giovedì 30 aprile 2009

Un argomento incontrovertibile

Peter Robinson, lettera al Sydney Morning Herald, 20 aprile 2009:

Se il papa ha ragione sull’efficacia dei preservativi, allora i chirurghi dovranno abbandonare i guanti di lattice per ridurre la probabilità di trasmettere germi. Se il lattice non funziona su un singolo fallo, che possibilità ha di funzionare su dieci dita con tanto di unghie sulla punta?

lunedì 27 aprile 2009

Perché Claudio Magris non tace?

Invece di infilare una dichiarazione sciatta e stupida ogni due parole?
Tra le migliori la seguente:

ha ricordato al riguardo di avere “una carissima amica che da 4-5 anni assiste a casa sua il marito in stato di totale passività; lei vive il grande mistero di una vita insieme che continua”.
E allora?

Intanto in Spagna...

giovedì 23 aprile 2009

Arrivano i DiDoRe

È disponibile sul sito della Camera dei Deputati il progetto di legge 1756, «Disciplina dei diritti e dei doveri di reciprocità dei conviventi» (assegnato il 9 marzo 2009 in sede referente alla II Commissione Giustizia), che stando alle dichiarazioni del primo firmatario, Lucio Barani del PdL, dovrebbe finalmente materializzare la proposta dei DiDoRe – Diritti e Doveri di Reciprocità dei conviventi, appunto – avanzata a suo tempo con molti squilli di fanfare da Gianfranco Rotondi e Renato Brunetta.
La proposta di legge è estremamente scarna: sette articoli quasi telegrafici, che nel complesso sono più brevi del cappello introduttivo. Il dono della sintesi è sempre da apprezzare, anche se l’impressione è che si sia voluto tenere volutamente un profilo basso, per motivi facilmente intuibili. L’impressione è confermata dal primo articolo, che secondo la moda recente dei disegni di legge su temi «sensibili» costituisce una dichiarazione di principi generali, che si vuole derivati dalla Costituzione. Il primo comma recita infatti: «Ai sensi degli articoli 29 e 31 della Costituzione, il riconoscimento della famiglia deve intendersi unicamente indirizzato verso l’unione tra due soggetti legati da vincolo matrimoniale». È, come si vede, un plateale metter le mani avanti, per estinguere sul nascere ogni illusione pericolosa sulla portata del disegno di legge. Il secondo comma aggiunge: «Alla famiglia, intesa ai sensi del comma 1, sono indirizzate, in via esclusiva, le agevolazioni e le provvidenze di natura economica e sociale previste dalle disposizioni vigenti che comportano oneri a carico della finanza pubblica». Coerentemente con questa impostazione, gli articoli da 3 a 7 elencano una serie di diritti dei conviventi senza oneri per lo Stato: diritto di visita presso gli ospedali, diritto di designare il convivente come rappresentante per le decisioni di fine vita, diritto di abitazione o di successione nell’affitto, diritto di ricevere gli alimenti. Manca stranamente ogni accenno al diritto di ricongiungimento familiare (questo in parte si può spiegare col fatto che, come vedremo fra poco, per conviventi si intendono persone normalmente coabitanti) e alla successione ereditaria.

Questo minimalismo dei diritti non costituisce, di per sé, motivo di scandalo. Il vero problema è che l’assetto legislativo ideale dovrebbe prevedere due modalità di regolazione delle convivenze: la prima, leggera, a garanzia di diritti per lo più negativi e non molto diversi in effetti da quelli contemplati dai DiDoRe, per i conviventi che desiderino mantenere un rapporto più libero e non troppo regolamentato; la seconda, impegnativa, che preveda l’estensione dei diritti e dei doveri del matrimonio a chi oggi non può sposarsi: in pratica, alle coppie omosessuali. Ma questa seconda colonna della norma non è proponibile nel nostro paese, a causa del veto della potenza straniera che tiene in pugno i nostri legislatori; e così le proposte di legge finiscono per essere sempre sbilenche. Nel caso dei non rimpianti DiCo si caricava quella che in sostanza era una legge per convivenze «leggere» di alcuni diritti «pesanti», come quello alla pensione di reversibilità, producendo un ibrido assai poco vitale che scontentava tutti; nel caso dei DiDoRe ci si dimentica semplicemente del problema di quelle coppie che non hanno nulla da invidiare in termini di impegno reciproco alle famiglie tradizionali, ma che non possono accedere alle stesse tutele, anzi si nega in capo alla legge che possano essere equiparate a quelle «naturali».

C’è poi un altro grave problema. Come abbiamo visto, la potenza straniera sopra evocata teme come la peste che la regolazione delle convivenze possa anche solo lontanamente richiamare il matrimonio; si deve dunque evitare fra l’altro ogni accenno a una cerimonia, a un incontro dei conviventi di fronte a un funzionario che abbia l’apparenza della stipulazione più o meno solenne di un patto. Per compiacere questo diktat si era ricorso in occasione dei DiCo a quel grottesco balletto di raccomandate che molto fece per affossare quella proposta e consegnarla agli annali del ridicolo. Per i DiDoRe la soluzione prescelta è più drastica: diritti e doveri conseguono non dalla sottoscrizione di un impegno formale, ma semplicemente dal trovarsi nella condizione di conviventi. Dice infatti l’art. 2 del disegno di legge: «1) La presente legge disciplina i diritti individuali e i doveri di soggetti maggiorenni, conviventi stabilmente da almeno tre anni, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 6, uniti da legami affettivi e di solidarietà ai fini di reciproca assistenza e solidarietà materiali e morali, non legati da rapporti di parentela né vincolati da precedenti matrimoni. 2) Per l’individuazione dell’inizio della stabile convivenza trova applicazione l’articolo 5, comma 1, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223». E il comma del DPR 30 maggio 1989, n. 223, cui si fa riferimento, si limita a stabilire: «Agli effetti anagrafici per convivenza s’intende un insieme di persone normalmente coabitanti per motivi religiosi, di cura, di assistenza, militari, di pena e simili, aventi dimora abituale nello stesso comune» (da notare una possibile fonte di problemi interpretativi: qui si fa riferimento a «un insieme di persone», quindi anche più di due, mentre la proposta di legge sembra sempre dare per scontato che i conviventi siano solo due).
Se i DiDoRe divenissero legge, dunque, una persona che inizia una convivenza si troverebbe automaticamente di fronte alla prospettiva di dover un giorno «prestare gli alimenti oltre la cessazione della convivenza, con precedenza sugli altri obbligati, per un periodo determinato in proporzione [quale?] alla durata della convivenza medesima» (art. 7), a una persona con cui non ha più alcun legame affettivo, e senza aver stipulato alcun contratto in questo senso. (Curiosamente la proposta di legge non sembra contemplare obblighi di assistenza reciproca durante la convivenza.) Molto liberale, non c’è che dire. Forse i DiDoRe hanno in realtà lo scopo celato di favorire le sorti declinanti dell’istituto matrimoniale, che a questo punto appare in paragone più vantaggioso?

Stupisce di trovare fra le firme che accompagnano questo pezzo non esaltante di arte legislativa quella di Benedetto Della Vedova, che sul tema sappiamo avere ben altre idee. Capisco che si possa ritenere che qualcosa è meglio di niente, ma in questo caso il gioco al ribasso è andato decisamente troppo in là. Meglio niente, grazie, di questo.

mercoledì 15 aprile 2009

Scivolando lungo il piano inclinato

Francesco D’Agostino ritorna, dopo la pausa dovuta al terremoto abruzzese, sul disegno di legge Calabrò e più in generale sui problemi dell’autodeterminazione («Pendio scivoloso senza stop ragionevoli», Avvenire, 15 aprile 2009, p. 1). Ecco come conclude il suo articolo:

Il principio dell’autodeterminazione ha una sua intrinseca forza espansiva: se posso autodeterminarmi nel dire di no a una terapia, perché non posso autodeterminarmi nel dire sì al suicidio assistito? E perché la mia autodeterminazione andrebbe riconosciuta valida solo in contesti patologici estremi e non in ogni qualsiasi situazione, in cui a mia discrezione io voglia porre fine alla mia vita? Non sono domande esagerate o provocatorie: se ne discute con tutta serietà in diversi Paesi europei, in particolare in Svizzera, da quando Ludwig Minnelli ha dichiarato che «Dignitas», l’organizzazione da lui fondata, ritiene che sia una «possibilità meravigliosa» quella di aiutare le coppie che siano desiderose di «morire assieme» e quella di favorire la morte del partner sano di un malato terminale. È su pretese del genere, su un «pendio scivoloso» di questo tipo che vorremmo che i fautori nostrani dell’autodeterminazione esprimessero un’opinione, non solo chiara, ma soprattutto motivata; che ci dicessero perché le condividono (se le condividono) e – se non le condividono – come pensano, nel contesto di un’autodeterminazione rivendicata come diritto della persona, che le si possa rifiutare, esplicitamente e senza alcuna ambiguità.
In quanto «fautore nostrano dell’autodeterminazione» mi sento chiamato in causa da D’Agostino; e rispondo: sì, condivido quelle che lui chiama «pretese». Quanto al perché, la risposta è duplice.
Per prima cosa, immaginiamo di vivere in una società che si trovi all’estremità liberale (in senso classico, non libertario) del pendio scivoloso. Qui l’autodeterminazione è pienamente rispettata, anche per quello che riguarda la scelta di morire. Quale sarebbe l’aspetto di questa società? Cosa direbbero le sue leggi? Diamo un’occhiata.

Negli ospedali di questa società l’eutanasia attiva e il suicidio assistito sono pratiche non solo depenalizzate ma del tutto legali; l’unica limitazione è la richiesta di un breve periodo di riflessione. I pazienti ammessi sono quelli che soffrono dolori non controllabili o che comunque percepiscono la propria condizione fisica come ormai priva di dignità (per i minori e gli incapaci di intendere e di volere può essere fatta valere solo la prima condizione, e anche questa più strettamente che per gli altri). I medici possono rifiutarsi di praticare l’eutanasia, ma devono comunque eseguire ciò che hanno liberamente accettato nei propri contratti di lavoro. Il rifiuto di ogni trattamento sanitario è ovviamente del tutto consentito, e in questo caso l’obiezione di coscienza non è neppure concepibile: il medico che impone un trattamento contro il volere del paziente si rende colpevole di violenza privata ed eventualmente di sequestro di persona, e passa guai giudiziari seri (oltre a perdere il lavoro; curiosamente, da quando è entrata in vigore, questa norma sembra aver fatto sparire d’incanto tutti i medici integralisti che giuravano che non l’avrebbero mai e poi mai rispettata...). Per mezzo del testamento biologico e/o tramite un fiduciario è possibile rifiutare o richiedere (per quando non si fosse più in grado di farlo) qualsiasi pratica che possa rifiutare o richiedere un paziente cosciente, e i medici hanno gli stessi obblighi che hanno nei confronti di quest’ultimo (l’unica, limitata eccezione vale se il progresso delle tecniche ha reso obsolete le preoccupazioni espresse a suo tempo).
I cittadini possono scegliere di non pagare con i loro contributi alcune pratiche sanitarie, e l’eutanasia e il suicidio asssistiti sono tra questi; chi alla fine ci ripensa paga le spese per intero (e se ci sono code d’attesa viene posto in fondo). In genere le persone che seguono la morale cattolica non pagano comunque di meno, perché anche le spese per il mantenimento dei pazienti in stato vegetativo permanente sono tra quelle per cui è facoltativo pagare i relativi contributi.
Lo Stato si tiene fuori da ogni decisione in cui sia assente una precisa patologia (compresi i casi di partner sani di malati terminali). Esistono associazioni private – rigorosamente senza fini di lucro, per evitare la tentazione di abusi – che aiutano al suicidio chi si sente semplicemente stanco di vivere; ma la necessità di documentare che i loro clienti siano perfettamente in grado di intendere e di volere e che non stiano cedendo a un impulso momentaneo, rende le pratiche relative piuttosto macchinose. I suicidi preferiscono dunque comprensibilmente fare da sé: sono del resto facilmente disponibili manuali sulla morte dignitosa (anche se nessuna farmacia è autorizzata a vendere il kit della buona morte a chi non è medico, sempre per evitare abusi). Non è un reato salvare un suicida, se si ignora il motivo del suo gesto e il suo stato d’animo; nei rari casi contrari, è applicabile anche qui la norma sulla violenza privata. Ovviamente nessuno punisce i tentativi di suicidio – a meno che non abbiate fatto saltare con il gas l’appartamento dei vicini...

Questa società così coerentemente liberale non è ancora realizzata in nessuna parte del mondo, anche se alcune società reali le si avvicinano notevolmente. Ma è per questo mostruosa, caotica, inaccettabile? Ovviamente essa sarà anatema per il professor D’Agostino e per chi la pensa come lui; chi ha invece a cuore il valore dell’autodeterminazione ne troverà forse un po’ indigesti alcuni aspetti, e magari sarà tentato di razionalizzare la propria opposizione ad essi; ma per il resto non dovrebbe notare nulla di veramente irragionevole (e sono sicuro che per qualcuno il quadro che ho delineato apparirà al contrario fin troppo regolato e illiberale...). Il pendio scivoloso termina in un paesaggio pianeggiante tutto sommato familiare.
Ma c’è anche un’altra considerazione da fare. L’argomento del piano inclinato, con la sua richiesta di esaminare le conseguenze di una piena coerenza di principi, vale ovviamente anche nell’altro senso. Non è come un pendio fisico, in cui si scende solo in una direzione; qui, paradossalmente, si può scivolare da una parte ma anche dall’altra. Se, per esempio, impediamo che una persona possa rifiutare oggi le cure per quando sarà incosciente, perché non dovremmo impedirglielo anche quando è cosciente? Non è una domanda esagerata o provocatoria: alcuni hanno invocato a questo proposito una «interpretazione autentica» dell’art. 32 della Costituzione, che stabilisca l’impossibilità per un malato di rifiutare le terapie salvavita. È su pretese del genere, su un «pendio scivoloso» di questo tipo che vorremmo che gli avversari nostrani dell’autodeterminazione esprimessero un’opinione, non solo chiara, ma soprattutto motivata...

mercoledì 8 aprile 2009

Paesi civili

Pride Roma (7 giugno 2008)
Sweden allows same-sex marriage, BBC News, Thursday, 2 April 2009.

Sweden will allow gay couples to be legally married from next month.

Parliament voted overwhelmingly on Wednesday to recognise same-sex marriage, becoming the fifth country in Europe to do so.

Sweden was one of the first countries to give gay couples legal "partnership" rights, in the mid-1990s, and allowed them to adopt children from 2002.

The new law lets homosexuals wed in either a civil or religious ceremony, though individual churches can opt out.

That is the question

No Way
Uomini o giornalisti? Sciacallaggio o tragedia? La questione della foto del terremoto cinese inviata al sito del Corriere, e di tutto quello che ne è seguito.
Alessandro D'Amato su Giornalettismo.

martedì 7 aprile 2009

Si possono prevedere i terremoti?

Anna Meldolesi fa il punto della questione sul suo blog:

Il terremoto dell’Aquila non si poteva prevedere e di fatti nessuno l’aveva previsto. Neppure Giampaolo Giuliani, il tecnico del Gran Sasso che qualche giorno fa ha mandato in tilt la città di Sulmona con i presagi funesti dei suoi rilevatori radon e per questo si è beccato una denuncia per procurato allarme. La sua è stata una previsione “quasi azzeccata” con la complicità del caso e dunque sostanzialmente inutile.
Da leggere tutto.

lunedì 6 aprile 2009

6.3

giovedì 2 aprile 2009

Eccoli i difensori della vita!

Ovvero, lettera aperta del Gruppo Dirigente di Oncologia di Nerviano Medical Sciences alla Congregazione dei Figli dell’Immacolata Concezione.

(Mi scuso per la lunghezza, ma credo sia doveroso non tagliare nulla di questo scempio.)

A R. Padre Aurelio Mozzetta, Superiore Generale, Congregazione dei Figli dell’Immacolata Concezione (CFIC)
Dott. Franco Decaminada, CFIC
Dott. Natalino Poggi, Legale Rappresentante, CFIC

cc.

S.E. Card. Tarcisio Bertone, Segretario di Stato
S.E. Card. Angelo Bagnasco, Presidente Conferenza Episcopale Italiana
S.E. Cardinale Prefetto, Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica
S.E. Card. Dionigi Tettamanzi, Arcivescovo di Milano
S.E. Mons. Rino Fisichella, Magnifico Rettore Pontificia Università Lateranense

Illustre On. Giulio Tremonti, Ministro dell’Economia e delle Finanze
Illustre On. Maria Stella Gelmini, Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
Illustre On. Maurizio Sacconi, Ministro del lavoro, della salute e delle Politiche Sociali
Illustre On. Claudio Scajola, Ministro delle Attività Produttive
Illustre On. Giuseppe Pizza, Sottosegretario Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

Consiglio di Amministrazione di NMS

Personale di NMS

Abbiamo appreso la volontà della Congregazione dei Figli dell’Immacolata Concezione, proprietaria di Nerviano Medical Sciences (NMS) dal maggio 2004, di non apportare i capitali necessari da tempo promessi per garantire le attività del Centro di Ricerca e Sviluppo di Nerviano, determinando quindi lo stato di insolvenza e, di conseguenza, il rischio di una sua liquidazione entro pochi giorni.

Non siamo a conoscenza dei motivi per i quali la Congregazione non intenda onorare l’impegno preso di capitalizzare l’Azienda. I 5 milioni conferiti recentemente rappresentano meno del 7% dell’impegno sottoscritto dalla Congregazione. Come Gruppo Dirigente dell’Unità di Oncologia di NMS riteniamo in ogni caso di avere il dovere di rappresentare con chiarezza le conseguenze etiche e materiali della decisione di mandare l’Azienda in liquidazione.

Vorremmo ricordare che dal Maggio 2004 oltre 900 pazienti con cancro sono stati trattati nei migliori centri clinici oncologici del mondo con i nostri farmaci. Farmaci da noi scoperti e caratterizzati con competenza e passione. Si tratta di 900 pazienti con cancro avanzato e metastatico e senza possibilità di cure. Molti di loro sono vissuti più a lungo grazie ai nostri farmaci e hanno avuto una qualità di vita migliore. Molti di loro sono ancora oggi in trattamento con i nostri farmaci. Non senza stupore e amarezza, chiediamo: “Con la liquidazione alle porte, come potremo continuare il trattamento di questi pazienti, molti dei quali non potranno che soccombere alla progressione della loro malattia?” Ci sia consentito menzionare che già oggi, a causa del blocco delle attività determinato dalla carenza di liquidità, abbiamo molti problemi a garantire il corretto trattamento dei nostri pazienti. Su questo punto il nostro Direttore Medico ha inviato alla Congregazione una nota dettagliata nei giorni scorsi, alla quale non abbiamo ancora avuto risposta. Inutile sottolineare che le conseguenze risarcitorie di un danno ai pazienti sarebbero incalcolabili.

Siamo inoltre certi che la Congregazione comprende appieno che la decisione di liquidare NMS avrà conseguenze molto negative sul futuro e sulla stessa dignità di oltre 700 famiglie. In un momento nel quale sono numerosi i richiami della gerarchia cattolica a dare la priorità nelle decisioni economiche ai lavoratori e alle loro famiglie, questa decisione non può non stupire. Tanto più in quanto non riusciamo, non solo noi ma anche i nostri collaboratori, a dimenticare le parole dei rappresentanti della Congregazione che solo alcuni mesi fa hanno ribadito il loro interesse per i lavoratori e le famiglie di NMS.

Passando alle conseguenze materiali, forse non meno importanti di quelle etiche quando si decide di assumere la proprietà di una realtà industriale, vogliamo credere che la Congregazione, come peraltro ha più volte dichiarato, comprenda che NMS è l’unica realtà italiana con una tradizione di ricerca e sviluppo di farmaci Oncologici di nuova generazione, con un portafoglio di progetti altamente diversificato e competenze riconosciute a livello internazionale, come dimostrato dai recenti accordi di collaborazione con le aziende americane Bristol-Myers Squibb e Genentech per lo sviluppo congiunto di nuovi farmaci. Con stupore, amarezza e indignazione ci si chiede come in un momento in cui si parla di ricerca e innovazione come uno strumento per uscire dalla crisi economica mondiale e come leva per rilanciare la competitività industriale italiana si voglia disperdere un patrimonio di esperienza professionale più che trentennale, e di conoscenze e tecnologie all’avanguardia in grado di generare ritorni significativi se messi in condizione di competere su un libero mercato, al di fuori degli attuali vincoli imposti dal contratto con Pfizer. Ricostruire un Centro Ricerca e Sviluppo in Oncologia con le tecnologie e le competenze di Nerviano richiederebbe diversi anni e investimenti impensabili.

Un esempio concreto e tangibile dei risultati generati in questi anni è rappresentato dall’inibitore di Aurora, Danusertib. Nonostante la struttura del contratto con Pfizer abbia imposto a NMS uno sviluppo clinico molto oneroso in termini di tempi e di costi, siamo riusciti a completare gli studi clinici di Fase I e di Fase II, arrivando a sottomettere la documentazione clinica al nostro interlocutore industriale obbligato.

Adesso Pfizer dovrà avanzare una proposta di acquisizione di Danusertib al massimo entro la metà di Luglio, cioè tra pochi mesi. La discontinuità aziendale oramai alle porte conseguente allo stato di insolvenza rischia di interrompere le trattative con Pfizer, o con altri interlocutori nel caso in cui Pfizer declinasse l’offerta, precludendoci una fonte oramai vicina di liquidità e ipotecando il futuro di questo nuovo agente antitumorale.

Danusertib non è l’unico prodotto generato in questi anni al quale è associabile un valore vero e tangibile. Con tutta evidenza, anche gli altri inibitori di Cdk e di Cdc7 attualmente in sviluppo clinico e due nuove molecole che sarebbero entrate in clinica quest’anno hanno un altissimo valore, benché nel nostro caso specifico purtroppo non ancora monetizzabile perchè i vincoli stipulati con Pfizer ne impediscono oggi la vendita, rimandandola obbligatoriamente ad ulteriori conseguimenti sperimentali futuri che richiedono tempo e ulteriori investimenti.

I vincoli dell’accordo con Pfizer, noti alla Congregazione che li ha sottoscritti nel Maggio 2004, richiedevano un sostegno economico a medio termine la cui improvvisa discontinuità viene a compromettere lo sfruttamento dei risultati produttivi da noi raggiunti con convinzione, passione, efficienza e professionalità.

Siamo pienamente coscienti che per giungere ad una situazione così critica e drammatica vi sono responsabilità di più soggetti coinvolti, ma la proprietà ha oneri ineludibili.

Nel corso di un incontro organizzato presso la Borsa di Milano nel Maggio 2008 con centinaia dei nostri Ricercatori, in un momento nel quale le finanze dell’Azienda non erano nell’attuale situazione drammatica, ma comunque sotto attenzione, alle ripetute domande circa la sostenibilità finanziaria, non abbiamo ricevuto chiarimenti dalla Congregazione sulle Sue strategie per garantire continuità all’Azienda, ma piuttosto l’invito a concentrarci sulla ricerca senza farci distrarre da questioni finanziarie. Come è possibile essere giunti solo pochi mesi dopo a una situazione come quella che, ancora increduli, stiamo vivendo?

Non possiamo non chiederci come mai la ricerca di partner strategici sia stata affidata alla Banca Rothschild solo poco tempo fa. Ci sembra evidente che, se tale ricerca fosse stata avviata anche solo un anno fa, in questo momento potremmo ragionevolmente trovarci di fronte ad una situazione ben diversa.

Oltre alle trattative ormai in dirittura d’arrivo con Pfizer per la cessione di Danusertib che, comunque si concludano, dovrebbero ragionevolmente portare ad un incasso al più tardi entro la fine di quest'anno, sono anche in corso incontri e discussioni con potenziali partner strategici, rappresentati da Aziende multinazionali che operano nel nostro settore, interessate ai nostri prodotti e alla nostra organizzazione. La liquidazione dell'Azienda impedirebbe qualsiasi ulteriore discussione o trattativa. Perchè precludere questo tentativo di valorizzare, nonostante le difficoltà, i numerosi risultati concreti generati in questi anni ed il patrimonio professionale di NMS?

Il piano presentato alla Congregazione prevede una ricapitalizzazione limitata dell’Azienda per circa 30 milioni €, cioè per meno del 50% di quanto promesso e sottoscritto dalla Congregazione, che permetterebbe di garantire un minimo di continuità delle attività aziendali sino alla fine di quest’anno, termine entro il quale contiamo di generare liquidità attraverso la cessione di Danusertib e di concludere la ricerca di un partner strategico.

In conclusione, nella certezza di aver svolto con la massima professionalità, dedizione e concretezza il nostro lavoro, raggiungendo con tutta evidenza risultati veri e tangibili, animati, oltre che dalla passione scientifica, dal desiderio di migliorare la condizione umana e aiutare chi soffre, riteniamo fosse nostro dovere rappresentare in maniera chiara le conseguenze etiche e materiali della decisione di non ricapitalizzare NMS avviandone di fatto la liquidazione, nella speranza che la loro piena comprensione da parte di tutti i soggetti coinvolti possa indurli a trovare una via d’uscita per una soluzione positiva della vicenda.

Il Gruppo Dirigente dell’Unità di Oncologia di Nerviano Medical Sciences

Francesco Colotta, Vice President Oncology
Maria Antonietta Cervini, Head Project Management
Silvia Comis, Director Clinical Development
Daniele Donati, Director Medicinal Chemistry
Eduard Felder, Director Chemical Core Technologies
Arturo Galvani, Director Signal Transduction
Antonella Isacchi, Director Biotechnology
Anna Migliazza, Head External Research
Jurgen Moll, Director Cell Cycle
Enrico Pesenti, Director Pharmacology
Carmela Speciale, Director Site Funding and Research Operations

Ritorna la diagnosi preimpianto?

(Adnkronos/Adnkronos Salute) Roma, 2 apr. - […] la diagnosi preimpianto non è vietata nel nostro Paese, «perché il Tar del Lazio ha annullato le vecchie linee guida sulla legge 40 – ha puntualizzato Sebastiano Papandrea, avvocato del foro di Catania – fino a oggi, dopo aver conosciuto il risultato, bisognava comunque impiantare tutti e tre gli embrioni. Con la sentenza della Consulta la diagnosi potrà essere eseguita. E laddove il trasferimento degli embrioni, non per forza tre, comporti un rischio per la salute della donna, è consentita la crioconservazione, in attesa magari di terapie geniche che possano curare l’embrione o il bambino stesso una volta nato». […]

Ancora Ceccanti sulla legge 40

(Adnkronos) Roma, 2 apr. - «Fermo restando che le motivazioni della Corte ci aiuteranno a capire meglio la sentenza sulla legge 40, vanno fin d’ora chiariti due equivoci, a prescindere dai giudizi di valore». Lo dichiara il senatore del Pd Stefano Ceccanti che spiega: «Il Parlamento, se crede, ha il diritto di intervenire di nuovo sulla materia, ma non ha nessun obbligo di farlo. La legge può funzionare con le disposizioni eliminate dalla Corte e con quella introdotta che consente la crioconservazione a favore della salute della donna». «Il governo, dal canto suo – aggiunge – non solo non ha, con lo strumento delle linee guida, in alcun modo la possibilità di reinserire disposizioni giudicate incostituzionali in una legge, ma neanche quello di ripristinare il divieto di analisi pre-impianto. Se lo volesse fare, l’esito sarebbe già scritto: una sentenza di illegittimità della magistratura. La precedente sentenza del Tar del Lazio che ha fatto saltare il divieto ha infatti chiarito che le linee guida sono soltanto un “atto amministrativo di natura regolamentare” che non può violare la riserva di legge “sull’oggetto della procreazione medicalmente assistita”». «Su questo giudizio di illegittimità la sentenza della Corte non aggiunge niente. Essa si è mossa dandolo naturalmente per presupposto. Il divieto di analisi pre-impianto potrebbe, in astratto, essere quindi reinserito solo con legge, ma – conclude Ceccanti – a quel punto sarebbe comunque esposto al giudizio negativo della Corte costituzionale».

Il nuovo sito di Famiglie Arcobaleno

La nuova versione del sito di Famiglie Arcobaleno è arricchita da pubblicazioni, documentazione, testi per bambini, filmografia, foto, rassegna stampa, disegni dei bambini.
Saranno segnalate le iniziative singole e in collaborazione con le altre associazioni lgbt.
(Qui Giuseppina La Defa spiega chi sono le Famiglie Arcobaleno).

mercoledì 1 aprile 2009

Ceccanti sulla decisione della Consulta

(ANSA) - ROMA, 1 APR - «La Corte costituzionale si è pronunciata direttamente solo su due commi, il 2 e il 3, dell’art. 14 della legge 40 del 2004; sulle altre parti che erano state impugnate non si è pronunciata, non le ha dichiarate costituzionali, ma semplicemente irrilevanti nei casi in questione. Quindi sono state esaminate solo due norme e sono cadute entrambe per incostituzionalità». Così il senatore del Pd Stefano Ceccanti, analizza la sentenza della Consulta sulla legge in tema di procreazione assistita. Il costituzionalista del Pd sostiene che innanzitutto «vanno precisati i contenuti. Nel comma 2 la Corte ha eliminato il vincolo numerico alla creazione di un massimo di tre embrioni e quello temporale a impiantarli tutti contemporaneamente, lasciando il limite a non crearne in numero superiore a quello strettamente necessario e rinviando quindi implicitamente alla scelta del medico il numero di embrioni e il numero degli impianti, tenendo conto delle condizioni di salute della donna. Nel comma 3 – aggiunge Ceccanti – la Corte ha proceduto a integrare direttamente la norma con una sentenza cosiddetta additiva, cioè aggiungendo parole alla legge, senza bisogno di un ulteriore intervento del Parlamento, evitando così il vuoto legislativo. Una tecnica che si adotta quando la soluzione che discenderebbe dalla sentenza sarebbe obbligata». «L’aggiunta del vincolo di procedere senza pregiudizio della salute della donna – evidenzia Ceccanti – significa concretamente ampliare i casi in cui è consentita la crioconservazione degli embrioni, anche in vista di impianti successivi. Una scelta strettamente conseguente a quella operata nel comma 2». «Anche se conosciamo solo il dispositivo» il costituzionalista del Pd ipotizza anche le motivazioni: «la Corte dovrebbe aver riconosciuto la fondatezza dei richiami dei giudici alla violazione di almeno tre articoli della Costituzione: il secondo (dignità della persona, lesa perchè la normativa rigida portava con sè trattamenti invasivi e a basso tasso di efficacia); il terzo (uguaglianza perchè trattava irragionevolmente allo stesso modo donne diverse, con parti trigemini per le giovani e trattamenti inefficaci per le più anziane), il 32 (diritto alla salute rispetto ai rischi per la donna in relazione a trattamenti pericolosi) della Costituzione». Ceccanti evidenzia infine «un insegnamento di metodo: contro leggi incostituzionali non si promuovono referendum, si attende che la giustizia costituzionale faccia il suo corso, evitando un passaggio inutile».

Ultim’ora

(ANSA) - ROMA, 1 APR - La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 14 comma 2, della legge 18 febbraio 2004, n. 40, dice una nota della Consulta, «limitatamente alle parole “ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre” embrioni». La Corte ha anche dichiarato incostituzionale il comma 3 dello stesso articolo «nella parte in cui non prevede che il trasferimento degli embrioni, da realizzare non appena possibile, debba essere effettuato senza pregiudizio della salute della donna». La Consulta ha infine dichiarato inammissibili per difetto di rilevanza nei giudizi principali le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 6, comma 3, e 14, commi 1 e 4.

Fight discrimination, harassment and violence against Lesbians and Gays in the EU

L’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (FRA, Fundamental Rights Agency) ha pubblicato ieri la seconda parte del report sull’omofobia. Nel giugno 2008 era stata pubblicata la prima sulla situazione legale. Quella di ieri fotografa la realtà sociale della discriminazione basata sull’orientamento sessuale e l’identità di genere negli Stati membri dell’Unione europea.
Nessuna buona notizia. La disuguaglianza di trattamento, che assume anche la forma di vera e propria violenza, è molto diffusa. Prese in giro, aggressioni fisiche, insulti e disparità giuridiche affliggono i cittadini con l’orientamento sessuale “sbagliato”: gay, lesbiche, bisessuali, transessuali, queer (GLBTQ). Questo accade nonostante i diritti fondamentali siano, o dovrebbero essere, garantiti a tutte le persone.
Non sorprende: basti pensare alle reazioni che in Italia suscita il matrimonio gay, o altre richieste di parità normativa. La discussione sulla penalizzazione dell’omofobia, l’anno passato, ha scatenato commenti e risposte bizzarre, dall’invocazione dello spirito santo a quella “libertà di coscienza” che ormai è sinonimo di lavarsi le mani davanti alle ingiustizie.
Una legge non basterebbe; una legge non è una bacchetta magica. Ma è verosimile pensare che una legge giusta e paritaria avrebbe il potere di mettere in moto un processo verso una società più equa. E il dovere dei governi è anche quello di promuovere una società che garantisca davvero a tutti le stesse possibilità e gli stessi diritti.
Il direttore dell’Agenzia, Morten Kjaerum, ha definito le ingiustizie verso le persone GLBTQ “segnali allarmanti in un’Unione europea che si pregia dei propri principi di parità
di trattamento e di non discriminazione”. E Anastasia Crickley, presidente del consiglio di amministrazione dell’Agenzia, ha aggiunto che “ogni cittadino dell’Unione europea ha diritto a vivere senza paura e discriminazioni, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale”.
Sono affermazioni che dovrebbero essere scontate; purtroppo in molti Paesi non lo sono. Purtroppo la strada contro le discriminazione è ancora lunga.