Sul Foglio di ieri si leggeva questo editoriale («Eluana, probabilmente», 19 novembre 2008, p. 3):
Il professor Carlo Alberto Defanti è il neurologo che segue da anni Eluana Englaro e che chiede senza esitazioni di staccarle il sondino attraverso il quale la donna si nutre e si disseta. Eppure è proprio lui che rispondeva così a chi, due giorni fa, gli chiedeva se la condizione di Eluana è sicuramente irreversibile: “Se si vuole una risposta apodittica del tipo ‘non c’è alcuna possibilità in assoluto’, non posso darla. D’altronde in medicina sfido a trovare una singola affermazione che corrisponda a un criterio assoluto di questo tipo. Noi sappiamo in base a un’osservazione che ormai sta avvicinandosi ai diciassette anni, che su base probabilistica Eluana ha una possibilità di ripresa minima di coscienza che si avvicina a zero”. Se poi si chiede al professor Defanti se Eluana può provare sofferenza, è sempre lui a rispondere così: “Da un punto di vista teorico non è possibile dire se nonostante i danni devastanti al cervello possa avere qualche forma di sensazione, questo in linea assoluta non si può escluderlo”. Per questo, a Eluana saranno somministrati sedativi dopo il distacco del sondino. E comunque, aggiunge Defanti, nel caso della donna “probabilmente c’è una disconnessione fra la corteccia cerebrale e gli stimoli che arrivano dal mondo esterno e dal mondo interno”. Troppi “probabilmente” e nessun “certamente”, a premessa della morte di Eluana Englaro. Le parole non hanno davvero più senso, se non si riesce a misurare la distanza immensa tra “probabilmente” e “certamente”.Che esista una distanza immensa tra «probabilmente» e «certamente» è qualcosa che fa piacere credere. Eliminare la possibilità stessa del rischio, per quanto remoto, elimina anche l’angoscia di chi si sente esposto all’aleatorietà. Ma è anche possibile? E soprattutto, quanto dev’essere bassa quella probabilità per meritare di essere eliminata? Che mondo sarebbe quello in cui nessun rischio fosse ammesso, in cui la distanza tra «probabilmente» e «certamente» fosse presa sul serio?
Rimaniamo nell’ambito della medicina, e consideriamo l’accanimento terapeutico. Non nell’accezione comune di «trattamenti medici insopportabili per il paziente», ma in quella arcigna e inflessibile del magistero ecclesiastico:
[È legittima] la rinuncia «all’accanimento terapeutico», cioè all’utilizzo di procedure mediche sproporzionate e senza ragionevole speranza di esito positivo.«Ragionevole speranza» non è la stessa cosa di «assoluta certezza»; qui il professor Defanti ha ragione (e del resto Il Foglio su questo punto non lo contesta): in medicina non esiste un criterio assoluto di questo tipo. Vogliamo la certezza? Allora la Chiesa ha torto, e l’accanimento terapeutico non deve essere proibito ma imposto: nessun sondino dev’essere mai ritirato (neppure a un papa morente), nessuna chemioterapia sospesa. Si irraggi ogni tumore ad oltranza, col paziente morente legato al lettino, ogni rianimazione cardiaca si estenda fino a quando il corpo diventa freddo. Perché le probabilità che qualcosa accada all’ultimo secondo non sono nulle, e sono spesso maggiori della probabilità che dopo diciassette anni ci si svegli dallo stato vegetativo: nella letteratura medica non si trova un caso che sia uno di un paziente uscito da questa condizione dopo tre anni, ma di remissioni spontanee dal cancro quando tutto sembrava perduto una manciata di casi se ne trova. Presto, il sottosegretario Roccella convochi un apposito gruppo di lavoro, il Parlamento emani un’apposita legge!
E che dire della vita quotidiana? Le probabilità di rimanere colpiti da un cornicione sono infime, ma non nulle: anche qui la distanza è immensa tra «probabilmente» e «certamente»... Tutti con un’adeguata protezione quindi; Giuliano Ferrara organizzi una raccolta di caschi protettivi sul sagrato del Duomo. E le famigliole che partono per le vacanze in automobile? Le probabilità di un incidente sono di vari ordini di grandezza superiori al risveglio di Eluana, non importa quanto grande sia la perizia del babbo guidatore. Il genitore snaturato che mette in questo modo a repentaglio la vita dei propri figli è un omicida potenziale, sia pure colposo. Tutti a casa: passare la vita senza vacanze non è certo peggio che passare diciassette anni in un letto d’ospedale...
7 commenti:
"la rinuncia «all’accanimento terapeutico», cioè all’utilizzo di procedure mediche sproporzionate e senza ragionevole speranza di esito positivo"
Nella sentenza della Cassazione è ben chiaro che si escluda che le cure praticate a Eluana ESCLUDONO l'accanimento terapeutico.
Annarosa, e questo che c'entra?
il mio vecchio (e saggio) professore di sistemi complessi soleva spiegare ai giovani allievi la differenza letterale tra 'impossibile' ed 'improbabile' con questo esempio:
"poniamo che un bombardiere distrugga una casa e la riduca in macerie, e che un secondo bombardiere torni a bombardare queste macerie: il fatto che le particelle della casa ormai distrutta volino per aria e si ridispongano a formare la casa intera NON e` impossibile, e` solo ALTAMENTE improbabile..."
di conseguenza, ci tocca bombardare il vaticano.
Qualcuno mi può spiegare per quale ragione una persona avrebbe il diritto di rifiutare delle cure mediche e non avrebbe invece il diritto di rifiutare l'alimentazione forzata? Si è per caso schiavi?
Strano, ma sono gli stessi che sostengono che l'"improbabilità" della nascita della vita dal brodo primordiale equivalga alla sua "impossibilità" di fatto? Da ogni parte la giri, questa frittata, c'è qualcosa che non va.
La nascita della vita dal brodo primordiale non è affatto improbabile: chi la ritiene cosa impossibile deve fare i conti con una probabilità che è assai più alta, per esempio, rispetto all'ipotesi che la vita sia stata creata da un essere eterno, onnipotente e onnisciente, attributi assai meno verificabili della costruzione di molecole organiche a partire da molecole inorganiche.
Mi scuso se ho dimenticato di firmare. Sono Luigi Castaldi.
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