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lunedì 4 luglio 2016

La discriminazione immaginaria

Sul neonato blog del Popolo della Famiglia, il partito integralista fondato da Mario Adinolfi, è apparso oggi un post anonimo («La Raggi e le unioni incivili», 4 luglio 2016) che appare inusualmente impreciso anche per gli standard notoriamente assai bassi di Adinolfi e compagni (ho tolto i cognomi dei cittadini citati nel post per rispettare la loro privacy):

Virginia Raggi sarà il primo sindaco di grande città a celebrare una unione civile omosessuale. […] I “fortunati” saranno l’ultraquarantenne Raffaele V. e il non ancora trentenne Luca de S. […] L’opposizione all’unione a seguito delle pubblicazioni è già scaduta il 30 giugno, ma i due non hanno ancora fatto sapere quando la formalizzeranno. E se lo faranno. Va detto che la legge Cirinnà è in vigore già da oltre un mese, ma i comuni non sono stati presi d’assalto da coppie omosessuali vogliose di unirsi civilmente, anzi […] se romperanno gli indugi il giovanissimo Luca potrà anche puntare alla pensione di reversibilità del più maturo Raffaele: i gay ne hanno diritto.
Non avranno diritto alla pensione di reversibilità invece Luca S. e Raffaella C., anche loro utilizzeranno la stessa legge Cirinnà, le pubblicazioni sono on line e scadranno il 6 luglio poi potrà essere dichiarata la loro unione civile. Hanno un figlio piccolo, Luca è del 1977 quindi anche lui va per i quarant’anni, ma per Raffaella niente pensione di reversibilità. Perché? Perché sono etero e la pensione di reversibilità va solo ai gay. A un papà e a una mamma no. Se papà muore, mamma si arrangi. Ora, davvero non abbiamo ragione noi a chiamarla legge sulle unioni incivili? E questa clamorosa discriminazione basata sull’orientamento sessuale dei contraenti l’unione non fa fischiare le orecchie ai giudici della Corte costituzionale?
Di che cosa sta parlando l’anonimo blogger? Le unioni civili, secondo il testo della legge 76/2016 (la cd. legge Cirinnà), non prevedono affatto le pubblicazioni. La legge inoltre non è ancora pienamente in vigore: per iniziare a registrare le unioni civili i Comuni attendono i decreti attuativi – questo spiega perché finora «non sono stati presi d’assalto da coppie omosessuali». Non esiste poi l’unione civile tra persone eterosessuali: la legge ha istituito da un lato l’unione civile per le coppie dello stesso sesso e dall’altro le convivenze per coppie omosessuali ed eterosessuali.
Com’è possibile che chi ha scritto il post sia incappato in ben tre errori così grossolani? Chiaramente ci troviamo di fronte a qualcuno che non ha mai letto neanche per sommi capi la legge sulle unioni civili; ma deve esserci un altro fattore in gioco: non è possibile pensare che gli esempi addotti siano frutto di una sfrontata mistificazione.
Una breve ricerca sul sito del Comune di Roma svela il mistero. Gli esempi sono stati tratti dalla pagina dedicata al Registro delle Unioni Civili, istituito nel gennaio del 2015, che precede dunque la legge Cirinnà e se ne distingue per i requisiti richiesti (il Registro è aperto anche alle coppie di sesso diverso) e per le procedure di iscrizione (il Registro prevede le pubblicazioni). In altre parole, chi si è iscritto al Registro non ha contratto legalmente una unione civile, né la sua iscrizione sarà automaticamente convertita in unione civile quando la legge entrerà completamente in vigore. In fondo alla pagina il Comune avverte che «Per la presentazione delle domande di costituzione di una unione civile ai sensi della Legge 20 maggio 2016, n. 76 è necessario attendere l’emissione del decreto di attuazione della legge».

Che rimane allora dell’accusa paradossale di «discriminazione» mossa dal post alla legge sulle unioni civili? Si tratta di un’accusa ripetuta piuttosto spesso; sempre oggi, e sempre sul blog del Popolo della Famiglia, si poteva leggere per esempio quanto segue («Cos’è una famiglia, cosa non lo è»):
Perché l’architetto Luca che contra [sic] unione civile con il giornalista Marco, se muore gli passa la pensione di reversibilità, mentre se muore Giovanni che sta da trent’anni con Marta anche perché insieme hanno tre figli e per i motivi più diversi non si sono sposati la loro “unione civile” non da [sic] diritto alla reversibilità? A questo punto arriva l’ideologia contro la famiglia, a discriminare platealmente per via dell’orientamento sessuale? E su questa orrenda nuova legge sulle unioni gay la Corte costituzionale non ha nulla da dire, l’articolo 3 della Costituzione non recita che non possono essere compiute discriminazioni plateali di tal fatta, vista l’uguaglianza tra i cittadini?
La risposta a queste accuse è immediata e lapalissiana: due persone di sesso diverso possono accedere agli stessi diritti conferiti dalle unioni civili semplicemente sposandosi; se «per i motivi più diversi non si sono sposati» vuol dire che ai quei diritti hanno rinunciato o volontariamente o per cause impeditive che impedirebbero anche la costituzione di un’unione civile: dov’è la discriminazione? Sarebbe come se qualcuno, dopo aver rinunciato alla carriera di pilota dell’aeronautica militare, si lamentasse di essere discriminato rispetto a un pilota civile perché questi ha il brevetto di volo e lui no. L’autore del post sembra voler insinuare in qualche modo che la convivenza di fatto della coppia eterosessuale sia, al di là dei diritti concessi, sullo stesso piano dell’unione civile contratta dalla coppia dello stesso sesso; ma ovviamente non è così: la seconda coppia ha assunto degli obblighi legali – all’assistenza morale e materiale, alla coabitazione, a contribuire ai bisogni comuni – che la prima ha liberamente rifiutato. La stessa legge Cirinnà distingue nettamente, come accennavo sopra, tra l’unione civile e le convivenze.

Da cosa derivi la miscela di ignoranza, supponenza e storditaggine che alimenta la produzione scritta e orale del Popolo della Famiglia è difficile dire; l’unica cosa certa è che i risultati si vedono.

venerdì 5 settembre 2014

Le unioni civili all’italiana


«Unioni civili alla tedesca», aveva promesso Matteo Renzi. In Senato stagnano alcuni disegni di legge, ché i diritti civili sono spesso rimandati perché l’economia e la disoccupazione sono questioni più importanti e più urgenti. Eccoli: Disciplina delle unioni civili (Manconi e Corsini); Modifiche al codice civile in materia di disciplina del patto di convivenza (Maria Elisabetta Alberti Casellati ed altri); Introduzione nel codice civile del contratto di convivenza e solidarietà (Giovanardi ed altri); Disciplina dei diritti e dei doveri di reciprocità dei conviventi (Barani e Alessandra Mussolini); Normativa sulle unioni civili e sulle unioni di mutuo aiuto (Alessia Petraglia ed altri); Modifiche al codice civile in materia di disciplina delle unioni civili e dei patti di convivenza (Marcucci ed altri) e Unione civile tra persone dello stesso sesso (Lumia ed altri). L’articolo 1 della prima, per esempio, stabilisce che: «1. Due persone maggiorenni, anche dello stesso sesso, di seguito denominate «parti dell’unione civile», possono contrarre tra loro un’unione civile per organizzare la loro vita in comune. 2. La registrazione dell’unione civile è effettuata, su istanza delle parti della stessa unione, e in presenza di due testimoni maggiorenni, dai soggetti di cui all’articolo 3». In tutti i casi, ovviamente, sono disegni di legge che mirano a istituire le unioni civili. A cosa servirebbero le unioni civili? «A creare diritti che oggi non ci sono, a rimediare alla presente ingiustizia» è la risposta.


Non sei uguale a me ma siamo pari
Leggendo la relazione introduttiva di Carlo Giovanardi si ha però la sensazione opposta. «La Corte costituzionale ha ribadito in una recente sentenza che la famiglia, come scolpita nell’articolo 29 della Costituzione, è «società naturale fondata sul matrimonio» fra un uomo ed una donna, come la stessa Corte ha più volte avuto modo di precisare. La Costituzione, all’articolo 31, pone tale famiglia, in particolare in presenza dei figli, in una situazione privilegiata fermo restando il principio fondamentale dell’articolo 3 che recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Tutti i cittadini sono uguali ma alcuni sono più uguali di altri. È un dubbio intrinseco in qualunque istituzione x che vale per alcuni cittadini z e non per altri. «Il matrimonio è un’altra cosa! Diritti singoli, ma non esageriamo».

Next, 5 settembre 2014.

mercoledì 5 maggio 2010

Due paradossi per una sentenza /2

Dopo aver esaminato nel primo post di questa serie le contraddizioni relative alle unioni civili della sentenza 138/2010, con cui la Corte Costituzionale ha rifiutato di dichiarare incostituzionali le norme che limitano il matrimonio ai soli eterosessuali, passiamo adesso al secondo paradosso contenuto nella 138.

Pierre Menard, autore della Costituzione
Dopo aver stabilito che le unioni fra persone omosessuali costituiscono una delle formazioni sociali di cui parla l’art. 2 della Costituzione, la Corte è passata a spiegare perché a suo giudizio il Codice Civile non viola l’art. 29 della Costituzione (§. 9):

La questione sollevata con riferimento ai parametri individuati negli artt. 3 e 29 Cost. non è fondata.
Occorre prendere le mosse, per ragioni di ordine logico, da quest’ultima disposizione. Essa stabilisce, nel primo comma, che «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio», e nel secondo comma aggiunge che «Il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare».
La norma, che ha dato luogo ad un vivace confronto dottrinale tuttora aperto, pone il matrimonio a fondamento della famiglia legittima, definita “società naturale” (con tale espressione, come si desume dai lavori preparatori dell’Assemblea costituente, si volle sottolineare che la famiglia contemplata dalla norma aveva dei diritti originari e preesistenti allo Stato, che questo doveva riconoscere).
Ciò posto, è vero che i concetti di famiglia e di matrimonio non si possono ritenere “cristallizzati” con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigore, perché sono dotati della duttilità propria dei princìpi costituzionali e, quindi, vanno interpretati tenendo conto non soltanto delle trasformazioni dell’ordinamento, ma anche dell’evoluzione della società e dei costumi. Detta interpretazione, però, non può spingersi fino al punto d’incidere sul nucleo della norma, modificandola in modo tale da includere in essa fenomeni e problematiche non considerati in alcun modo quando fu emanata.
Infatti, come risulta dai citati lavori preparatori, la questione delle unioni omosessuali rimase del tutto estranea al dibattito svoltosi in sede di Assemblea, benché la condizione omosessuale non fosse certo sconosciuta. I costituenti, elaborando l’art. 29 Cost., discussero di un istituto che aveva una precisa conformazione ed un’articolata disciplina nell’ordinamento civile. Pertanto, in assenza di diversi riferimenti, è inevitabile concludere che essi tennero presente la nozione di matrimonio definita dal codice civile entrato in vigore nel 1942, che, come sopra si è visto, stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso. In tal senso orienta anche il secondo comma della disposizione che, affermando il principio dell’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, ebbe riguardo proprio alla posizione della donna cui intendeva attribuire pari dignità e diritti nel rapporto coniugale.
Questo significato del precetto costituzionale non può essere superato per via ermeneutica, perché non si tratterebbe di una semplice rilettura del sistema o di abbandonare una mera prassi interpretativa, bensì di procedere ad un’interpretazione creativa.
Si deve ribadire, dunque, che la norma non prese in considerazione le unioni omosessuali, bensì intese riferirsi al matrimonio nel significato tradizionale di detto istituto.
Non è casuale, del resto, che la Carta costituzionale, dopo aver trattato del matrimonio, abbia ritenuto necessario occuparsi della tutela dei figli (art. 30), assicurando parità di trattamento anche a quelli nati fuori dal matrimonio, sia pur compatibilmente con i membri della famiglia legittima. La giusta e doverosa tutela, garantita ai figli naturali, nulla toglie al rilievo costituzionale attribuito alla famiglia legittima ed alla (potenziale) finalità procreativa del matrimonio che vale a differenziarlo dall’unione omosessuale.
In questo quadro, con riferimento all’art. 3 Cost., la censurata normativa del codice civile che, per quanto sopra detto, contempla esclusivamente il matrimonio tra uomo e donna, non può considerarsi illegittima sul piano costituzionale. Ciò sia perché essa trova fondamento nel citato art. 29 Cost., sia perché la normativa medesima non dà luogo ad una irragionevole discriminazione, in quanto le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio.
Un aspetto importante di questa parte della sentenza riguarda la sua incidenza su una possibile futura legge che estendesse il matrimonio alle coppie di persone dello stesso sesso. Com’è noto, la Corte si è pronunciata sulla costituzionalità delle norme che limitano l’istituto matrimoniale agli eterosessuali, e non quindi direttamente sulla costituzionalità del matrimonio omosessuale; ma nel momento in cui afferma che i Padri Costituenti hanno inteso limitare il matrimonio alle coppie formate da un uomo e da una donna, è difficile vedere in che modo potrebbe in avvenire ammettere la costituzionalità del matrimonio omosessuale, qualora fosse chiamata a pronunciarsi in proposito.
La pensa così Andrea Pugiotto, che dichiara all’Unità (Delia Vaccarello, «“Così la Consulta conferma l’ipocrisia”», 19 aprile, p. 37):
Dato il suo «nucleo», una legge che introducesse le nozze omosessuali sarebbe incostituzionale. In Italia non si potrebbe fare ciò che è stato possibile, ad esempio, in Spagna e in Portogallo e che né la Convenzione europea dei diritti Umani (Cedu) né la Carta di Nizza vietano.
L’avvocato Luigi D’Angelo ribadisce il concetto – non senza, par di capire, una certa soddisfazione – in un contributo per il Forum di Quaderni CostituzionaliLa Consulta al legislatore: questo matrimonio “nun s’ha da fare», 16 aprile 2010):
sembrerebbe potersi affermare alla luce della decisione de qua, in particolare, che mentre il legislatore non incontrerebbe limiti nel disciplinare detta unione come destinataria di un espresso riconoscimento giuridico (coppia di fatto, stabile convivenza, ecc.), lo stesso rimarrebbe tuttavia impossibilitato nel sancire l’ammissibilità del matrimonio tra omosessuali, pena l’incostituzionalità della relativa disciplina. […]
Se dunque è lo stesso dato costituzionale ad imporre una simile conclusione ovvero quella della diversità di sesso tra i coniugi – non potendo peraltro “il precetto costituzionale … essere superato per via ermeneutica” –, non si vede come un intervento del legislatore possa mutare “orientamento” al proposito.
Alle medesime conclusioni dovrebbe vieppiù pervenirsi se si dovesse ritenere che l’art. 29, comma 2, Cost. costituisce norma attuativa dell’art. 3 Cost. – nella parte in cui vieta discriminazioni basate sul sesso o di genere – come sembra peraltro potersi desumere altresì dalle parole della Consulta che inquadra proprio nell’ambito di un rapporto di genere il principio di parità di trattamento ex art. 29, comma 2.
Nella stessa sede, ma più sinteticamente, Marco Croce nota che «la lettura che è stata data dell’art. 29 C. esclude la possibilità di estensione dell’istituto matrimoniale» («Diritti fondamentali programmatici, limiti all’interpretazione evolutiva e finalità procreativa del matrimonio: dalla Corte un deciso stop al matrimonio omosessuale», 23 aprile 2010).
L’unico ottimista, ancora una volta, è Luca Simonetti («Che cosa ha VERAMENTE detto la sentenza n. 138/2010 della Corte Costituzionale?», Karl Kraus, 22 aprile):
Notate quindi che la Corte NON sta dicendo […] che un eventuale matrimonio omosessuale sarebbe incostituzionale (ammesso e non concesso che un’affermazione ipotetica del genere potesse avere un valore giuridico qualunque)
(All’inciso di Simonetti si può rispondere dicendo che il punto non è il valore giuridico attuale della sentenza, ma il principio affermato, che domani – a giurisprudenza immutata, si intende – potrebbe verosimilmente essere applicato di nuovo.)
Anche ammesso che la sentenza abbia queste conseguenze negative su ogni progetto futuro di estensione del matrimonio agli omosessuali, si potrebbe comunque osservare che al momento parlare di norme tanto avanzate è del tutto utopistico nel nostro paese. Ma, al di là degli effetti giuridici più o meno futuribili, il pronunciamento dei giudici costituzionali ha anche effetti culturali e sociali immediati, e vale dunque la pena esaminare quanto sia fondato.

La Consulta si è basata, come abbiamo visto, non sulla lettera della Costituzione ma sull’intenzione di chi l’ha scritta. Questo modo di procedere ha sollevato gravi perplessità; ecco cosa scrive Luca Simonetti:
Per quanto sia un testo intellettualmente e culturalmente di pregio eccelso, e per i suoi tempi estremamente avanzato, la Costituzione non può e non deve essere interpretata solo con riferimento all’intenzione del costituente, pena la sua irrimediabile cristallizzazione: mentre il pregio di una Costituzione valida (cioè la sua duratura attualità) deve essere accompagnato dalla flessibilità con cui il suo testo letterale può essere ‘adattato’ al mutare delle circostanze e dei costumi. La stessa Consulta questo processo adattativo l’ha adoperato innumerevoli volte senza grandi difficoltà. […] Se un fenomeno, naturale, economico o sociale che sia, pur sconosciuto ai costituenti e emerso solo recentemente, è funzionalmente simile ad istituti già presi esplicitamente in considerazione nel testo costituzionale, allora può benissimo essere meritevole della stessa tutela degli altri istituti costituzionalmente tutelati, anche se il legislatore dell’epoca non ci aveva mai pensato o non si sarebbe mai nemmeno lontanamente immaginato di doverci pensare. D’altronde non è molto coerente, a poche righe di distanza, dire prima che le unioni omosessuali rientrano tra le formazioni sociali dell’art 2 Cost. e poi che la famiglia dell’art. 29 Cost. non si può riferire alle unioni omosessuali: il test “letterale” usato per l’art. 29 Cost. avrebbe portato a risultati identici anche per l’art. 2!
Per Marco Croce, con il criterio adottato dalla Consulta
l’interpretazione evolutiva si risolverebbe nell’original intent e tutti o quasi i diritti di ‘II e III generazione’ riconosciuti dal giudice delle leggi nella sua più che cinquantennale giurisprudenza non avrebbero dunque cittadinanza alcuna nell’ordinamento costituzionale.
Da parte mia, mi limiterò a evidenziare quello che mi appare il secondo paradosso della sentenza. Supponiamo che in futuro il Parlamento, per superare l’obiezione della Corte, sia costretto a modificare l’art. 29 della Costituzione; ebbene, essendo l’intenzione del legislatore mutata, il Parlamento potrebbe riproporre un testo del tutto identico a quello originario, visto che nella lettera dell’art. 29 nulla contrasta col matrimonio fra omosessuali, e anzi il riferimento ai «coniugi» anziché a «l’uomo e la donna» sembra quasi un evidente esempio di linguaggio inclusivo!
Si avrebbe così una situazione simile a quella immaginata da Borges nel racconto «Pierre Menard, autore del Chisciotte», in cui uno scrittore contemporaneo riscrive alla lettera alcuni capitoli del Don Chisciotte, ma con un’intenzione diversa da quella dell’autore originale (Finzioni, trad. di Franco Lucentini):
Il raffronto tra la pagina di Cervantes e quella di Menard è senz’altro rivelatore. Il primo, per esempio, scrisse (Don Chisciotte, parte I, capitolo IX):
…la verità, la cui madre è la storia, emula del tempo, deposito delle azioni, testimone del passato, esempio e notizia del presente, avviso dell’avvenire.
Scritta nel secolo XVII, scritta dall’ingenio lego Cervantes, quest’enumerazione è un mero elogio retorico della storia. Menard, per contro, scrive:
…la verità, la cui madre è la storia, emula del tempo, deposito delle azioni, testimone del passato, esempio e notizia del presente, avviso dell’avvenire.
La storia, madre della verità; l’idea è meravigliosa. Menard, contemporaneo di William James, non vede nella storia l’indagine della realtà, ma la sua origine. La verità storica, per lui, non è ciò che avvenne, ma ciò che noi giudichiamo che avvenne. Le clausole finali – esempio e notizia del presente, avviso dell’avvenire – sono sfacciatamente pragmatiche.
Ma forse il paradosso è solo apparente, e potrebbe essere superato per mezzo di una legge costituzionale che proponga una sorta di interpretazione autentica della Carta.

Per la verità, la Consulta sembra aver proposto, seppur debolmente, anche due argomenti di natura letterale. Nel primo sostiene che «il secondo comma della disposizione […], affermando il principio dell’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, ebbe riguardo proprio alla posizione della donna cui intendeva attribuire pari dignità e diritti nel rapporto coniugale». Ma ovviamente è facile trovare situazioni in cui il coniuge debole sia invece l’uomo, e quindi il comma non ha implicazioni strette sul sesso dei coniugi. Il secondo argomento è il seguente:
Non è casuale, del resto, che la Carta costituzionale, dopo aver trattato del matrimonio, abbia ritenuto necessario occuparsi della tutela dei figli (art. 30), assicurando parità di trattamento anche a quelli nati fuori dal matrimonio, sia pur compatibilmente con i membri della famiglia legittima. La giusta e doverosa tutela, garantita ai figli naturali, nulla toglie al rilievo costituzionale attribuito alla famiglia legittima ed alla (potenziale) finalità procreativa del matrimonio che vale a differenziarlo dall’unione omosessuale.
Quello della finalità procreativa del matrimonio è il frusto luogo comune della più sciocca propaganda integralista, che si può confutare senza possibilità di risposta con il semplice richiamo ai matrimoni – in tutto e per tutto legittimi e legali – in cui la donna sia più che cinquantenne, e quindi anche potenzialmente incapace di generare un figlio. Trovare una simile, risibile insensatezza in una sentenza della Corte Costituzionale è ciò che più genera sgomento nell’occasione odierna.

(2. Fine.)

giovedì 29 aprile 2010

Due paradossi per una sentenza /1

Man mano che compaiono nuovi commenti alla sentenza 138/2010, con cui la Corte Costituzionale ha rifiutato di dichiarare incostituzionali le norme del Codice Civile che limitano il matrimonio ai soli eterosessuali, si fanno sempre più chiare le implicazioni a tratti sconcertanti di questo pronunciamento. Per quanto mi riguarda, cercherò di mostrare quelli che mi sembrano essere due paradossi contenuti nella sentenza.

Unioni civili: dovete farle, ma solo se vi pare
Com’è noto, la Consulta ha stabilito – ed è uno dei pochi punti positivi della sentenza, forse l’unico – che le unioni fra persone omosessuali costituiscono una delle formazioni sociali di cui parla l’art. 2 della Costituzione, e sono meritevoli pertanto di riconoscimento giuridico. Ecco il passo pertinente della sentenza (§. 8):

L’art. 2 Cost. dispone che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Orbene, per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico. In tale nozione è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri.
Si deve escludere, tuttavia, che l’aspirazione a tale riconoscimento – che necessariamente postula una disciplina di carattere generale, finalizzata a regolare diritti e doveri dei componenti della coppia – possa essere realizzata soltanto attraverso una equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio. È sufficiente l’esame, anche non esaustivo, delle legislazioni dei Paesi che finora hanno riconosciuto le unioni suddette per verificare la diversità delle scelte operate.
Ne deriva, dunque, che, nell’ambito applicativo dell’art. 2 Cost., spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette, restando riservata alla Corte costituzionale la possibilità d’intervenire a tutela di specifiche situazioni (come è avvenuto per le convivenze more uxorio: sentenze n. 559 del 1989 e n. 404 del 1988). Può accadere, infatti, che, in relazione ad ipotesi particolari, sia riscontrabile la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale, trattamento che questa Corte può garantire con il controllo di ragionevolezza.
La Corte sta dicendo, in pratica, che l’unione fra persone dello stesso sesso merita sì un riconoscimento giuridico, ma che questo riconoscimento può assumere varie forme (almeno finché ci limitiamo a considerare solo l’art. 2 Cost.): il matrimonio, l’unione civile, etc., e non deve dunque necessariamente concretizzarsi nell’estensione delle nozze agli omosessuali. Siccome la Corte non può fare le leggi, spetta al Parlamento regolare la materia nel dettaglio. Tutto bene, dunque? Non proprio.
La Corte non può sostituirsi al legislatore per emanare una legge, ma è comunque nei suoi poteri lanciare un monito affinché il legislatore la approvi; è quanto ha fatto, per esempio, nella storica sentenza 27/1975, in cui si dichiarava incostituzionale la disciplina allora vigente sull’aborto, ma si avvertiva anche della necessità di regolare la materia con una norma apposita:
Ma ritiene anche la Corte che sia obbligo del legislatore predisporre le cautele necessarie per impedire che l’aborto venga procurato senza serii accertamenti sulla realtà e gravità del danno o pericolo che potrebbe derivare alla madre dal proseguire della gestazione: e perciò la liceità dell’aborto deve essere ancorata ad una previa valutazione della sussistenza delle condizioni atte a giustificarla.
Obbligo è il contrario di discrezionalità; ma nell’occasione, di cui ci stiamo occupando, della sentenza 138/2010 la Corte ha scelto di dichiarare che il Parlamento deve agire in proposito «nell’esercizio della sua piena discrezionalità». Sembrerebbe allora di capire che il Parlamento possa anche scegliere di non intervenire affatto, lasciando prive le coppie omosessuali di un riconoscimento che pure spetterebbe loro. Interpreta così Andrea Pugiotto, Ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Ferrara, intervistato dall’Unità (Delia Vaccarello, «“Così la Consulta conferma l’ipocrisia”», 19 aprile, p. 37):
Sono ammessi regimi parafamiliari, ma senza alcun monito a fare presto: tutto è rimesso «nei tempi» (oltre che nei modi e nei limiti) che il Parlamento sceglierà. Non c’è alcun obbligo costituzionale ad intervenire: la Corte nega infatti l’esistenza attuale di una discriminazione a danno delle coppie gay.
[…] Ciò […] non vuol dire che il legislatore deve intervenire. Ma che solo il legislatore (e non la Corte) può regolare diritti e doveri della coppia gay […] l’effettività di quel riconoscimento è abbandonata alla «piena» discrezionalità del legislatore.
Più possibilista, ma sempre in chiave pessimistica, Marco Croce, dottorando di ricerca in Giustizia costituzionale e diritti fondamentali dell’Università di Pisa («Diritti fondamentali programmatici, limiti all’interpretazione evolutiva e finalità procreativa del matrimonio: dalla Corte un deciso stop al matrimonio omosessuale», Forum di Quaderni Costituzionali, 23 aprile 2010):
Il riconoscimento della condizione di coppia (così almeno sembra di poter interpretare il testo) è un obbligo costituzionale in capo al legislatore o il riferimento ai ‘tempi’ sta a significare che c’è piena discrezionalità anche sull’an dello stesso? Se così fosse, non si capisce perché usare il termine diritto fondamentale, visto che tale non può essere considerato un diritto che può essere riconosciuto o meno dal legislatore ordinario sulla base di una valutazione discrezionale. In sostanza si tratterebbe allora solamente della impossibilità per il legislatore di frapporre ostacoli, civili, amministrativi o penali, alle unioni omosessuali (diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia), senza nessun obbligo di addivenire a un riconoscimento – subito dopo si parla infatti di “aspirazione al riconoscimento”. E non ci si troverebbe dunque nemmeno dinanzi a un timido monito. Comunque sia, il periodo non appare per nulla chiaro.
E più avanti:
Piuttosto insoddisfacente, dal punto di vista della chiarezza e persuasività motivazionale, pure il punto 10, dove si ritorna a parlare della discrezionalità del legislatore in relazione al diritto di sposarsi e al diritto di farsi una famiglia sanciti dall’art. 9 della Carta di Nizza: anche in questo caso, come nel punto 8, non emerge esplicitamente alcun monito, dal momento che si dice solamente che, “Ancora una volta, con il rinvio alle leggi nazionali, si ha la conferma che la materia è affidata alla discrezionalità del Parlamento”. Ma, si ripete, discrezionalità anche nell’an? Soprattutto qui la Consulta non sembra aver colto le potenzialità della disposizione, che le avrebbero consentito almeno di dire chiaramente che, sebbene non esista un diritto al matrimonio degli omosessuali, istituto che, per come ricostruito nella decisione, è riservato ex art. 29 ai soli eterosessuali, esiste però un diritto a farsi una famiglia per gli omosessuali, che deve obbligatoriamente essere riconosciuto dal legislatore nella forma che discrezionalmente riterrà opportuna.
Ottimista invece è l’avvocato (e blogger) Luca Simonetti («Che cosa ha VERAMENTE detto la sentenza n. 138/2010 della Corte Costituzionale?», Karl Kraus, 22 aprile):
la Consulta dice – e questo sì è decisamente importante, e vedrete che avrà sempre più importanza in futuro – che le unioni omosessuali devono avere un riconoscimento giuridico, perché rientrano appunto fra le “formazioni sociali” costituzionalmente garantite ex art. 2 Cost.
Comunque la si pensi, si deve come minimo riconoscere che qui la Consulta è venuta meno – per prudenza? – al dovere morale di dire una parola chiara; ed è facile prevedere che su questa mancanza di chiarezza giocherà chi non intende concedere nulla alle coppie di persone omosessuali.
Se d’altra parte davvero la Corte ha ritenuto che non sussista in capo al legislatore un obbligo di concedere in tempi certi tale riconoscimento, allora la sentenza contiene – mi pare – un evidente paradosso: da un lato si afferma che la Corte in futuro potrà «riscontrare la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale» in relazione ad ipotesi particolari – cioè potrà, in concreto, dichiarare incostituzionali parti di un’eventuale normativa in quanto non rispettose dell’uguaglianza di diritti; dall’altro lato non si denuncia (almeno, non con parole chiare) la situazione attuale, in cui la normativa non esiste ancora e quei diritti non trovano perciò quasi nessun riconoscimento.

(1. Continua.)

mercoledì 19 novembre 2008

AnelliDiFumo alla voce politica estera

E sottolineo estera.
USA: Obama-Biden propongono unioni civili federali con adozione.

Incollo solo qualche punto. Per roderci meglio il fegato.

  • Support Full Civil Unions and Federal Rights for LGBT Couples: Barack Obama supports full civil unions that give same-sex couples legal rights and privileges equal to those of married couples. Obama also believes we need to repeal the Defense of Marriage Act and enact legislation that would ensure that the 1,100+ federal legal rights and benefits currently provided on the basis of marital status are extended to same-sex couples in civil unions and other legally-recognized unions. These rights and benefits include the right to assist a loved one in times of emergency, the right to equal health insurance and other employment benefits, and property rights.
  • Oppose a Constitutional Ban on Same-Sex Marriage: Barack Obama voted against the Federal Marriage Amendment in 2006 which would have defined marriage as between a man and a woman and prevented judicial extension of marriage-like rights to same-sex or other unmarried couples.
  • Repeal Don't Ask-Don't Tell: Barack Obama agrees with former Chairman of the Joint Chiefs of Staff John Shalikashvili and other military experts that we need to repeal the "don't ask, don't tell" policy. The key test for military service should be patriotism, a sense of duty, and a willingness to serve. Discrimination should be prohibited. The U.S. government has spent millions of dollars replacing troops kicked out of the military because of their sexual orientation. Additionally, more than 300 language experts have been fired under this policy, including more than 50 who are fluent in Arabic. Obama will work with military leaders to repeal the current policy and ensure it helps accomplish our national defense goals.
  • Expand Adoption Rights: Barack Obama believes that we must ensure adoption rights for all couples and individuals, regardless of their sexual orientation. He thinks that a child will benefit from a healthy and loving home, whether the parents are gay or not.

domenica 10 febbraio 2008

Uno, due, tre...liberi tutti

Lo avevamo già annunciato qui, ma con piacere rimandiamo alla rubrica di Delia Vaccarello Uno, due, tre...liberi tutti e al suo pezzo sulla conferenza stampa svoltasi presso la sala conferenze del Policlino sabato 9 febbraio 2008, Elezioni, coppie di fatto Angelo e Pier Giorgio, l’Unità (9 febbraio 2008).
Altre informazioni sul sito della Linfa, Lega italiana nuove famiglie.

Il prossimo appuntamento è per il 23 febbraio 2008 (Appello: 1 politico per 2) alle 11, presso la sala conferenze di Montecitorio (piazza di Montecitorio 123/A).

martedì 5 febbraio 2008

Conferenza stampa della Linfa: “Un Politico per Due”


Sabato 9 febbraio 2008 alle ore 11 presso la sala delle conferenze della direzione generale del Policlinico Umberto I si terrà la conferenza stampa di lancio della manifestazione sulle unioni civili intitolata “Un Politico per Due” organizzata dalla Linfa (Lega Italiana Nuove Famiglie), l’associazione italiana che riunisce le nuove famiglie.
Fatto originale è che la conferenza stampa si svolgerà in un ospedale alla presenza di alcune coppie di fatto che hanno subito discriminazioni e che porteranno la loro testimonianza.
Tutte le informazioni sul sito della Linfa.

sabato 22 dicembre 2007

Unioni civili in Uruguay

L’Uruguay approva le unioni civili, anche tra persone dello stesso sesso (Uruguay, sì alle unioni civili, Peacereporter, 20 dicembre 2007).

Il Congresso uruguagio ha approvato il disegno di legge che introduce nella cattolicissima nazione sudamericana l’istituto delle unioni civili. Un record storico per tutta l’America latina, visto che in Sud e Centro America le unioni tra cittadini dello stesso sesso erano state, finora, solo introdotte a livello locale dai municipi di Città del Messico e Buenos Aires in Argentina. La conquista degli uruguagi arriva dopo che già Olanda, Belgio, Spagna, Canada e Sudafrica avevano concesso pari dignità alle unioni dei propri cittadini, senza discriminazioni di sesso.