Il decreto Milleproroghe scadrà il 30 giugno (prorogato al 29 febbraio 2009) e con esso il divieto di istituire banche private per il cordone ombelicale. Quale sarebbe la soluzione migliore alla polemica sulla conservazione del sangue cordonale?
La soluzione migliore in questo momento? Sarebbe già tanto se ci fosse una soluzione. Quella americana è la via da seguire. Non per esterofilia ma per pragmatismo. Sono di ritorno da Los Angeles, da un convegno dove ero l’unica italiana presente su oltre 500 partecipanti da varie parti del mondo, in cui si è parlato di cordone ombelicale e di trapianti nelle malattie onco-ematologiche. I dati emersi parlano da soli. Fino al 2006 negli Stati Uniti i trapianti di staminali cordonali erano 8mila; nel 2007 ce ne sono stati 10mila con una percentuale di successo del 63% per uso intra-familiare e del 28% per uso eterologo. A questo bisogna aggiungere la capillarità dell’organizzazione della rete di banche di conservazione che, se nel 2006 vedevano 300mila campioni privati di sangue cordonale conservati in banche di staminali, oggi sono circa 700mila passando per i 450mila del 2006, e i 600mila del 2007. Un dato in crescita che si attesta a rappresentare ormai il 4% delle nascite calcolate in un anno negli USA. Ma queste cifre di un successo medico scientifico sono il frutto di scelte politico economiche intelligenti, improntate al liberalismo e al progresso, che hanno visto nascere un rapporto virtuoso e sinergico tra banking pubblico e privato, così come stabilito dalle linee guida della Food and Drug Administration. Per quanto riguarda le scelte italiane, si devono fare alcune precisazioni. La prima e più importante scelta d’indirizzo deve essere quella di creare un sistema di qualità del servizio. Come farlo? Attraverso l’abolizione dei divieti ad operare per le banche private e la creazione contemporaneamente di un’Authority indipendente di settore che garantisca il rispetto di protocolli internazionali e qualitativamente elevati. La seconda è abolire il divieto di conservazione autologa e lasciare la facoltà a chi conserva di optare per la donazione qualora ci sia un paziente che necessita del trapianto, inserendo i dati del campione in un registro internazionale. Terza: favorire una campagna di informazione medica e scientifica, ma anche sociale, sulla conservazione così come sulla donazione. Quarta: aprire il mercato delle biotecnologie a un settore che potrebbe produrre risultati economicamente importanti, favorendo investimenti economici privati a favore della qualità e della capillarità del servizio. Quinta: tutelare con sistemi di intervento pubblico attraverso anche associazioni di settore, il bancaggio autologo per quelle fasce economicamente più deboli. Infine sesta: creare la rete di banche pubbliche che potrebbero gestire prioritariamente il servizio di donazione. Mi sembra una scelta pragmatica ed efficace.
A cosa serve conservare il cordone ombelicale?
A star bene. È una forma di assicurazione sulla vita che utilizza come bene la ricerca scientifica. Sono circa 70 le malattie curabili oggi con le staminali cordonali. Sono soprattutto le malattie del sangue come la leucemia linfoide acuta, la leucemia mieloide, le immunodeficienze e le talassemie. Uno dei vantaggi più grandi del sangue cordonale è la ridotta capacità di dare origine ad alloreazioni. I protocolli sulle modalità di trapianto delle cellule staminali per endovena prevedono una dose minima equivalente a 30 milioni di cellule mononucleate/Kg corporeo e una istocompatibilità di almeno 4/6 loci. I nuovi studi sui trapianti hanno dimostrato che un trapianto per endovena con almeno due unità di sangue cordonale garantisce un miglior attecchimento perché la cellularità (ovvero la concentrazione di cellule trapiantate) è un fattore determinante nella riuscita del trapianto così come l’immediata reperibilità del campione e la sua sterilità (ovvero la non contaminazione delle cellule trapiantate da parte di agenti infettivi). Studi recenti nell’impiego delle staminali per iniezione intramidollare diretta dimostrano un recupero più rapido del numero di cellule mononucleate e delle piastrine con un numero ridotto di cellule trapiantate in situ. La conservazione del sangue cordonale offre inoltre la possibilità di sviluppare indagini diagnostiche retroattive su patologie a carattere ereditario e/o tumorale. Altri protocolli in via di definizione e validazione riguardano l’espansione delle cellule staminali in vitro, il trapianto dopo ridotta chemioterapia, l’infusione di cellule selezionate
(Continua su LibMagazine, 30 giugno 2008)
Irene Martini è direttore scientifico di SmartBank.
lunedì 30 giugno 2008
I nodi della disciplina italiana. Intervista a Irene Martini
Postato da Chiara Lalli alle 09:56 1 commenti
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domenica 29 giugno 2008
Ciro Cascone non capisce
Dal Giornale di ieri (Enza Cusmai, «“Le impronte? Le prendiamo a 9 zingarelli su 10”», 28 giugno 2008, p. 5):
Impronte digitali ai piccoli rom? «Non capisco tutto questo chiasso intorno all’argomento. Per noi è doveroso e normale. Noi lo facciamo regolarmente da anni». Ciro Cascone, pubblico ministero del Tribunale dei minori di Milano, smorza le polemiche sulla proposta lanciata dal ministro dell’Interno Roberto Maroni, esponendo la prassi milanese.L’intervista, a questo punto, potrebbe prendere una piega interessante: perché rilevare le impronte di un minore può avere un senso se si tratta, appunto, di identificare l’autore di un reato, come Cascone ci spiega; ma il senso si perde – o diventa drammaticamente un altro – se le impronte vengono prese a chi reati non ne ha commessi, e per giunta in base all’unico criterio dell’appartenenza etnica. Una violazione dell’articolo 3 della Costituzione della Repubblica Italiana talmente monumentale, da risultare quasi grottesca.
Davvero prendete le impronte agli zingarelli?
«Certo, lo prevede il codice di procedura penale. È una questione di identificazione di tutte i minori che commettono reati o che vengono denunciati. Questa procedura vale per i rom, per gli stranieri in genere e anche per gli italiani che non hanno documenti».
Ma Ciro Cascone sembra ignorare totalmente la sostanza della proposta governativa; eppure da giorni l’ometto del Viminale va sbraitando che quello che vuole è un censimento generalizzato. Né Enza Cusmai, che intervista il pubblico ministero, glielo ricorda, perdendo una buona occasione per informare i propri lettori. Del resto, lavorando per il Giornale, non di giornalista si tratta, ma tutt’al più di Giornalista...
sabato 28 giugno 2008
L’amore omosessuale è contronatura (e se lo dice il poeta...)
Ho sempre stimato la sua arte: le sue poesie riempiono un vuoto necessario. Vitale, direi.
Il poeta Davide Rondoni ha improvvisato sotto le due torri una lettura pubblica di Dante per ricordare che l’amore omosessuale è contronatura e ribadire che tra le unioni tradizionali e quelle dello stesso sesso non deve esserci uguaglianza di diritto. Rondoni ha proposto allo sparuto pubblico (tra cui il parlamentare Udc Gian Luca Galletti) il quindicesimo canto dell’«Inferno», con l’incontro tra Dante e il suo maestro Brunetto Latini, condannato per sodomia. «Dante sa dividere il valore morale di una persona dalle sue tendenze sessuali, il Gay Pride, nella sua tendenza estremista, invece le fa coincidere» ha spiegato Rondoni dal suo leggio improvvisato, chiarendo «che la tendenza sessuale è solo una pratica che va contronatura, ma non per questo Brunetto Latini non ha valore come persona».
Grido di allarme: donne, basta dimagrire!
Un accorato invito (sic) dalle pagine di Elle e ripreso da Il Corriere della Sera.
E tu pensi che è un invito alle donne a non ostinarsi a denutrirsi; una di quelle campagne di sensibilizzazione su e contro i disordini alimentari; a non sacrificare la propria salute per un apparire (scheletrico) imposto dalla moda; un grido di allarme, insomma, contro i pericoli della anoressia e il rifiuto di una cultura del compiacimento (altrui).
Ma vai a leggere e non è nulla di tutto questo:
La campagna anti-dimagrimento di Elle prende le mosse da un sondaggio commissionato all’istituto Ifop, dal quale risulta che un uomo su due - si parla del 50% degli intervistati - afferma di preferire le donne che propongono «rotondità», senza scendere in ulteriori dettagli.Ecco: meglio non scendere in ulteriori dettagli. Ci è bastato questo.
venerdì 27 giugno 2008
Quinto Trofeo Luca Volontè
Dispiace essere tanto incostanti. Ma valeva la pena di aspettare.
La magnifica attribuzione va ad Alfredo Mantovano sulla (eventuale) norma sulle impronte:
non è finalizzata a discriminare, ma a identificare se si perde un bambino chi sono i suoi genitori, ad avere alcuni dati di riferimento chiari.Pur non sentendoci in dovere di motivare il Trofeo è difficile non rilevare il luogo comune in agguato: i rom non si curano dei loro figli, non si accorgono di smarrirli e per rimediare a tale distrazione serve prendere le impronte dei fanciulli.
Come non pensare a: Signora lei è una donna piuttosto distratta...
Postato da Chiara Lalli alle 16:46 1 commenti
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Impronte digitali per i bambini (rom)
Il parere di Simonetta Matone su questa ennesima oscenità ha del genio:
«GIÀ CI SONO» - Favorevole invece il capo di gabinetto del ministro per le Pari opportunità, Simonetta Matone, ex giudice minorile: «Troppo spesso il pregiudizio ideologico frena la tutela e la difesa dei bambini. Prendere le impronte digitali è una prassi consolidata da sempre negli uffici giudiziari minorili. In tribunale ci sono pacchi alti così di impronte digitali di piccoli rom».Per fortuna Vincenzo Spadafora ha provocatoriamente commentato:
Verrebbe da proporre al ministro, per rispettare il diritto all’uguaglianza di tutti i bambini, di schedare allo stesso modo tutti i bambini italiani.
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Se dire «figlio» è dire «danno»
La vicenda è comparsa brevemente sui giornali del 24 giugno. Così la sintesi di Repubblica («Aborto non riuscì e nacque bimbo. Gela, condannato l’ospedale», p. 19):
La sezione civile della corte d’appello di Caltanissetta ha condannato l’azienda ospedaliera «Vittorio Emanuele» di Gela a risarcire i danni, calcolati in 80 mila euro, a una donna che ha dato alla luce il suo terzo figlio, malgrado le fosse stato garantito che l’interruzione volontaria della gravidanza era avvenuta con successo. La vicenda risale al 1999 quando una donna di 40 anni, madre di due figli e in precarie condizioni di salute, si accorse di essere incinta. All’ospedale di Gela i medici della divisione di ostetricia erano tutti obiettori di coscienza. L’interruzione di gravidanza fu eseguita da un sanitario convenzionato esterno. Sulla cartella clinica fu riportata la riuscita dell’intervento. Nessun controllo sarebbe stato eseguito o prescritto alla paziente, che, alcune settimane dopo, accusando nuovamente i sintomi della gravidanza, si rivolse a un ginecologo privato. Eseguiti gli accertamenti, il medico si complimentò con la donna, annunciandole che era incinta di 5 mesi. Oggi quel bambino ha 9 anni.Il Riformista, a differenza di Repubblica, sceglie di andare oltre il mero racconto di cronaca, e lo fa pubblicando un commento anonimo («Se il figlio è un danno da risarcire», p. 2), in cui fra l’altro si legge:
Sia chiaro, giuridicamente parlando è tutto legittimo. E il nostro sussulto etico non ha nulla a che fare con la scelta della donna di abortire o meno. Ma, laicamente, il fatto che la nascita di un bambino equivalga a un danno da quantificare in euro, ci sembra un’equazione assai discutibile. Senza voler fare i soloni sul valore della vita ci limitiamo a notare un fatto. Di casi di mala sanità su cui chiedere risarcimenti se ne vedono tutti i giorni. Ma, alla fine, non di questo si sta parlando, sia pure nell’ambito di un intervento non riuscito. È, semplicemente, nato un bambino: non ci sembra una sciagura su cui chiedere un risarcimento da 80 mila euro.L’anonimo lascia nel non detto la questione di come sanzionare la colpa del medico in un modo diverso da un risarcimento; possiamo solo sperare che non ritenga che gli errori commessi nell’interruzione di gravidanza debbano andare esenti da pene. Ma a parte questo, un’obiezione ovvia viene alla mente, e la ritroviamo persino su Avvenire di ieri («Nasci e ti chiedono i danni», 26 giugno, inserto È Vita p. IV), ovviamente dal punto di vista ben noto del giornale dei vescovi italiani: se non ci fosse stata la possibilità di un danno non ci sarebbe stata nemmeno la possibilità di abortire, visto che la legge 194 stabilisce che la condizione per interrompere la gravidanza sia la presenza di «un serio pericolo per la salute fisica o psichica» della donna; e dall’entità del risarcimento sembra proprio che questo pericolo si sia materializzato in un danno attuale, che non si vede proprio perché non dovrebbe essere quantificabile in euro.
Possiamo immaginare quale sarebbe la probabile contro-obiezione dell’anonimo: certo, un danno c’è stato; ma esso è interamente compensato e superato dal beneficio incommensurabile di avere un figlio. Al netto c’è stato un guadagno. Come rispondere? Guardiamoci intorno: quante donne possiamo contare che hanno sfruttato a pieno il proprio potenziale riproduttivo? Una donna in buona salute può partorire anche una volta all’anno; una ventiduenne potrebbe, in teoria, arrivare anche a venti parti. Ma tutte le donne – con infime eccezioni, persino nel terzo mondo – si fermano molto prima. Possono essere atee, buddiste, musulmane, cattoliche: praticamente nessuna arriva fino in fondo. Naturalmente non tutte abortiscono; possono ricorrere alla contraccezione, alla sterilizzazione, all’astensione dai rapporti sessuali o al metodo Billings; ma questo è irrilevante. Ciò che conta è che tutte queste donne ritengono a un certo punto – un punto variabile per ciascuna – che un figlio in più porti il costo dell’essere madri a un totale che eccede ogni possibile beneficio. Il costo può essere economico o fisico (parti ripetuti finiscono per sfibrare anche il fisico più robusto), o anche psicologico; ma il limite viene quasi invariabilmente raggiunto. E se per errore lo si supera è molto difficile negare che la donna abbia subito un danno – un danno netto. Si potrebbe obiettare che il danno che si vuole evitare ricade in realtà il più delle volte sugli altri figli; e questo in parte è sicuramente vero. Ma quante donne, fra quelle che non si possono permettere economicamente un altro figlio, avvierebbero consapevolmente una gravidanza, con l’intento di cedere il bambino a una coppia senza figli, evitando così i costi per la propria famiglia ma conservando in qualche modo quegli ipotetici incommensurabili benefici – per esempio mantenendo i contatti con il bambino? Pochissime, forse quasi nessuna. Alla fine c’è sempre un punto in cui i costi superano i benefici, e la considerazione di un danno personale – qui, quello di consegnare una propria creatura ad altri – è sempre quella decisiva.
Ora, è possibile che tutte queste donne si sbaglino? È possibile che in realtà il commentatore del Riformista comprenda meglio di loro il loro interesse, e che avere un figlio non sia mai un danno? Che se solo sapessero, tutte le donne converrebbero con questa verità, elargita con modestia da qualcuno che premette di non voler fare il «Solone»? Mi permetto di dubitarne – di dubitarne fortemente.
L’amore per i figli è un sentimento umano, forse più il forte; ma come tutte le cose umane è finito, non infinito, e in quanto tale può essere superato da altre considerazioni. Ammettere questa verità non è sintomo di cinismo ma di maturità, e non inficia affatto la verità di quel sentimento. Può risultare (apparentemente) paradossale, ma sono certo che la signora di Gela non ama adesso meno suo figlio per il fatto di aver preferito una volta che non nascesse.
giovedì 26 giugno 2008
Istituzione del fondo regionale per la non autosufficienza cercasi
Gaetano Valentino ha la distrofia muscolare, una malattia invalidante e progressiva; ha 54 anni, un lavoro che ama e poco aiuto dalle istituzioni.
Gaetano vuole restare nella sua casa, a Minturno, con i suoi amici e i suoi affetti. Dall’insorgere della malattia è stato sempre assistito dai familiari: ma i genitori e uno dei fratelli sono morti. L’altro, dopo averlo assistito per alcuni mesi, è tornato a Lecco, dalla moglie e al suo lavoro.
Gaetano ha bisogno di personale specializzato che sia in grado di aiutarlo a compiere molti di quei gesti che sono banali per chi non è affetto da una malattia che costringe alla dipendenza: alzarsi, coricarsi.
Esiste una legge regionale (Istituzione del fondo regionale per la non autosufficienza, 20, 23 novembre 2006) le cui finalità sono di tutelare le “persone non autosufficienti e delle relative famiglie”. Ma Gaetano, per ora, è aiutato solo da “volenterosi”, come lui stesso li definisce.
Gaetano ha deciso di rivendicare i propri diritti pubblicamente, non tanto per risolvere il suo caso personale, ma per incoraggiare quanti versano in condizioni simili. Per cercare di rimediare l’ignoranza diffusa riguardo alla disabilità. Non è un atto di accusa, ma un “grido di allarme che vuole coinvolgere le istituzioni locali, regionali e statali”.
I disabili soffrono già di un disagio spesso irrimediabile, cui non dovrebbero aggiungersi, come commenta Gaetano, ulteriori difficoltà causate dalla mancata garanzia di una assistenza. Difficoltà che hanno il sapore della discriminazione e della indifferenza, nei fatti, verso le persone affette da malattie invalidanti.
(Il grido d’allarme di Gaetano malato di distrofia, DNews, 26 giugno 2008)
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mercoledì 25 giugno 2008
Eluana Englaro
Oggi la prima udienza di appello (Palazzo di Giustizia di Milano) dopo la sentenza della Corte di Cassazione del 16 ottobre scorso, che aveva accolto il ricorso del padre di Eluana, Beppino.
martedì 24 giugno 2008
Legge 194. Intervista a Carlo Bastianelli
Carlo Bastianelli, ginecologo, ricercatore in Ostetricia e Ginecologia alla “Sapienza” di Roma.
La legge 194 è applicata presso il Policlinico Umberto I di Roma?
Nel nostro Dipartimento si effettuano cinque interruzioni volontarie di gravidanza tre volte alla settimana. Fino ad un anno fa erano venticinque interruzioni volontarie di gravidanza in media alla settimana. Il calo è dovuto alla riduzione del personale non sostituito dalla Direzione Generale. Visto che mediamente il tempo di attesa è di trenta giorni, le donne che hanno urgenza di effettuare l’intervento vengono dirottate in un altro ospedale.
Qual è la percentuale di obiettori (personale medico e non medico)?
Sono tutti obiettori a parole tranne tre o quattro medici e poco personale.
Perché in tanti scelgono l’obiezione di coscienza (chi sceglie di fare aborto – per il contesto – finisce quasi per fare solo quello, che magari non è la massima aspirazione per un medico)?
Il rischio di essere “ghettizzati” è forte anche se era più evidente anni fa, nei grossi centri è difficile emarginare il personale sanitario non obiettore, ma nei centri di provincia mi risulta vero, ancora c’è chi fa solo quello per contratto, togliendo uno scomodo lavoro ad altri. In certe Regioni il numero di medici non obiettori è bassissimo e bisogna convenzionarne da altre città.
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Etichette: Aborto, Legge 194/1978, LibMagazine, Obiezione di coscienza
Buoni propositi
Non distinguo un supermercato da un altro e non ho idea di quanto costi un litro di latte o un chilo di pane. Tuttavia mi impegnerò, dopo una pubblicità tanto orrida, a non mettere mai piede in una Coop. E forse potrei anche trovare qualche ulteriore ragione più consistente, ma per ora la barriera estetica mi basta.
lunedì 23 giugno 2008
Sicurezza matematica (o della esuberanza)
Lo dico a tutto tondo, con sicurezza matematica, senza paura di essere smentito: Silvio Berlusconi è uomo di grande fede e profondità religiosa. [...] Lui ritiene la vita e l’educazione cristiana come cardine del fare. Un elemento irrinunciabile che però si deve confrontare con il moderno e tutte le sue sfaccettature.(Don Antonio Zuliani su Silvio Berlusconi, Il confessore di Silvio: soffrì, poi rinunciò alla Sacra Rota, Il Corriere della Sera, 23 giugno 2008, di Marco Cremonesi che domanda della galanteria e della presunta aggressività del cavaliere, ma si guarda bene dal fare vere domande. Amen).
[Alla domanda sul suo fare da piacione] È galanteria. Esuberanza. Non c’è nient’altro.
domenica 22 giugno 2008
Ipse dixit/2
Pio XII ha salvato nel mondo più ebrei di chiunque altro nella storia(da Agenzia Fides). Buona domenica.
sabato 21 giugno 2008
Diagnosi non invasiva per la Sindrome di Down
A risk-free blood test for Down’s syndrome in pregnancy, Times, june 21, 2008:
A test that can detect Down’s syndrome from the blood of pregnant women has raised the prospect of routine screening for the condition for every expectant mother who wants it.
Genetic markers that show whether a foetus has the chromosomal disorder can now be identified in the mother’s bloodstream, after research that promises the first reliable noninvasive prenatal test.
The experimental procedure, developed in Hong Kong, has been shown to diagnose 90 per cent of Down’s syndrome cases in a small trial, while also correctly identifying 97 per cent of foetuses that do not have the condition.
If its accuracy can be improved and it is validated in larger patient trials, which scientists believe should take three to five years, it would transform prenatal testing for Down’s.
Sintomi
Della condizione di un Paese e di un quotidiano (non basta chi ne ha fatto un assoluto?). Il quotidiano uno smette di leggerlo; con il Paese come la mettiamo?
Comodità in volo
venerdì 20 giugno 2008
Non perdetelo (lo avete già perso)
Il corso di aggiornamento estivo sulla bioetica. I relatori sembrano presi da un convento di clausura (è tutto un sacro, don, fra e mons.). Non perdete nemmeno i titoli degli interventi della nuova rivista Studia Bioethica (il mio preferito è La gratitudine per la nascita e la cura della vita nella “teologia del corpo” di Giovanni Paolo II, Carolina Carriero. Ho letto solo il titolo perché non ho ancora avuto il fegato di registrarmi).
Peccato che le iscrizioni siano ormai chiuse. Unica consolazione: abbiamo risparmiato 450,00 € (per sacerdoti, seminaristi e religiosi 300,00 €). Come si dimostra di essere religiosi in modo da avere lo sconto?
giovedì 19 giugno 2008
Alto compito educativo...
Non ci pensavo da qualche tempo, poi il pensiero del nostro ha fatto irruzione in questo pomeriggio estivo.
Cercandolo con google news scopro che proprio in questo momento è protagonista di una gloriosa iniziativa.
Ma ciò che supera ogni immaginabile stupore è il commento della signora (mi auguro che sia uno scherzo). Ammirazione addirittura?
ps
mi ero persa la palestra del bullismo.
Non chiamarmi zingaro
“Non chiamarmi zingaro” è un titolo azzeccatissimo. Perché riesce a insinuarsi nei luoghi comuni e a farli saltare, a cominciare da un nome diventato stupidamente sinonimo di ogni malefatta.
Pino Petruzzelli ha rimpiazzato quel nome angusto con una sinfonia di voci: quelle di Marcela, Mauso, Walter, Unica e di tanti altri.
Voci e storie diverse, impossibili da stritolare in una categoria tanto angusta come l’appartenenza etnica (da cui deriverebbero caratteristiche prefissate e valide per tutti). Il monolito degli zingari si frantuma in due principali gruppi, rom e sinti; e in migliaia di sottogruppi e famiglie. Oltre 10 milioni di persone in Europa, tutti con un Paese natale ma non una patria, come scrive nel prologo Predragr Matvejević; parte di un popolo ma non di una nazione.
Uno dopo l’altro i pregiudizi vengono smentiti. “Per voi, noi si nasce con il fagotto in mano e con due sole strade percorribili: il furto o il violino. Il fatto che ci possano essere rom onesti e rom stonati a voi non passa nemmeno per l’anticamera del cervello”, commenta sarcastico Bobby, fotografo rom.
Petruzzelli racconta le loro storie, di dolore e esclusione. Di felicità e amicizia. E racconta il rapporto con le proprie origini, portate con orgoglio o taciute, come nel caso di Anna, non per viltà, ma per non “svenderle” e non svilire la propria storia.
Nello sfondo l’olocausto – omaggio di Hitler al cittadino tedesco medio che investiva gli zingari di tutte le proprie disgrazie, con un meccanismo ancora troppo familiare. La giustizia comincia da un nome. “Non chiamarmi zingaro” (Chiarelettere) da oggi è in libreria.
(Tra le righe di un libro storie di nomadi onesti e pure stonati, DNews, 19 giugno 2008)
mercoledì 18 giugno 2008
E poi dici che ti incazzi
Che figura barbina che hanno fatto gli esperti del Ministero.
La traccia del tema che chiedeva qualcosa come mettere in prosa la seguente poesia (chi potrà mai dimenticare una simile scempiaggine? In questo caso la poesia era il quarto componimento della terza sezione di Ossi di seppia di Eugenio Montale) è pure gravata da un errore grossolano. Per usare le parole di Giorgio De Rienzo:
La traccia prevede, prima di tutto, che lo studente riassuma brevemente il «contenuto informativo della lirica in questione». Una poesia ha il valore di una notizia? Non lo sapevo. Lo studente, più saggio degli esperti del ministero, avrà proceduto a fare un semplice riassunto di ciò che i versi di Montale sanno evocare. La prima strofa mette in scena il ricordo di un «sorriso» che è come «un’acqua limpida», vista per caso, «tra le petraie d’un greto», una sorta di piccolo lago in cui si rispecchia l’edera e più in alto ancora «l’abbraccio d’un bianco cielo». Montale è qui chiarissimo: mette in primo piano un ricordo caro. Il Ministero complica tutto perché chiede di individuare la «visione della realtà» del poeta e quella del «ruolo salvifico e consolatorio della figura femminile». Siamo nei guai. Qui c’è un errore grossolano: la poesia è dedicata a Baris Kniaseff che donna non è, ma un vecchio amico ora «lontano». E allora cosa fare? Bisticciare con gli esperti o fare finta di niente? Dire che la ripetizione di tante «r» sta per una realtà ostile e «l’acqua limpida» per una donna che salva, sarà stata forse la scelta più accomodante.(Nella foto: Linda, da Ora di cena).
[...]
Lo studente saggio avrà a questo punto mandato a quel paese i signori del ministero e nell’ultima strofa seguirà Montale che, al ricordo della «pensata effigie» dell’amico, sommerge i propri «crucci estrosi». Poi, se sarà stato in grado, avrà fatto la sua bella analisi stilistica del componimento e quindi parlato genericamente della poesia di Montale. Tranquilli ragazzi, niente paura. Con esperti ministeriali così poco competenti, il vostro tema meriterà comunque un punteggio pieno.
martedì 17 giugno 2008
La moratoria sui cibridi
Chimera era quel mostro un po’ capra un po’ leone un po’ serpente (l’iconografia è mutevole ma il risultato è sempre spaventoso), che vomitava fuoco e che non era mai un piacere incontrare.
(Progetto Galileo).
Postato da Chiara Lalli alle 13:31 1 commenti
Etichette: Cibride, Comitato Nazionale per la Bioetica, Embrione, Legge 40/2004, Progetto Galileo
Dimmi che programma usi, ti dirò di che orientamento sessuale sei...
Al post Una pagliacciata che scongiura il rischio dell’oblio seguono alcuni commenti. Tra gli ultimi spicca quello di Robi:
Non entro nel merito del commento (condivido quanto scritto subito dopo da Roberto). Mi colpisce una affermazione in un post del 7 maggio: Photoshop è da gay.
A parte il dubbio contenuto (che mi fa pensare che nella sua testa photoshop o programmi analoghi sarebbero come la manipolazione genetica o altre diavolerie sulla natura umana...) è il tono che mi sembra esageratamente serio. Nemmeno un punto esclamativo! No, Robi* crede serissimamente che photoshop sia da checche; gli uomini veri fotografano e non ritoccano i risultati dei loro sforzi. Gli uomini veri scelgono le inquadrature e se cannano qualche dettaglio se ne prendono le conseguenze. La color correction è da deviati; da rammolliti.
Vorrei chiedergli se vale anche per le donne (e se anche usando Aperture si dimostra un determinato orienamento sessuale). Non vorrei rimanere con un dubbio tanto atroce: sono etero, omo, bisex o cosa?
(* il post in questione non è stato scritto da Robi, aggiornamento al 18 giugno)
lunedì 16 giugno 2008
Cosa succede nel Pd e nel Paese. Intervista ad Ivan Scalfarotto
Come mai si è arrivati a candidare Francesco Rutelli (ovvero come mai non si è capito l’immaginabile disastro e in tutti questi anni non si è riusciti a lasciar emergere qualcuno con una faccia e un animo nuovi che potesse far fronte a Gianni Alemanno? Si parla tanto di talento e di giovani ma…)?
È abbastanza un mistero. Io credo che da un lato si sia un po’ sottovalutata la prova, nel senso che nessuno ha mai creduto che a Roma si potesse veramente perdere – ricordiamo che si partiva dal trionfo di Veltroni alle precedenti comunali – un po’ forse si pensava di poter utilizzare Roma per risolvere qualche problema di organigramma interno. Con Rutelli concentrato sulla Capitale si sarebbe ridotto il numero delle primedonne nel partito e nelle istituzioni a livello nazionale… Certo, hai ragione, con quella designazione si è persa un’occasione formidabile per lanciare uno come Zingaretti, per esempio, e aprire una porticina alla generazione che segue. Che non è certo una generazione di giovanetti, comunque, e in qualsiasi altro paese avrebbe già responsabilità di governo: guarda Miliband, Cameron, Zapatero, Obama. Da noi Veltroni è considerato ancora un ragazzino e il capo del governo va per i settantadue.
Un segnale di cambiamento e di assunzione di responsabilità non potrebbe venire dalla fine, decisa o suggerita, della vita politica dell’ex sindaco? O da tante altre decisioni – e non solo parole – che mostrerebbero un cambiamento di rotta.
Ma certamente! Il fatto che Rutelli abbia perso, e abbia perso in quel modo – con la principale città d’Italia che lo ha bocciato promuovendo allo stesso tempo il candidato del centrosinistra alla Provincia – e non abbia fatto nemmeno una piega addirittura chiedendo e ottenendo un incarico istituzionale, la dice lunga sul completo tramonto del principio di responsabilità nella politica e nelle istituzioni. Far bene o far male, essere popolari o impopolari, nella politica italiana a quanto pare è diventato assolutamente indifferente.
venerdì 13 giugno 2008
Spermatozooi altruisti
Interessante ricerca di Tommaso Pizzari e Kevin R. Foster, Sperm Sociality: Cooperation, Altruism, and Spite, Plos Biology, May 27 2008.
giovedì 12 giugno 2008
Fabio e Silvia
Sono stati grandi stamattina a Cominciamo bene.
Quando è comparso Francesco D’Agostino ho tolto il volume. Bastava la sua faccia contrariata a testimonianza che la sua ipocrita e contraddittoria difesa della vita inciampava nel buon senso e nelle ragioni di Fabio e Silvia.
Una pagliacciata che scongiura il rischio dell’oblio
Secondo “Famiglia Cristiana” il Gay Pride di Roma è una pagliacciata. Questo vuol dire che gli altri Gay Pride sono manifestazioni “serie”? Ovviamente no. Il Gay Pride è intrinsecamente una pagliacciata, secondo loro.
Nonostante sia ancora da dimostrare che di pagliacciata si tratti – e che questo sia immorale e indecente – la miopia più grave è non riconoscere che una “pagliacciata” possa denunciare gravi omissioni dello Stato nei confronti delle persone (omosessuali).
Ove la connotazione dell’orientamento sessuale è volutamente messa tra parentesi: perché uno Stato dovrebbe proteggere le persone, piuttosto che giudicare in modo pornografico la loro vita privata. Perché, altrimenti, non declinare meglio le preferenze sessuali? Le categorie “eterosessuale” ed “omosessuale” sono troppo anguste: aggiungiamo anche gli indecisi, i bisessuali, i timidi, gli aggressivi e così via. Con tanto di voto come a Miss Italia.
E se il Gay Pride contribuisse a ricordare o a rendere più difficile l’oblio sulla disuguaglianza che colpisce alcuni cittadini (per il mancato riconoscimento giuridico su famiglia e genitorialità)? Piume, provocazioni e culi possono piacere oppure irritare: questione di gusti, di quella libertà di pensiero ed espressione che uno Stato laico deve garantire. Così come dovrebbe garantire i diritti civili di tutti i suoi cittadini. Famiglia Cristiana pensi pure, piegandosi ossequiosamente ai dettami clericali, che questa “anomalia” (cioè l’omosessualità) sia un intrinseco e peccaminoso disordine dell’anima. Meglio una pagliacciata che una ipocrita e ingiusta discriminazione.
(DNews, 12 giugno 2008)
Postato da Chiara Lalli alle 11:37 87 commenti
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martedì 10 giugno 2008
Intervista a Daniele Luttazzi
Sei stato censurato durante un governo di centro-sinistra. Cosa ti aspetti da questo governo?
Guarda che la satira non deve essere tutelata da alcun governo. Chi fa satira non deve aspettarsi niente. La satira esprime il punto di vista dell’autore, non fa propaganda. Il potere ha una logica che la satira mette in discussione: infatti ti tappano la bocca. È sempre stato così ed è un ottimo motivo per continuare a farla. Dove è possibile. (Il mio sottoscala.)
È impopolare dirsi a favore della censura, almeno esplicitamente. Spesso, come nel tuo caso, si invoca il buon gusto o altri motivi piuttosto inconsistenti e comunque insufficienti a giustificare una sospensione di un contratto o un licenziamento.
Il censore lo riconosci subito. È quello che comincia dicendo: “Sono contro la censura, ma…”.
Esiste una forma più sottile e pericolosa: l’autocensura.
Non mi interessa fare il sabato sera su Rai Uno.
Cosa ne pensi della legge 40?
La fecondazione artificiale? Sono a favore, anche se la mia ragazza preferisce la fecondazione tradizionale: legata al letto, bendata, manette eccetera.
Perché i diritti civili (penso soprattutto la libertà) fanno tanta paura?
Fanno paura alle destre, perché minano l’archetipo del “padre autoritario” che cercano di imporre in tutto il globo.
Nella bella intervista che ti ha fatto Enzo Biagi nell’aprile 2007 hai dichiarato: “In Italia, se uno subisce dei soprusi non te lo perdonano”. Cosa intendevi?
Ti tolgono di mezzo, però non devi lamentarti. Se provi a ribadire i tuoi diritti, ti si accaniscono contro con veri e propri pestaggi mediatici.
Marcello Dell’Utri ha affermato alla vigilia del voto: “I libri di storia, ancora oggi condizionati dalla retorica della resistenza, saranno revisionati, se dovessimo vincere le elezioni” e che Vittorio Mangano è un eroe. Non sarebbero dichiarazioni adatte al tuo Tabloid?
Sono più adatte alla rubrica di Decameron “Cazzata o stronzata?”.
Che cos’è il “comma Luttazzi”?
I potenti ti querelano per miliardi. Usano la giustizia per vessarti. Vorrei il comma Luttazzi: se perdono, i miliardi che ti chiedono devono darli loro a te. Così smetterebbero di fare i vigliacchi.
Quanti, tra le persone che conosci, ti hanno confessato di votare per Berlusconi? Lo chiedo perché io non ne conosco nessuno e statisticamente è improbabile: o mentono oppure il mio campione è, a dir poco, scarsamente rappresentativo...
Io ho uno zio che vota Berlusconi. È un ex-commerciante che non pagava le tasse.
Dario Fo ha detto che la regola fondamentale della satira è non avere regole. Cosa aggiungeresti?
Non dimenticarsi di far ridere.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Il monologo Decameron, in tour da novembre. E rileggere Histoire d’O, un classico che mi ha sorretto nei miei momenti più bui.
(LibMagazine, 8 giugno 2008)
lunedì 9 giugno 2008
Luca Volontè e il rogo
Sembrava che lo zenit – o il nadir, secondo un diverso punto di vista – della carriera del beniamino di Bioetica, l’onorevole Luca Volontè, fosse stato toccato quando aveva consigliato a Piergiorgio Welby di finirla di invocare la sospensione della ventilazione artificiale e di suicidarsi invece con l’aiuto della moglie: un consiglio che dava la misura al tempo stesso del livello di sensibilità umana dell’Onorevole e del suo rispetto per le leggi. Ma per un recordman come Volontè ogni primato è solo temporaneo; eccolo quindi tentare di superare se stesso con un articolo pubblicato su Liberal, «L’incredibile cinismo di quei genitori di Foggia» (30 maggio 2008, p. 1), in cui se la prende con il padre e la madre di Davide, lo sfortunato bambino nato senza reni e sottratto per qualche giorno alla potestà dei suoi genitori.
Lascio ad Antonio Vigilante, blogger e zio del bambino, il compito di entrare nel merito delle parole di Volontè (che potrebbero forse configurare il reato di calunnia – ma penso che i genitori di Davide abbiano cose ben più serie da fare in questo momento che cercare di perseguire un personaggio di tale levatura, oltretutto protetto dall’immunità parlamentare); mi concentrerò invece sulle parole finali dell’articolo del nostro.
L’Europa che consente l’omicidio dei propri cittadini, seppur in fasce, rischia di diventare un unico e immenso campo di concentramento, non meno terribile, solo più scientifico. Una fornace immensa, un culto terribile e pure una benedizione religiosa del Reverendo George Exoo, gay e protestante d’Inghilterra. Siamo proprio sicuri di aver fatto bene a vietare la caccia agli stregoni?Già in quel «gay e protestante» c’è l’indizio di un’escalation che s’è compiuta nel ‘pensiero’ (chiamiamolo pure così) volonteiano: se da tempo sapevamo che «gay» non è un epiteto gentile nel lessico del nostro, eccolo adesso affiancato – alla pari, come appare manifestamente – da «protestante», insulto inedito, che fa piazza pulita di tutte quelle ubbie ecumeniche, sataniche deviazioni post-tridentine, che affliggevano fino a poco tempo fa la Santa Madre Chiesa.
Ma di fronte all’ultima frase, beh, che cosa dire? Cosa vuoi rispondere a uno che dice di avere nostalgia per il tempo in cui si bruciavano esseri umani? (Perché gli stregoni «cacciati» quella fine facevano, immancabilmente.) Sarà, certo, solo un’iperbole, e per giunta proveniente da un cervello di cui conosciamo bene l’ampiezza; ma rimane un segno degli umori che circolano. Un segno non bello. Le parole giuste per rispondere rischierebbero d’altronde solo di alimentare quell’incendio che a tratti sembra così vicino, e ci metterebbero in fondo allo stesso piano dell’Onorevole – una circostanza che come potete facilmente immaginare, vorrei a tutti i costi evitare. E allora meglio usare quelle, immortali, che un precursore di quei protestanti che Volontè tanto odia pronunciò (si dice) alla vista di una vecchina, altrettanto pia e altrettanto illuminata di Luca Volontè. Parole in cui alberga ancora il sorriso con cui furono dette, nonostante chi le dicesse si trovasse in una situazione non delle più allegre: O sancta simplicitas!
domenica 8 giugno 2008
Le regole del dialogo secondo Isabella Bertolini (e molti altri)
Isabella Bertolini (Pdl):
L’abbiamo detto a chiare lettere nella scorsa legislatura e lo ribadiamo oggi in occasione del Gay Pride di Roma: nessun riconoscimento pubblico può essere concesso alle coppie omosessuali. La Costituzione italiana riconosce e tutela la famiglia tradizionale fondata sul matrimonio tra un uomo ed una donna [...] Qualora fossero presenti eventuali lacune nelle leggi si possono affrontare con strumenti giuridici di natura privatistica già presenti nel sistema civilistico italiano o con modifiche al codice. L’ostinazione con cui si persegue il riconoscimento pubblico delle unioni di fatto risulta controproducente alla stessa causa omosessuale. Si innesca infatti una contrapposizione muro contro muro che blocca sul nascere qualunque tentativo di dialogo. Un atteggiamento maggiormente responsabile e consapevole da parte degli stessi rappresentanti della comunità gay o dei pasdaran delle unioni di fatto sarebbe certamente più auspicabile. (AGI)Peccato, Bertolini, che la Costituzione non parli di uomo e di donna, davvero un gran peccato. Sarebbero bastati 3 o 4 minuti per leggere l’articolo 29 (La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare).
Eventuali lacune? Ma la signora esce di casa oppure passa il tempo a mangiare i pasticcini con le amiche? A conversare amabilmente sulle mezze stagioni che non ci sono più e il prezzo delle patate per fare il pasticcio che va tanto di moda?
Ecco le regole del dialogo proposte da Bertolini: voi (cioè gli omosessuali, che tanto per essere ripetitivi prima di essere omosessuali sono persone e cittadini; ma di questo Bertolini forse non è consapevole) non rompete i coglioni più di tanto, accontentavi del nostro (cioè il popolo delle libertà – solo quelle loro ovviamente – e compari vari) pietismo e perfino buon animo, non scocciate con questo matrimonio e con la richiesta di simili diavolerie. Ma che andate cercando? Comportatevi responsabilmente, suvvia.
Mi sembra come quelli che dicono: bene parliamone, ma su questi punti (e giù un elenco piuttosto lungo) non sono disposto a trattare. A parte il fatto che mi ricorda qualcuno, ma non è che ci state prendendo in giro? Non so perché, ma ho questo sospetto.
Postato da Chiara Lalli alle 13:34 4 commenti
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sabato 7 giugno 2008
Abbecedario (per i politici)/2: inchini al papa
Quando un uomo di Stato incontra il papa – e a maggior ragione quando incontra preti, vescovi o cardinali – eviti assolutamente di baciarne l’anello o la mano o di inchinarsi, anche solo impercettibilmente: si limiterà scrupolosamente a una stretta di mano, tenendo il busto eretto. Questo precetto non dipende affatto, come si potrebbe pensare, dall’esigenza di non offendere i cittadini appartenenti ad altre confessioni o non religiosi: andrebbe seguito anche se il 100% della popolazione fosse cattolico. Né serve in primo luogo a evitare figure grottesche, come quando un noto puttaniere si piega a 90° per baciare l’anello piscatorio: lo dovrebbe far proprio anche un santo vergine immune dal peccato. La motivazione autentica è un’altra. L’uomo di Stato deve fedeltà solamente alla legge, in primo luogo alla Costituzione della Repubblica; astenendosi da inchini e baciamano segnala che non riconosce, nell’esercizio delle sue funzioni, nessuna autorità superiore alla Costituzione, e che non sta servendo due padroni.
Non si obietti che i simboli sono privi di importanza, e che quel che conta è la fedeltà concreta: perché raccomandare allora proprio un gesto che di simboli è carico? Né si dica che in questo modo si manca di rispetto al papa: il cerimoniale vaticano non impone nessun inchino. Si rispettino i luoghi di culto, scoprendosi il capo in una chiesa, coprendoselo in una sinagoga, e togliendosi le scarpe in una moschea; fra uomini, il rispetto più autentico è fra chi si riconosce come eguale – o, per usare un linguaggio più istituzionale, indipendente e sovrano.
Roma è sacra: parola di Militia Christi
All’alba alcuni militanti del gruppo politico cattolico Militia Christi hanno affisso su un muro di Via Cavour, nel centro della capitale, lungo il percorso del “vergognoso Gay Pride”, che si svolgerà nel pomeriggio da Piazza della Repubblica a Piazza Navona, uno striscione con la scritta: “Roma è sacra: no al Gay Pride, orgoglio del male!”. Lo annuncia una nota del gruppo, nella quale si precisa che: “l’azione è un piccolo, ma significativo gesto di condanna e opposizione all’ennesimo nefasto evento che offende Roma, la sua storia, la sua identità, i suoi abitanti”.(ANSA, 9.25).
Gruppo politico? Poi uno dice che la politica è screditata...
Ma va va va.
venerdì 6 giugno 2008
Persone pericolose per la sicurezza e la pubblica moralità
Ovvero le mignotte. E non chi va a mignotte.
Difficile non rimanere a corto di parole. Sfiancati dalla esasperazione e dallo sgomento.
Sembra inevitabile distinguere riguardo alla possibile scelta di un simile mestiere: ovviamente chiunque sia costretto a prostituirsi non può essere oggetto di un giudizio morale (e tantomeno di una condanna). La coercizione spazza via ogni valutazione di carattere morale e legale.
Qualora fosse una scelta esiste la possibilità di esercitare una condanna morale. Ma su quali basi?
Una persona che decide o sceglie di vendere il proprio corpo perché dovrebbe essere oggetto di una riprovazione morale (e ancor di più di una condanna)?
Il primo punto riguarda la commercializzazione del corpo: che però è presente in qualunque attività lavorativa. Un idraulico vende la sua abilità idraulica, un docente la sua abilità didattica e così via.
Cosa c’è di diverso tra una prostituta e un idraulico? Il sesso. Ed ecco che il quadro cambia. Ma senza che sia possibile rendere tale differenza rilevante ai fini di una condanna.
Perché non potrei vendere una abilità sessuale?
Forse perché il sesso deve essere intrecciato all’amore? Non sembra possibile ipotizzare una condanna assoluta (né morale né legale) del sesso senza amore (in assenza di commercio).
E, peggio ancora, su quali basi giustificare la considerazione delle prostitute come criminali?
La prostituta è onesta. Non dissimula, rischia sulla propria pelle le conseguenze della sua vita.
Per chi offre, c’è sempre chi chiede. Chi paga per avere prestazioni sessuali.
Il cliente: spesso è ipocrita, nasconde. Torna a casa e a nessuno dice dove è stato e con chi (“Buonasera tesoro, [ho appena scopato con una di quelle donne immorali che passeggiano sui marciapiedi] cosa c’è per cena?”). Spesso nemmeno agli amici, andando oltre il problema della infedeltà coniugale.
In ogni rapporto (in ogni compravendita, in ogni relazione) bisogna essere in due: anche tra vittima e carnefice. E se la prostituta è una vittima non dovrebbe essere trattata come un pericolo per la sicurezza e la pubblica moralità. Se non lo è, è ancora da dimostrare perché dovrebbe essere trattata come una criminale. Che reato compie?
La pubblica moralità non è messa in pericolo da quanti pagano per avere a disposizione un corpo ad ore? Perché soltanto da chi si offre?
Ma poi, che cosa sarebbe la pubblica moralità (soprattutto se a riempirsene la bocca è qualcuno che è stato condannato in primo grado per avere intascato 300mila euro? Chissà se la prescrizione ha anche il dono di rimediare alla moralità). I reati senza vittima fanno tanto Stato etico. Ma era forse rimasto qualche dubbio?
Non può che compiacere
Silvio Berlusconi ha dichiarato:
crediamo nei valori di solidarietà, giustizia, tolleranza, rispetto e amore dei più deboli. Siamo sullo stesso piano su cui opera la Chiesa da sempre.Quanta ipocrisia, quante bugie in sole due righe!
mercoledì 4 giugno 2008
Attenzione donne dietro le “ballerine” c’è del marcio
Immondizia, carovita, logiche clientelari, ignoranza scientifica e ordine pubblico: sono solo alcuni dei guai che affliggono l’Italia e che rientrano nella rubrica delle “emergenze” – nonostante siano anni che opprimono la penisola.
Distratti da tali onnipresenti priorità, forse, pochi cittadini italiani ricordano o sono angosciati da una polemica che è nata nel perimetro parlamentare ma minaccia di valicare gli argini di Montecitorio.
Scoppiato all’inizio di maggio il caso riguarda una neoeletta tra le file del Popolo delle Libertà: Elvira Savino. Con una certa temerarietà e un’indubbia dimostrazione di equilibrio (soprattutto sui sanpietrini romani) la parlamentare si presenta in aula su 12 centimetri di tacchi.
Presa in giro da Dagospia che l’ha definita “topolona” e “onorevole tacco 12”, Elvira Savino si è sentita in dovere di rispondere a cotale interlocutore, dimostrando una serietà forse eccessiva.
E addirittura ha sentito la necessità di ribadire, pochi giorni fa, che le donne hanno il diritto di mettersi in mostra e di portare tacchi di qualunque altezza. La rivendicazione superflua vanta anche una incontrovertibile dimostrazione: “portare i tacchi è impegnativo”. E non solo come prova funambolica: perché “bisogna dimostrare ogni secondo che si ha un cervello. Chi invece porta le “ballerine” sa che ha qualcosa da nascondere”.
Attenzione parlamentari che indossate scarpe da ginnastica o scarpe senza rialzo: la scelta delle calzature va ben oltre la questione stilistica. Tra qualche anno questo ammonimento potrebbe rimpiazzare l’ormai vecchiotto aforisma “chi beve solo acqua ha un segreto da nascondere”...
(DNews, 4 giugno 2008)
Piattelli e il platipo: una polemica sull’evoluzionismo
Lo scandalo della teoria darwiniana dell’evoluzione – di una teoria, cioè, che assegna al caso e alla necessità un ruolo fondamentale nel forgiare il mondo e noi stessi – continua a riverberare attraverso i secoli (l’anno prossimo si compiranno i duecento anni dalla nascita di Darwin); l’evoluzionismo sembra non poter proprio essere serenamente accettato, talvolta neppure da ambienti che si vogliono «scientifici». In un articolo apparso sul Corriere della Sera dell’11 maggio («L’ornitorinco sconfigge Darwin», p. 33), Massimo Piattelli Palmarini traeva spunto da uno studio recente sulla genetica dell’ornitorinco (o platipo) per dichiarare che le nuove scoperte mettevano in crisi il darwinismo classico, e scriveva addirittura: «ornitorinco uno, Darwin zero». Questo commento avrebbe sorpreso non poco gli autori della ricerca in questione, che nell’abstract scrivevano invece esplicitamente, senza che Piattelli sentisse il bisogno di segnalare la cosa al lettore ignaro (Jae-Il Park et al., «Origin of INSL3-mediated testicular descent in therian mammals», Genome Research, 7 maggio 2008; corsivo mio):
The stepwise evolution of these independent signaling pathways through gene duplication and subsequent divergence is consistent with Darwinian theory of selection and adaptationL’articolo originale non mi è purtroppo accessibile, ma la questione dovrebbe essere questa: la storia evolutiva dei mammiferi (ricostruita appunto sulla base del confronto col genoma del platipo) è stata contrassegnata dalla subitanea duplicazione di alcuni geni, che sono serviti da base per l’evoluzione di geni differenti da quelli da cui discendono. Piattelli ne deduce che il darwinismo, che postulava un’evoluzione procedente per piccoli passi cumulativi, ne sarebbe confutato; ma non è così. La duplicazione di un gene, infatti, non è che il primo passo: il gene figlio deve ancora differenziarsi, e questo accade gradualmente, seguendo i meccanismi della selezione naturale; l’acquisizione del nuovo carattere non è insomma affatto subitanea. Il darwinismo non solo non viene messo in crisi dal meccanismo (peraltro già noto da tempo), ma anzi ne esce rafforzato: se prima lo sviluppo di nuovi geni da zero poteva porre in imbarazzo la teoria, ecco che adesso conosciamo un modo plausibile per cui ciò possa avvenire.
All’articolo di Piattelli ha fatto seguito, sempre sul Corriere, un intervento di Giorgio Bertorelle, Presidente della SIBE, Società Italiana di Biologia Evoluzionistica («Ma l’ornitorinco non contraddice le teorie di Darwin», 21 maggio, p. 41); Piattelli ha risposto ribadendo nella sostanza le proprie posizioni («La teoria dell’evoluzione e il (defunto) darwinismo», 23 maggio, p. 57). La SIBE a questo punto ha promosso una petizione, firmata da nomi celebri della biologia evoluzionistica, che afferma:
In un suo articolo sul Corriere della Sera del 23 maggio, Massimo Piattelli Palmarini scrive che “… le scoperte della genetica e della biologia dello sviluppo hanno fatto collassare assolutamente la teoria darwiniana”. Questa è un’opinione personale che non corrisponde ai fatti. Al contrario, la comunità scientifica ritiene, sulla base dei risultati ottenuti in migliaia di studi e ricerche, che il principio darwiniano di selezione e adattamento sia un meccanismo fondamentale per l’evoluzione degli organismi. Charles Darwin scrisse L’origine delle specie 150 anni fa, quasi 100 anni prima della scoperta dalla struttura del DNA. Non possiamo aspettarci che potesse a quel tempo sapere e capire tutto quello che sappiamo e capiamo oggi. Ma confondere il logico aggiornamento e completamento della teoria dell’evoluzione con il collasso della teoria darwiniana è un grave errore sia dal punto di vista storico che scientifico.Il Corriere della Sera non ha purtroppo ritenuto opportuno pubblicare il testo della petizione.
Postato da Giuseppe Regalzi alle 17:00 10 commenti
Etichette: Evoluzionismo, Massimo Piattelli Palmarini
martedì 3 giugno 2008
Amministratore di sostegno. Intervista a Paolo Cendon
Come è nata la legge del 2004 sulla amministrazione di sostegno e quali scopi si prefiggeva?
È nata sull’orlo della legge 180 (1978). Noi civilisti ci siamo chiesti quale impatto avesse questa legge, e abbiamo scoperto che ce ne erano molti discutibili.
Uno di questi è che l’interdizione – come risposta per tutelare i soggetti deboli – è superata, eccessiva, fascista. Ci vuole una risposta più morbida e gentile. Ho deciso di buttare giù questo progetto di legge (era l’estate 1986), anche tenendo conto di quanto accadeva fuori dall’Italia.
Dopo pochi anni va in Parlamento, e dopo 15 anni di discussione nel 2003 viene approvata all’unanimità.
La legge sull’amministrazione di sostegno ha un spirito antipaternalistico?
Sì. L’interdizione è una risposta assoluta e totale. L’ideologia del legislatore era: o sei sano o sei malato. Se sei malato non puoi che esserlo “completamente”: psicofarmaci, docce fredde, camicie di forza e interdizione. Non esistono vie di mezzo. Questa è una logica manichea. L’interdizione ti proteggeva ma in cambio della tua esistenza: chi è interdetto non può quasi ordinare un caffè! Se sei scemo puoi esserlo solo del tutto. In cambio ti salverò, ma tu mi darai la tua anima. Una cosa è proteggere, però, un’altra è togliere i diritti: si può proteggere una persone senza toglierle i diritti – se non quando è strettamente indispensabile, quando è chiaro che ci sarebbe un uso autodistruttivo. A parte questi estremi, non si dovrebbero privare le persone dei propri diritti. La legge del 2004 non toglie nulla, ma aggiunge. L’interdizione invece ti toglie tutto in cambio di protezione.
L’amministratore di sostegno fa alcune cose al tuo posto: volta per volta si stabiliscono le condizioni. Non è un pacchetto prefigurato e valido per tutti, ma dal basso, caso per caso si valutano necessità e bisogni.
Quali aspetti dovrebbero essere chiariti o discussi per far sì che la volontà di una persona sia rispettata anche quando quella persona non è più cosciente?
Da un punto di vista generale ci sono molte garanzie: la convenzione di Oviedo, molte dichiarazioni internazionali, l’articolo 32 della Costituzione. Il quadro è già molto eloquente. Cosa aggiunge la legge 2004? L’articolo 408 ha previsto la possibilità di designare, da parte dell’interessato, il suo futuro amministratore di sostegno. Il giudice deve accertare quale sia il più adatto. E l’indicazione dell’interessato è centrale. La sua opinione non sarà vincolante rigidamente: nominare Adolf Eichmann, ovviamente, può suscitare dei sospetti (e la conseguente non vincolatività della suddetta indicazione). Il beneficiario può anche dare indicazioni orali. Non vorrei esaltare la dichiarazione formale e scritta. Anche in assenza di una dichiarazione scritta si deve cercare di ricostruire la volontà e i desideri di una persona, dalla sua vita, dai libri che leggeva, dalle scelte. Anche chi è in coma parla.
Quando abbiamo discusso questa legge nessuno pensava alle situazioni su cui si è espresso il giudice Guido Stanzani (anche se questa non è una assoluta novità): si pensava più a scenari patrimoniali. Ma molte richieste sono state di tipo sanitario, anche se non lo avevamo immaginato. L’amministratore di sostegno, ad esempio, è un figura importante per le situazioni in cui una persona arriva al pronto soccorso in condizioni critiche: non tali da giustificare un intervento automatico e immediato del medico in base all’articolo 54 del Codice Penale (stato di necessità), ma tali da non poter procedere ad un consenso informato, perché magari il paziente è confuso o momentaneamente incosciente.
In attesa di parlare e decidere con il paziente, il medico può avere alcune indicazioni preziose da parte dell’amministratore di sostegno. I casi più tipici sono gli incidente stradali.
Quali sono i punti irrinunciabili di una legge sulle direttive anticipate?
Il valore che deve avere quello che l’interessato esprime. Alcune indicazioni devono essere assolutamente vincolanti: quelle che non entrano in conflitto con nulla (per esempio la richiesta di non somministrare una aspirina o un altro trattamento sanitario). Ci sono poi delle richieste assurde che non possono essere eseguite: sparatemi o altre richieste simili.
Poi c’è una zona di incertezza: in cui le dichiarazioni sono orientative e importanti, ma non vincolanti al 100%, per esempio rispetto alla scelta di una terapia specifica oppure alla insorgenza di qualche controindicazione (una allergia ad un farmaco). Una legge sulle direttive anticipate aggiungerebbe alla legge sull’amministratore di sostegno indicazioni di questo tipo. E potrebbe sottrarre al giudice un potere che qualcuno giudica eccessivo: anche se, nonostante esistano giudici stolidi, la maggior parte è affidabile, attenta e rispettosa delle volontà e dell’interesse dei pazienti.
La chiave di volta della legge sul sostegno, la migliore garanzia, è la sua coralità, la sua trasparenza. Tutto ciò che il giudice fa è scritto, si può discutere, si può chiederne conto. Ogni scelta va motivata e spiegata. Anche il medico, se vuole contestare una richiesta del paziente, deve motivare le sue obiezioni, che saranno discusse da altri. L’onere di motivazione è molto importante. Protegge le persone.
Pensi che l’Italia avrà una normativa sulle direttive anticipate?
Sono sicuro di no. Anche la parte laica della destra è sotto pressione. Chi parla è la feccia. La spazzatura berlusconiana. Se si innescasse una logica un po’ meno becera, forse…
La possibilità attuale è di lavorare dal basso.
Proprio come nel caso di Stanzani. Con questa maggioranza se si prova a cambiare dall’alto ci si scontra contro un muro di impossibilità. Sono invece fiducioso sul movimento dal basso.
Sono stato seduto per molti anni sul bordo di un fiume e ogni giorno ho visto passare cadaveri. Il mondo sta cambiando in questo modo. Il dibattito è sclerotizzato nelle “alte sfere”. Dal basso i piccoli colpi di balestra, incessanti, stanno portando avanti un cambiamento. Rimane un guscio vuoto i cui contenuti sono cambiati. Una legge come questa scava giorno per giorno. Introduce principi irrinunciabili. Porta avanti e veicola la cultura dell’impegno e della solidarietà, del rispetto della volontà. Il percorso che si sta tracciando è importantissimo.
Un controdiritto (uso questa espressione fuori moda) che sposta le cose pezzetto per volta, giorno per giorno. Questa Italia è più forte di tutto, al di là delle contingenze televisive e del mondo elettorale e parlamentare.
La forza delle cose è l’elemento che mi lascia sperare. Questo aspetto femminile, selvaggio forse, ma concreto; non è una consolazione, ma una vera e propria rivoluzione, poco visibile ma inarrestabile.
Sono ancora fuochi sparpagliati, ma se li guardi insieme il bagliore è intenso.
(LibMagazine, 3 giugno 2008)
Postato da Chiara Lalli alle 11:17 2 commenti
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Cavoli quanti commenti!
Come ho notato anche later volte i commenti di questo blog sono spesso pieni di parole vuote... Qui trovo tanti che coi loro commenti dimostrano di avere gli occhi ben chiusi e dominati da pregiudizi nonostante affermino con forza di averli più aperti di altri (icredibile il commento di chi non capiva cosa ci fosse di dannoso nel comportamento del tizio che ha avuto un figlio e poi ha cambiato sesso). La questione secondo me è semplice: sei omossessuale? libero di esserlo e i pregiudizi nei tuoi confronti devono essere combattuti. Però poi molto probabilmente sentirai un senso di mancanza (ed è normale sentirla) per un figlio che col tuo partner non potrai mai avere. Ma questo non ti autorizza a imporre a un bambino una famiglia dove gli mancherà una figura genitoriale (avere due mamme è diverso da avere solo la mamma: in entrambi i casi manca il papà ma si tratta di situazioni ovviamente diverse). fine.