domenica 31 maggio 2009

Il nostro eroe

Mancava da qualche tempo il nostro affezionato. O meglio, noi siamo stati distanti e distratti. E oggi si vuole rimediare.
In L’Europa come la vede il Papa. L’unica che vale (27 maggio) Luca Volontè sfoggia le sue migliori doti retoriche.
Un passaggio è imperdibile:

Relativismo (bene e male si equivalgono) e nichilismo (nulla vale) “vanificano ogni responsabilità di fronte al destino dell’uomo, rendendo grigia la nostra società”, come dice perfettamente il volantino della Compagnia delle Opere.
Capito? Relativisti nichilisti state in guardia!

venerdì 29 maggio 2009

Basta sprechi e la Carfagna si scorda i gay

L'omosessualità non è re[ato]
Quante polemiche infondate sulla sparizione della lotta all’omofobia dal sito del Ministero per le Pari Opportunità! Quante proteste inutili rivolte al ministro Mara Carfagna, accusata di essere insensibile verso la discriminazione su base sessuale e le mancate tutele di alcuni cittadini!
Nella nuova veste del sito non si nominano le questioni GLBTQ non perché il ministro sia disinteressato o disattento, ma perché non esiste più una “questione GLBTQ”: l’uguaglianza dei diritti per tutti i cittadini è stata portata a compimento; la legislazione italiana ha raggiunto quella dei più avanzati Paesi al mondo; il matrimonio è una possibilità per tutti, indipendentemente dall’orientamento sessuale – per quale ragione dovrebbe essere rilevante per avere la possibilità di sposarsi? – la maturazione culturale è giunta a compimento e nessuno più sghignazza davanti a due uomini o a due donne che si baciano, perché ognuno è libero di vivere come vuole e di amare chi vuole.
Insomma, mantenere una commissione che combatte le ingiustizie quando le ingiustizie non esistono più sarebbe come mantenere una commissione per gli invalidi di guerra dopo che da un paio di secoli si vive in pace. Carfagna non ama ciò che è superfluo. Come darle torto in un periodo in cui è moralmente doveroso evitare gli sprechi?

(DNews, 29 maggio 2009)

venerdì 22 maggio 2009

Queerblog intervista Chiara Lalli

Egizia Mondini intervista Chiara Lalli su Queerblog a proposito di omogenitorialità e di Buoni genitori. Storie di mamme e papà gay, il libro di Chiara che uscirà il 18 giugno in libreria.

Buoni genitori, con la prefazione di Vittorio Lingiardi e la postfazione di Ivan Scalfarotto, racconta la storia di alcune famiglie formate da genitori gay. Ce ne parli?
Nicola, Matteo, Sofia e Barbara sono i cogenitori di due gemelli. Violetta e Arthur hanno due papà e sono nati da una madre surrogata. Sono solo due delle famiglie che si raccontano in questo libro. Che raccontano le loro giornate e la loro normalità. Qual è, infatti, la condizione necessaria per l’esistenza di una famiglia? Nel tempo e nei luoghi i modelli e gli assetti familiari mutano. La costante è il vincolo relazionale, non necessariamente biologico. L’affetto è un legame che va oltre il legame di sangue. Ecco perché il libro parla di famiglie e non di Famiglia. Per la legge italiana, però, non tutte le famiglie sono davvero tali. Questa è la prima bugia da combattere. Insieme a tutte le altre che pesano sulle famiglie omosessuali e sull’omogenitorialità. […]

La Svizzera è agli antipodi

Grazia Maria Mottola, «Testamento biologico in Svizzera. Si può rifiutare la nutrizione» (Corriere della Sera, 21 maggio 2009, p. 27):

BERNA – Via al testamento biologico in tutta la Svizzera. Le nuove norme, introdotte con la revisione del codice civile, in vigore dal 2012 (già in atto in alcuni cantoni) riportano diverse novità: le «direttive anticipate», redatte per iscritto senza bisogno di notaio e vincolanti per il medico, potranno riguardare qualsiasi trattamento sanitario (escluso suicidio assistito o disposizioni illecite come l’eutanasia) compreso il rifiuto di idratazione e alimentazione artificiali. Nessuna rottura da parte della Chiesa cattolica elvetica: «Non siamo entrati nel merito delle dichiarazioni anticipate – spiega don André-Marie Jerumanis, del comitato di bioetica della Conferenza episcopale svizzera –, ma certo non sono da rifiutare. Possono aiutare a prendere coscienza dei temi di fine vita, l’importante, tra le altre cose, è non limitare la libertà di coscienza del medico». Quanto alla nutrizione forzata: «Per noi resta il principio che non debba essere sospesa. Ma c’è una differenza – continua il prete –, in Svizzera non si fa muro contro muro: ciò che è legale non è per forza anche etico, quindi noi continueremo a indirizzare la gente verso scelte etiche, promuovendo anche le cure palliative». […]
Link utili: il testo dei nuovi articoli del Codice civile svizzero (quelli maggiormente rilevanti sono i nn. 370-73 e 377-81); il testo del «Messaggio concernente la modifica del Codice civile svizzero (Protezione degli adulti, diritto delle persone e diritto della filiazione)» del 28 giugno 2006, in cui il Consiglio federale svizzero illustra gli scopi e i principi dell’iniziativa legislativa.

mercoledì 20 maggio 2009

Io voterei Ivan Scalfarotto (ma non posso perché non è candidato nel mio collegio)



Che la democrazia possa suscitare disaffezione non è una gran novità. Così come non è una sorpresa che vi siano alcune caratteristiche della macchina elettorale e politica che esasperano il senso di impotenza e di sfiducia del cittadino: sentirsi non rappresentato o addirittura tradito; assistere alla spartizione di cariche e potere e al baratto del bene pubblico con l’interesse personale – o al più con quello di casta.
Le prossime incombenze elettorali europee presentano un ulteriore rischio: aggiungono un senso di distanza materiale e ideale, purtroppo. Perché è indubbio che su alcune questioni la distanza dell’Italia dall’Europa è profonda. Basti pensare ai diritti civili e alla sovrapposizione tra politica e morale.
Sommando tutto questo, il risultato è scoraggiante. Ma si può “ricominciare” dalle persone.
Ecco perché la candidatura di Ivan Scalfarotto, candidato nel PD alle elezioni europee, rappresenta uno spiraglio nella attuale nebbia politica. Una crepa in una parete sempre più scivolosa, per non dire viscida, costituita da volti che si somigliano e che parlano una lingua comune e ormai quasi incomprensibile per i cittadini.
Scalfarotto è una persona per bene, per usare una espressione da nonna ma che rende molto bene. Non è un politico di professione, cioè uno che non sa fare nient’altro che ammiccare dai cartelloni pubblicitari sopra o sotto uno slogan imparato a memoria. Da sempre sostiene la causa della laicità e dei diritti civili. Ha deciso di tornare in Italia per provare a partecipare più direttamente alla vita politica del nostro Paese. Si capisce quello che dice e scrive.
Chi risiede in Lombardia, Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta può votare Scalfarotto per l’Europa. Questa volta si può scegliere un nome, senza ritrovarsi ingabbiati nelle liste bloccate e decise dai vertici – bizzarra e immorale parodia della libera espressione del proprio voto. Si può scegliere Scalfarotto, forse, pur mantenendo una visione critica del partito che lo ospita. Confidando nell’idea che il cambiamento possa prendere le mosse dal cuore e dallo stomaco dei dinosauri partitici.

Materiali.

La zuppa della Roccella

Repubblica intervistava ieri il sottosegretario Eugenia Roccella a proposito delle dichiarazioni del Presidente della Camera sulla laicità delle leggi («Roccella: “Il Presidente dice cose non vere”», 19 maggio 2009, p. 4). L’ultima domanda è sul testamento biologico, e la risposta della Roccella merita di essere riportata:

IL ddl sul testamento biologico obbliga all’idratazione e alla nutrizione artificiale.
«Non è un obbligo. Non c’è la possibilità di rifiutare».
Ieri notte ho avuto un incubo. Mi trovavo in ospedale, e all’ora del pranzo si avvicinava al mio letto un’infermiera, spingendo il carrello portavivande. La guardo in faccia, e – sorpresa! – mi accorgo che si tratta del sottosegretario Roccella in persona. «Avanti, prenda», mi fa, con i modi simpatici che tutti conosciamo, cacciandomi in mano una scodella fumante. «Oh, grazie signora, ma credo che salterò la zuppa e passerò direttamente al...». «ZUPPA?! QUALE ZUPPA?? Non vede che si tratta di pan bagnato?!». Poi, di fronte al mio attonito silenzio, aggiunge più dolcemente: «Ma comunque nessuno la obbliga». Sospiro di sollievo. «Però sappia che non lo può rifiutare».

sabato 16 maggio 2009

Magdi Allam e le maiuscole

È una domanda perentoria quella che Magdi Cristiano Allam pone ai lettori nel suo più recente articolo («Succubi dell’islamicamente corretto», Panorama, 21 maggio 2009, p. 75):

Vi siete mai domandati perché la stampa italiana, con rare eccezioni, scrive “Islam” con la “I” maiuscola, mentre scrive “cristianesimo” e “ebraismo” con la “c” e con la “e” minuscola?
E naturalmente la risposta è
perché siamo succubi dell’islamicamente corretto, ovvero di un approccio ideologico che ci impone di non dire e di non fare nulla che possa urtare la suscettibilità degli islamici, a prescindere da qualsiasi altra considerazione razionale e sensata che corrisponde al bene comune e all’interesse generale.
Non è la prima volta che Allam nota questa grave disparità nell’uso delle maiuscole; scriveva tempo fa Camillo Langone nella sua rubrica «Preghiera» (Il Foglio, 7 giugno 2008):
“L’occidente è talmente succube dell’islamicamente corretto che islam è l’unico nome di religione a essere scritto con la maiuscola. Tutti ossequiosamente scrivono Islam, anche se al tempo stesso scrivono cristianesimo o ebraismo. Tutti, tranne me. Io mi sono sempre rifiutato di scrivere Islam, anche da musulmano. Nei miei articoli per la Repubblica, ma la stessa cosa accade anche al Corriere della sera, io scrivevo islam poi sul giornale stampato leggevo Islam”.
Che Magdi Cristiano Allam, dal cui libro “Grazie Gesù” traggo queste righe, venga chiamato a insegnare l’ortografia nelle scuole di scrittura, di editoria e di giornalismo, laddove attualmente, non insegnandosi l’uso di maiuscole e minuscole, non si capisce che cosa insegnino.
Ad essersi accorto del fenomeno non è del resto il solo Allam; ecco cosa diceva per esempio nel 2006 il blog Saura Plesio, a proposito di una polemica di Rosy Bindi con lo stesso Magdi Allam («Rosy Bindi e Magdi Allam: scontro sul centro islamico di Colle Val d’Elsa», 7 marzo 2006):
Cominciamo subito a rimarcare la sua [di Rosy Bindi] dhimmitudine psichica dal fatto che scrive Islam in lettera maiuscola, mentre cristianesimo ed ebraismo, lo scrive in minuscolo (notate voi stessi sul Corriere, prego!).
S’impone a questo punto una confessione personale: in passato, curando dei libri, ho scritto anch’io più volte – e per giunta nella stessa pagina e sullo stesso rigo – Islam con la maiuscola e cristianesimo ed ebraismo con la minuscola. Non solo: ero pienamente consapevole del diverso trattamento che riservavo a questi nomi. Sembrerebbe dunque che io sia succube dell’islamicamente corretto, e/o che a scuola non mi sia stata insegnata l’ortografia, o che infine soffra di dhimmitudine psichica; si sa del resto che tutti i laicisti non vedono l’ora dell’avvento dell’Eurabia...
Come difendermi? Già mi immagino davanti al tribunale composto da Magdi Allam, Camillo Langone e Nessie (Nessie, l’avrete capito, è la tenutaria di Saura Plesio)... Potrei far notare che non solo cristianesimo ed ebraismo si scrivono ormai il più delle volte con la minuscola: lo stesso tocca a buddhismo, confucianesimo, giainismo e a tante altre religioni non giudeo-cristiane. Sembrerebbe dunque che il fenomeno non sia ascrivibile all’odio per le proprie radici tipico degli aspiranti dhimmi... Ma i tre giudici scuoterebbero all’unisono le teste: il fatto è, risponderebbero, che né buddhisti né confuciani, né tantomeno giainisti sono pronti a sgozzarti se tanto tanto manchi loro di rispetto; se usi anche con loro la minuscola, è perché sei un laicista che disprezza tutte le religioni ma non ha le palle per fare lo stesso con l’islamismo. Ma qui i tre mi hanno consegnato senza volerlo un argomento vincente. «Perché, allora», gli domando, «quasi tutti scrivono (come io ho appena fatto) “islamismo” con l’iniziale minuscola?». I tre si accorgono subito – mica sono fessi – dove voglio andare a parare; «NON È VERO!», strilla istericamente Allam; Langone bestemmia – poi si accorge di quello che ha fatto e sbianca in volto; Nessie mi guarda torva e: «dimostralo», mi sibila. Niente di più facile; squaderno subito davanti a loro il volume di Giulio Cipollone, Cristianità-Islam: cattività e liberazione in nome di Dio (Pontificia Università Gregoriana, 1992), aperto a p. 113:
La guerra è santa perché dell’Islam e dell’islamismo. Per l’Islam e per l’islamismo. Esiste di fatto una strettissima saldatura e coincidenza tra Islam e islamismo. Il primo termine starebbe ad indicare lo stato di sottomissione, ovvero la religione di Allah e l’insieme delle comunità e popoli che osservano detta religione; il secondo esprimerebbe dogmi, precetti e norme al minuto, insomma la religione in concreto, l’applicazione della medesima religione.
Ecco insomma due termini quasi sinonimi, entrambi impiegati per designare aspetti simili di un medesimo fenomeno religioso, ma scritti uno con la maiuscola e uno senza. Dov’è la differenza? Molto banalmente, in quell’«-ismo» attaccato a islamismo – così come a ebraismo e buddhismo (e nell’equivalente «-esimo» attaccato a cristianesimo e confucianesimo). Nella percezione dei parlanti, già sempre meno propensa all’uso della maiuscola, la presenza del suffisso segna una differenza rispetto ai nomi propri che la mantengono; a questi ultimi invece è ancora accomunato Islam, grazie all’assenza del suffisso e anche, direi, all’origine esotica.
A questo punto i tre stanno strillando tutti assieme. «È un complotto! C’è una cellula di Al-Qaida alla Gregoriana!», grida Allam a tutta forza; Langone sta recitando una giaculatoria in latino («et libera nos a malo», ulula un po’ prevedibilmente – da un esteta come lui ti aspetteresti qualcosa di più originale); Nessie ripete meccanicamente «Dimmi! Dimmi! Dimmi! Dimmi», sicché le chiedo un po’ scioccamente «Cosa?», prima di rendermi conto che mi sta lanciando il suo epiteto preferito (ok, lo ammetto, non si può pretendere che tutti sappiano pronunciare correttamente il dh arabo...).
È il momento del colpo di grazia. Esiste una religione che in italiano si può indicare sia per mezzo di un termine che ha il consueto -ismo alla fine, sia con il termine originario della lingua d’origine. Si tratta dello shintoismo (o scintoismo, se preferite), noto anche come Shinto... Ecco qualche esempio dell’uso delle maiuscole (che altrove naturalmente può variare, ma il punto rimane fermo): «la concezione religiosa dello Shinto, o shintoismo» (Renzo Sertoli Salis, Imperi e colonizzazioni‎, p. 274); «… la restaurazione del “puro Shinto”. E quando poi lo shintoismo cessò ufficialmente di essere una religione …» (Studi e materiali di storia delle religioni, 1958, p. 282); «A differenza dello shintoismo, il buddhismo giapponese … Il buddhismo si adattò all’ambiente ed, anzi, pose nei suoi templi le divinità dello Shinto» (Luciano Paterna, Il maestro di aikido, p. 156); «la riforma dello shintoismo religioso in Shinto di Stato» (Antonio Gramsci, La formazione dell’uomo, p. 371); «Si può affermare che lo shintoismo dell’antico Giappone era una religione di vibrazioni … non si dovrebbe parlare di “Shinto” (“via degli dèi”), ma di “Shindo” (“vibrazioni”)» (Masaru Emoto, L’insegnamento dell’acqua, p. 171); «Venerabili Capi Supremi della religione Shinto, … tutti voi, qualificati rappresentanti dello shintoismo» (Paolo VI, cit. nella Civiltà Cattolica, 1975, p. 416).

A questo punto Langone e Nessie si sono dileguati già da un pezzo; è rimasto solo Magdi Allam, che mi fissa un po’ rintronato. Una lacrima gli scorre sulla guancia destra. «Su, su», gli faccio, «non si angusti. Lei ha commesso un errore comprensibile in una persona che forse non ha la completa padronanza dell’italiano» (Allam ha un sussulto). «Lei ha pensato che le maiuscole indichino sempre rispetto; ma in italiano la loro funzione può essere anche un’altra. Le faccio un esempio: prendiamo quello che lei fa». Allam solleva lo sguardo speranzoso. «Ecco, per me», continuo, «quasi tutto ciò che lei scrive e dice ha un valore pari esattamente a zero – è un’opinione personale, abbia pazienza. Ma mica per questo vado scrivendo il suo nome come “magdi cristiano allam”...».

Aggiornamento: un commentatore (Fabristol) mi fa notare altre coppie di sinonimi molto pertinenti: Rasta e rastafarianesimo, Wicca e neopaganesimo.

venerdì 15 maggio 2009

Forum di Biodiritto 2009: i dati genetici


21 e 22 maggio presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche di Trento, Sala conferenze della Facoltà di Giurisprudenza.
Qui il programma.

Caramelle dal Foglio /2

Nell’articolo che citavamo ieri nella prima parte del post, Nicoletta Tiliacos tenta anche un’altra linea di attacco (ne ha parlato già Malvino, in «Puttanate propinateci», 13 maggio 2009). Fa infatti riferimento a uno studio del 2004 (A. Glasier et al., «Advanced provision of emergency contraception does not reduce abortion rates», Contraception 69, pp. 361-66), in cui si mostra che l’accresciuta disponibilità della contraccezione di emergenza in una contea scozzese (il farmaco era stato distribuito in anticipo alle donne) non aveva portato all’attesa diminuzione degli aborti. La Tiliacos tenta di insinuare più o meno direttamente che l’accesso facilitato, «addirittura preventivo» alla contraccezione d’emergenza abbia fatto persino alzare i tassi di abortività fra le minorenni, ma questo lo studio non lo dice. Come interpretare comunque il dato? La giornalista del Foglio chiede e ottiene lumi:

Un effetto paradossale? La risposta, dice al Foglio l’esperto di statistiche sanitarie Roberto Volpi, “sta nel fatto che disposizioni come quella ora adottata in Spagna incentìvano gli atteggiamenti a rischio, ed è una logica abbastanza ovvia”. La logica che dice: comunque vada, c’è un rimedio semplice come una pasticca da mandar giù, e di semplicissimo accesso, se non si deve nemmeno passare per una ricetta del medico […].
Se Volpi e la Tiliacos avessero letto l’articolo in questione invece di affidarsi alla «logica», il Foglio si sarebbe risparmiata l’ennesima pessima figura. Ecco cosa dicono Glasier e colleghi a p. 364 del loro studio:
Perhaps, having a supply of E[mergency] C[ontraception] so easily available encouraged women to take more risks with unprotected intercourse. As with our pilot study, however, women tended to move from less effective methods of contraception (mainly condoms) to more effective methods (hormonal) during the period of follow-up (Table 3). Moreover, we asked women in the questionnaire surveys whether they felt that they were less likely to fully comply with their contraceptive method and the vast majority said they were not. It seems unlikely then that pregnancies prevented by EC among women who used it were matched by pregnancies arising from increased risky sexual behavior.
Le donne in questione, dopo aver ricevuto la pillola del giorno dopo, tendevano a passare da mezzi meno efficaci di contraccezione a quelli più efficaci! Studi più specifici hanno escluso che la disponibilità della contraccezione d’emergenza aumenti i comportamenti a rischio delle adolescenti (per una rassegna si veda D.C. Weiss et al., «Should Teens Be Denied Equal Access to Emergency Contraception?», Bixby Center for Global Reproductive Health, University of California, San Francisco, aprile 2008, che fa parte di una serie di brevi monografie sulla contraccezione d’emergenza accessibili, aggiornate e scientificamente accurate: un vero balsamo, dopo la lettura del Foglio...).
Come spiegare, allora, il fallimento della contraccezione d’emergenza nel ridurre i tassi di aborto? L’articolo della Glasier propone come spiegazione più probabile quella che è anche la più semplice: il mancato uso del farmaco. Il 74% delle 36 donne coinvolte nello studio che hanno avuto una gravidanza indesiderata nonostante la disponibilità preventiva della pillola del giorno dopo, non l’aveva assunta. Molte donne, a quanto sembra, non percepiscono appieno il pericolo di poter rimanere incinte, anche dopo aver tenuto comportamenti a rischio; l’incapacità di riconoscere il rischio di una gravidanza è uno dei motivi più diffusi di mancato uso dei contraccettivi, compresi quelli di emergenza. A cosa si riduce allora l’argomento della Tiliacos? Che non si deve assumere mai la pillola del giorno dopo perché chi la dovrebbe assumere spesso non lo fa?
Uno studio recentissimo, infine (D.K. Turok, S.E. Simonsen e N. Marshall, «Trends in Levonorgestrel Emergency Contraception Use, Births, and Abortions: The Utah Experience», Medscape Journal of Medicine 11, 2009, p. 30), individua per la prima volta una correlazione statisticamente significativa tra il tasso in ascesa del ricorso alla contraccezione d’emergenza e quello in discesa delle interruzioni di gravidanza.

Ci chiedevamo all’inizio: dov’è finito il Foglio? Che ne è delle regole del giornalismo, della verifica dei fatti, dell’opinione informata? Il problema, probabilmente, è che quelli del Foglio non sono giornalisti; sono propagandisti. Non tanto nel senso di cinici falsificatori (anche se immagino che nella redazione del Lungotevere Sanzio, come del resto altrove, si trovino anche quelli): il buon propagandista è la prima vittima di se stesso, e crede quasi sempre a quel che scrive. Questa è gente che considera autorevole solo ciò che si conforma alla propria visione del mondo – e conforma la propria visione del mondo a ciò che crede autorevole. È impossibile spezzare questo circolo vizioso, e sarebbe anche inutile, se le caramelle velenose che costoro spacciano non fossero, almeno in potenza, più pericolose di qualsiasi pillola.
Rimane solo da sperare che la proprietà del giornale, che si sa essere non insensibile a certi argomenti e che si ritroverà presto libera dagli attuali condizionamenti, voglia mettere finalmente un punto a questo esperimento ormai da tempo degenerato.

(2 - fine)

Aperitivo bioetico

La Sezione di Roma della Consulta di Bioetica organizza un aperitivo bioetico sul tema Testamento biologico: come dovrebbe essere una buona legge?

Partecipano Eugenio Lecaldano e Mina Welby, modera Caterina Botti.
Giovedì 21 maggio 2009, ore 18.30, Bistrot Sapore e arte, via Efeso 24/26 (Metro San Paolo).

Buoni genitori

Buoni genitori

Dal 18 giugno sarà in libreria. Il 17 giugno ci sarà la prima presentazione romana (la Feltrinelli, via Vittorio Emanuele Orlando, ore 18.00). Intervengono Luca Formenton, Vittorio Lingiardi e Giulia Weber. Coordina Claudio Rossi Marcelli.

Aggiornamento presentazioni

19 giugno 2009, ore 18.00
Palermo, Associazione Stanze al Genio
Via Garibaldi 11

26 giugno 2009, ore 18.00, con Micaela Ghisleni e Ivan Scalfarotto
Torino, Mood Libreria Caffè
Via Cesare Battisti 3/e

27 giugno 2009, ore 13.30, con Francesco Remotti e Marina Sozzi
Torino, Master in Bioetica e Etica Applicata
Università degli Studi di Torino, Palazzo Venturi, Aula 1.1
Via Verdi 25

11 luglio 2009 ore 21.00
Festa democratica, Terme di Caracalla, Palco B

13 luglio 2009 ore 22.00

Rainbow Bar di ArciGay Roma
@ Festa dell’Unità - Democratic Party

13 settembre, ore 18.30
Milano, Festa Democratica, Palasharp, MM1 Lampugnano, Spazio Libreria

14 settembre 2009, ore 21.30
Bologna, Il Cassero

1 ottobre 2009, ore 18,30
17 ottobre 2009, ore 16,30-19.00

24 ottobre 2009, ore 18.00, con Saveria Ricci
Firenze, Rete Lenford
Via della Robbia 23

18 novembre 2009
Ferrara.

23 novembre 2009, ore 21.00
Milano.

24 novembre 2009, ore 21.00.
Padova, sede dell’Arcigay in corso Garibaldi 41.

18 dicembre 2009, ore 18.30
Roma.

giovedì 14 maggio 2009

Caramelle dal Foglio /1

La notizia che, a partire dal prossimo agosto, in Spagna sarà possibile per chiunque (comprese le minorenni) acquistare la cosiddetta pillola del giorno dopo senza ricetta medica, non poteva non causare una reazione in un certo giornale italiano, che del disprezzo per tutto quello che esce dalla Spagna di Zapatero – soprattutto se si tratta di qualche progresso nei diritti civili – ha fatto ormai una reazione automatica. E così sul Foglio di ieri ben due articoli commentano sdegnati l’ultima «barbarie». A p. 3 un editoriale non firmato titola significativamente «Pillole come caramelle»; alla pagina seguente uno dei mastini di Ferrara, Nicoletta Tiliacos, rincara la dose con «Illusioni da banco».
L’editoriale è all’altezza delle migliori tradizioni del Foglio:

In Spagna un minorenne non può comprare un pacchetto di sigarette e il tabaccaio che gliele vendesse sarebbe sottoposto a sanzioni. La stessa cosa succederebbe a un barista che gli servisse un bicchiere di birra. Come capita dalle nostre parti, con la sola ricetta medica nelle farmacie si forniscono medicinali un po’ più potenti di un’aspirina – e questo per evitare pericoli per la salute che sarebbero inevitabili con la medicina fai da te. Ora, però, il ministro della Sanità spagnolo – la signora Trinidad Jiménez – ha annunciato che la pillola del giorno dopo sarà venduta nelle farmacie senza ricetta e anche alle ragazze minorenni. Tutti sanno che si tratta, al di là di ogni considerazione morale, di un preparato che serve ad “avvelenare” una parte dell’organismo per indurlo al rigetto dell’embrione e che è potenzialmente più pericoloso di centinaia di preparati per i quali è richiesta la prescrizione del medico.
Risparmio il seguito al lettore; basti sapere che la frase finale è un accorato «Ma dove siamo finiti?». Già, dove siamo finiti? O meglio: dov’è finito il Foglio?

L’ipotesi più accreditata sul meccanismo d’azione del levonorgestrel (il principio attivo della pillola del giorno dopo, commercializzata in Italia sotto il nome di Norlevo e Levonelle) è che il farmaco inibisca la scarica ormonale che causa l’ovulazione; questo spiega perché l’efficacia sia tanto più grande quanto minore è il tempo trascorso dal rapporto non protetto. Nei modelli animali, la somministrazione di levonorgestrel dopo l’attecchimento dell’embrione nell’utero ha lo stesso effetto della somministrazione di acqua fresca: la gravidanza continua come se nulla fosse, altro che «rigetto dell’embrione». Alcuni sospettano che il farmaco possa anche impedire l’impianto dell’ovulo fecondato, ma a tutt’oggi non si ha nessuna prova concreta di quest’effetto: tutti i meccanismi invocati in passato per spiegarlo si sono rivelati inesistenti (l’endometrio – il rivestimento interno dell’utero – rimane per esempio invariato). In ogni caso, la soppressione dell’ovulazione spiega da sola l’efficacia del farmaco; se anche esistesse un effetto anti-annidatorio, sarebbe quasi certamente estremamente limitato.
Definire un farmaco con queste caratteristiche «un preparato che serve ad “avvelenare” una parte dell’organismo per indurlo al rigetto dell’embrione», e per giunta premettere che «tutti sanno» che di questo si tratta, sembrerebbe dimostrare – nonostante l’uso cautelativo delle virgolette – una consuetudine con sostanze ben più pericolose del levonorgestrel, dell’aspirina, delle sigarette e forse anche della birra. A meno che non ci troviamo di fronte alla consueta pietra di paragone dell’ignoranza in materia contraccettiva: la confusione con la pillola abortiva, quella RU-486 il cui effetto potrebbe essere fatto corrispondere, con un po’ di immaginazione, a quello denunciato dal Foglio. Pensavo che anche i sassi avessero ormai imparato la distinzione, ma si sa, la durezza di certe teste...
Ma che dire dei «pericoli per la salute che sarebbero inevitabili con la medicina fai da te»? La pillola del giorno dopo non “avvelenerà” una parte dell’organismo, questo no, ma in fondo è pur sempre un farmaco: non sarebbe meglio esigere sempre la ricetta? Anche la Tiliacos si unisce qui all’anonimo editorialista, e denuncia un uso «sempre più routinario» della contraccezione d’emergenza, «con immaginabili danni per la loro [delle giovani che l’assumono] salute».
Vediamo allora i rischi del levonorgestrel (ovviamente le indicazioni che seguono non possono sostituire il foglietto illustrativo: leggetelo con attenzione!). Rischio di indurre assuefazione: zero. Gli effetti collaterali più comuni sono leggeri: vanno dalla nausea alla cefalea, possono colpire fino al 25% delle pazienti e scompaiono entro 48 ore dall’assunzione (il sanguinamento uterino può durare fino alla mestruazione successiva); il vomito è riportato nell’1-8% dei casi. Sovradosaggio: non sono stati riportati effetti seri dopo ingestione di dosi elevate. Interazioni con altri farmaci: possono al più diminuire l’efficacia del levonorgestrel stesso. Rischio di teratogenicità per il feto (nel caso di fallimento del contraccettivo): zero. Rischio di diminuzione della futura fertilità: zero. Il levonorgestrel non aumenta il rischio di gravidanze extrauterine (anche se ovviamente occorre considerare la possibilità di questa evenienza se il contraccettivo fallisce). Controindicazioni: ipersensibilità al levonorgestrel o ad uno degli eccipienti (p.es. il lattosio) – ma non sono state finora descritte reazioni allergiche al levonorgestrel.
I rischi della contraccezione di emergenza non devono essere confusi con quelli – pur limitati – della contraccezione ormonale classica (la «pillola»): i problemi di coagulazione del sangue dipendono dagli estrogeni, che non sono contenuti nel Norlevo. Alcuni studi hanno mostrato che donne che non possono usare i contraccettivi a base di estrogeni (per diabete, alta pressione sanguigna, etc.) possono invece ricorrere tranquillamente al Norlevo (e ai contraccettivi a base unicamente di progestinici). Infine, gli effetti del levonorgestrel sono identici nelle donne adulte e nelle adolescenti.
Queste caratteristiche fanno del levonorgestrel non solo un farmaco da vendere senza ricetta, ma anche un farmaco da banco (non è chiaro come sarà considerato in Spagna; in paesi come l’Olanda è venduto anche al di fuori delle farmacie). Può darsi che il levonorgestrel sia «un po’ più potente dell’aspirina» – qualsiasi cosa significhi questa frase; ma certamente è più sicuro. Checché ne dica il Foglio.

(1 - continua)

martedì 12 maggio 2009

Legge 40: una soddisfazione amara

Astigmatismo

Ecco le motivazioni della sentenza che ha sancito la parziale incostituzionalità della controversa normativa sulla fecondazione assistita.

Lo scorso 9 maggio è stata depositata la sentenza che dichiara in parte incostituzionale l’articolo 14 della legge 40. L’obbligo di produrre al massimo 3 embrioni e di impiantarli contemporaneamente viola l’articolo 3 della Costituzione nel duplice profilo del principio di ragionevolezza e di quello diuguaglianza, in quanto il legislatore riserva il medesimo trattamento a situazioni dissimili. Viola inoltre l’articolo 32 per il pregiudizio alla salute della donna “ed eventualmente [...] del feto ad esso connesso”. Questa decisione riafferma principi fondamentali, conquistati nel corso degli anni. Non può non tornare alla memoria, infatti, la sentenza n. 27 del 1975, che ha preceduto la legge sulla interruzione volontaria di gravidanza (194/1978): “Non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi già persona, come la madre, e la salvaguardia dell’embrione che persona deve ancora diventare”. Lo stesso bilanciamento di diritti viene affermato dalla legge 194: autorizzando una donna ad interrompere la gravidanza, la 194 sancisce che il diritto di non portare avanti la gravidanza è più forte del diritto dell’embrione a vivere e a nascere.

RISTABILIRE IL GIUSTO SENSO DI MARCIA - La Legge 40 ha tracciato una strada contromano: a cominciare dall’affermazione di principio dell’articolo 1, secondo cui devono essere assicurati i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito. Da questa affermazione di principio ha fatto derivare la maggior parte dei divieti contenuti negli articoli seguenti, incurante delle gravi violazioni conseguenti. Già tre procedimenti (del Tribunale di Firenze e del Tar Lazio) avevano anticipato la direzione di questa sentenza. La Corte ha riaffermato anche un principio di buon senso: non si può stabilire in modo tanto rigido il numero di embrioni da impiantare, perché questo dipende dalle condizioni di ogni singola donna. Proprio come sarebbe insensato stabilire come curare un mal di pancia in modo assoluto e aprioristico. Dipende dal mal di pancia, dalle ragioni della sua insorgenza e dalle condizioni generali del sofferente. L’obbligo di impiantare tutti e 3 gli embrioni ha causato un aumento delle gravidanze plurime: in seguito alla legge 40 in Italia esiste il 3,5% di rischio, mentre in Europa tale rischio è prossimo allo zero - proprio perché le modalità di impianto sono decise in base alla valutazione di ogni singolo caso. La conseguenza della bocciatura del comma 2 dell’articolo 14 è la “deroga al principio generale di divieto di crioconservazione”. Gli embrioni prodotti, ma non impiantati per ragioni mediche, potranno essere crioconservati e utilizzati per un successivo tentativo di impianto. La possibilità di crioconservare sottrae la donna alla necessità di sottoporsi inutilmente a più cicli di stimolazione ormonale e al prelievo chirurgico degli ovociti. Insomma i giudici costituzionali affermano che “in materia di pratica terapeutica la regola di fondo deve essere la autonomia e la responsabilità del medico, che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali”.

LES JEUX SOINT FAIT - Inoltre, in linea con la sentenza del 1975, stabiliscono che la tutela “dell’embrione non è comunque assoluta, ma limitata dalla necessità di individuare un giusto bilanciamento con la tutela della esigenza di procreazione”. I fautori della legge 40 si rassegnino: contro questa sentenza non si può nulla. Il parlamento non può legiferare in senso diverso. Le linee guida non hanno la forza, essendo amministrative, di contrastare la legge nella sua nuova veste. La soddisfazione per la decisione della Consulta ha un sapore bizzarro: assomiglia alla soddisfazione che avremmo se qualcuno ci avesse investito sulle strisce pedonali 5 anni fa causandoci molti danni e oggi ci chiedesse scusa per averci rovinato l’acconciatura e gli abiti. Pur concedendo che sia meglio di niente, le conseguenze più gravi di una legge insensata e coercitiva sono ancora in piedi. E condannano i cittadini italiani a essere discriminati in alcuni diritti fondamentali, come quello alla salute e all’equità di trattamenti, e a frustrare il legittimo desiderio di diventare genitori.

Su Giornalettismo, 11 maggio 2009.

lunedì 11 maggio 2009

Liberi all’alba e al tramonto

Esiste una contraddizione nell’opporsi al disegno di legge attualmente all’esame del Parlamento sulle direttive di fine vita e nel lodare invece contemporaneamente la sentenza con cui la Consulta ha dichiarato in parte incostituzionale la legge 40 sulla procreazione assistita? È quanto sostiene Assuntina Morresi in un articolo apparso oggi su AvvenireMa il medico decisivo all’alba può diventare irrilevante al tramonto?», 10 maggio 2009, p. 2). Ecco la sua argomentazione:

C’è un punto però in cui siamo d’accordo con la Consulta, come ha notato ieri il senatore Quagliariello, ed è che «la regola di fondo deve essere l’autonomia e la responsabilità del medico» per le sue scelte professionali. Ma allora, cosa ne facciamo di tutte le proteste sulla legge Calabrò sul fine vita? Qualcuno dovrà pur spiegare perché il medico debba avere l’ultima parola per decidere in scienza e coscienza qual è il numero di embrioni «strettamente necessario» da creare in provetta, e invece dovrebbe attenersi obbligatoriamente alla volontà del paziente per le dichiarazioni anticipate di trattamento: curiosamente, gran parte di chi condivide la sentenza della Consulta, e quindi la centralità del medico nelle decisioni sulla fecondazione in vitro, sostiene invece che questa non sia più valida nel fine vita. D’altra parte è anche evidente che nessun medico accetterebbe che fosse la coppia infertile a decidere il numero di embrioni da creare in laboratorio e trasferire in utero: dare il proprio consenso a cure e terapie non può significare imporre al medico di effettuare trattamenti sanitari inappropriati o addirittura dannosi.
Ma questa semplice evidenza non sembra valere sempre. Perché gli stessi che per la procreazione assistita si affidano fiduciosamente al medico – per procedure estremamente invasive – potrebbero farsi improvvisamente diffidenti se si parla del fine vita, e il parere dell’esperto diventa secondario?
A quest’ultima domanda la Morresi cerca di dare una risposta nel seguito dell’articolo, chiamando in causa un po’ confusamente il «desiderio che diventa esigenza, e quindi diritto esigibile». Ma la risposta corretta è un’altra; e la contraddizione che la Morresi pretende di evidenziare semplicemente non esiste.

Quando si chiede che il medico si attenga «obbligatoriamente alla volontà del paziente per le dichiarazioni anticipate di trattamento» non gli si sta affatto imponendo «di effettuare trattamenti sanitari» di sorta. Quello che gli si chiede, eventualmente, è di non effettuare trattamenti sanitari. Io non posso costringere il medico con il mio testamento biologico a effettuarmi mentre sto in coma un salasso, o la cura Di Bella, o a somministrarmi pilloline omeopatiche (e neppure un antibiotico, se non è convinto che sia necessario nel mio caso). Ma neppure lui, simmetricamente, può costringermi a una rianimazione col defibrillatore, o a tenermi attaccato a un tubo per vent’anni, neppure se lo ritiene necessario per la mia guarigione. Quello di cui si chiede il rispetto, insomma, è un diritto negativo: il diritto a essere lasciati in pace, a non subire interferenze non volute. Non è un diritto positivo, che è invece il diritto a esigere qualcosa da un altro (fatti salvi, ovviamente, gli obblighi professionali e contrattuali che quello ha assunto).
È importante notare che, in generale, questo non significa affatto far diventare secondario «il parere dell’esperto». Quando si chiede a un medico di astenersi dal praticarci un qualche trattamento sanitario non è perché si vogliono mettere in dubbio le sue competenze tecniche (anche se naturalmente può succedere anche questo). Il sapere medico riguarda tipicamente i mezzi: dato il fine, il medico decide degli strumenti più adeguati per raggiungerlo. Ma decidere quale sia quel fine – vivere con una gamba di meno o morire in pace con tutt’e due; sopravvivere in stato vegetativo per diciassette anni o spegnersi senza soffrire in due giorni – non spetta al medico; spetta all’unica persona veramente competente su che cosa sia bene per me: spetta a me stesso.
È diversa la situazione, dopo la sentenza della Corte Costituzionale, per quanto riguarda la procreazione assistita? Non mi pare proprio. Se il medico decide che la cosa migliore per una donna è di ricevere l’impianto simultaneo di quattro (o tre, o cinque, o due) ovociti fecondati, la donna – che magari per ragioni religiose non vuole mettere a repentaglio più embrioni dello stretto necessario – è per questo obbligata ad accettare l’impianto? No, affatto. Se la donna chiede al medico di impiantarle simultaneamente cinque (o due, o quattro, o tre) embrioni, il medico è tenuto ad ubbidirle? No, se ritiene per fondati motivi medici che ne basti uno.
In realtà l’incoerenza è tutta degli integralisti. Se non si accetta che l’impianto degli embrioni sia coercibile su una donna cosciente, perché allora si pretende che sia coercibile una qualsiasi terapia su una donna in stato vegetativo? Il disegno di legge Calabrò, impedendo che le dichiarazioni anticipate di trattamento siano obbligatorie per il medico, porta esattamente a questo. A volte si risponde, più o meno esplicitamente, che costringere un paziente cosciente implica un atto di violenza fisica, mentre questo non accadrebbe con un paziente che cosciente non è. Come dire che lo stupro su una donna in coma è meno grave dello stupro su una donna vigile... O si ricorre a qualche sofisma sull’attualità della volontà del paziente: come dire che il mancato consenso a una data operazione diventa carta straccia se il paziente che l’aveva espresso due giorni prima finisce per un’altra ragione in anestesia...

Sotto un Arcobaleno le famiglie “diverse” che l’Italia non vede

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Ieri era la festa della mamma; meno di due mesi fa quella del papà. L’Associazione Famiglie Arcobaleno ha festeggiato, in alcune città italiane, la festa delle famiglie.
L’uso del plurale non è un dettaglio o un vezzo, ma è profondamente significativo: non c’è una Famiglia, giusta e invariabile nel tempo e nello spazio, cui conformarsi per poter essere considerati a tutti gli effetti un nucleo familiare. Non c’è un modello imposto dall’alto o deciso da qualcuno. Basterebbe avere una conoscenza, anche superficiale, della realtà che ci circonda per esserne consapevoli. Molte delle definizioni più comuni di famiglia rischiano di essere anguste: si pensi alla cosiddetta “famiglia tradizionale” intesa come costituita da madre, padre e figli, uniti da un legame genetico. Forse non dovrebbe essere considerata come una famiglia quella formata da un solo genitore? O quella in cui uno o entrambi i genitori non hanno legami genetici con i figli? E allora, quale potrebbe essere la condizione necessaria per rilevare la presenza di una famiglia? Il legame affettivo, la responsabilità, la condivisione. Nulla che si possa assicurare rispettando un modello formale e strutturale.
Accogliendo questa premessa l’orientamento sessuale dei componenti dovrebbe essere assolutamente irrilevante. Cosa c’entra, infatti, con la capacità o il desiderio di costruire una famiglia?
Famiglie Arcobaleno muove proprio da questa convinzione, e si propone di far conoscere una realtà familiare che, in Italia, si distingue dalle altre soltanto per un aspetto: la discriminazione.
Giuridica, prima di tutto. E poi culturale. Giuridica perché non ci sono norme, per esempio, a protezione di una famiglia omosessuale (non esiste il matrimonio; non c’è la possibilità di adottare; non si può accedere alle tecniche di procreazione assistita). Culturale: c’è una idea radicata di inconciliabilità tra omosessualità e genitorialità. Basta domandare al primo che capita per rendersene conto.
Ieri molte famiglie arcobaleno hanno festeggiato e, tra un panino e un pallone, sembravano proprio “come tutte le altre famiglie”.

(DNews, 11 maggio 2009)

domenica 10 maggio 2009

sabato 9 maggio 2009

La sentenza della Consulta sulla legge 40

Dalla sentenza n. 151/2009 della Corte Costituzionale:

6. – Le sollevate questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, commi 2 e 3, sono fondate, nei limiti che seguono.
6.1. – Va premesso che la legge in esame rivela – come sottolineato da alcuni dei rimettenti – un limite alla tutela apprestata all’embrione, poiché anche nel caso di limitazione a soli tre del numero di embrioni prodotti, si ammette comunque che alcuni di essi possano non dar luogo a gravidanza, postulando la individuazione del numero massimo di embrioni impiantabili appunto un tale rischio, e consentendo un affievolimento della tutela dell’embrione al fine di assicurare concrete aspettative di gravidanza, in conformità alla finalità proclamata dalla legge. E dunque, la tutela dell’embrione non è comunque assoluta, ma limitata dalla necessità di individuare un giusto bilanciamento con la tutela delle esigenze di procreazione.
Ciò posto, deve rilevarsi che il divieto di cui al comma 2 dell’art. 14 determina, con la esclusione di ogni possibilità di creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto, e comunque superiore a tre, la necessità della moltiplicazione dei cicli di fecondazione (in contrasto anche con il principio, espresso all’art. 4, comma 2, della gradualità e della minore invasività della tecnica di procreazione assistita), poiché non sempre i tre embrioni eventualmente prodotti risultano in grado di dare luogo ad una gravidanza. Le possibilità di successo variano, infatti, in relazione sia alle caratteristiche degli embrioni, sia alle condizioni soggettive delle donne che si sottopongono alla procedura di procreazione medicalmente assistita, sia, infine, all’età delle stesse, il cui progressivo avanzare riduce gradualmente le probabilità di una gravidanza.
Il limite legislativo in esame finisce, quindi, per un verso, per favorire – rendendo necessario il ricorso alla reiterazione di detti cicli di stimolazione ovarica, ove il primo impianto non dia luogo ad alcun esito – l’aumento dei rischi di insorgenza di patologie che a tale iperstimolazione sono collegate; per altro verso, determina, in quelle ipotesi in cui maggiori siano le possibilità di attecchimento, un pregiudizio di diverso tipo alla salute della donna e del feto, in presenza di gravidanze plurime, avuto riguardo al divieto di riduzione embrionaria selettiva di tali gravidanze di cui all’art. 14, comma 4, salvo il ricorso all’aborto. Ciò in quanto la previsione legislativa non riconosce al medico la possibilità di una valutazione, sulla base delle più aggiornate e accreditate conoscenze tecnico-scientifiche, del singolo caso sottoposto al trattamento, con conseguente individuazione, di volta in volta, del limite numerico di embrioni da impiantare, ritenuto idoneo ad assicurare un serio tentativo di procreazione assistita, riducendo al minimo ipotizzabile il rischio per la salute della donna e del feto.
Al riguardo, va segnalato che la giurisprudenza costituzionale ha ripetutamente posto l’accento sui limiti che alla discrezionalità legislativa pongono le acquisizioni scientifiche e sperimentali, che sono in continua evoluzione e sulle quali si fonda l’arte medica: sicché, in materia di pratica terapeutica, la regola di fondo deve essere la autonomia e la responsabilità del medico, che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali (sentenze n. 338 del 2003 e n. 282 del 2002).
La previsione della creazione di un numero di embrioni non superiore a tre, in assenza di ogni considerazione delle condizioni soggettive della donna che di volta in volta si sottopone alla procedura di procreazione medicalmente assistita, si pone, in definitiva, in contrasto con l’art. 3 Cost., riguardato sotto il duplice profilo del principio di ragionevolezza e di quello di uguaglianza, in quanto il legislatore riserva il medesimo trattamento a situazioni dissimili; nonché con l’art. 32 Cost., per il pregiudizio alla salute della donna – ed eventualmente, come si è visto, del feto – ad esso connesso.
Deve, pertanto, dichiararsi la illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 2, della legge n. 40 del 2004 limitatamente alle parole «ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre».
L’intervento demolitorio mantiene, così, salvo il principio secondo cui le tecniche di produzione non devono creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario, secondo accertamenti demandati, nella fattispecie concreta, al medico, ma esclude la previsione dell’obbligo di un unico e contemporaneo impianto e del numero massimo di embrioni da impiantare, con ciò eliminando sia la irragionevolezza di un trattamento identico di fattispecie diverse, sia la necessità, per la donna, di sottoporsi eventualmente ad altra stimolazione ovarica, con possibile lesione del suo diritto alla salute.
Le raggiunte conclusioni, che introducono una deroga al principio generale di divieto di crioconservazione di cui al comma 1 dell’art. 14, quale logica conseguenza della caducazione, nei limiti indicati, del comma 2 – che determina la necessità del ricorso alla tecnica di congelamento con riguardo agli embrioni prodotti ma non impiantati per scelta medica – comportano, altresì, la declaratoria di incostituzionalità del comma 3, nella parte in cui non prevede che il trasferimento degli embrioni, da realizzare non appena possibile, come previsto in tale norma, debba essere effettuato senza pregiudizio della salute della donna.
7. – La questione di costituzionalità dell’art. 14, comma 4, della stessa legge, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 32 Cost., dal Tribunale ordinario di Firenze con l’ordinanza r.o. n. 382 del 2008, è manifestamente inammissibile, per difetto di motivazione sulla rilevanza nel giudizio a quo.
8. – Del pari manifestamente inammissibile, sempre per difetto di rilevanza, è la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 3, della medesima legge, nella parte in cui non consente, dopo la fecondazione dell’ovulo, la revoca della volontà all’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, di cui entrambe le ordinanze del Tribunale ordinario di Firenze chiedono la declaratoria di illegittimità costituzionale al solo fine di dare coerenza al sistema.

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi;
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 2, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), limitatamente alle parole «ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre»;
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 3, della legge n. 40 del 2004 nella parte in cui non prevede che il trasferimento degli embrioni, da realizzare non appena possibile, come stabilisce tale norma, debba essere effettuato senza pregiudizio della salute della donna;
dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, della legge n. 40 del 2004, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 32, primo e secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Firenze, con ordinanza r.o. n. 323 del 2008;
dichiara manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 6, comma 3, della legge n. 40 del 2004, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 32 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Firenze con ordinanza r.o. n. 323 del 2008 e, in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 32 della Costituzione, dallo stesso Tribunale con ordinanza r.o. n. 382 del 2008;
dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 14, comma 4, della legge n. 40 del 2004, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 32 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Firenze, con ordinanza r.o. n. 382 del 2008.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1° aprile 2009.

Divagazioni

"Il senatore Ceccanti individua nella sentenza della Consulta sulla legge 40 un monito nei confronti del legislatore sul testamento biologico, affinché la possibilità del medico di decidere in scienza e coscienza, secondo la volontà del paziente ma tenendo anche conto delle evoluzioni tecnico-scientifiche, non sia imbrigliata da una normativa eccessivamente rigida. Siamo d'accordo con lui". Lo dichiara Gaetano Quagliariello, vicepresidente vicario dei senatori del PdL. "Infatti - prosegue - è esattamente questo il principio ispiratore della legge Calabrò approvata in Senato: il medico deve tener conto delle volontà precedentemente espresse dal paziente ma non ne può essere un mero esecutore notarile, perché nel frattempo la scienza potrebbe aver compiuto progressi favorevoli al malato, che quest'ultimo anni prima non poteva immaginare. Già il senatore Marino, nominando come fiduciario nel suo testamento biologico un amico medico con piena facoltà di decidere per lui le terapie migliori nel momento della necessità, ci aveva confortato sulla bontà di questa legge. Le dichiarazioni di oggi del senatore Ceccanti - conclude Quagliariello - rafforzano i nostri convincimenti".
Quagliarello ci è o ci fa? Sembra davvero difficile struppiare in questo modo il senso di quanto affermato dalla Consulta e da Ceccanti. Ma Quagliarello lo fa (o prova a farlo per chi ci casca).
Chi sarà tanto sciocco da redigere un testamento biologico che non ha carattere vincolante? Per quale ragione dovrei perderci tempo?

giovedì 7 maggio 2009

Le foto dei neonati e il grande mistero de “l’estremo centro”

Estremo centro
Nell’ottobre 2007 la Regione Toscana lancia una campagna contro le discriminazioni sessuali. Il testimonial è un neonato dormiente, o meglio la sua manina in primo piano e parte del suo volto in secondo piano. Al polso ha la fascetta destinata al nome su cui è scritto “homosexual”. Il messaggio è che le persone non dovrebbero essere discriminate in base al loro orientamento sessuale.
Nonostante il lodevole intento (ma forse non lodevole per tutti) la campagna ha scatenato critiche feroci, in nome del rispetto del neonato in questione che sarebbe stato strumentalizzato. E strumentalizzare i bambini non è bene. Qualcuno è arrivato addirittura a intimare alla Regione Toscana di ritirare la campagna.
Già al tempo era difficile non accorgersi che il punto dolente e il vero oggetto delle furibonde polemiche non era la “strumentalizzazione” del bambino, ma la ragione della campagna. Non il ricorso ad un neonato (varie pubblicità con bambini protagonisti erano state peraltro digerite senza reagire), ma il suo orientamento sessuale e, soprattutto, l’affermazione che questo non è rilevante ai fini dei diritti e del rispetto. Già al tempo, insomma, era evidente che i benpensanti non gradivano una battaglia contro le discriminazioni, affezionati come sono al tradizionalismo omofobo e beghino.
Oggi è forse doveroso riandare con la memoria a quelle scomposte reazioni quando, passeggiando per le strade, ci si imbatte in bambini utilizzati per promuovere una corrente politica: l’estremo centro. Perché nessuno di quegli zelanti protettori di minori ha condannato il loro uso? L’intento, poi, sembrerebbe anche meno rilevante e molto più egoistico: ottenere quanti più voti possibile, per essere eletti alle prossime consultazioni, mentre il neonato “homosexual” era stato utilizzato per una battaglia di giustizia e di uguaglianza. Un mero interesse personale contro una battaglia di principio.
Il silenzio può forse essere spiegato solo dalla memoria corta che affligge l’uomo moderno? Da sbadataggine? Oppure da imprevedibili meccanismi umorali? Magari sono distratti dal mistero: che diavolo sarà mai un “estremo centro”?

(DNews, 7 maggio 2009)

mercoledì 6 maggio 2009

Nelle edicole

È da oggi in edicola il n. 31 della rivista di divulgazione scientifica darwin, che contiene fra l’altro un mio articolo, in cui faccio la storia della legislazione americana sulle staminali embrionali fino all’ordine esecutivo firmato da Obama lo scorso marzo (Giuseppe Regalzi, «La lunga battaglia delle staminali embrionali», pp. 90-95). Ecco le prime righe:

Il 9 marzo di quest’anno il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha abolito le restrizioni imposte dal suo predecessore alla ricerca sulle cellule staminali embrionali. Nella East Room della Casa Bianca, di fronte a un gruppo di pazienti – alcuni dei quali su sedie a rotelle – e di personalità del mondo politico e scientifico, Obama ha pronunciato un breve discorso; poi, fra gli applausi, ha firmato l’ordine esecutivo federale n. 13.505, «Rimozione degli ostacoli alla ricerca scientifica responsabile sulle cellule staminali umane», adempiendo così a una delle sue più significative promesse pre-elettorali.
Ma quanto è profonda la liberalizzazione avviata? Esistono ancora degli ostacoli alla ricerca? Come mai Obama si è appellato nel suo discorso al Congresso, affinché agisca «per fornire ulteriore sostegno a questa ricerca»? Per scoprirlo, dovremo ripercorrere gli eventi del passato; la nostra storia, in effetti, inizia negli anni ’90, prima di George W. Bush (eletto nel 2000), e prima che le cellule staminali embrionali umane fossero isolate (lo saranno nel 1998).

Il deputato Jay W. Dickey, Jr., avrebbe avuto normalmente pochi titoli per ambire a una fama duratura. Viene ancor oggi citata l’affermazione – fatta durante la campagna elettorale del 1992 – con cui escludeva l’aborto anche in casi estremi: «Penso che l’incesto debba essere trattato come una questione di famiglia all’interno della famiglia». Si ricorda anche la risposta che l’anno dopo, appena eletto, diede al mensile satirico Spy, che gli aveva chiesto in una falsa intervista cosa pensava si dovesse fare per fermare la pulizia etnica in Freedonia: Dickey accusò l’allora Presidente Bill Clinton di inazione, ignorando che Freedonia esisteva solo nella geografia immaginaria del film La guerra lampo dei fratelli Marx. E questo sarebbe tutto, se nel 1996 Dickey non avesse legato il suo nome a quello che da allora è noto come «emendamento Dickey» (o «Dickey-Wicker», dal nome di un altro deputato). […]