet è qui per Nora. Nora è incinta ma non può permettersi di avere un altro figlio. Dal dialogo capiamo che il marito di Nora non sa e non deve sapere, e che sarà Harriet a interrompere la gravidanza.

Non solo. Harriet consola e rassicura Nora, preoccupata di compiere un peccato per il quale Dio non la perdonerà, andando così all’inferno per aver ucciso un bambino. Dio sa che hai sofferto le dice Harriet, Dio sarà compassionevole. (Nora: “But will God forgive me? I don’t want to go to hell for killing a baby”. Harriet: “He knows that you’ve suffered. I believe the Lord’s compassion will be yours. Now, I need you to lay down. I will make this as painless as possible”).

I pro-life si sono arrabbiati. “Uno show sacrilego!”. “Una suora che esegue un aborto!”.

Pagina 99, 26 agosto 2014.

giovedì 21 agosto 2014

«“Ogni feto è meno umano di un maiale adulto”. Così lo scienziato insulta la vita»


È bastata la domanda di una donna incinta di un bambino con sindrome di Down per scatenare in Richard Dawkins, famoso come biologo e per le sue battaglie contro la religione cattolica, una brutale disinvoltura dialettica sul tema dell’aborto. La donna su Twitter ha confidato allo scienziato inglese di vivere un “dilemma etico” da quando ha scoperto che il piccolo che porta in grembo è affetto da trisomia 21. Senza che richiedesse esplicitamente al biologo un consiglio sul da farsi, la potenziale madre si è vista rivolgere da Dawkins una sua massima, piuttosto perentoria e priva di ogni cautela, in merito alla questione: “Proceda all’aborto e riprovi di nuovo. Sarebbe immorale portarlo al mondo se si ha la possibilità di non farlo”.
E poco più giù.
Parole dure, che sferzano come una sciabola l’intima esperienza di una donna pronta a generare vita.
Peccato che la donna non avesse confidato di essere incinta, di aver fatto una diagnosi prenatale, di aver scoperto che il feto fosse affetto dalla sindrome di Down e di vivere un “dilemma etico”. Aveva fatto una domanda, anzi aveva commentato un articolo linkato da Richard Dawkins sulla chiesa, l’Irlanda e l’aborto e immediato controcommento: «I honestly don’t know what I would do if I were pregnant with a kid with Down Syndrome. Real ethical dilemma».


Cioè: non so cosa farei se. «Real» deve aver confuso Federico Cenci.
Nemmeno nessuna «intima esperienza di una donna pronta a generare vita» dunque. Lo ribadisce anche oggi.
A Cenci sarebbe bastato andare a leggere prima di scrivere (il suo articolo è di oggi), e magari - già che ci stava - approfittare e leggere anche la bio («Writer, artist, atheist, nerd, exercise fanatic. Yes, I’m a woman. Huge admirer of Richard Dawkins and Dr. Jack Kevorkian (1928-2011)»).

Certo, la difesa della vita è più importante della comprensione del testo e del contesto. Forse è anche più importante della comprensione delle parole, inglesi e italiane. Infatti nemmeno il significato di «vita» deve essere molto chiaro, considerando il titolo (didascalia: anche il maiale adulto è vivo, non si abortisce nessun bambino).
Il commento di InYourFaceNewYorker sulla vicenda potrebbe valere anche su questa pietosa prova di Zenit.


Aggiornamento

Chiedo a Federico Cenci se la donna sia proprio InYourFaceNewYorker (magari ne esiste un’altra che è davvero incinta, ma no, pare sia lei).
Ringrazia per la «precisazione» e apporta la «piccola modifica» (le parole giuste sarebbero state: «Ho completamente travisato, non so l’inglese, dovevo uscire e avevo fretta» o qualcosa di simile; aggiungerei che non è così che si corregge un pezzo - cancellando e riscrivendo, ma lasciando quello originario e mettendo un asterisco o una parentesi «ho sbagliato qui e qui, le cose stanno in questo altro modo»).


Il pezzo rimane comunque pieno di imprecisioni (sarebbe bastato usare google translate). «La persona, una donna, su Twitter ha confidato allo scienziato inglese che vivrebbe un “dilemma etico”», oppure «Poco prima dell’intervento della donna sulla questione relativa alla gravidanza di un piccolo con sindrome di Down». Poco prima dell’intervento?!

 



Nel frattempo stamattina Tempi riprende il pezzo di Cenci nella prima versione: «È bastata la domanda di una donna incinta di un bambino con sindrome di Down per scatenare in Richard Dawkins».

 

mercoledì 25 giugno 2014

I pro-life e la retorica della “vita nascente” contro l’interruzione volontaria di gravidanza


“Nel 1999 Don Oreste Benzi diede inizio alla preghiera per la vita nascente davanti agli ospedali, nel giorno e nell’ora in cui si pratica l’aborto legale, da Rimini si è diffusa in diverse città, a cadenza settimanale o mensile”. Così si legge nel sito della Comunità Papa Giovanni XXIII. Ogni martedì, come stamattina, il gruppo di preghiera si ritrova davanti alla Clinica di Ostetricia del Sant’Orsola di Bologna. Prega, è lì apposta. Prega per ottenere un risultato: convincere le donne a non interrompere la gravidanza, perché l’aborto è il più atroce dei crimini.

Per loro non è che un atto dovuto, perché “Con questa preghiera si vuole essere presenti sul luogo dove si esegue una condanna a morte di cui tutta la società è corresponsabile, per chiedere perdono pubblicamente e per supplicare il Padre perché cessi questa strage di innocenti, uccisi perché danno fastidio. Si vuole essere vicini alle mamme, anche loro vittime dell’aborto, in quanto lasciate sole, indotte da condizionamenti e pressioni esterne, illuse che l’aborto sia un atto liberatorio e non informate della ferita incancellabile che procura per offrire loro aiuto perché salvino il loro bambino e anche se stesse”.

La logica è la stessa di quelli che aggrediscono i medici, che arrivano pure a ucciderli: in fondo è legittima difesa, o qualcosa che le somiglia molto. Cosa fareste avendo la possibilità di fermare un serial killer? Il peggiore dei serial killer, poi, uno che se la prende con gli individui più deboli e indifesi? La violenza appare giustificabile quando il fine è tanto superiore.

Il sito della Comunità offre un’ottima visuale del mondo pro-life: sostituisce il “bambino prenatale” a “embrione” e “feto”, ci mette in guardia dalle conseguenze psicologiche dell’aborto (“elaborazione del lutto”), promuove l’adozione degli embrioni congelati, suggerisce di fare obiezione di coscienza sulle spese abortive (“Siamo costretti a finanziare coi nostri soldi la soppressione di 320 bambini tutti i giorni”).

In altre parole: sparisce la diversità ontologica e concettuale degli stadi dello sviluppo umano e la volontà della donna; si sponsorizza l’infondata correlazione tra interruzione di gravidanza e devastazione psicologica, si critica la contraccezione (solo quella “naturale” è ammessa); si suggerisce l’unica alternativa all’aborto: l’adozione. Con l’aborto finalmente tornato illegale, tutte le donne sarebbero finalmente libere di essere madri. Che poi si è madri fin dal concepimento. Forse perfino da prima.

Wired.

lunedì 27 gennaio 2014

Aborto, un diritto sempre più a rischio

Sono passati 41 anni da Roe v. Wade, la decisione della Corte Suprema che ha depenalizzato l’interruzione volontaria di gravidanza negli Stati Uniti. Mentre Barack Obama ribadisce l’importanza della possibilità di scegliere, a Washington marciano “per la vita”, con la benedizione di Bergoglio (“I join the March for Life in Washington with my prayers. May God help us respect all life, especially the most vulnerable”, ha twittato il 22 gennaio dal suo profilo internazionale).

“Per la vita” (prolife) vuol dire essere per l’eliminazione o per la forte restrizione dell’autodeterminazione. Opporsi all’autodeterminazione significa immaginare un mondo in cui se una donna rimane incinta – per errore, per distrazione o per qualsiasi altra ragione – deve portare avanti la gravidanza, anche se non l’ha mai voluta, anche se ha cambiato idea, anche se corre dei rischi. In altre parole, significa riportare l’interruzione di gravidanza nel dominio dei reati e supportare la gravidanza forzata. Non è chiaro come si farebbe ad applicare tale proposito: tramite un regime di controllo e contenzione delle donne incinte, previo monitoraggio per sapere chi è gravida e chi ha solo mangiato troppo?

Essere “per la vita”, forse, vuol dire anche costringere Marlise Munoz in morte cerebrale a restare attaccata ai macchinari che la tengono in vita contro la volontà espressa, violare il suo living will in nome di quella sacralità del feto che ossessiona i detrattori dell’interruzione volontaria di gravidanza. Un feto che s’è scoperto essere “abnormal” . Oppure affermare che un aborto non cancella uno stupro (“An abortion doesn’t un-rape a woman”; sull’eccezione dello stupro ho già scritto qui).

Negli ultimi 3 anni le restrizioni sull’aborto negli USA sono state più numerose dell’intero decennio precedente, e soprattutto in alcuni stati è difficile accedere al servizio di interruzione volontaria di gravidanza (qui una mappa). La violenza antiabortista è sempre più diffusa: picchetti davanti alle cliniche e alle abitazioni degli operatori sanitari, aggressioni, incendi, attentati, omicidi. L’ultimo ginecologo a essere ammazzato è, nel 2009, George Tiller.

In Italia lo scorso maggio la legge 194 ha compiuto 35 anni. Non se la passa molto bene, schiacciata tra un numero sempre più alto di obiettori di coscienza e una condanna morale sempre più invadente. Una delle prime dichiarazioni di Jeremy Hunt, ministro della salute inglese, riguardava l’intenzione di dimezzare il termine legale per abortire. In Spagna è in corso uno scontro feroce: Mariano Rajoy vorrebbe riformare l’accesso all’aborto, cioè restringerlo.

Wired.it, 24 gennaio 2014.

mercoledì 18 dicembre 2013

Di aborto, minorenni, diritti riproduttivi, astensioni e distrazioni

A proposito della relazione Sulla salute e i diritti sessuali e riproduttivi avevo già scritto lo scorso ottobre.
Nei giorni passati se n’è parlato di nuovo in occasione della bocciatura: «Con soli 7 voti di scarto è stata cancellata la risoluzione sulla salute e i diritti sessuali e riproduttivi, presentata dalla socialista portoghese Edite Estrela, in cui si chiedevano tra l’altro “servizi di qualità per l’aborto legali, sicuri e accessibili a tutti” e “regolamentazione e monitoraggio” della obiezione di coscienza, esprimendo preoccupazione perché i medici sono “costretti a praticarla nelle cliniche religiose. La relatrice, subito dopo il voto (334 sì, 327 no, 35 astenuti) che ha sostituito il suo testo con una versione - sostenuta dai popolari del Ppe e dai conservatori dello Ecr - di fatto senza alcun contenuto, ha “deplorato” la “ipocrisia e l’oscurantismo” dell’aula».

Il rituale dei commenti un po’ a caso si è ripetuto (vedi alla voce “Reazioni” nel primo link; qui il comunicato stampa del Center for Reproductive Rights; qui il processo verbale dello scorso 11 dicembre).

Ci sono state molte polemiche sia sul risultato finale sia sul comportamento del PD (i cui membri astenuti sono: Silvia Costa, Franco Frigo, Mario Pirillo, Vittorio Prodi, David Sassoli e Patrizia Toia). Alcuni di loro hanno spiegato le ragioni dell’astensione.

Silvia Costa si è giustificata dicendo (Rapporto Estrela. Costa (Pd): «Non l’ho votato perché faceva dell’aborto un totem. Ma è presto per cantare vittoria», 13 dicembre 2013, Tempi): «Innanzitutto perché la relazione Estrela non bilanciava l’aborto con il diritto del nascituro e perché il diritto alla vita veniva completamente ignorato. Inoltre perché eliminava l’obiezione di coscienza, promuoveva l’accesso diretto delle minorenni all’aborto senza il consenso dei genitori e la procreazione assistita per single omosessuali. La relazione inoltre non poneva alcuna attenzione sul diritto alla maternità e alla paternità, e accresceva la responsabilità delle donne, con il rischio di accentuarne la solitudine».

La questione “minorenni senza genitori” torna anche nella giustificazione di David Sassoli, capo delegazione PD.
Sassoli risponde così a Marco Zatterin (Sassoli: “Mozione Pse inaccettabile. L’aborto non è competenza Ue, 15 dicembre 2013, la Stampa): «Una cosa era positiva: l’invito rivolto a tutti gli Stati che non hanno una legge sull’aborto a darsene una. Ma altre erano inaccettabili per me. Come l’idea di concedere ai giovanissimi, sotto i 16 anni, l’opzione di interrompere la gravidanza senza consenso parentale. O considerare l’obiezione di coscienza come un ostacolo per il ricorso all’aborto».

L’argomento gli sta proprio a cuore e il dibattito prosegue su Twitter. Il 12 dicembre domanda:




Qualcuno gli suggerisce di leggere la legge 194 al riguardo. Mica tutta, basta legge l’articolo 12 che stabilisce: «La richiesta di interruzione della gravidanza secondo le procedure della presente legge è fatta personalmente dalla donna. 
Se la donna è di età inferiore ai diciotto anni, per l’interruzione della gravidanza è richiesto lo assenso di chi esercita sulla donna stessa la potestà o la tutela. Tuttavia, nei primi novanta giorni, quando vi siano seri motivi che impediscano o sconsiglino la consultazione delle persone esercenti la potestà o la tutela, oppure queste, interpellate, rifiutino il loro assenso o esprimano pareri tra loro difformi, il consultorio o la struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, espleta i compiti e le procedure di cui all’articolo 5 e rimette entro sette giorni dalla richiesta una relazione, corredata del proprio parere, al giudice tutelare del luogo in cui esso opera. Il giudice tutelare, entro cinque giorni, sentita la donna e tenuto conto della sua volontà, delle ragioni che adduce e della relazione trasmessagli, può autorizzare la donna, con atto non soggetto a reclamo, a decidere la interruzione della gravidanza. 
Qualora il medico accerti l’urgenza dell’intervento a causa di un grave pericolo per la salute della minore di diciotto anni, indipendentemente dall’assenso di chi esercita la potestà o la tutela e senza adire il giudice tutelare, certifica l’esistenza delle condizioni che giustificano l’interruzione della gravidanza. Tale certificazione costituisce titolo per ottenere in via d’urgenza l’intervento e, se necessario, il ricovero. Ai fini dell’interruzione della gravidanza dopo i primi novanta giorni, si applicano anche alla minore di diciotto anni le procedure di cui all’articolo 7, indipendentemente dall’assenso di chi esercita la potestà o la tutela».

Il giorno dopo sottolinea che lui vuole difendere la 194 (nelle parti che si ricorda):


Qualcuno allora gli suggerisce che la famiglia non è mica sempre quell’aggregazione bucolica ove tutti si vogliono bene. Ma Sassoli insiste (è sempre il 13 dicembre e c’è un reply sbagliato a un tweet).











La discussione sembra essere finita qui, ma stamattina ecco Sassoli ribadire che la 194 dice quello che dice lui:



Non sarebbero dovuti essere i genitori a decidere? A essere resi consapevoli e informati?
In conclusione, suggerisco di leggere anche la Corte Costituzionale (ordinanza 196) dello scorso anno, soprattutto il seguente passaggio (i corsivi sono miei): «anche di recente, è stato ancora una volta riaffermato, nella ordinanza n. 126 del 2012, come, conformemente alla sopra identificata funzione del procedimento dinanzi al giudice tutelare, sia «attribuito a tale giudice – in tutti i casi in cui l’assenso dei genitori o degli esercenti la tutela non sia o non possa essere espresso – il compito di “autorizzazione a decidere”, un compito che (alla stregua della stessa espressione usata per indicarlo dall’art. 12, secondo comma, della legge n. 194 del 1978) non può configurarsi come potestà co-decisionale, la decisione essendo rimessa – alle condizioni ivi previste – soltanto alla responsabilità della donna» (ordinanza n. 76 del 1996); e che «il provvedimento del giudice tutelare risponde ad una funzione di verifica in ordine alla esistenza delle condizioni nelle quali la decisione della minore possa essere presa in piena libertà morale» (ordinanza n. 514 del 2002)».

Aggiornamento:
Sassoli continua a parlare da solo.



L’articolo 44 (al paragrafo Educazione sessuale completa e servizi su misura per gli adolescenti: «invita gli Stati membri a fornire servizi per la salute sessuale e riproduttiva adatti agli adolescenti e che tengano conto dell'età, della maturità e delle capacità che evolvono, che non siano discriminatori rispetto al genere, allo stato civile, alla disabilità, allorientamento/identità sessuale, e che siano accessibili senza il consenso dei genitori e dei tutori») è qui.

martedì 29 ottobre 2013

A year of magical thinking leads to… unintended pregnancy

Qualitative Study Explores Women's Perceptions of Pregnancy Risk

In-depth interviews with 49 women obtaining abortions in the United States found that most of the study participants perceived themselves to be at low risk of becoming pregnant at the time that it happened. According to "Perceptions of Susceptibility to Pregnancy Among U.S. Women Obtaining Abortions," by Lori Frohwirth of the Guttmacher Institute et al., the most common reasons women gave for thinking they were at low risk of pregnancy included a perception of invulnerability, a belief that they were infertile, self-described inattention to the possibility of pregnancy and a belief that they were protected by their (often incorrect) use of a contraceptive method. Most participants gave more than one response.
The most common reason women gave for their perceived low risk of pregnancy was perceived invulnerability to pregnancy. Study participants understood that pregnancy could happen, but for reasons they couldn't explain, thought they were immune or safe from pregnancy at the time they engaged in unprotected sex. One reported that she "always had good luck," while another said, "…It's like you believe something so much, like 'I just really don't want children,' [and] for some reason, I thought that would prevent me from getting pregnant." This type of magical thinking—that pregnancy somehow would not happen despite acknowledged exposure—suggests a disconnect between the actual risk of pregnancy incurred by an average couple who does not use contraceptives (85% risk of pregnancy over the course of a year) and a woman's efforts to protect herself from unintended pregnancy.
Equal proportions (one-third) of respondents thought they or their partners were sterile, said the possibility of pregnancy "never crossed my mind" and reported that (often incorrect) contraceptive use was the reason they thought they were at low risk. Perceptions of infertility were not based on medical advice, but rather on past experiences (e.g., the respondent had unprotected sex and didn't get pregnant) or family history. Among those who thought they were protected by their contraceptive method, most women reported inconsistent or incorrect method use. For example, one woman felt a few missed pills did not put her at risk: "I just thought…they were like magic. If I missed it one day, it wouldn't really matter."
Guttmacher Institute.

Rebecca Gomperts: Abortion pills safer than penicillin

The Dutch physician Rebecca Gomperts says abortion pills are safe and recognised by the World Health Organization as life-saving medicines.
Dr Gomperts is a women's rights activist from the Netherlands. In 1999 she founded Women on Waves, allowing women living in countries with strict abortion laws to have a termination by boarding a clinic ship which would sail into neutral waters where Dutch laws would apply.
But she has encountered strong opposition from pro-life groups and governments - including facing down warships when her yacht approached Portugal.
More recently her organisation has been sending abortion pills directly to women wishing to terminate a pregnancy.
BBCNews.

mercoledì 20 marzo 2013

Di aborto e 194


 CulturaCattolica.it


La 27esima Ora

Ci sono molti post su Bioetica che parlano di aborto e di 194 e qui aggiungerò solo alcune brevi considerazioni. Da qualche giorno è uscito il mio nuovo libro A. (qui altre notizie al riguardo).
Nel frattempo i numeri della obiezione di coscienza continuano a salire e le soluzioni sembrano essere oppresse dallo stesso strato di silenzio e vergogna che opprime ogni conversazione sull’aborto.
Sulla 27esima Ora è stata pubblicata la recensione uscita sul Corriere lunedì scorso e come prevedibile alcuni dei commenti hanno ricalcato le regole della non discussione (due tra i più surreali li trovate qui). Nel frattempo Usciamo dal Silenzo ha preparato questo appello per l’applicazione della 194. Anche CulturaCattolica.it ha scritto di A. e l’inizio è la parte più bella. Cosa sia una regina as-soluta non l’ho ancora capito.

martedì 5 marzo 2013

A. La verità, vi prego, sull’aborto


A. La verità, vi prego, sull’aborto, Fandango, esce il prossimo 8 marzo.
Sarà presentato a Roma il 13 marzo alle ore 18,30, Fandango Incontro con Antonio Pascale.

mercoledì 14 novembre 2012

Savita Halappanavar

In honor of Savita Halappanavar; in honor of the nearly 22 million women worldwide each year who endure unsafe aborton; in honor of the 47,000 women per year worldwide who die from complications of unsafe abortion and the estimated 10 times that number who suffer long-term health consequences; in honor of the millions of women who do not have access to contraception, who have no control over whether and with whom they have sex or and whether or with whom they have children, we can fight back. In honor of the young girls married young and the women forced to bear children long past the point they are able to care for more... for all these women, we must continue to act, to liberalize abortion laws, ensure every woman has access, remove the stigma, and trust women, like Savita, who know when it is time to end even the most wanted pregnancy.
We Are All Savita Halappanavar: Catholic Hospital in Ireland Denies Woman Life-Saving Abortion, Jodi Jacobson, RH Reality Check, november 13, 2012.

Altro su The Guardian qui e qui.

martedì 23 ottobre 2012

Aborto: ricorso Ong su legge 194, troppi medici obiettori

(ANSA) - STRASBURGO, 23 OTT - In Italia non ci sono sufficienti medici non obiettori di coscienza per assicurare il diritto delle donne all'interruzione di gravidanza. Questa la tesi sostenuta nel ricorso presentato dall'Ong International Planned Parenthood Federation European Network (Ippf En) contro l'Italia al Comitato europo dei diritti sociali del Consiglio d'Europa, che entro questa settimana deve pronunciarsi sulla sua ammissibilita'. Secondo l'organizzazione non governativa la legge 194 del 1978 non garantisce, come dovrebbe, il diritto all'interruzione di gravidanza, e quindi viola il diritto delle donne alla salute, e quello a non essere discriminate, sanciti dalla Carta sociale europea. L'Ippn En sostiene che la violazione della Carta sociale e' dovuta alla formulazione dell'articolo 9 della legge. Nel regolare l'obiezione di coscienza degli operatori sanitari, l'articolo 9 non indica le misure concrete che gli ospedali e le regioni devono attuare per garantire un'adeguata presenza di personale non obiettore in tutte le strutture sanitarie pubbliche, in modo da assicurare l'accesso alla procedure per l'interruzione di gravidanza. Il numero insufficiente di medici non obiettori, soprattutto in alcune regioni, mina, sostiene l'ong, il diritto delle donne alla salute e discrimina quelle che per motivi finanziari non possono recarsi in un'altra regione o in strutture private. (ANSA)

giovedì 27 settembre 2012

Il giudice ordina l’aborto. La legge più forte della vita

Prima di pensare e commentare, leggere il pezzo di Dreyfus, pubblicato su Libero il 18 febbraio 2007 (prima e seconda pagina).

Una adolescente di Torino è stata costretta dai genitori a sottomettersi al potere di un ginecologo che, non sappiamo se con una pillola o con qualche attrezzo, le ha estirpato il figlio e l’ha buttato via.

Lei proprio non voleva. Si divincolava. Non sapeva rispondere alle lucide deduzioni di padre e madre sul suo futuro di donna rovinata.
Lei non sentiva ragioni perché più forte era la ragione dei cuore infallibile di una madre.

Una storia comune. Una bambina, se a tredici anni sono ancora bambine, si era innamorata di un quindicenne. Quando ci si innamora, capita: e così qualcosa è accaduto dentro di lei. Lei che era una bambina capiva di aspettare un bambino. Da che mondo è mondo non si è trovata un’ altra formula: non attendeva un embrione o uno zigote, ma una creatura a cui si preparava a mettere i calzini, a darle il seno.

I genitori hanno pensato: «È immatura, si guasterà tutta la vita con un impiccio tra i piedi».
Hanno deciso che il bene della ñglia fosse: aborto. In elettronica si dice: reset. Cancellare. Ripartíre da zero.
Strappare in fretta quel grumo dal ventre della bimba prima che quell’Intruso frignasse, e magari osasse chiamarli, loro tanto giovani, nonna e nonno. Figuriamoci.
Tutta ’sta fatica a portare avanti e indietro la pupa da casa a scuola e ritorno, in macchina con la coda, poi a danza, quindi in piscina. Ora che lei era indipendente, ecco che si sarebbero ritrovati un rompiballe urlante e la figlia con i pannolini per casa.

Il buon senso che circola oggi ha suggerito ai genitori: i figli devono essere liberi, vietato vietare. Dunque, divertitevi, amoreggiate. Noi non eccepiamo. Siamo moderni. Quell’altro che deve nascere però non era nei patti, quello è vietato, vietatissimo. Accettiamo che tutti facciano tutto, ma non che turbino la nostra noia.

Un magistrato allora ha ascoltato le parti in causa e ha applicato il diritto – il diritto! – decretando: aborto coattivo. Salomone non uccise il bimbo, dinanzi a due che se lo contendevano; scelse la vita, ma dev’ essere roba superata, da antico testamento.

Ora la piccola madre (si resta madri anche se il figlio è morto) è ricoverata pazza in un ospedale.
Aveva gridato invano: «Se uccidete mio figlio, mi uccido anch’io».

Hanno pensato che in fondo era sì sincera, ma poi avrebbero prevalso in lei i valori forti delle Maldive e della discoteca del sabato sera, cui l’avevano educata per emanciparla dai tabù retrogradi. Che vanno lavati con un bello shampoo di laicità. Se le fosse rimasto attaccato qualche residuo nocivo di sacralità, niente di male, ci vuole pazienza. E una vacanza caraibica l’avrebbe riconciliata dopo i disturbi sentimentali tipici dell’età evolutiva.

Non è stato così. La ragazzina voleva obbedire a qualcosa scritto nell’anima o – se non ci credete – in quel luogo del petto o del cervello da cui sentiamo venir su il nome del figlio. Ma no: non anima, né petto, né cervello.
Le dava dei calci proprio nella sua pancia che le dava il vomîto.
Una nausea odiosa, ma così rasserenante: più antica dell’effetto serra, qualcosa che sta alla fonte del nostro essere. Si sentiva mamma. Era una mamma.
Niente.
Kaput.
Per ordine di padre, madre, medico e giudice per una volta alleati e concordi. Stato e famiglia uniti nella lotta.

Ci sono ferite che esigerebbero una cura che non c’è. Qui ora esagero. Ma prima domani di pentirmi, lo scrivo: se ci fosse la pena di morte, e se mai fosse applicabile in una circostanza, questo sarebbe il caso. Per i genitori, il ginecologo e il giudice.

Quattro adulti contro due bambini. Uno assassinato, l’altro (l’altra, in realtà) costretto alla follia.
Si dice: nessuno tocchi Caino, ma Caino al confronto avevale sue ragioni di gelosia. Qui ci si erge a far fuori un piccolino e a straziare una ragazzina in nome della legge e del bene.

Dopo aver messo in mostra meritoriamente questo scempio, il quotidiano torinese la Stampa che fa? Mette pacificamente in lizza due pareri. Sei per il Milan o l’Inter? Preferisci la carne o il pesce?

Non si riesce a credere che ci possano essere due partiti. Sì, perché in fondo la vera notizia è questa, e cioè che ci sia un’opinione ritenuta rispettabile e che accetti la violenza più empia che esista: il costringere una madre a veder uccidere il figlioletto davanti ai suoi occhi.
Non c’è neanche bisogno del cristianesimo. Basta l’Eneide di Vlrgjlio, la saggezza classica. L’orrore è quando i greci assassinano davanti agli occhi di Priamo il figlio.

Invece qui già ci sono`due partiti. Quello pro e quello contro. È incredibile. Come se fosse possibile fare un bel dibattito sul genocidio: uno si esprime a favore, il secondo è perplesso. Ma che bella civiltà, piena di dubbi.
Come scriveva Giovanni Testori, più battiti e meno dibattiti. Specie quando il battito di un innocente è stato soffocato con l’alibi della libertà e della felicità di una che non sa che farsene, se il prezzo è l’aborto.

Questo racconto tenebroso è specchio dei poteri che ci dominano. Lasciamo perdere i genitori, che riescono ormai a pesare solo come ingranaggi inerti.
Ma che la medicina e la magistratura siano complici ci lascia sgomenti. Però a pensarci non è una cosa nuova.
Nicola Adelfi propose, sempre sulla Stampa, l’aborto coattivo, in grado di eliminare i fastidiosi problemi dicoscienza, perle donne di Seveso rimaste incinta al tempo della diossina (2 agosto 1976).

Abbiamo udito qualcosa di simile aproposito di lager nazisti e di gulag comunisti. Ma che questo sia avvenuto in Italia e che abbia menti pronte a giustificarlo è orribile.
Qualche link utile:
Michael Braun, Libertà di diffamazione, Internazionale.
La Suprema Corte.
Dove sono tuti?
S’è fatta l’ora.

mercoledì 18 luglio 2012

Turchia, banditi i medicinali per l’aborto sicuro


Ieri Women on Waves, organizzazione internazionale non governativa che combatte per i diritti riproduttivi e la salute delle donne, ha pubblicato un comunicato stampa sulla politica restrittiva della Turchia sull’aborto: Press release: Turkey bans medicines used for safe abortion from pharmacy in move to further restrict access.
Le farmacie non potranno più vendere il Misoprostol, un farmaco utilizzato dalle donne per indurre una interruzione di gravidanza. Il Misoprostol può essere usato fino alla nona settimana di gravidanza senza rischi secondo il World Health Organization; serve anche per il trattamento e la prevenzione delle emorragie post parto, responsabili del 25% delle morti puerperali.
La decisione della Turchia non è una sorpresa, anzi è una mossa coerente con la premessa: “l’aborto è un omicidio” aveva dichiarato Tayyip Erdoğan nel maggio scorso. E anche il parto cesareo non va tanto bene. Il governo turco sta lavorando per modificare la legge sull’aborto, anticipando il termine per interrompere una gravidanza alla quarta settimana (oggi in Turchia si può abortire fino alla decima). Imporre il limite alla quarta settimana significa impedire alla maggior parte delle donne di accedere a un aborto sicuro. Difficilmente una donna si accorge di essere incinta così precocemente, come lo stesso comunicato di Women on Waves sottolinea.
La decisione è anche una mossa preventiva e finalizzata a perfezionare il piano per impedire alle donne di abortire: una volta che l’interruzione di gravidanza sarà resa di fatto estremamente difficile le donne non potranno semplicemente comprare in farmacia un mezzo per abortire in modo abbastanza sicuro.
Tutti sanno cosa succede quando l’interruzione di gravidanza è vietata o resa quasi inaccessibile, e non è certo difficile da immaginare. Nei Paesi in cui le politiche abortive sono restrittive sono moltissime le donne che muoiono o che riportano danni gravi e permanenti. Nelle Filippine nel 2008 sono stati eseguiti 560.000 aborti clandestini, 90.000 donne hanno avuto complicazioni e 1.000 sono morte, secondo il report a cura del Center for Reproductive Rights (Forsaken Lives: The Harmful Impact of the Philippine Criminal Abortion Ban).
Vietare l’aborto o renderlo quasi impossibile non eliminerebbe il fenomeno, ma lo renderebbe clandestino e alimenterebbe la corruzione.
Così è oggi nei Paesi in cui è vietato, così era prima che fosse legalizzato in Italia e altrove. E così rischia di tornare ogni volta che l’accesso è reso complicato. Chi è smemorato o distratto può guardarsi 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni: Cristian Mungiu racconta la paura e lo squallore di un aborto clandestino durante gli ultimi anni del regime di Nicolae Ceauşescu. Oppure può domandare alla propria madre o alla propria nonna cosa accadeva prima che fosse depenalizzato il reato di aborto: ferri da calza o altri rimedi casalinghi rischiosi e dolorosi, cucchiai d’oro o un viaggio all’estero per chi poteva permetterselo.

Su Pubblico di ieri.

giovedì 21 giugno 2012

Chiedi al tuo ginecologo se è obiettore di coscienza


Ieri la consulta ha rigettato il dubbio di costituzionalità sull’articolo 4 della legge 194. La decisione della Corte era una decisione prevedibile ma non scontata.
La 194, però, deve vedersela con ben altri guai. Primo tra tutti le altissime percentuali di obiettori di coscienza. Gli ultimi dati nel Lazio a cura della Laiga sono tali da trasformare un servizio sanitario nazionale nelle sua caricatura (qui i dati sulla Lombardia presentati da Sel e qui la relazione attuativa della 194). E come potrebbe funzionare se meno di 1 medico su 10 è disposto a eseguire aborti?
Le ragioni di queste altissime percentuali sono varie e anche l’interpretazione della liceità dell’obiezione dipende da diversi fattori e le domande sono numerose. Quali sono i doveri professionali dei medici? Ha senso chiamare “obiezione di coscienza” qualcosa che la legge prevede (ovvero la versione intra legem)? Perché una scelta individuale e libertaria si è trasformata in un privilegio? Perché la Ru486 è disponibile in una sola struttura in tutta Roma? Perché anche i farmacisti reclamano la possibilità di dirsi obiettori? A 34 anni dalla legge avrebbe senso eliminare la possibilità di essere obiettori dal momento che si sceglie liberamente di fare i ginecologi e di farlo nel servizio pubblico - come è stata eliminata da quando la leva è diventata volontaria? In che clima vivono i medici che eseguono aborti?
Ciò che è certo è che le conseguenze di percentuali tanto alte sono le lunghe attese che le donne sono costrette a fare sia per l’accettazione che per l’intervento; difficoltà logistiche di vario genere; a volte un clima di condanna per chi decide di abortire e per chi decide di garantire il servizio. La legge 194 è svuotata dall’interno e quell’obiezione personale sta diventando una obiezione strutturale (sebbene l’articolo 9 affermi che il servizio debba essere sempre garantito: tuttavia solo nel Lazio in 10 strutture pubbliche su 31 non si eseguono interruzioni di gravidanza).
Molte donne non sanno - se non prima di scoprirsi con una gravidanza che non vogliono o non possono portare avanti - quante difficoltà evitabili rischieranno di dover aggirare in una gimkana di coscienze.
Da dove cominciare? Da una semplice domanda: chiedi al tuo ginecologo se è obiettore di coscienza.

Notizie e proposte da:
Associazione Luca Coscioni e Aied
Il buon medico non obietta.

#Apply194 e #Save194.

Foto di Tano D’Amico.

Tabella 28, obiezione di coscienza, 2009

giovedì 14 giugno 2012

Court-Ordered Care — A Complication of Pregnancy to Avoid

But why should pregnancy diminish a competent adult woman's right to refuse care? Citizens have no legal duty to use their bodies to save one another; even parents have no such legal duty to their children. It follows, then, that “a fetus cannot have rights in this respect superior to those of a person who has already been born” (In re A.C.).

Moreover, the due-process considerations are profound. Because these cases are usually heard on an emergency basis, judicial decisions are made without full briefing on relevant law, medicine, and policy. Unlike alleged criminals, patients have no Sixth Amendment right to counsel, and they cannot instantaneously find expert witnesses to testify on their behalf. And hospital lawyers acting as state attorneys have a clear conflict of interest: as even the Supreme Court of Florida has noted, it is inappropriate for a hospital “to argue zealously against the wishes of its own patient,” and “it cannot act on behalf of the State to assert the state interests” when a competent adult refuses care (Matter of Dubreuil).
NEJM, june 14, 2012.

martedì 12 giugno 2012

L’AIED sezione di Roma a difesa della legge 194 #Save194

Ancora una volta torniamo a discutere della legge 194 e ancora una volta, tra polemiche e confusione, si cerca di minare un diritto conquistato con fatica ben 34 anni fa.
Pare proprio che l’Italia, invece di progredire lungo un cammino di crescita ed evoluzione culturale, soprattutto negli ultimi tempi, stia scivolando in una buia crisi dei valori sociali.

Si sta cercando di riaprire vecchi dibattiti e tentare in tutti i modi di cancellarla, con attenzione nulla nei confronti della donna e della sua salute, malgrado, dopo la sua entrata in vigore, gli aborti in Italia si siano ampiamente ridotti.

Il prossimo 20 giugno l’articolo 4 sarà all’esame della Corte Costituzionale, che dovrà esaminarne nuovamente la legittimità. Ciò che si valuterà è se va contro i diritti inviolabili dell’uomo e la tutela della salute, se pregiudica il diritto alla vita dell’embrione, in quanto uomo in divenire.

Ma noi dell’AIED sezione di Roma ci chiediamo: se non ci fosse più la legge 194 i diritti umani e alla salute sarebbero invece tutelati o si verificherebbe un grande passo indietro che riporterebbe agli aborti clandestini, ai ricorsi all’estero, alla clinica privata, al mercato nero delle pillole abortive? All'esasperazione di donne che vivono sulla loro pelle le storie più diverse e che vedrebbero negata la libertà di scelta, già in parte messa in discussione dall’altissimo numero di medici obiettori.

L’AIED – Associazione Italiana per l’Educazione Demografica, in prima linea nelle battaglie politiche e giudiziarie da quasi 60 anni, ribadisce l’importanza della legge 194 e si pone ancora una volta a difesa dei fondamentali diritti civili della donna e della coppia, confermando l’impegno per la modernizzazione e lo sviluppo sociale, civile e culturale del nostro Paese.

L’AIED non è un’Associazione abortista e proprio con tale finalità promuove la contraccezione, ma riteniamo che le donne debbano essere libere di fare le proprie scelte nella legalità, senza alcun tipo di ostacolo o giudizio.

(Il corsivo è mio).

Comunicato stampa #Save194


Il *14 giugno* dalle ore 15 alle ore 17 presso l’Ordine dei Medici e degli Odontoiatri di Roma* (*Via G. B. De Rossi, 9 a Roma.*) si terrà una conferenza stampa a cura dei ginecologi di *LAIGA*, Libera Associazione dei Ginecologi per la applicazione della Legge 194.
L’evento si inserisce in un clima generale di attacco alla legge 194, che vede in campo l’uso strumentale dellobiezione di coscienza, la presentazione in Parlamento di mozioni "bipartisan" che vogliono affermare il diritto all’obiezione di coscienza del medico come diritto prevalente, fino ad iniziative quali quella del giudice tutelare che interroga la Corte Costituzionale sulla "liceità" della legge. La conferenza stampa di LAIGA, che si svolgerà all’indomani del Convegno sull’obiezione di coscienza in Italia , organizzato il 22 Maggio scorso dall’Associazione Luca Coscioni e dall’AIED (Associazione Italiana per l’Educazione Demografica) e della campagna della Consulta di Bioetica contro l’obiezione di coscienza, ha come scopo lillustrazione dei dati risultanti da un attento e mirato monitoraggio dello stato di applicazione della legge 194 nella Regione Lazio.
Da tempo i ginecologi di LAIGA avvertivano l’esistenza di uno "scollamento" fra i dati della relazione annuale del Ministro della Salute e la realtà vissuta quotidianamente dagli operatori e dalle donne; la ricerca ha permesso di rendere oggettivi i dati, analizzando anche elementi che la relazione del Ministro non prende in considerazione.
I ginecologi di LAIGA lanciano un grido di allarme sulla situazione attuale, ben più grave di quanto riferito dal Ministro, e sul futuro: in assenza di unadeguata formazione e sensibilizzazione dei nuovi ginecologi, infatti, si rischierà una impossibilità di fatto di applicazione della legge per mancanza di operatori.
LAIGA si propone di intraprendere iniziative per la piena attuazione della legge nel Lazio e in tutte le regioni italiane, per la difesa del diritto alla salute riproduttiva delle donne, e per la difesa dei diritti e della professionalità degli operatori.

(Vedi alla voce Aborto).

lunedì 11 giugno 2012

#Save194

Sembra, ogni volta, di dover ricominciare da capo. Facciamolo, allora, e partiamo da una domanda. Questa: “tutte le donne italiane possono liberamente decidere di diventare madri?”. La risposta è no.
Non possono farlo, non liberamente, e non nelle condizioni ottimali, le donne che ricorrono alla fecondazione artificiale, drammaticamente limitata dalla legge 40.
Non possono farlo le donne che scelgono, o si trovano costrette a scegliere, di non essere madri: nonostante questo diritto venga loro garantito da una legge dello Stato, la 194.
Quella legge è, con crescente protervia, posta sotto accusa dai movimenti pro life, che hanno più volte preannunciato (anche durante l’ultima marcia per la vita), di volerla sottoporre (di nuovo) a referendum.
L’articolo 4 di quella legge sarà all’esame della Corte Costituzionale - il prossimo 20 giugno - che dovrà esaminarne la legittimità, in quanto violerebbe ” gli articoli 2, (diritti inviolabili dell’uomo), 32 I Comma (tutela della salute) e rappresenta una possibile lesione del diritto alla vita dell’embrione, in quanto uomo in fieri”.
Inoltre,  quella legge è svuotata dal suo interno da anni. Secondo il Ministero della Salute sono obiettori sette medici su dieci (per inciso, i cattolici praticanti in Italia, secondo i dati Eurispes 2006, sono il 36,8%): in pratica, si è passati dal 58,7 per cento del 2005 al 70,7 per cento del 2009 per quanto riguarda i ginecologi, per gli anestesisti dal 45,7 per cento al 51,7 per cento e per il personale non medico dal 38,6 per cento al 44,4 per cento. Secondo la Laiga, l’associazione che riunisce i ginecologi a difesa della 194, i “no” dei medici arriverebbero quasi al 90% del totale, specie se ci si riferisce agli aborti dopo la dodicesima settimana. Nei sette ospedali romani che eseguono aborti terapeutici, i medici disponibili sono due; tre (su 60) al Secondo Policlinico di Napoli. Al Sud ci sono ospedali totalmente “obiettanti”. In altre zone la percentuale di chi rifiuta di interrompere la gravidanza sfiora l’80 per cento, come in Molise, Campania, Sicilia, Bolzano. Siamo sopra l’85% in Basilicata. Da un’inchiesta dell’Espresso di fine 2011, risulta che i 1.655, non obiettori hanno effettuato nel solo 2009, con le loro scarse forze, 118.579 interruzioni di gravidanza, con il risultato che più del 40% delle donne aspetta dalle due settimane a un mese per accedere all’intervento, e non è raro che si torni all’estero, alla clinica privata (o, per le immigrate soprattutto, alle mammane). Oppure, al mercato nero delle pillole abortive.
Dunque, è importante agire. Vediamo come.
Continua su Lipperatura.

venerdì 8 giugno 2012

La Corte sulla 194

4) non sembra inesatto affermare, dunque, che l'«embrione umano» debba qualificarsi alla luce dell'intervenuta decisione europea  come «essere» provvisto di una autonoma soggettivita' giuridica della  cui tutela l'ordinamento  deve  farsi  carico  anche  (e  soprattutto) a cagione della mancanza di qualsivoglia capacita'  di  auto-tutela  da parte del  diretto  interessato;  mutatis  mutandis,  sembra  potersi richiamare in via analogica quella tutela che l'Ordinamento appresta in favore della persona umana anche allorche'  sia  colpita  da  casi gravissimi di inabilita' assoluta determinanti la perdita  totale ed irreversibile delle funzioni primarie di comunicazione e locomozione proprie  dell'individuo  il  quale,  pero', conservando  integri i processi vitali primari e la propria sensibilita', proprio per questo non potra' mai esser retrocesso al rango di «cosa inanimata»;
Il resto è qui.