Mi era proprio sfuggito, ma quando su segnalazione leggo su Gli Altri quanto avrebbe scritto Luisa Muraro salto sulla sedia (
La femminista contro le adozioni gay:“Invidiosi della fecondità femminile”, Laura Eduati, 2 ottobre 2012, da leggere se si esclude Muraro). Non c’è la fonte e allora cerco con Google e trovo di meglio: in una botta sola trovo la fonte (Metro) e un
commento di Marina Terragni che si dice “perfettamente rappresentata” (non mi avventurerò nei link che segnala Terragni all’inizio del suo post, tanto è ben rappresentata da Muraro e allora andiamo a vedere cosa avrebbe scritto Muraro).
“Meglio avere genitori omosessuali che non averne affatto”, ha detto il sindaco di Milano, secondo i giornali. Avrà detto proprio così? Me lo chiedo perché in queste parole ci sono due semplificazioni.
Avere dei genitori non è sempre meglio del non averli. Ci sono genitori indegni del loro compito. Quanto all’adozione, Pisapia sa bene che la nostra legge è diventata molto prudente nel concederla. Troppo, dicono alcuni, senza sapere dei molti bambini prima adottati e poi respinti. Ci vuole una valutazione severa, per esempio: sono adatti alla paternità i politici di professione, gli artisti?
Seconda semplificazione. Il sindaco ha parlato di coppie omosessuali, senza specificare se maschili o femminili. Ma è una differenza enorme. Le coppie femminili che desiderano figli, possono averli e così già fanno, con il tacito consenso della società circostante. Il problema si pone alle coppie maschili, in quanto naturalmente e ovviamente sterili.
Qui non prendo posizione pro o contro l’adozione. Affermo soltanto che, quando si ha davanti un problema, conviene dirsi chiaramente come stanno le cose. Il problema dell’adozione è degli uomini, non delle donne. E dietro alla pressante richiesta maschile di poter adottare, potrebbe nascondersi un’antica invidia verso la fecondità femminile. Mi sbaglio? Non lo escludo, ma in tal caso l’uomo dica apertamente: perché non voglio chiedere a una donna il dono di diventare padre? Perché voglio fare la madre io?
E non riduciamo il problema a una questione di diritti. A questo mondo i desideri, compresi quelli giusti, non si traducono automaticamente in diritti.
Muraro fa le pulci a Pisapia, ma poi inciampa non solo in semplificazioni peggiori di quelle che attribuisce al sindaco di Milano, ma pure in equivoci psicanalfondamentalisti che sembrano usciti da una cantina polverosa e rimasta chiusa per 40 anni (basterebbe qui invocare
Sokal e Bricmont e quello che scrivono a proposito di Julia Kristeva e Jacques Lacan o altri tipi del genere).
Certo che ci sono genitori indegni, ma ciò che (verosimilmente) voleva intendere Giuliano Pisapia è che la variabile omosessualità non è intrinsecamente negativa. Se dovessi proprio commentare, direi che questo modo concessivo (magari strategicamente funziona) mi disturba, e che sarebbe meglio dire: perché l’omosessualità dovrebbe essere considerata a priori come dannosa per i figli? Non ha alcun senso, e sarebbe giusto sottoporre tutti i potenziali genitori adottivi al percorso di valutazione, senza soffermarsi pornograficamente sulle preferenze sessuali. Ancora troppa gente pensa che l’eterosessualità sia il
golden standard e che gli altri orientamenti siano una caricatura, un errore, un peccato, qualcosa di immorale - insomma bene che ti va ti prendi uno sguardo di compassione. Finché questa convinzione - sbagliata, delirante, presuntuosa e violenta - sarà conficcata nelle teste inciampreremo in domande che dovrebbero essere superlfue, inutili e considerate come noiose. Si è buoni o cattivi genitori per ragioni che nulla hanno a che vedere con le nostre preferenze sessuali.
Sulla difficoltà dell’adozione, poi, ne scriveva pochi giorni fa
Daniela Ovadia e non mi ci soffermo (chiarisco solo che sono difficoltà che nulla, pure loro, hanno a che fare con l’orientamento sessuale).
Ma il bello arriva con la “differenza enorme”, per non dire di dubbie entità come “il consenso della società circostante” e il “naturalmente sterili” (Muraro forse avrebbe dovuto dirci come ci regoliamo con una donna sterile - la consideriamo
innaturale al pari di un uomo?).
Ma diciamoci chiaramente come stanno le cose, ci esorta Muraro: il problema dell’adozione è degli uomini, perché in fondo ci sta una invidia malcelata e mai risolta. Degli uomini verso le donne. Degli uomini verso l’utero. Sarà.
A me sembra che eliminare dal proprio panorama cerebrale il fatto che si possa desiderare di essere padri - meglio, genitori così magari ci liberiamo di qualche stereotipo che la mamma è premurosa e affettuosa e il papà è l’ordine e la disciplina - ridurre gli individui a ruoli predefiniti, sempre più angusti, sempre più irrigiditi e incollati come capelli inondati da una lacca scaduta, decidere al posto degli altri quali siano i desideri giusti e quelli sbagliati, ecco tutto questo mi sembra essere di una presunzione sconfinata. Non solo, si può provare almeno a metter su un mezzo argomento che non puzzi di marcio e stantio, si può provare ad uscire dall’ossessione della retorica della maternità, che spinge perfino a chiamare “mammo” un uomo che esprime piacere e desiderio nell’occuparsi dei figli. Mammo, capite?
Per non parlare della coincidenza tra capacità riproduttiva e desiderio genitoriale, della riduzione delle emozioni agli organi che abbiamo, quelli che ci funzionano oppure no, quelli che ci permettono di riprodurci o quelli che richiedono l’intervento di tecniche. Non oso pensare cosa direbbe Muraro (magari lo ha già detto ma passo per oggi) della maternità surrogata e delle tecniche riproduttive, tutti rimedi
innaturali e sicuramente un ripiego delle vere donne, quelle con l’utero funzionante.
Insomma, ci bastava
Giuseppe Di Mauro, o no?
Aggiunta per chi avesse voglia di leggere prima di elencare sentenze:
APA,
Colage,
ACLU,
AACAP,
Stacey & Biblarz (posso continuare su richiesta).